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Il governo non ha annunciato l’arruolamento di 40 mila soldati (pagellapolitica.it)

La dichiarazione
Pagella Politica
Nicola Fratoianni «Il governo annuncia 40 mila soldati in più»
Fonte: Facebook 10 marzo 2025

Il 10 marzo il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ha criticato su Facebook il governo Meloni per aver annunciato «40 mila soldati in più». Secondo Fratoianni, i soldi per queste assunzioni andrebbero usati «per medici, insegnanti e case».

In realtà, l’annuncio di cui parla il segretario di Sinistra Italiana non c’è stato, al di là di quello che si pensi su un eventuale aumento delle forze armate.

Le indiscrezioni

Il 9 marzo – il giorno prima del post su Facebook di Fratoianni – la Repubblica e La Stampa hanno pubblicato l’indiscrezione secondo cui il governo sta lavorando a un piano per aumentare il numero di militari dell’esercito.

«Addestrare fra i 30 e i 40 mila militari in più. Aumentare di oltre un terzo la capacità difensiva italiana», si legge su La Stampa. «Non più riservisti, come si discuteva fino a qualche mese fa, ma effettivi “pronti” nel giro di qualche anno. Secondo quanto risulta a La Stampa è il modello a cui ha cominciato a lavorare lo Stato maggiore della Difesa su indicazione del ministro Guido Crosetto».

Lo Stato maggiore della Difesa è un organo che, tra le altre cose, ha il compito di pianificare e predisporre l’impiego delle forze armate italiane. Da ottobre 2024 è guidato dal generale Luciano Portolano.

«Alla Difesa da tempo sono al lavoro per un “Piano di sicurezza nazionale”, da sottoporre al voto del Parlamento», ha scritto la Repubblica. «Il nostro Stato maggiore, proprio su ordine di Crosetto, sta analizzando un modello che prevede l’aumento di 30-40mila militari. Ordinari, non riservisti. Scenario impegnativo, anche come tempi: sarebbero pronti in un lasso di tempo fino a otto anni».

Dunque, in base a quanto hanno scritto i due quotidiani, l’aumento delle forze armate italiane di 40 mila unità è un’ipotesi su cui sta lavorando il Ministero della Difesa.

Le smentite

In ogni caso, da parte del governo non c’è stato alcun annuncio ufficiale, anzi: lo stesso ministro della Difesa Guido Crosetto ha smentito l’indiscrezione pubblicata dai giornali.

«Ho appena letto un’agenzia che diceva: “Piano di Crosetto per 40 mila soldati in più”. Mi sono detto: si tratterà di omonimia. Poi però ho pensato che si trattasse invece dell’evoluzione giornalistica di una notizia di stamane che parlava di un fantomatico studio dello Stato maggiore della Difesa su diversi possibili scenari futuri e sulle capacità necessarie per affrontarli. Scenari di vario tipo, come un minor impegno americano per la NATO in Europa», ha scritto Crosetto su X nel pomeriggio del 9 marzo. «Facciamo finta che esista un presunto studio di diversi scenari possibili, fatto dall’organo tecnico della Difesa. Normale che nel giro di poche ore diventi il “Piano del ministro”? Da noi sì».

Secondo il ministro, questo non è «il modo giusto per affrontare temi così seri». «La consistenza delle forze armate è fissata da una legge. Non ho problemi a dire, come ho già detto più volte che quel modello ormai è inadeguato e va cambiato. Lo si farà in Parlamento. Ma, a mio avviso, all’interno di un provvedimento molto più ampio che un semplice aumento di organici, che affronti tutti i temi connessi alla difesa e sicurezza di una nazione», ha concluso Crosetto.

Anche il ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani ha chiarito che non c’è stato nessun annuncio del reclutamento di altri 40 mila soldati. «Faccio notare che quello citato è uno dei tanti studi a cui tutti gli Stati maggiori dei Paesi stanno lavorando in questi giorni. Si fanno varie ipotesi, che poi andranno incrociate con le valutazioni politiche, con le disponibilità finanziarie. Vedremo quali saranno le proposte», ha dichiarato Tajani il 10 marzo, in un’intervista al Corriere della Sera.

Il verdetto

«Il governo annuncia 40 mila soldati in più», ha scritto Nicola Fratoianni su Facebook. L’annuncio di cui parla il segretario di Sinistra Italiana, però, non c’è stato.

La Stampa la Repubblica hanno pubblicato l’indiscrezione secondo cui il Ministero della Difesa sta lavorando a un piano per arruolare 40 mila soldati. Di ufficiale non c’è ancora nulla, e il ministro della Difesa Crosetto e il ministro degli Esteri Tajani hanno smentito l’indiscrezione.

La storia dell’uomo che ha scatenato la guerra nel Donbass (Associazione Culturale Ucraina Libera)

di Massimo Antracyt 

Igor Girkin, detto “Strelkov”, è una delle figure 
più emblematiche della guerra in Donbass.

Si parla di Donetsk come una città filorussa, di una regione che voleva l’indipendenza dall’Ucraina, ma chi ha portato la guerra in Donbass è stato un militare preparato e un agente segreto RUSSO di Mosca, guidato dal Cremlino: Igor Girkin.

17 dicembre 1970: Igor Girkin nasce a Mosca (Russia) in una famiglia di militari.
1989: inizia a partecipare attivamente ad eventi di rievocazione storica dell’Armata Bianca (esercito controrivoluzionario russo, sostenitore dello zar, di Aleksandr Kerenskij ed altri che si opposero alla Rivoluzione d’ottobre del 1917, e che combatterono contro l’Armata Rossa bolscevica, nella Guerra civile russa dal 1918 al 1921).
1992: si laurea in Storia all’Istituto statale storico e archivistico di Mosca.
1992: combatte come volontario del 2° plotone delle truppe cosacche del Mar Nero del PMR (Repubblica Moldava Pridnestroviana, Stato non riconosciuto nell’Europa orientale) nella Guerra in Transnistria. vicino al villaggio di Koshnitsa (a sud della città di Dubossary) e poi nella città di Bender, dove muore il suo amico Andrei Tsyganov.
1992 GUERRA IN BOSNIA: combatte come volontario nella Guerra in Bosnia come vice comandante del 2° distaccamento di volontari russi (il comandante era Alexander Mukharev), che avevano ricevuto il soprannome di “lupi reali” a causa delle credenze monarchiche di molti membri (nel 2003, la rappresentante del Tribunale dell’Aia, Vanessa Le Roa, sostenne che il Tribunale aveva raccolto molte prove del coinvolgimento di volontari in CRIMINI DI GUERRA) della Brigata Podrinsky nella fanteria delle truppe della Republika Srpskadi (autori dell’assedio di Sarajevo e del MASSACRO DI SREBRENICA).
MASSACRI DI VISEGRAD: Combatte vicino alle città di Višegrad e Priboi. Nel 2014, è stato accusato dai media bosniaci (Klix.ba) e da un ufficiale dell’esercito bosniaco in pensione di essere stato coinvolto nei MASSACRI DI VISEGRAD. A Višegrad giornalmente uomini, donne e bambini bosniaci venivano uccisi sul ponte del fiume Drina e i loro corpi venivano gettati nel fiume. Altri venivano torturati e le donne e bambine violentate e detenute nell’hotel Vilina Vlas che fungeva da bordello. 3.000 bosgnacchi sono stati assassinati, tra cui circa 600 donne e 119 bambini.
1994 PRIMA GUERRA CECENA: completa il servizio militare e presta servizio nella 166a Brigata di fucilieri motorizzati Vitebsk-Novgorod prendendo parte al ripristino dell’ordine costituzionale nella Repubblica cecena nella PRIMA GUERRA CECENA (genocidio ceceno: si contano tra gli 80.000 e i 120.000 morti).
1998 FSB: Girkin presta servizio nelle forze speciali dell’FSB (SERVIZI SEGRETI DELLA FEDERAZIONE RUSSA: proprio nel 1998, Eltsin nomina Putin Direttore di questa organizzazione).
1998 ZAVTRA: Girkin inizia a pubblicare sul settimanale «Завтра» (“Zavtra” – “Domani”) articoli sui volontari russi che hanno combattuto in Bosnia, Cecenia, Daghestan, ecc. ed ha incontrato Alexander Borodai.
1999 GUERRA DEL DAGHESTAN: Girkin partecipa alla Guerra del Daghestan (considerata dalla giornalista russa Anna Politkovskaya come una provocazione iniziata da Mosca per iniziare la guerra in Cecenia)
1999 SECONDA GUERRA CECENA: Girkin partecipa alla seconda Guerra Cecena (Amnesty International nel 2007 ha denunciato che nella guerra sono morti fino a 25.000 civili).
2013 DIMISSIONI DALL’FSB: Girkin si dimette dall’FSB e diventa capo del servizio di sicurezza del fondo di investimento Marshal Capital, che ha lavorato a stretto contatto con il settimanale Zavtra e l’agenzia ANNA-News (Abkhazian Network News Agency – agenzia di stampa russa con sede a Mosca e organo di propaganda del Cremlino nelle guerre in Libia, Siria e in Ucraina) della Repubblica di Abkhazia (regione della Georgia occupata dalla Federazione Russa). Il fondo era di proprietà dell’uomo d’affari russo Konstantin Malofeev.
2013 AMICIZIA CON BORODAI: nel fondo di investimento Marshal Capital, vi lavorava Alexander Borodai, in seguito divenuto PRIMO MINISTRO DELL’AUTO-PROCLAMATA REPUBBLICA POPOLARE DI DONETSK.
2014 CONFESSIONI SU CRIMINI DI GUERRA: vengono scoperte mail scritte da Girkin sui suoi diari dalla Bosnia e dalla Cecenia. Una storia descrive un’operazione di cattura di attivisti ceceni da un villaggio di Mesker-Yurt che non ha pubblicato perché, a suo dire: “le persone che abbiamo catturato e interrogato sono quasi sempre scomparse senza lasciare traccia, senza tribunale, dopo che avevamo finito” ed è per questo che queste storie non possono essere pubblicate apertamente.
2014 CRIMEA: il 26 febbraio 2014 attraversa il confine russo-ucraino a Simferopol e inizia a reclutare e coordinare un gruppo di sabotatori russi e ucraini in Crimea durante la crisi della Crimea.
2014 Girkin è uno dei principali comandanti di “autodifesa russa” in Crimea.
22 gennaio 2015: In un’intervista con Starikov (Neuromir TV), ha spiegato che il “travolgente sostegno nazionale all’autodifesa” descritto dai media russi era finzione e la maggioranza delle forze dell’ordine, dell’amministrazione e dell’esercito si erano opposte. Girkin dichiarò che, sotto il suo comando, i ribelli “raccolsero” i deputati nelle camere e con minacce e le armi riuscirono a “condurre con la forza i deputati a votare ad unirsi alla Russia.
Girkin è arrivato in Crimea descrivendosi come “emissario del Cremlino” e, subito dopo, ha costituito le forze di autodifesa della Crimea. La sua posizione era al di sopra di quella dell’auto-dichiarato primo ministro della Crimea Sergei Aksyonov. Ha addestrato le nuove forze della Crimea e una selezione di esse per l’invasione del Donbass.
18 marzo 2014: Girkin è responsabile dell’assalto al Centro fotogrammatico di Simferopol (su sua stessa ammissione).
7 aprile 2014: il presidente della Verkhovna Rada dell’Ucraina, il presidente ad interim del Paese, Oleksandr Turchynov, ha annunciato la sua intenzione di lanciare un’operazione antiterroristica contro coloro che, imbracciando le armi, avevano sequestrato edifici amministrativi a Lugansk, Donetsk e Kharkiv.
2014 DONBASS-SLAVYANSK: Nella notte tra l’11 e il 12 aprile, Girkin/Strelkov con 52 combattenti ha attraversato il confine dalla Federazione Russa entrando in Ucraina nella regione di Donetsk.Girkin affermò che la sua milizia si era formata in Crimea ed era composta da volontari provenienti dalla Russia , dalla Crimea e anche da altre regioni dell’Ucraina (Vinnitsa, Zhitomir, Kyiv) e aveva esperienza di combattimento, avendo combattuto nelle forze armate russe in Cecenia, in Asia centrale.
In un’intervista del giornalista russo Prokhanov per il settimanale “Zavtra”, Girkin ha dichiarato che gli era stato dato l’ordine di non rinunciare a Slavyansk.
12 aprile 2014 ASSALTO A SLAVYANSK: uomini mascherati armati di Kalashnikov, che poi si rivelarono il gruppo di Strelkov, come sostenitori della autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, sequestrarono l’edificio del Consiglio Comunale, il dipartimento di polizia e quello del servizio di sicurezza dell’Ucraina (SBU, Sluzhba Bezpeky Ukrayiny) nella città di Slavyansk, nella regione di Donetsk, annunciando il trasferimento della città sotto il controllo della autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk. Perquisendo l’armeria della polizia, i paramilitari hanno sequestrato almeno 400 pistole e 20 armi automatiche.
13 aprile 2014: Alexander Turchinov ha firmato un decreto sull’avvio di un’operazione speciale nell’est del Paese e l’inizio di una “operazione antiterroristica” a Slavyansk. Fu dato un ultimatum ai separatisti di disarmarsi e consegnarsi alle autorità entro 48 ore.
14 aprile 2014: è stato riferito che Slavyansk era sotto il controllo filo-russo, con edifici governativi più importanti e altre aree occupate dai militanti. Le forze di terra dell’esercito ucraino sono state dispiegate lo stesso giorno, dopo che i separatisti hanno rifiutato l’ultimatum di deporre le armi. Due civili sono stati uccisi a bruciapelo da militanti filo-russi in un’auto a Slavyansk; un altro è rimasto ferito.
I combattimenti a Slavyansk hanno segnato il primo grande impegno militare tra i separatisti filo-russi e le forze governative ucraine, nella prima serie di battaglie nel 2014.
Le forze ucraine hanno lanciato la loro prima offensiva militare per riprendere il controllo della base aerea regionale di Kramatorsk , utilizzando elicotteri da trasporto e veicoli blindati. I militanti hanno tentato di riprendere il controllo dell’aeroporto, provocando violenti combattimenti, ma senza avere successo.
16 aprile 2014: Il primo vice primo ministro Vitaly Yarema ha affermato che elementi della 45a divisione aviotrasportata russa sono stati visti nell’area di Slavyzansk.
Sei veicoli corazzati ucraini hanno attraversato Slavyansk portando bandiere russe, dopo che i loro equipaggi avevano apparentemente disertato per la causa separatista.
17 aprile 2014 OMICIDIO DI RYBAK: Girkin fa rapire, torturare e uccidere un politico ucraino locale, Volodymyr Rybak, e uno studente universitario di 19 anni, Yury Popravko. Il rapimento di Rybak, da parte di un gruppo di uomini a Horlivka, è stato ripreso dalla telecamera.
La SBU ha rilasciato intercettazioni telefoniche in cui sia Girkin che un altro cittadino russo, subordinato di Girkin, Igor Bezler, ordinano l’uccisione di Rybak e di istruire Ponomarev di sbarazzarsi del corpo che “inizia a puzzare”.
Il cadavere di Rybak con la testa fracassata, coltellate multiple e lo stomaco squarciato è stato ritrovato più tardi ad aprile in un fiume vicino a Slavyansk, così come il corpo di Popravko.
Nel maggio 2020 Girkin ha confessato in un’intervista al giornalista ucraino Dmitry Gordon di aver ordinato l’uccisione di Popravko e di un altro uomo: “Sì, queste persone sono state uccise su mio ordine. […] Mi dispiace che siano stati uccisi? No, erano nemici”.
18 aprile 2014 CACCIA DEI SEPARATISTI AGLI UCRAINOFONI: il “sindaco del popolo” filo-russo di Slavyansk, Vyacheslav Ponomarev, (auto-dichiaratosi sindaco dopo aver guidato un assalto all’ufficio del sindaco di Sloviansk il 14 aprile 2014; oppositore del governo di coalizione da poco formatosi a Kyiv, che secondo Ponomarev era guidato da “nazisti” e “omosessuali”) ha annunciato una “caccia” a chi parlava ucraino nella regione di Donetsk, ordinando ai militanti di segnalare attività sospette, soprattutto se avessero sentito che era usata la lingua ucraina.
19 aprile 2014 POGROM SEPARATISTA CONTRO I ROM: i membri filo-russi della milizia popolare del Donbass hanno iniziato un pogrom contro la popolazione rom della città; i miliziani separatisti sono entrati nelle case abitate da rom, hanno picchiato i residenti, compresi donne e bambini, e hanno rubato le loro proprietà. I militanti hanno affermato di agire su ordine del “sindaco popolare” e del leader militante Vyacheslav Ponomarev.
I separatisti hanno rapito l’attivista e giornalista di Euromaidan Irma Krat, arrivata in città per seguire il conflitto. Successivamente l’hanno fatta sfilare con gli occhi bendati davanti alla stampa.
21 aprile 2014 SEPARATISTI CONTRO OSCE: i separatisti hanno vietato l’accesso alla città agli ispettori dell’OSCE.
Funzionari ucraini hanno distribuito foto ai consigli delle Nazioni Unite e degli Stati Uniti che mostrano che i militanti filo-russi erano forze speciali russe sotto copertura. Altre foto mostravano militanti equipaggiati e vestiti come i soldati russi in Crimea.
24 aprile 2014 : le forze ucraine hanno circondato Slavyansk.
Militanti filo-russi avevano picchiato bambini che avevano catturato mentre fotografavano un posto di blocco separatista.
La giornalista della BBC Natalia Antelava è stata minacciata con le armi dai membri della milizia popolare del Donbass mentre tentava di intervistare la gente del posto.
26-27 aprile 2014: il leader politico della autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, amico di lunga data di Girkin, Alexander Borodai, anche lui cittadino russo di Mosca, ha ceduto il controllo a tutti i combattenti separatisti nell’intera regione di Donetsk.
26 aprile 2014: “Strelkov” ha fatto la sua prima apparizione pubblica quando ha rilasciato una videointervista alla Komsomolskaya Pravda, confermando che la sua milizia a Slavyansk proveniva dalla Crimea.
26 aprile 2014 CONDANNA DALL’UE: Girkin annuncia che non avrebbe rilasciato gli osservatori dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), che aveva preso in ostaggio, a meno che attivisti filo-russi non fossero liberati.
28 aprile 2014: l’autoproclamato “vicesindaco” di Slavyansk, Igor Perepechayenko, per aver stabilito un contatto con lo stato maggiore delle forze armate russe e del GRU, è stato arrestato all’aeroporto di Donetsk mentre tornava da un volo da Mosca.
ESTORSIONI E FURTI DA PARTE DEI SEPARATISTI: I residenti hanno riferito che uomini armati della milizia del Donbass hanno iniziato a estorcere soldi ai proprietari di negozi nel mercato locale per l’”affitto” e avevano iniziato a rubare auto costose.
2 maggio 2014: le forze ucraine hanno lanciato un’operazione su larga scala per riconquistare la città.
Due elicotteri sono stati abbattuti, le autorità ucraine hanno dichiarato che ciò era stato fatto con i sistemi di difesa aerea portatili russi (MANPADS: armi in dotazione solo dell’esercito russo e per i quali è necessario un lungo addestramento).
5 maggio 2014 CIVILI USATI COME SCUDI UMANI: Girkin alla periferia della città ha usato civili disarmati come scudi umani mentre attaccavano le truppe ucraine e appiccavano il fuoco agli edifici vicini e sparavano a un minibus che trasportava feriti dal campo di battaglia.
11 maggio 2014: REFERENDUM ILLEGALE in parti della regione di Donetsk.
12 maggio 2014 GIRKIN COMANDANTE SUPREMO DI DONETSK: il leader della milizia popolare del Donbass Igor Girkin si è dichiarato “Comandante supremo” della autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk. In un decreto, ha chiesto a tutti i militari di stanza nella regione di giurargli fedeltà entro 48 ore, pena la morte.
15 maggio 2014: Strelkov/Girkin ha emesso un secondo ultimatum in una conferenza stampa, dando all’Ucraina 24 ore per ritirare le sue truppe da Donetsk.
23 maggio 2014: Girkin esortò tutti i residenti della città ad evacuare, dicendo che sarebbe stata usata l’artiglieria.
27 maggio 2014: Girkin ha detto che alcuni dei suoi uomini avevano saccheggiato la città e che pertanto aveva fatto giustiziare il comandante della compagnia Dmitry Slavov e il comandante del plotone Nikolai Lukyanov.
10 giugno 2014: Girkin/Strelkov licenzia dal suo incarico e fa arrestare Ponomarev: “Il cosiddetto sindaco del popolo Ponomarev è stato licenziato per aver svolto attività incompatibili con gli obiettivi e i compiti dell’amministrazione civile. Per ora non posso fornire ulteriori dettagli”, ha affermato Strelkov nella sua dichiarazione.
4 e il 5 luglio 2014 FUGA: Girkin e i suoi fuggono da Sloviansk, durante un’offensiva su larga scala dell’esercito ucraino, dopo la fine di un cessate il fuoco di 10 giorni il 30 giugno. Slavyansk viene liberata dalle forze ucraine, ponendo così fine all’occupazione separatista della città iniziata il 6 aprile. Poco prima, un video è stato pubblicato su YouTube in cui Girkin chiedeva disperatamente aiuti militari dalla Russia per ” Novorossiya ” (“Nuova Russia”, un nome storico per l’Ucraina sudorientale con particolare popolarità tra i separatisti). Girkin si reca a Donetsk.
KURGINYAN, AKHMETOV E LA COSPIRAZIONE: la fuga di Girkin venne condannata dal nazionalista russo Sergey Kurginyan . Una voce all’interno dei circoli ultranazionalisti russi sosteneva che la potente figura del “cardinale grigio” russo Vladislav Surkov avesse cospirato con l’oligarca dell’Ucraina orientale Rinat Akhmetov per organizzare una campagna contro Girkin/Strelkov e contro l’ ideologo dell’eurasiatismo Alexander Dugin. Kurginyan accusò Girkin di essersi arreso a Slavyansk e di non aver mantenuto il giuramento di combattere fino alla morte.
24 luglio 2014: le autorità ucraine hanno riesumato diversi cadaveri da una fossa comune sul terreno di un ospedale pediatrico vicino al cimitero ebraico di Slovyansk, giustiziati per ordine di Girkin.
17 luglio 2014 ABBATTIMENTO DEL VOLO MALAYSIA AIRLINES 17: Diverse fonti hanno citato un post sul servizio di social network VKontakte, che è stato creato da un account a nome di Girkin, che ha riconosciuto l’abbattimento di un aereo all’incirca nello stesso momento in cui è stato riferito che l’aereo di linea civile Malaysia Airlines Flight 17 (MH17) si sarebbe schiantato nell’Ucraina orientale, nella stessa area vicino al confine con la Russia il 17 luglio 2014.
Il post faceva specifico riferimento a come venivano emessi avvisi per gli aerei di non volare nel loro spazio aereo e all’abbattimento di un mezzo militare ucraino Antonov An -26 aereo da trasporto, che l’Ucraina Crisis Media Center ha suggerito fosse un caso di identificazione errata con l’MH17.
Luglio 2015: le famiglie di 18 vittime hanno presentato una citazione in un tribunale americano, che accusavano formalmente Girkin di “aver orchestrato l’abbattimento”.
14 agosto 2014: la dirigenza del DNR ha annunciato che Girkin era stato destituito dalla carica di ministro della Difesa “su sua stessa richiesta” poiché gli erano stati assegnati “altri compiti”.
14 agosto 2014: Girkin fu richiamato in Russia in circostanze oscure. Come mai? E da chi? Sulla base dei commenti di Girkin (in un’intervista fattagli dal giornalista Prokhanov per il settimanale “Zavtra”), sembra che il Cremlino non solo si opponga all’annessione delle regioni di Donetsk e Luhansk, ma voglia impedire che diventino troppo potenti.
In quanto stati gangster disfunzionali all’interno dei confini dell’Ucraina, forniscono a Mosca la maggiore influenza possibile su Kyiv.
20 novembre 2014: in un’intervista per Zavtra, Girkin dichiarò che la guerra nel Donbass era stata lanciata dal suo distaccamento nonostante sia il governo ucraino che i combattenti locali avessero evitato prima uno scontro armato. Inoltre si è riconosciuto responsabile dell’attuale situazione a Donetsk e in altre città della regione. “Sono stato io a premere il grilletto di questa guerra”, ha dichiarato “Se la nostra unità non avesse attraversato il confine, la situazione si sarebbe tranquillizzata, come a Kharkiv e Odessa. Tutto si sarebbe concluso con qualche dozzina di morti, feriti e arrestati, ma la carica del conflitto – che continua ancora oggi – è stata innescata dalla nostra unità. Abbiamo cambiato le carte in tavola”.
Gennaio 2015: In un’intervista per Anna News, Girkin ha affermato che secondo lui “la Russia è attualmente in stato di guerra”, poiché i volontari che arrivano nel Donbass “vengono riforniti di armi e proiettili”. Ha anche notato che “non ha mai separato l’Ucraina dall’Unione Sovietica nella sua mente”, quindi considera il conflitto come una “guerra civile in Russia”.
RAPPORTO NEMTSOV: Secondo il rapporto Nemtsov, Girkin ha riconosciuto di essersi dimesso dalla sua posizione ufficiale nel DNR a causa delle pressioni del Cremlino. Ha anche affermato che Vladislav Surkov gioca un ruolo decisivo nel Donbass.
“Non posso dire di essere partito volontariamente, mi hanno minacciato del fatto che i rifornimenti dalla Russia si sarebbero fermati e senza rifornimenti è impossibile combattere. Quindi sono stato costretto a lasciare il mio posto “, Girkin ha detto nel gennaio 2015. Allo stesso tempo, ha chiarito che il curatore del personale e delle questioni politiche nel Donbass al Cremlino è l’ex vice capo dell’amministrazione presidenziale russa, Vladislav Surkov.
1 Giugno 2015: Secondo un sondaggio del Centro Levada (organizzazione russa che conduce regolarmente ricerche sociologiche e di marketing), il 27% dei russi conosce Igor Strelkov, il cui atteggiamento è stato distribuito come segue:
29% – ammirazione o simpatia,
26% – neutrale, indifferente,
4% – diffidente, in attesa,
2% – antipatia o disgusto,
26% non può dire “niente di male” su di lui
3% – “niente di buono”
Maggio 2016 MOVIMENTO NAZIONALE RUSSO: Girkin ha annunciato la creazione del Movimento nazionale russo [ RU ] , un partito politico neoimperialista. Il partito è favorevole a “unire la Federazione Russa, l’Ucraina, la Bielorussia e altre terre russe in un unico stato tutto russo e trasformare l’intero territorio dell’ex Unione Sovietica in una zona incondizionata di influenza russa”.
21 aprile 2022 INVASIONE DELL’UCRAINA: Girkin ha sollevato l’opinione che “senza almeno una mobilitazione parziale nella Federazione Russa, sarà impossibile e altamente pericoloso lanciare una profonda offensiva strategica contro la cosiddetta “Ucraina””.
13 maggio 2022: Girkin ha criticato aspramente il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu , accusandolo di “negligenza criminale” nel condurre l’invasione.
Omar Mirzan Iacci
Cittadino italiano, nato e residente a Milano.
Laureato in lettere con una tesi di tematica storico-geopolitica e sociologica relativa all’Americanismo in Brasile nella concezione di Gramsci e Sergio Buarque de Hollanda.
Ha conseguito due master in Direzione del Personale.
Fin dagli studi universitari, si è appassionato all’Ucraina, alla sua storia, la cultura e l’arte di questa nazione che ha avuto l’opportunità di approfondire con frequenti viaggi. Da oltre 14 anni si occupa di gestione, selezione, formazione e sviluppo delle risorse umane per aziende multinazionali. Collabora con l’associazione culturale Ucraina+

La pace, la guerra, la politica, e gli intellettuali che vivono dentro una serie Netflix (linkiesta.it)

di

Opinionisti del niente

Il dibattito pubblico italiano è contaminato da sedicenti pensatori che, senza aver mai parlato con un loro omologo ucraino, parlano a vanvera di pace e tacciono sull’aggressione imperialista della Russia di Putin

A me la guerra è entrata dentro casa e non me ne sono accorto. Poi un giorno mio padre dopo una mezza maratona si sente tirare un muscolo della coscia e cedere un ginocchio. Dopo tre mesi era al camposanto con molti onori militari e la consapevolezza che a ucciderlo erano stati l’uranio impoverito e l’amianto.

Figuratevi voi, se a uno che gli è entrata la guerra dentro casa a scoppio ritardato, piaccia la guerra. Figuratevi voi, se a un uomo oggi, ragazzino ieri, che è cresciuto tra marce e parate, tra un padre assente e l’ansia costante di sentirlo morto al telegiornale in chissà quale pezzo di mondo, piaccia parlare da tre anni a questa parte quasi solo di guerra.

Ma questo è il tempo che ci è dato vivere e fino a qualche mese fa ho pensato che sarei potuto tornare a occuparmi di altro. Ma adesso non è più così. Questa guerra è stata come un lutto, una presa di coscienza, ha cambiato per sempre il mio modo di intendere la vita, la morte, l’impegno e la scrittura.

Nel corso di questi tre anni, tutto l’allenamento all’empatia, alla sofferenza e al discorso politico a cui da figlio della piccola-medio borghesia romana sono cresciuto è stato travolto. Non stare in Italia mi ha cambiato e guardo con disagio la cecità con la quale tanti amici e tante amiche sono avvolti.

Quando leggo i loro articoli in cui parlano di pace vorrei prenderli per la giacchetta e strattonarli. Quando vedo che in modo complice insieme a quella sinistra che li rappresenta, che li invita alle fiere dell’editoria, che gli fa ottenere direzioni artistiche, tribune televisive importanti, che gli pubblica libri e che alimenta a pane e visibilità lisciano il pelo del pubblico mettendosi la giacca di intellettuali organici, vorrei chiedergli se esattamente sanno dove stiamo finendo anche per la nostra terribile ignavia.

Figli della “Politica Netflix” come l’ha ben definita Lorenzo Pregliasco già nel 2021, questa informe massa di intellettuali si muove per like e posizionamenti, per strategica aderenza a un’ideologia del consumo immediato e della resa; sono tutti accomunati, nella politica e nella cultura, dalla totale assenza di dati ed esperienze dirette.

Sono Pasolini senza borgate, Fallaci senza conflitti a fuoco, Berlinguer senza proletariato e Angela Davis senza femminismo. Filosofi senza filosofia, opinionisti del niente raccontato come tutto.

Parlano di pace ma non hanno mai messo un piede in un Paese in guerra, criticano l’Europa che cerca di difendersi e non hanno mai dialogato con un loro omologo in Polonia, Lituania, Ucraina che vede ogni giorno restringere la propria libertà per colpa di un Paese che si chiama Russia.

Sono pronti a indignarsi genericamente per ogni disavventura sessista capitata a qualche collega, ma a oggi, dopo tre anni dall’inizio della guerra, nessuno li ha visti arrivare a dire mezza parola sull’aggressione imperialista della Russia di Putin, sul tentativo di distruzione della lingua e della letteratura ucraina, sul rapimento e la deportazione di migliaia di bambini, sui massacri, sulla propaganda a reti unificate, sui russi che riciclano soldi aggirando sanzioni, sulla flotta fantasma di Putin che rischia di rovesciare in mare tonnellate di greggio illegale ogni giorno, su tutta una gioventù di intellettuali, scrittori e poeti che è morta al fronte per difendere anche la nostra libertà.

Antonio Scurati qualche settimana fa ha scandalizzato un po’ tutti (salvo poi rettificare) con un articolo in cui dava ai maschi italici dei mollaccioni, chiedendosi in caso di guerra chi ci avrebbe difeso, visto che abbiamo perso l’attitudine al combattimento.

Le risposte sdegnate mi hanno impressionato e hanno dato ragione a Scurati, ovvero che – moralmente prima che fisicamente – siamo alla bancarotta morale. E si meritano una classe politica che continua la battaglia degli aggettivi dentro una nenia che prolunga il sonno dell’opinione pubblica italiana, che chiede più diplomazia contro la Russia (non soddisfatta dei tragici epiloghi del 1938), che continua ad accarezzare le pulsioni peggiori e codarde di un popolo viziato che si è trasformato in un elettorato che ha messo il voto di scambio come summa della politica.

Politica e intellettuali uniti nel dar ragione, nel rendere sempre più viziata l’opinione pubblica. Gente che pensava di abolire la povertà per decreto, che ha fatto entrare i russi in Italia con la scusa del Covid e che ha demolito col populismo quello che rimaneva della coscienza politica del Paese, continua a deresponsabilizzare sessantuno milioni di cittadini e a non renderli edotti del crinale di rischio che stiamo percorrendo: la neutralità può costare cara.

La “politica Netflix” ha poi introdotto l’on demand della mobilitazione, quindi si può essere attivisti componibili senza collegare cause ed effetti, senza mettere un minimo di scienza politica nella propria agenda setting morale e andare a letto tranquilli.

Sono stanchi, dicono, di tutta questa guerra e vorrebbero forse passare a una serie tv più intimista. Sono stanchi e hanno paura, hanno l’ansia perché pensano che l’Europa si armerà e toglierà loro i servizi sociali e la sanità, non sapendo che ogni dieci minuti la stessa istituzione che criticano li riempie di soldi.

Ma invece di andare a picconare dai consigli comunali al Parlamento per capire dove vanno a finire i milioni del Pnrr e quelli che restituiamo perché non sappiamo usarli, loro hanno paura e se la prendono mica coi carnefici, ma con le vittime.

Cosa possiamo quindi aspettarci da tutto questo (e da molto altro)? Niente, davvero niente. È sul resto di questo niente che resisto, non in solitudine, in ordine sparso, in minoranza, ma con ostinazione.

Gli attacchi russi sull’Ucraina alla vigilia dei colloqui, e la distanza tra parole e fatti (linkiesta.it)

di

Bad guy

Tra sabato e domenica, uno sciame di droni di fabbricazione iraniana ha colpito ancora Kyjiv. Undici persone sono rimaste ferite e tre uccise. Qualche giorno prima Steve Witkoff, inviato speciale dell’Amministrazione Trump, aveva definito Putin «non una persona cattiva»

La notte tra sabato e domenica, Kyjiv non ha chiuso occhio. Per tutta la notte, la difesa antiaerea ucraina ha cercato di fermare (l’ennesimo) attacco massiccio di droni iraniani lanciati dai russi contro le retrovie e le abitazioni civili della capitale ucraina.

La mattina presto, i notiziari hanno diffuso informazioni precise: cinque zone della capitale sono state colpite, undici persone ferite, tra cui un neonato di undici mesi, e tre persone uccise, tra cui una bambina di cinque anni e suo padre. La famiglia della piccola Nikol si era trasferita a Kyjiv dalla regione di Zaporizhzhia, dove gli attacchi russi sono continui. La sua città natale, Orikhiv, oggi si trova a quindici chilometri dalla linea del fronte.

A Kyjiv pensavano di trovare pace e un futuro per la loro famiglia. Invece, gli attacchi aerei russi colpiscono anche dove l’esercito non è (ancora) arrivato, rendendo la vita invivibile persino lontano dal fronte. Insieme alla piccola Nikol è stato ucciso suo padre, mentre la madre è stata portata in ospedale.

Nei video che documentano l’attacco alla capitale si vedono i droni iraniani colpire direttamente le abitazioni civili. Le zone prese di mira non ospitano obiettivi militari strategici, solo palazzi residenziali. Questa strategia limita anche la risposta della difesa aerea ucraina, che cerca di evitare di mettere a rischio la vita dei civili.

La mattina dopo l’attacco, i social media ucraini sono esplosi con messaggi di solidarietà per le vittime. Scorro i messaggi degli amici, che a loro volta hanno conoscenti tra i residenti degli edifici colpiti. Nel raccontare la tragedia, lanciano anche raccolte fondi per aiutare chi ha perso i propri cari o la casa a causa degli incendi provocati dall’impatto dei droni.

I volontari ucraini, esperti da tempo nella raccolta fondi, suggeriscono di trasformare la rabbia contro i russi in donazioni per l’esercito ucraino, l’unico modo per non sentirsi impotenti di fronte all’aggressione russa, che, secondo le dichiarazioni dello stesso aggressore, avrebbe dovuto essere sospesa per i trenta giorni pattuiti.

Dopo quelle dichiarazioni della scorsa settimana, il cessate il fuoco è stato interrotto appena un’ora dopo con attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine. Gli Stati Uniti, autoproclamatisi mediatori tra Russia e Ucraina, continuano a dichiarare (senza crederci davvero) che Putin avrebbe ordinato l’abbattimento dei droni diretti verso l’Ucraina subito dopo aver messo giù la cornetta, al termine della sua lunga conversazione con Trump.

Negli ultimi tre anni, l’Ucraina e gran parte dell’Europa hanno imparato a non credere alle parole del dittatore russo, ma a giudicare dai fatti. E i fatti di oggi sono i piani superiori di palazzi civili bruciati nella capitale e in altre città ucraine, come Sumy, dove nei giorni scorsi sono stati colpiti due ospedali.

La situazione nella città al confine con la Russia è estremamente grave: il governo ucraino ha avviato un piano di evacuazione per i villaggi più vicini al confine, sottoposti a bombardamenti sistematici ogni giorno. Nella regione vivono 270mila residenti locali, oltre a trentamila sfollati interni provenienti dai territori occupati dall’esercito russo.

L’evacuazione di queste zone si preannuncia un compito estremamente difficile, anche perché i convogli organizzati potrebbero essere colpiti dagli stessi droni, una pratica tristemente consolidata nella strategia russa di guerra.

Venerdì scorso, in un’intervista con il conduttore di destra Tucker Carlson, Steve Witkoff, inviato speciale dell’amministrazione Trump in Medio Oriente, ha definito Putin «non una persona cattiva» e un leader «abile» che starebbe cercando di porre fine al conflitto su larga scala lanciato da Mosca contro Kyjiv tre anni fa. L’ultimo attacco alla capitale tra sabato e domenica mostra chiaramente la sua «grande volontà» di fermare l’aggressione.

Ormai, la serietà e l’accuratezza delle dichiarazioni della Casa Bianca convincono pochi, anche se in Italia si continua a spacciare per realtà il wishful thinking sulla fine del conflitto.

Siamo giunti a una fase estremamente delicata, in cui la distanza tra parole e fatti cresce in modo spropositato. Dobbiamo rimanere vigili per non cadere nel baratro delle false promesse russe, perché risollevarsi sarà estremamente doloroso. E gli ucraini, sul dolore, hanno molto da raccontare.

(AP Photo/Efrem Lukatsky)