Si era sparsa la voce che la colpa fosse dei “macaroni”: di chi altri sennò?
Stanno tutti ammassati nelle loro topaie di Little Italy ( che all’epoca non si chiamava ancora così), in otto, dodici, anche venti persone per appartamento, sono sporchi, indisciplinati, non si vogliono integrare, dice la gente. Il focolaio, poi, pare fosse proprio lì, tra le viuzze del misero quartiere che ospitava le migliaia di immigrati italiani sbarcati in America a cercar fortuna.
Non ci vuole molto a diventare gli untori e il bersaglio della psicosi di massa. Come narrano le cronache si moltiplicano gli atti di razzismo, case marchiate con la vernice, insulti, aggressioni fisiche da parte di gruppi organizzati e qualche volta ci scappa pure il morto.
Estate 1916: un’epidemia di poliomielite si abbatte su New York come un flagello, nessuno sa da dove venga quella malattia che si sta portando via migliaia di bambini, nessuno sa come curarla, le uniche misure messe in campo dalle autorità sono la quarantena, la chiusura dei luoghi pubblici e l’uso di disinfettanti chimici nelle strade. Fino ad allora l’unica ondata di polio che aveva colpito l’America risaliva a una ventina d’anni prima, appena un centinaio di casi nel Vermont.
Vengono aperti reparti specializzati per isolare i malati ma non bastano, i medici possono solo tamponare gli effetti e sperare che i pazienti vincano da soli la battaglia contro il morbo. Se negli adulti la mortalità è molto bassa, per i bambini dagli uno ai dieci anni il decorso è quasi sempre fatale e chi riesce a salvarsi porterà per sempre i segni dell’infezione, il più delle volte una paralisi motoria.
Il panico si diffonde rapidamente in città, gli ospedali sono travolti, la rete sanitaria di New York, la più avanzata e all’avanguardia di tutti gli Stati Uniti, collassa in pochi giorni, molte persone muoiono di altre patologie, in particolare crisi respiratorie, perché non ci sono più posti letto … leggi tutto