Joseph Rykwert: gli dèi, gli uomini e l’architettura (doppiozero.com)

di Marco Belpoliti

Architettura

“Se la città deve essere messa con la fisiologia, più che a ogni altra cosa essa assomiglia a un sogno”, così scrive Joseph Rykwert nella prefazione del suo libro più noto L’idea della città: antropologia della forma urbana nel mondo antico, tradotto in italiano nel 1976, da Einaudi (e ora ristampato da Adelphi), ma scritto negli anni Sessanta del Novecento e pubblicato negli Stati Uniti.

Senza i sogni, come ci raccontano i miti e le leggende, le città antiche non sarebbero sorte, e non avrebbero avuto ciascuna una propria specifica forma. Rykwert, nato in Polonia nel 1926 e morto ieri, ha studiato negli anni Quaranta in Gran Bretagna con i grandi ricercatori della prima generazione del Warburg Institute di Londra, in particolare con Rudolf Wittkower, per poi insegnare il resto della sua lunga vita anche negli Stati Uniti.

Dotato d’una capacità di scrittura saggistica che è racconto e fabulazione, lo studioso polacco ha messo in luce come le grandi innovazioni architettoniche e urbanistiche derivino dallo stretto rapporto tra questa disciplina, atta a costruire, e le espressioni religiose del mondo classico, quella greca e romana prima di tutto e, per quanto riguarda quest’ultima, le sue ascendenze etrusche che si compendiano in un “rito” assorbito e rielaborato dalla civiltà costruttiva di Roma, in cui la lettura dei movimenti celesti e delle pratiche religiose erano strettamente intrecciate con i principi giuridici: ordine divino e ordine umano.

Bellissime sono le pagine dedicate a mura, porte, templi, o agli spazi sociali come il foro: forme e simboli che organizzano lo spazio collettivo e quello privato. Senza mai cadere in nostalgie, Rykwert ci ha fatto capire come la morfologia del paesaggio urbano nasca in stretto rapporto con i miti che innervano le pulsioni più profonde delle antiche civiltà.

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Capace di affrontare la lettura dell’architettura modernista, e al tempo stesso a suo agio con la filosofia di Hegel, come  con il disegno di Piranesi o le idee di Leon Battista Alberti, con il pensiero antropologico come con quello sociologico, questo magnifico studioso, che parlava un italiano non solo corretto ma elaborato e colto, è stato un personaggio solitario nella cultura architettonica del Novecento, capace di dialogare con saperi e discipline di cui aveva appreso i primi rudimenti nella Polonia ebraica nell’ambito di quella scienza interpretativa che è il Talmud.

Dotato d’una forza immaginativa davvero unica, come mostra l’altro capolavoro della sua produzione, La casa di Adamo in Paradiso, tradotto da Adelphi nel 1972, si può dire che Rykwert sia stato un materialista religioso, in grado d’accostarsi alle immagini della sfera del sacro sapendovi leggere insieme le strutture più profonde.

Strutturalista senza strutturalismo, aveva una conoscenza profonda dell’architettura di ogni luogo e d’ogni epoca, da quella giapponese a quella australiana, superando le tradizionali divisioni accademiche. In quel libro scandagliava il mito della “prima casa” intesa come archetipo sempre presente e agente sia sul piano immaginativo che su quello simbolico.

Pochi forse sanno che proprio Rykwert è stato uno degli ispiratori delle Città invisibili di Italo Calvino, che non a caso fu tra coloro che vollero la traduzione einaudiana di L’idea di città.

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Tra gli abbozzi e le note vergate dallo scrittore ligure nel corso dell’elaborazione del suo poema in prosa, che tanto ha ispirato il pensiero di architetti e urbanisti, il nome di Rykwert compare accanto all’elenco di temi e oggetti che gli interessavano.

Nel momento in cui si accingeva a scrivere il suo viaggio tra le città del passato e quelle del futuro, un’opera che ha ancora tanto da dirci riguardo al crogiolo di culture e immagini che sono oggi le città del mondo, Calvino pensava alla presenza degli dèi occulti e sconosciuti nelle nostre metropoli.

Ma se si vuole capire cosa sia stata l’architettura per l’umanità bisogna aprire un altro libro di Rykwert dal titolo invitante e insieme misterioso e ossimorico: La colonna danzante (Libri Scheiwiller), il cui emblematico sottotitolo non a caso è: Sull’ordine in architettura.

Un libro che stabilisce la corrispondenza tra gli edifici e il corpo umano, procedendo a una ricostruzione rigorosa e motivata delle successioni formali legate al tema architettonico della colonna, opera tradotta nel 2020 e ben presto scomparsa dagli scaffali delle librerie, che invece dovrebbe essere adottata da tutte le facoltà d’architettura del mondo.

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In uno dei suoi ultimi lavori, La seduzione del luogo: storia e futuro della città (Einaudi 2008), lo studioso polacco ha fatto il punto in modo inequivocabile sulla perdita di quel valore religioso delle città, dove la questione centrale riguarda  il legame che gli uomini e le donne stringono gli uni con gli altri, unione simbolica dissolta e trasformata oggi in un puro valore economico.

Nella prefazione al volume Rykwert spiega come l’architettura non possa essere guidata da ragioni solamente razionali o economiche, ma piuttosto da concetti, sentimenti e soprattutto da desideri. La città intrattiene un rapporto profondo con il conscio e l’inconscio degli esseri umani, e anche con quelli delle società, poiché esistono forme oniriche collettive che attraversano tutte le città.

Senza mai abbandonarsi a forme irrazionali, Rykwert ha dosato con cura i due poli della natura umana, quello della tendenza alla costruzione raziocinante, incarnata per forza di cose in architettura dalle tecniche costruttive, e quello del meraviglioso, che prescinde dagli interessi economici e politici che oggi invece vorrebbero dirigere dall’alto, mentre inevitabilmente emergono forze pullulanti e inafferrabili generate dal basso.

Nella parte del libro intitolata Interrogativi per il nuovo millennio, e nella nuova postfazione scritta per la edizione italiana, Rykwert sottolinea come il proliferare di grattacieli nelle maggiori capitali del mondo – il suo sguardo si appuntava in quel momento sulla città cinese di Shanghai, per lui la New York del nuovo millennio –, sia composto di edifici che aboliscono la forma tradizionale del grattacielo pensato e realizzato nel corso del XX secolo.

Ora all’inizio del XXI secolo queste costruzioni, che hanno racchiuso nel bene e nel male tutta l’energia e lo spirito d’iniziativa che alimentava il sogno americano, cancellano i grandi piani che un tempo contenevano spazi pubblici e commerciali, a vantaggio di forme che all’inizio degli anni Novanta sorgono bruscamente dal marciapiede e si stagliano contro il cielo – rampicanti “a punta di matita” li definisce – i cui ingressi sono sorvegliati da guardie armate.

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La diagnosi di Rykwert, vecchio studioso per nulla incline all’estremismo politico, è che l’architettura non è più il frutto del sogno di un individuo, di un progettista o d’un architetto, ma il risultato di studi professionali guidati dagli interessi economici di chi ne ha finanziato la costruzione. Una mente collettiva e astratta che sembra prescindere dalla necessità di mediare tra le istanze degli individui singoli e quelle dell’intera società.

Salvo rare eccezioni, scrive lo studioso polacco, gli architetti non producono più grandi metafore del mondo e l’edificio oggi più riconoscibile non è né un palazzo governativo, né un parlamento o un ministero, oppure una chiesa, bensì un museo, come mostrano il Guggenheim di Bilbao di Frank Gehry o il Museo ebraico di Daniel Libeskind a Berlino, edifici che sembrano l’esposizione di sé stessi e non luoghi o spazi dove esporre opere d’arte.

L’impietosa e insieme ricca analisi di Rykwert evidenzia in modo acuto che esiste tra la forma della città e il problema della democrazia partecipativa, oggi così in crisi. Parla di Londra, città dove Rykwert ha deciso di stabilirsi da un certo punto in poi, e scrive: “la democrazia partecipativa sta passando di mano dagli elettori agli azionisti e utenti”.

Il mondo dei “custumers” ha soppiantato quello dei “cittadini” fossero quelli antichi della polis greca e della civitas romana o il mondo agglutinato di mattoni delle città medievali: senza sogni, senza dèi e senza leggi sacre condivise, le città implodono e divengono metropoli espanse senza forma, slabbrate e identiche le une alle altre, come narrano le pagine futuribili di Italo Calvino.

Il nostro è oggi un mondo uniforme, identico da un capo all’altro del globo, che non sogna più, che si divide e confligge, travolto da un elemento economico e commerciale che distrugge la forma stessa del nostro stare insieme in quell’agglomerato imprevedibile e organizzato che sono le nostre città.

Ponte sullo Stretto, ambientalisti: grave impatto su ecosistema (quotidianodelsud.it)

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L’impatto sull’ecosistema prodotto dal Ponte 
sullo Stretto preoccupa Legambiente e altre 
associazioni, ecco il documento inviato 
al ministero

Aspra contestazione, nel merito e nel metodo, alle integrazioni prodotte dalla Stretto di Messina sul progetto del Ponte sullo Stretto arriva dalle associazioni ambientaliste che hanno presentato al ministero dell’Ambiente un documento di 600 pagine di contro osservazioni.

L’ampio dossier è stato inviato alla Commissione di Via – Vas da Italia Nostra, Kyoto Club, Legambiente, Lipu, Man e Wwf Italia, insieme alla “Società dei Territorialisti” ai “Medici per l’Ambiente – Isde” e ai comitati “Invece del Ponte” e “No Ponte – Capo Peloro”, tutti uniti dall’obiettivo di rafforzare la tesi, già ampiamente dimostrata in precedenza, secondo cui il Ponte «rimane un progetto dall’impatto ambientale gravissimo e irreversibile, non compensabile né mitigabile».

IMPATTO AMBIENTALE DEL PONTE SULLO STRETTO «NON MITIGABILE»

A redigere il documento sono stati 39 esperti e tecnici, tra cui figurano molti docenti universitari, che, spiegano gli ambientalisti, «hanno dovuto districarsi in un vero e proprio labirinto costituito da centinaia di nuovi elaborati, a volte anche in contraddizione tra di loro».

Le integrazioni prodotte, tuttavia, non risponderebbero alle segnalazioni critiche formulate dalla Commissione di Valutazione d’impatto ambientale «ma si limitano a tentare di giustificare scelte progettistiche già effettuate dalla Stretto di Messina SpA».

Secondo i firmatari delle nuove osservazioni, le stesse dimostrerebbero che gli impatti dell’infrastruttura non possono essere «mitigati o compensati» e sebbene la Stretto di Messina li indichi nel proprio progetto lo fa solo in «forma minimizzata».

Il lavoro di analisi della società concessionaria dell’opera «contiene un errore eccezionalmente grave, ovvero, la totale assenza di una valutazione della somma che i vari impatti connessi alla realizzazione dell’opera producono. – chiariscono gli ambientalisti – L’assenza del cosiddetto “effetto cumulo” rappresenta una palese violazione della normativa vigente, sia comunitaria che nazionale».

Il parere della Commissione di Via – Vas è atteso per metà novembre, ma le associazioni e i comitati «escludono persino la possibilità di un’approvazione con prescrizioni – e – ritengono pertanto che la Commissione non potrà che chiudere il procedimento Via in corso con parere negativo».

I PUNTI CRITICI DELLA PROGETTAZIONE

Entrando nel merito dei principali punti critici individuati dalle associazioni e dai comitati, vi è una carenza attribuita al progettista relativamente alla Valutazione di incidenza ambientale (Vinca).

Per quanto concerne le aree sottoposte a vincoli comunitari in quanto ricomprese nei siti della Rete Natura2000, su cui già nel 2013 la Commissione di Via si era espressa negativamente, affermano le associazioni che si tratta dell’aspetto in cui «il numero di analisi parziali, omissive e metodologicamente criticabili, appare più evidente anche perché alcune delle compensazioni proposte sono o risibili o non compatibili con le Linee guida dello stesso Mase – e sono date per – scontato autorizzazioni che molti singoli interventi necessitano».

Inoltre, «si prevede di cantierizzare per anni ulteriori aree delicate e vincolate, anche oltre quelle direttamente interessate dal Ponte».

PONTE SULLO STRETTO E IMPATTO SULLA BIODIVERSITÀ

Nel documento si sottolinea, poi, che gli interventi compensativi sono incompatibili con la pianificazione paesaggistica e quindi con i vincoli a questa relativi delle regioni Calabria e Sicilia.

La mole più consistente delle critiche viene fatta sul piano dell’impatto sulla ricca biodiversità dello Stretto in special modo sull’avifauna della zona. «Viene addirittura ignorata la presenza di alcune specie, di altre si sottostima la consistenza o si descrivono rotte e traiettorie sulla base di rilievi condotti con un radar limitato nella sua portata e mal posizionato», spiegano gli ambientalisti che documentano come invece «l’analisi storica dei venti che interessano lo Stretto porti a ritenere una collisione dell’avifauna ben superiore a quanto ipotizzato nei documenti prodotti dalla SdM».

E dicono ancora: «Tutti gli effetti ambientali sono stati considerati anche rispetto gli impatti sul mare, sulla costa, sulla risorsa idrica, in relazione sia all’opera che ai cantieri necessari per realizzarla. L’inevitabile distruzione delle rarissime (e vincolate) cosiddette beach rock sul litorale prossimo a Ganzirri costituisce solo un esempio della sproporzione dell’intervento rispetto alla delicatezza dei luoghi».

ASPETTI STRUTTURALI E DI CANTIERE

Anche nel dossier delle associazioni e dei comitati viene riproposta l’inesauribile questione delle faglie attive e capaci presenti nell’area interessata dall’opera per le quali sarebbe insufficiente l’integrazione documentale.

Molti i rilievi sugli aspetti di cantiere dell’opera e su quelli strutturali: «Rumori e vibrazioni sono oggetto di puntuali controdeduzioni rispetto alle sottovalutazioni contenute nelle integrazioni dei progettisti che per le polveri hanno addirittura considerato aree di disturbo vicino ai cantieri per soli 50 metri. – e aggiungono – non ci potranno essere risposte rispetto alla tenuta dei cavi finché non si faranno i test che lo stesso progettista indica e come le risposte fornite in merito alle oscillazioni del Ponte non appaiono convincenti (in particolare in relazione all’attraversamento ferroviario)».

COSTI E BENEFICI

Le controsservazioni inviate al Mase trattano anche del tema costi/benefici e concludono: «l’aggiornamento dei flussi di traffico al 2022 non giustifichi la realizzazione del Ponte che, se realizzato, avrebbe come risultato il trasferimento del trasporto via mare sul ferro, lasciando inalterato il trasporto su gomma e quello aereo. Per altro non si considera l’intermodalità del trasporto marittimo migliorata con il collegamento dinamico finanziato con fondi del Pnrr».

Sottolineano, inoltre: «Manca poi una approfondita e completa valutazione di impatto sulla salute pubblica».

Ponte sullo Stretto, ambientalisti: grave impatto su ecosistema