Rileggere “Diario dell’anno della peste” al tempo del coronavirus (thevision.com)

di Giovanni Bitetto

José Saramago, Albert Camus, Alessandro Manzoni: 
alcuni autori hanno posto al centro delle proprie 
opere più famose il tema dell’epidemia, costruendo 
dei capolavori e riflettendo su come si pone l’uomo 
di fronte alla minaccia del contagio

Nessuno di questi autori, però, pur raggiungendo risultati letterari altissimi, ha vissuto la piaga del contagio sulla propria pelle. Daniel Defoe, il padre del romanzo moderno, al contrario, aveva cinque anni quando la peste del 1665 colpì Londra, un trauma che racconterà nel Diario dell’anno della peste.

Nel Seicento la peste imperversò a più riprese sul territorio europeo. Nel 1624 colpì duramente Palermo, nel 1628 fu la volta di Lione, mentre nel 1630 ci ricordiamo del morbo lombardo raccontato da Manzoni, secondo gli storici la peste napoletana del 1656 uccise metà della popolazione cittadina.

La cosiddetta Great Plague colpì l’Inghilterra dalla primavera del 1665 fino al settembre del 1666, quando un’altra tragedia – il grande incendio di Londra – distrusse metà della città … leggi tutto

Benjamin, dialettica napoletana (ilmanifesto.it)

di

Tra la città di Napoli e il pensiero 
filosofico del Novecento sembra esservi 
una qualche segreta affinità: 

pare che fu quando Sraffa gli chiese quale fosse la logica del gesto napoletano «me ne frego», che Wittgenstein comprese che l’analisi logica delle proposizioni era insufficiente a chiarire il modo di funzionamento del linguaggio umano. La limpidezza deduttiva del Tractatus era stata messa in crisi da quella fusione di gesto, senso ed espressione che caratterizza l’uso mediterraneo del linguaggio.

Questa capacità partenopea di «compenetrare» alto e basso doveva segnare un’intera generazione di filosofi: Theodor Adorno, Siegfried Kracauer, Alfred Sohn-Rethel, ma soprattutto Asja Lacis e Walter Benjamin che si incontrarono nella Napoli degli anni ’20 per ritornarne trasformati.

Per questi giovani borghesi, abituati al rigore degli inverni brandeburghesi e al nitore affilato della fredda luce del nord, l’impatto con la realtà partenopea sarebbe stato dirompente. Adorno e Kracauer resteranno affascinati dai polpi venduti vivi al mercato, vedendo balenare in questa compenetrazione immediata di vita selvaggia e di merce l’allegoria più vivida del feticismo marxiano, che descrive la trasfigurazione del lavoro vivo in oggetto di scambio … leggi tutto

“Serve uno scatto come nel dopoguerra” (repubblica.it)

intervista con Giuseppe De Rita di Concetto Vecchio

“In questi giorni mi capita spesso di pensare alla guerra. Avevo 13 anni e certe notti per la fame non riuscivo a dormire. Guardavo il soffitto e non mi addormentavo. Poi il conflitto finì ed io sentivo di essere già un uomo. Capivo che avrei dovuto fare uno sforzo immane per uscire da quella notte. E come me lo sapevano anche gli italiani. Tutto attorno a noi era in macerie, però ce l’abbiamo fatta, siamo diventati la quinta potenza del mondo”.

Professor De Rita, come faremo ad uscire da questa notte? […] Bisogna rimboccarsi le maniche?
“Sì. Nel 1945 eravamo straccioni e lo Stato non poteva aiutare nessuno, al massimo qualche pensione di guerra e un po’ di edilizia, eppure tutti si misero a faticare senza risparmiarsi”.

Non è così stavolta? Nessuno vorrebbe dover stare a casa
“Noto questo: si tende a delegare tutto allo Stato, anche la beneficienza. Mi ha colpito che le grandi imprese abbiano donato in buona parte alla Protezione civile. Abbiamo statalizzato la pandemia”.

In una pandemia non deve pensarci lo Stato?
“Ma lo Stato non potrà farsi carico di 60 milioni di italiani” … leggi tutto

Leica (audio)

 Il viaggio di Wikiradio ci porta nel meraviglioso mondo della Leica; 

Il 9 ottobre 1920 la compagnia tedesca di Ernst Leitz registra il primo brevetto della macchina “lillipuziana” che diventerà famosa in tutto il mondo.

Il podcast

L’Armenia in preda al coronavirus ricorda il genocidio del suo popolo (euronews.com)

Il genocidio degli armeni da parte degli ottamani 
fra il 1915 e il 1923 è stato commemorato secondo 
un protocollo imposto dalla pandemia a Yerevan. 

Presenti il premier Nikol Pashinyan e consorte in una cerimonia riservatissima presso il momoriale del genocidio, nella capitale armena.

Una ferita antica non sanata

“Il riconoscimento sincero della verità e del passato sono requisiti essenziali per sostenere la giustizia, la dignità umana, combattere l’impunità e stringere la solidarietà internazionale – ha dichiarato il ministro degli esteri armeno Zohrab Mnatsakanyan,- Ancor oggi ci inchiniamo davanti alla memoria dei santi e dei martiri del genocidio armeno riaffermando il nostro impegno per la promozione della giustizia storica e la prevenzione di nuovi genocidi” … leggi tutto

Addio a Richard Wadani: disertò l’esercito nazista per unirsi agli Alleati (ildubbio.news)

L’ex soldato austriaco morto all’età di 97 
anni si è battuto a lungo per riabilitare 
le vittime della persecuzione della giustizia 
militare della Wehrmacht

Ex soldato austriaco, tra i più famosi disertori dell’esercito nazista: con Richard Wadani, morto all’età di 97 anni, se ne va un pezzo di storia buia del novecento. «Abbiamo perso un grande austriaco», commenta il presidente Alexander Van der Bellen, ricordandone «il valore, il coraggio morale e il senso di giustizia».

Testimone degli orrori della Seconda Guerra Mondiale, della sua vita lunga quasi un secolo resta lo sforzo di riabilitare quanti come lui cercarono di opporsi alla follia del Terzo Reich. Quando nel 1938 si compie L’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania, Wadani fa parte delle migliaia di uomini costretti a servire l’esercito tedesco.

È ancora giovanissimo, nato a Praga nel 1922, ha raggiunto in quello stesso anno Vienna, città natale della madre. «Mi supportò quando le dissi che volevo disertare. Mi diede un fazzoletto bianco per proteggermi quando mi sarei arreso. L’ho portato con me per anni», racconta Wadani in un’intervista alla BBC.

La resa arriva nel 1944, nel nord della Francia: il giovane soldato attraversa il filo spinato e si consegna agli Alleati, subito dopo comincia a combattere con un’unità cecoslovacca organizzata dagli inglesi … leggi tutto

Il 25 aprile di nonna Angelina, staffetta partigiana (articolo21.org)

di Damiano Tormen

«C’erano le camionette dei tedeschi in fuga. 
Le ho viste da distante, ferma sul Col di 
Sanfor mentre scendevo a Belluno da Castion. 
In quel momento ho capito che era finita per 
davvero e potevamo tornare a vivere».

Per anni il mio 25 aprile è cominciato con queste parole, di primo mattino. La condivisione di ben altra liberazione. Quella vera. Quella del 1945. Parole pronunciate senza riuscire a mascherare del tutto l’emozione. Del resto, anche a distanza di oltre settant’anni il ricordo è ancora vivo. Come il fuoco che cova sotto la cenere.

Angelina Dal Pont, staffetta partigiana. Nome di battaglia Novella. Perché a dirla tutta, era davvero una novellina: piccola di statura, 22 anni da compiere nell’aprile del ’45. Ma con quel coraggio che ti infonde solo la guerra, la lotta contro la dittatura fascista e contro un invasore straniero «bastardo». Così lo ha sempre chiamato Angelina.

E «bastardo» lo era per davvero, per lei. Perché le aveva quasi strappato un fratello, anche lui partigiano, salvatosi miracolosamente dall’eccidio del Ponte di San Felice (alle porte di Sedico, dove in un agguato furono ammazzati 11 ragazzi bellunesi). Perché a 20 anni devi dare un volto malvagio al tuo nemico. Per forza. Quantomeno per farti coraggio … leggi tutto