Personalizza le preferenze di consenso

Utilizziamo i cookie per aiutarti a navigare in maniera efficiente e a svolgere determinate funzioni. Troverai informazioni dettagliate su tutti i cookie sotto ogni categoria di consensi sottostanti. I cookie categorizzatati come “Necessari” vengono memorizzati sul tuo browser in quanto essenziali per consentire le funzionalità di base del sito.... 

Sempre attivi

I cookie necessari sono fondamentali per le funzioni di base del sito Web e il sito Web non funzionerà nel modo previsto senza di essi. Questi cookie non memorizzano dati identificativi personali.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie funzionali aiutano a svolgere determinate funzionalità come la condivisione del contenuto del sito Web su piattaforme di social media, la raccolta di feedback e altre funzionalità di terze parti.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie analitici vengono utilizzati per comprendere come i visitatori interagiscono con il sito Web. Questi cookie aiutano a fornire informazioni sulle metriche di numero di visitatori, frequenza di rimbalzo, fonte di traffico, ecc.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie per le prestazioni vengono utilizzati per comprendere e analizzare gli indici di prestazione chiave del sito Web che aiutano a fornire ai visitatori un'esperienza utente migliore.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie pubblicitari vengono utilizzati per fornire ai visitatori annunci pubblicitari personalizzati in base alle pagine visitate in precedenza e per analizzare l'efficacia della campagna pubblicitaria.

Nessun cookie da visualizzare.

(L)ANPI DI VERGOGNA #6 – Sì, Pagliarulo dell’Anpi è in malafede (today.it)

di Marco Riccardo Ferrari

Gianfranco Pagliarulo, presidente di Associazione 
Nazionale Partigiani d'Italia (Anpi), continua 
a non farcela. 

Nel corso della conferenza stampa di presentazione delle iniziative per il 25 aprile ha dichiarato: «Anche in Ucraina ci sono vuoti democratici. Zelensky ha sciolto una decina di partiti di opposizione recentemente. Ci sono state tante violenze in passato a cominciare dalla terribile guerra del Donbass, cominciata dopo Maidan e dopo l’indipendenza della Crimea. Andiamo oltre i buoni e cattivi e vediamo come stanno davvero le cose».

«Ho visto video, la cui veridicità pare essere confermata, in cui soldati ucraini sparano alle gambe di soldati russi. Anche lì c’è bisogno di chiarimenti. Bisogna stare attenti a verificare le fonti di tutte le informazioni. Anche Zelensky fa la sua propaganda».

E allora penso che a questo punto sia davvero in malafede. Dopo le proteste per i comunicati e le dichiarazioni sull’invasione dell’Ucraina, che i più benevoli hanno definito “errori di comunicazioni”, Pagliarulo continua a mistificare la realtà e a dire cose false.

1) Non è vero che in Ucraina una decina di partiti di opposizione siano “stati sciolti”, bensì sono stati sospesi fino al termine dello stato di emergenza, cioè della guerra. E’ più che comprensibile dato che sono i partiti filo-russi, e nel caso Pagliarulo non se fosse accorto l’Ucraina è stata invasa dalla Russia, non dal Burkina Faso. Ciononostante, i rappresentanti del maggior partito sospeso, il “Blocco di Opposizione”, come il sindaco di Odessa Gennady Trukhanov, si sono espressi duramente contro la Russia e ora sono a fianco del presidente nel difendere l’Ucraina.

2) Pagliarulo ci fa sapere che ha visto un video e scoperto che crimini di guerra vengono commessi (forse) anche da soldati ucraini. Wow. Però forse dovrebbe leggere il primo rapporto della Missione Osce pubblicato il 13 aprile che rileva che le forze russe di occupazione hanno commesso in Ucraina crimini di guerra tale che è “inconcepibile che così tanti civili siano stati uccisi e feriti e così tanti obiettivi civili, tra cui case, ospedali, beni culturali, scuole, edifici residenziali a più piani, edifici amministrativi, istituti penitenziari, stazioni di polizia, acquedotti e sistemi elettrici siano stati colpiti”, e violazioni di diritti umani così estese, e che includono “uccisioni mirate, sparizioni forzate o rapimenti di civili, inclusi giornalisti e funzionari locali”, da configurarsi come crimini contro l’umanità.

3) Pagliarulo parla di “indipendenza della Crimea” (sic). Forse dovrebbe informarsi su cosa avviene nella Crimea occupata dal 2014, leggendo il rapporto dell’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani che parla di rapimenti, sparizioni di attivisti, giornalisti, politici e di violazioni dei diritti umani fondamentali anche nei confronti della storica etnia dei Tatari, già oggetto di genocidio da parte di Stalin.

Infine, dato che Pagliarulo non vuole bandiere Nato il 25 aprile, ecco la foto che ritrae i partigiani (quelli veri) della Garibaldi con la bandiera degli Stati Uniti d’America, per ricordargli che per fortuna l’Italia è stata liberata da delle democrazie (USA, Regno Unito, Francia) e non da una dittatura come l’URSS di Stalin, anche se credo che lui, cossuttiano d’antan, avrebbe forse preferito il contrario.

(L)ANPI DI VERGOGNA #7 – 25 Aprile, Brigata Ebraica: comportamento corretto bandiere nato come riconoscimento a sostegno Ucraina

“Ritenevamo corretto portare le bandiere della 
Nato al corteo del 25 aprile, a Milano, 

per riconoscere il gesto e il comportamento commovente della Nato di mandare armi agli ucraini per permettere loro di difendersi dall’invasione russa”.

Così Davide Romano, direttore del Museo della Brigata ebraica di Milano, spiega a Mianews la volontà manifestata nei giorni scorsi di portare anche le bandiere della Nato alla manifestazione per la Liberazione e dopo che il presidente di Anpi nazionale ha definito oggi “inappropriata” la presenza di bandiere dell’Alleanza Atlantica.

“La nostra proposta era di sfilare con le bandiere della Nato e soprattutto dell’Ucraina. Visto che il presidente dell’Anpi Milano, Roberto Cenati, ci ha chiesto di non portare le bandiere della Nato per evitare motivi di tensione, abbiamo accettato di rinunciare”, ha proseguito.

“Riteniamo che quello che sta succedendo da 50 giorni, ovvero un atto di aggressione da parte di Putin che sta distruggendo e stuprando l’Ucraina, sia un crimine di guerra. Di fronte a questo non dobbiamo voltarci dall’altra parte, ma è opportuno intervenire”, ha precisato Romano.

Nel difendere la propria idea dalle polemiche degli scorsi giorni, Romano ha aggiunto che “a chi come il presidente dell’Anpi nazionale Pagliarulo dice che bisogna trattare e non intervenire, mi dispiace ma quello equivale a voltarsi dall’altra parte. Noi non lo accettiamo”.

(L)ANPI DI VERGOGNA #2 – L’Anpi verso il 25 aprile: “Sulla guerra mai stati equidistanti. Resistenza ucraina diversa da quella italiana” (repubblica.it)

di Giovanna Casadio

Le parole del presidente dell'associazione 
nazionale partigiani Pagliarulo durante la 
presentazione delle iniziative per la festa 
della Liberazione: 

“Alle manifestazioni inopportune bandiere della Nato. Il riarmo porterà alla catastrofe”

Non solo putiniani. L’Anpi si sente presa di mira. È Gianfranco Pagliarulo, il presidente dei partigiani, a rimettere in fila le accuse e ad annunciare querele, prima di parlare delle iniziative per la Festa della Liberazione. Questo 25 aprile – dice – sarà un appuntamento di “memoria di Liberazione e di impegno per la pace”.

Ma – dopo tanti attacchi “di violenza inaudita” per il no alle armi a Kiev e persino per il manifesto con le bandiere italiane messe al contrario e simili perciò a quelle dell’Ungheria di Orbàn – Pagliarulo precisa: “Non siamo mai stati equidistanti nella tragedia di questa guerra, siamo dalla parte degli aggrediti contro gli aggressori”.

Sgombrato il campo dall’equidistanza, resta però la contrarietà alle scelte del governo italiano e della Ue: “Assistiamo a un riarmo generalizzato come avvenne prima della Seconda guerra mondiale. Tutto ciò inasprisce le tensioni. Si sta creando una reazione a catena apocalittica che potrebbe portare a una catastrofe”, afferma.

“È giusto definire la lotta degli ucraini come una lotta di resistenza. Ma secondo noi è sbagliato identificare la Resistenza italiana con quella ucraina”. Poi c’è Bucha, sul cui massacro “penso con quasi certezza che siano stati i russi, ciò non toglie che è ragionevole pretendere una commissione d’inchiesta indipendente, come sta iniziando a fare il tribunale dell’Aia”.

La denuncia dell’Anpi è anche per l’ampliamento della Nato con l’ingresso di Finlandia e Svezia e la risposta annunciata da Putin. Tanto che alla manifestazione del 25 aprile, le bandiere della Nato non sembrano gradite. “In quanto bandiere di una organizzazione militare sono inappropriate in questa circostanza in cui bisogna parlare di pace”, scandisce Pagliarulo. Salvo precisare successivamente che nessuno sarà escluso: “Non facciamo l’esame del sangue. Tutti gli antifascisti sono liberi di venire. E faremo il possibile e l’impossibile perché chi decidesse di portare le bandiere della Nato possa farlo in tranquillità, senza incidenti e tensioni”.

In realtà l’idea di portare al corteo milanese le bandiere della Nato era di Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica di Milano, anche se – dopo una mediazione – sarebbe passata la decisione di sfilare solo con le bandiere ucraine. Nonostante questo la presidente della comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello ha replicato duramente: “È curioso – ha spiegato – che nella stessa conferenza stampa si sia detto no alle bandiere Nato e sì a quelle palestinesi. Vuol dire che esiste un tema non solo d’incoerenza, ma anche di strumentalità politica.

Se Pagliarulo vuole mandare un segnale dica no a quelle bandiere e faccia porre delle scuse al presidente dell’Anpi Roma che in una manifestazione chiese la liberazione dei terroristi palestinesi che avevano ucciso civili israeliani”. L’Anpi ha chiesto un incontro a Dureghello, mentre anche da parte di Romano sono partite le critiche. “Caro Pagliarulo, non armare Kiev significa fare il gioco di Putin, come chi davanti a uno stupro per strada si volta dall’altra parte”.

Il direttore del museo della Brigata ebraica dice di aver ascoltato “con sgomento” la conferenza stampa del presidente Anpi “e con dolore devo definire le sue parole ipocrite: non può dire di essere contro l’invasione di Putin e nel contempo criticare il riarmo ucraino – ha aggiunto – Non armare Kiev significa permettere questo immondo stupro di un intero Paese”.

Letizia Battaglia: la colomba e la bellezza (doppiozero.com)

di Silvia Mazzucchelli

La mia prima reazione, alla notizia della morte 
di Letizia Battaglia, è stata il ravvivarsi di 
un ricordo, l’immagine di una sua fotografia. 

La scattò a Trapani nella domenica di Pasqua del 1989. Una colomba vola verso due ragazzini, che la guardano mentre si avvicina ai loro volti. Un uomo, di schiena, si allontana ignaro, ma i ragazzini vengono catturati da questa magia. Sono immobili, increduli, uno sembra persino avere la bocca aperta. La colomba è sospesa al centro del fotogramma.

È una di quelle foto che si scattano quando quello che si vede è già dentro lo sguardo, quando l’istante perfetto è solo la fine del processo, perché ciò che ha generato l’immagine è nella vita vissuta, nel modo di guardare il mondo, nelle speranze, nei desideri. Quando la intervistai, nel 2016, mi raccontò che la colomba era la bellezza di quello che può accadere.

Mi disse: “Come è possibile che il bimbo e la colombina si guardassero? La colombina significa che la vita è veramente bella. Non so se è candore. Non credo. La colombina per me è simbolo di vita, è l’animale che vola. È questo: che la vita è bella ed è anche molto faticosa”.

La colomba è il suo sguardo. Oggi che non c’è più, è come se questo delicato uccello bianco volasse sulle sue immagini, ne cucisse la trama di sangue, la colorasse di bianco. Ho sempre creduto che la sua fotocamera non fosse un’arma, come spesso la descrive la retorica del fotoreporter: velocità, destrezza, lucidità, un cacciatore che deve catturare la preda.

E poi deve ucciderla. No. Letizia Battaglia usava la sua fotocamera come un conforto. Un velo che si opponeva, anche se vano, alla morte, al buio, alla violenza, un antidoto al dolore. Persino quando questo dolore prendeva il sopravvento, quando non si era sentita abbastanza forte da esporre la foto di un bambino riverso in una pozzanghera di sangue, ucciso da due killer che aveva visto in volto.

La potenza del suo bianco e nero rende distintamene il rosso del sangue e il bianco dello sguardo, colori che mi hanno ricordato sempre quelli della passione, quella via Via Crucis che lei aveva percorso tante volte nella sua città.

In particolare rammento la foto che aveva intitolato “I due Cristi”. Un uomo giaceva a terra, con il corpo supino, il volto contro il suolo e accanto una immensa chiazza di sangue. La schiena era scoperta, qualcuno probabilmente aveva alzato la maglia sino all’altezza del collo. Un enorme tatuaggio occupava tutta parte sinistra della schiena: il volto di Cristo incoronato di spine. Non servono molte parole descrivere ciò che accade in quella foto.

Come per la colomba che vola verso i bambini, con il suo alito di speranza, il volto di Cristo diventa quello dell’uomo ucciso e abbandonato a terra che ne riscatta la morte.  Il 5 settembre 1979 il giudice Cesare Terranova viene ucciso nella sua macchina. Letizia Battaglia è vicinissima al suo cadavere. Il fotogramma mostra il buco del finestrino frantumato dai colpi. Il capo del giudice è leggermente reclinato, rivolto verso il basso come stesse dormendo, gli abiti sono sporchi di sangue.

Lo sguardo della fotografa si posa su quel corpo come volesse avvolgerlo e sfiorarlo per l’ultima volta. Il corpo di Terranova sembra fragile e indifeso come quello di un bambino … leggi tutto

(Letizia Battaglia)

Davanti all’orrore, anche la normale ipocrisia delle nostre discussioni è divenuta impossibile (linkiesta.it)

di

I cavillosi complici di Putin

C’è un abisso che separa il dibattito pubblico su quanto sta accadendo in Ucraina da tutte le discussioni precedenti, anche le più grottesche. Una differenza che avrà conseguenze personali e politiche per ciascuno di noi

Il dibattito pubblico in Italia assomiglia da molti anni a una partita truccata tra ubriachi. Siamo sinceri, non è una novità: non è colpa della guerra e nemmeno dei social network. E ovviamente ci sono luminose eccezioni. Buona parte delle discussioni che si possono seguire in televisione o sui giornali, tuttavia, è riassumibile nella formula: un truffatore che dà dell’imbroglione a un baro.

Un conto però è quando l’oggetto della contesa, faccio un esempio a caso, è la legge elettorale, e l’imbroglio si riduce al solito gioco delle tre carte con cui di volta in volta il favorito nei sondaggi si batte in difesa del maggioritario, salvo poi invocare il proporzionale nel momento in cui gli equilibri si rovesciano (spesso anche a causa della legge elettorale da lui difesa al giro precedente, perché i nostri bari hanno almeno questo di rassicurante: che non sanno neanche barare).

Altro discorso è quando l’oggetto della contesa riguarda l’invasione di un Paese libero e democratico – quando cioè il dibattito si svolge mentre sono in corso stermini, torture, stupri di massa – e il baro di cui sopra va in tv ad accusare chi vorrebbe fermare tutto questo di non volere la pace e mettere a rischio il dialogo con i torturatori.

C’è un salto di qualità, ma soprattutto c’è un abisso morale che separa le discussioni sulla guerra in Ucraina da tutte le precedenti, per quanto grottesche potessero essere pure quelle. È questo salto che rende difficile, almeno per me, ma forse non soltanto per me, continuare a osservare e commentare un tale spettacolo.

È un salto che costringe ciascuno di noi a fare i conti con la propria coscienza, con le proprie idee passate e presenti, con i propri punti di riferimento politici e intellettuali, con i propri amici, conoscenti, follower.

Ammesso che sia sensato indicare una data, io non so quando si possa dire che si è diventati di destra o di sinistra, nazionalisti, pacifisti, conservatori o progressisti – se a dieci anni, a quindici o a ventidue – ma penso che non bisognerebbe mai dimenticare, per dir così, la direzione del nesso causale.

Se a un certo punto della vostra vita avete pensato che eravate di sinistra, per esempio, posso immaginare che a muovervi sia stato un certo desiderio di giustizia, o un sentimento di indignazione per le ingiustizie subite, da voi stessi o da altri: classi sociali, minoranze religiose, popoli oppressi.

Ma quali che siano state da allora in poi le vostre letture, studi, relazioni e scelte di vita, la direzione del nesso causale non dovrebbe essere cambiata: avrete eventualmente cominciato a leggere Marx perché volevate combattere quelle ingiustizie, non viceversa.

Dubito che dall’Ottocento a oggi ci sia stata una sola persona che, dopo essere giunta all’ultima pagina del Capitale, ne abbia tratto la conclusione che era ingiusto far lavorare i bambini in fabbrica. Mi sembra più verosimile l’inverso … leggi tutto

(@jiangxulei1990)