“L’Europa sarà democratica o non sarà affatto” (voxeurop.eu)

di Gian-Paolo Accardo

In occasione del 70esimo anniversario della 
Dichiarazione Schuman (9 maggio), l’atto 
fondatore della costruzione dell’Unione europea, 
abbiamo intervistato il presidente dell’omonima 
fondazione a proposito dello stato di questo 
processo e delle sue prospettive. 

Settanta anni fa, Robert Schuman pronunciava la sua celebre “Dichiarazione”, in seguito considerata l’atto fondatore del processo di integrazione europea. Quali sono oggi le conquiste e i fallimenti, e cosa resta da fare rispetto alle intenzioni originarie?

J-D Giuliani: I risultati ottenuti finora dagli europei superano le speranze più rosee dei Padri fondatori. Lo scopo era quello di ristabilire in modo durevole la pace: nessuno, oggi, si immagina che uno stato membro dell’Unione possa pensare di ricorrere alla violenza per risolvere un conflitto con i suoi vicini. Si trattava di ricostruire l’Europa in rovina: nessuno, all’epoca, avrebbe creduto che si sarebbe rialzata e che sarebbe tornata tra le prime potenze in termini di ricchezza e prosperità.

Si tratta dunque di un immenso successo, ma, allo stesso tempo, è un progetto a cui bisogna lavorare costantemente. Alle soglie dell’Unione politica, gli stati membri esitano a fare il salto, e soprattutto a rivendicarlo pubblicamente. E l’integrazione prosegue spinta della necessità, non da un movimento politico trasparente ed entusiasta … leggi tutto

L’attualità di Camus, uomo libero in lotta contro i totalitarismi del ‘900 (stradeonline.it)

di Massimiliano Di Pasquale

“Quasi tutta la vita e l'opera di 
Albert Camus sono state un tentativo 
di opporsi al male del mondo, incarnato 
prima nei totalitarismi nazifascisti 
e poi nello stalinismo. 

Camus uomo libero, sostanzialmente anarchico, uscito dal partito comunista algerino già in gioventù, non poteva chiudere gli occhi di fronte allo scandalo dello stalinismo e del gulag. La Peste è una metafora di tutte le forme di male che popolano il mondo, ma soprattutto del nazifascismo, che si era diffuso in Europa in modo subdolo e inavvertito”.

Così risponde Giovanni Catelli, scrittore e poeta cremonese, autore di Camus deve morire – libro di qualche anno fa che ancora oggi fa discutere – alla prima domanda di una conversazione che si rivelerà lunga e densa di spunti di riflessione.
Bloccati in casa per la pandemia da Covid-19, iniziamo la nostra intervista telefonica proprio parlando dell’eredità de La Peste, uno dei libri più noti dell’intellettuale francese.

Nelle ultime settimane in molti hanno sottolineato la straordinaria attualità di questo romanzo uscito nel 1948. L’Italia, una delle nazioni maggiormente colpite dal coronavirus, sta infatti sperimentando, analogamente a Orano, città dell’Algeria nordoccidentale in cui si svolgono le vicende raccontate nel libro, un mix contraddittorio di passioni ed emozioni che oscillano tra i poli opposti della solidarietà e della disgregazione sociale … leggi tutto

Storia semiseria della cartografia esattissima delle epidemie, Anno Domini 1690-2020 (repubblica.it)

di Filippo Celata

Le epidemie hanno segnato anche la storia 
della cartografia, e viceversa: le carte ci 
raccontano come sono state pensate e quindi 
affrontate le epidemie. 

Ci dicono cosa cambia e cosa, ahimè, non cambierà mai. Il primo esempio si deve a Filippo de Arrieta (1): peste, Bari, fine del ‘600.

La carta mostra “li luoghi sospetti” – dove l’epidemia è ancora in corso (intorno Monopoli) o dove è passata (intorno a Bari) – isolati da un “cordone sanitario” di 350 caserme militari e per mare da “Filuche di guardia”. Un altro cordone protegge le province contigue.
Oggi siamo molto più gentili: basta qualche milione di posti di blocco. L’area del contagio è il mondo intero. I confini, di conseguenza, sono ovunque. A breve li installeremo nei nostri smartphone e saremo finalmente liberi (perché tracciati in tempo reale su una mappa). All’epoca i focolai erano quasi sempre nei porti. Si pensava allora che i veicoli fossero più che i marinai proprio le navi. La soluzione è vecchia di 700 anni: la quarantena (2) … leggi tutto

Storia del dottor Wu e dell’epidemia del 1911 in Manciuria (minimaetmoralia.it)

di Simone Pieranni

Con quale animo il dottor Wu uscì dalla stazione 
ferroviaria e prese a respirare l’aria gelida di 
un fine dicembre 1910 ad Harbin, non lo sapremo mai.

Possiamo supporre, però, che non avesse un’espressione serena in volto, come ormai accadeva da tempo, dal 1908 per essere precisi.
I fatti, anche a ripensarci anni dopo, erano talmente evidenti che continuare a ripeterseli e scorgere ogni volta la sua limpida innocenza era del tutto inutile, eppure doveva farlo.

Lo faceva da anni, del resto, da quando era arrivato in Cina, dopo un breve passato da stimato medico specializzato nelle malattie dei minatori in Malesia, dove era nato. In particolare aveva studiato a fondo il beriberi, una malattia «sconosciuta» a molti occidentali fino a poco tempo prima e considerata invece «malattia nazionale» in Giappone.

Il dottor Wu aveva finito per empatizzare a tal punto con le disgrazie di quei poveracci seppelliti nelle miniere da andare ben oltre il suo interesse scientifico. La scoperta dell’uso di oppio da parte dei lavoratori lo aveva incoraggiato a organizzare conferenze e a dare vita ad associazioni contro l’importazione della sostanza, vera e propria arma dei «conquistatori occidentali» …  leggi tutto

Digital è public? L’esempio di alcune banche dati a contenuto storico (novecento.org)

di

Introduzione 

Una citazione attribuita al noto esponente della confessione evangelica Billy Sunday (oltre che allo psicologo canadese Peter J. Laurence) recita pressappoco così: «Andare in chiesa non fa di nessuno un Cristiano, più di quanto andare in garage non faccia di lui un’automobile»[1]. Qualcosa di simile vale per il web: pur non essendo né un luogo di culto né un parcheggio, esso rappresenta uno spazio (benché virtuale e non fisico) nel quale non conta semplicemente che alcuni oggetti vi stazionino e vi si muovano, ma come lo facciano e in che modo si approccino al pubblico.

In quest’ottica le banche dati sono forse lo strumento più complesso e interessante da esaminare. Nate come utili sistemi di archiviazione e catalogazione, si sono evolute prima in formidabili mezzi di conservazione dei patrimoni e di supporti alla ricerca e poi in prodotti digitali assolutamente complessi, in grado di aggiungere gli aspetti più moderni della comunicazione storica[2] alle loro caratteristiche originarie di sistemi prettamente archivistici e catalogativi.

Ciò nonostante si può dire siano tutte catalogabili come strumenti di public history? O invece è opportuno distinguere quali lo siano, quali potrebbero esserlo e quali invece non ne abbiano assolutamente le caratteristiche? … leggi tutto