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Il 25 aprile dei marziani elogi per Putin e fischi per la brigata ebraica (ildubbio.news)

di Daniele Zaccaria

Sembra quasi che scimmiottino la “denazificazione” 
sognata da Putin, 

convinti realmente che un Paese di 45 milioni di abitanti, sia rappresentato dai duemila esaltati del battaglione Azov

Stavolta non c’era neanche il pretesto della Palestina, la cauzione ideologica dietro cui storicamente il pregiudizio giudeofobico si nasconde e si fa bello. I fischi della piazza di Milano alla Brigata ebraica sono venuti fuori così, gratis, per contorto senso di appartenenza, per ottusa assimilazione e forse per riflesso condizionato.

Lo stesso che da qualche anno trasforma l’anniversario della liberazione in una cronaca marziana, con gli ebrei, prime vittime del nazifascismo, contestati a muso duro dalla sinistra “dura e pura”, costretti a sfilare con la “scorta”, protetti dal servizio d’ordine.

La guerra di Putin poi ha complicato il quadro, già di per sé demenziale: «Servi della Nato!», gridavano ieri i contestatori ai reduci dei campi di sterminio hitleriani e ai loro familiari quando le due parti del corteo si sono incontrate. Ma perché?

In piazza i soliti vecchi gruppettari, ma anche molti giovani, ragazze e ragazzi che urlano nei megafoni mentre passano le bandiere con la stella di David. Un’immagine davvero pietosa. Accanto alla Brigata ebraica le comunità ucraine milanesi con tantissime bandiere blu e gialle, naturalmente anche loro fischiate dagli pseudo antifascisti. Qualcuno gli grida in faccia senza alcuna vergogna: «Nazisti!!», altri intonano per diversi minuti l’angosciante e sibillino slogan: «Ucraina antifascista solidarietà internazionalista!».

Sembra quasi che scimmiottino la “denazificazione” sognata da Putin, convinti realmente che un Paese di 45 milioni di abitanti, sia rappresentato dai duemila esaltati del battaglione Azov, Ci mancano solo i simboli della Federazione russa e delle repubbliche separatiste del Donbass per completare il rovesciamento perfetto.

E poi ci sono i vessilli dell’Unione europea, degli Stati Uniti e dell’odiata Nato, altri bersagli d’elezione delle avanguardie antagoniste che nella loro singolare interpretazione della Storia riescono nel capolavoro di gettare fango su tutti coloro che hanno combattuto contro il Terzo Reich. A parte la Russia che nell’universo parallelo in cui vivono essere ancora la gloriosa Urss.

«Fuori la Nato dal corteo!» ringhiano grintosi, ma vola anche un iperbolico «Assassini, assassini!», rivolto praticamente a tutti gli altri dimostranti, dal segretario del Pd Enrico Letta, alle migliaia di persone scese in piazza per ricordare e celebrare il 25 aprile del 1945 e non per alimentare una guerra immaginaria contro l’occidente e la democrazia.

Anche perché la guerra, quella vera, divampa da due mesi nel cuore dell’Europa, con città distrutte, migliaia di vittime e milioni di profughi, una guerra di invasione illegale e sanguinaria, scatenata per volontà di Vladimir Putin e non dei suoi avversari globali.

Gli scorre sotto gli occhi tutti i giorni ma non la vogliono vedere perché metterebbe in crisi tutta la teologia geopolitica con cui interpretano ogni evento. C’è chi si aggrappa alla propaganda e alle fake news negando le stragi e chi fa spallucce: «Quello che fanno i russi non ci interessa, noi combattiamo contro gli imperialisti di casa nostra» replicano gli antagonisti a chi gli chiede come mai non dicano nulla sui crimini contro l’umanità in Ucraina e sulla repressione del dissenso interno da parte del Cremlino e del Fsb.

Ma l’insofferenza e il risentimento nei confronti degli ucraini, della strenua difesa del loro paese invaso da truppe straniere, della loro ostinazione a non arrendersi al tiranno non riguarda soltanto le frange più massimaliste della sinistra; è un sentimento strisciante che si fa largo nell’opinione pubblica, favorito dall’ambiguità dell’equidistanza, dai né, né, come se le responsabilità delle due parti in causa fossero equivalenti, un pensiero che cancella magicamente la differenza tra aggressori e aggrediti, tra le vittime e i carnefici.

Per questo il Capo dello Stato Sergio Mattarella, che già venerdì scorso aveva pronunciato parole nette, è tornato a ribadire la vicinanza del nostro paese e della nostra diplomazia con la resistenza di Kiev proprio nel giorno della liberazione.

Quella stessa resistenza davanti alla quale in molti arricciano il naso perché trovano blasfemo il paragone con i nostri partigiani ( che peraltro furono armati e addestrati dagli anglo- americani). E lo ha fatto con la consueta chiarezza, senza timore di accostamenti sacrileghi: «Pensando agli ucraini che resistono mi vengono in mente queste parole: “Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor’. Sappiamo tutti da dove sono tratti questi versi. Sono i primi di Bella ciao».

“L’Anpi non ha più senso”. Parla Arturo Parisi (ilfoglio.it)

di GIANLUCA DE ROSA 

Dall'inizio del conflitto in Ucraina con pazienza 
l'ex ministro segnala gli inciampi 
dell'associazione: 

“Ha esaurito il ruolo storico e non ha l’esclusiva sulla Resistenza”. E sul suo controverso presidente: “Pagliarulo ascolti Bella ciao”

“Tutto sarebbe più semplice se l’Anpi riconoscesse di essere un’associazione politica fra tante, esprimendo liberamente le proprie posizioni, senza pretendere di rappresentare ancora oggi la Resistenza”. Arturo Parisi, ex leader dei Democratici prodiani, tra i fondatori del Pd ed ex ministro della Difesa del governo Prodi, dall’inizio del conflitto in Ucraina non smette di indignarsi. Su Twitter segnala con dovizia tutti gli inciampi dell’Anpi e del suo controverso e divisivo presidente Gianfranco Pagliarulo.

“Dietro frettolosi riconoscimenti di rito dell’aggressione russa, nelle relazioni congressuali, si continua a sbandierare nei manifesti un pacifismo irenico ed elusivo senza riferimento all’aggressione e invasione dell’Ucraina da parte di Putin. Ma non voglio esagerare. Se il loro insistere su certe posizioni è di certo un perseverare, il mio potrebbe apparire un infierire”, si schermisce Parisi.

Ma che senso ha oggi quest’associazione? “Credo che il ruolo storico dell’Anpi sia ormai esaurito. Lo dice l’atto costitutivo dell’Anpi stessa”. Cioè? “La lettera A dell’articolo 1 recita: l’associazione ha lo scopo di riunire tutti coloro che hanno partecipato con azione diretta alla guerra partigiana contro i nazifascisti, contribuendo a ridare al nostro paese la libertà e la democrazia”. Una compagnia di combattenti per la libertà, insomma, e non un gruppo di pacifisti per la resa.

Per questo, dice  l’ex ministro, Pagliarulo e soci “dovrebbero togliere il loro cappello dalla Resistenza. Ripeto – insiste – l’Anpi dovrebbe trasformarsi in un’associazione fra le tante. Non più ‘la’ associazione che per eccellenza rappresenta la Resistenza perché su quello ha esaurito la sua ragione sociale. Semplicemente per compimento. Così eviteremmo delle polemiche inutili”.

L’ex ministro della Difesa è convinto della bontà della sua tesi  non solo perché la maggior parte di coloro che riempirono davvero le file delle bande partigiane oggi non c’è più. “La Resistenza è ormai patrimonio di tutti, grazie appunto al sacrificio di quanti nell’ultima guerra scelsero di combattere in armi al fianco delle forze alleate contro l’invasore per un’Italia libera e democratica”. Combattere per la libertà, certo, un concetto che oggi sembra non andare più a genio all’Anpi senza partigiani, all’Anpi di Pagliarulo. Eppure basterebbe ascoltare Bella ciao, giusto?

“E’ tutto lì – dice l’ex ministro –, nel canto che unisce i resistenti che in tutti i paesi del mondo mettendo a repentaglio la propria vita si battono contro ogni invasione in nome della libertà, purtroppo l’Anpi l’ha dismessa e adesso, giustamente, la cantano gli ucraini”.

Ma perché allora, nonostante posizioni discutibili e un ruolo storico esaurito, l’Anpi continua a rivendicare un presunto monopolio sulla Resistenza? E qui Parisi se la prende anche con chi la utilizza come arma politica, marchio di garanzia dell’antifascismo … leggi tutto

Intervista a Sabino Cassese: “L’articolo 11 va letto tutto, l’Italia non può astenersi” (ilriformista.it)

di Umberto De Giovannangeli

La guerra in Ucraina, il rapporto tra Europa 
e Nato. 

Temi scottanti, come per altro quello sollevato dal movimento pacifista sulla congruità o meno rispetto al nostro ordinamento costituzionale, della decisione del Governo, sostenuta da un voto parlamentare, di inviare armamenti all’Ucraina. Il Riformista ne discute con un’autorità assoluta in materia: il professor Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale e professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché professore di “Global governance” al “Master of Public Affairs” dell’”Institut d’Etudes Politiques” di Parigi.

A due mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, è ancora “integra” l’alleanza Stati Uniti-Europa o si sono manifestate incrinature che rischiano di aggravarsi col prolungamento della guerra?

L’aggressione russa all’Ucraina ha avuto l’effetto di produrre la maggiore unità nel mondo occidentale. D’altra parte, chi abbia letto il discorso fatto dal presidente della Federazione russa all’Onu nel 2015, quando si festeggiavano i settant’anni delle Nazioni unite, sa che il progetto russo è quello di fermare l’espansione della rivoluzione democratica. Quindi, il mondo democratico non poteva che essere unito nell’opporsi ai disegni dell’autocrate russo.

Anche all’interno dell’Europa quell’unità d’intenti che aveva segnato l’inizio delle ostilità appare ora meno solida. Soprattutto su una questione cruciale come è quella “energetica”. L’Italia guarda alla sponda sud del Mediterraneo, Algeria ed Egitto, ma gli accordi raggiunti possono soddisfare solo il 30% del nostro fabbisogno di gas. A garantire il resto ci penserebbe l’America, a un prezzo quattro volte superiore al gas russo. Non c’è da riflettere?

Quello che mi pare interessante nella questione energetica è il progressivo allineamento dei Paesi europei, nonostante la diversità degli interessi nazionali, che sono divergenti, a causa del maggiore o minore ricorso fatto dai singoli Paesi alle risorse energetiche provenienti dalla Russia.

All’escalation militare si è accompagnata, specie nelle ultime settimane, quella “verbale”. Con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, come protagonista assoluto. Ma se la pace si fa col nemico, bollare il suo omologo russo come “macellaio” e mandante di genocidio, che senso ha?

La politica non si giudica sulla base delle parole pronunciate, ma sulla base delle azioni intraprese e svolte. Il presidente degli Stati Uniti non ha mai consultato tanto frequentemente i leader europei come in questo periodo.

Professor Cassese, se il dibattito tra idee, visioni, diverse è il sale di una democrazia, l’affermarsi, almeno mediaticamente, di un pensiero unico “interventista” non le pare un brutto segnale?

Il dibattito arricchisce la democrazia, ma questo non vuol dire che ci si debba dividere programmaticamente: la diversità delle opinioni non può essere imposta, per così dire, dall’esterno … leggi tutto