Giulia Cecchettin, Valditara: “Lotta al patriarcato è ideologia. Più abusi con immigrati illegali” (repubblica.it)

Presentata alla Camera la Fondazione dedicata 
alla ragazza uccisa dall’ex fidanzato. 

Il papà di Giulia: “Su alcuni temi dovremo confrontarci”. Il Pd: “Vergognoso, è razzismo”. Roccella: “Nessuna legge salva dai femminicidi”

“È un’emozione incredibile perché, a distanza di un anno dalla notizia che era mancata la mia Giulia, facciamo nascere qualcosa”. Sono state le parole di Gino Cecchettin, una volta arrivato alla Camera dei Deputati per la presentazione della Fondazione dedicata a sua figlia, nata per il contrasto e la prevenzione della violenza di genere.

La Fondazione – ha spiegato a metà mattina – si occuperà di “progetti di educazione all’affettività e all’amore, che erano insiti nella vita di Giulia”. Poco dopo, con ben altri toni, il papà della 22enne uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta ha dovuto rispondere al ministro Giuseppe Valditara.

Valditara: “La lotta al patriarcato è ideologia”

Alla presentazione della Fondazione è intervenuto infatti anche il titolare dell’Istruzione e del Merito che, attraverso un videomessaggio, ha suscitato subito polemiche: “La possibilità libera e non discriminata di avere varie opportunità di realizzazione personale e professionale – ha detto – è un obiettivo fondamentale di chi crede nei valori della dignità di ogni persona. E per perseguirlo abbiamo di fronte due strade: una è concreta e ispirata ai valori costituzionali, l’altra è la cultura ideologica. In genere i percorsi ideologici non mirano mai a risolvere i problemi, ma ad affermare una personale visione del mondo. E la visione ideologica – l’attacco che ha scatenato l’indignazione di chi si batte per la parità di genere – è quella che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato”.

Lotta al patriarcato che, ancor prima del femminicidio della 22enne, era uno dei punti cardine dell’impegno di Elena Cecchettin, sorella di Giulia. E le parole del ministro dell’Istruzione hanno generato la risposta immediata di Gino Cecchettin: “Diciamo che ci sono dei valori condivisi e altri sui quali dovremo confrontarci, ecco”.

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Netta anche la risposta di Elena Cecchettin che con un post su Instagram risponde al ministro: “Oltre al depliant proposto, cosa ha fatto il governo in quest’anno? Perché devono essere sempre le famiglie delle vittime a raccogliere le forze e a creare qualcosa di buono per il futuro?”.

Elena Cecchettin commenta il discorso di Valditara
(Elena Cecchettin commenta il discorso di Valditara)

Valditara: “Più abusi con l’immigrazione illegale”

Valditara ha poi collegato l’aumento degli episodi di violenza sessuale con l’immigrazione illegale: “Deve essere chiara a ogni nuovo venuto, a tutti coloro che vogliono vivere con noi, la portata della nostra Costituzione, che non ammette discriminazioni fondate sul sesso. Occorre non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”.

Roccella: “Nessuna legge avrebbe salvato Giulia”

Anche Eugenia Roccella, ministro per le Pari opportunità e la Famiglia, è intervenuta nel corso dell’evento che si è tenuto alla Camera: “Parlare della violenza contro le donne, non rassegnarsi e non rubricare la vasta casistica sotto una fatalità, è importantissimo. Dicendo che la violenza sulle donne è una piaga, noi alludiamo anche alla ferita nel tessuto sociale. La violenza affonda le sue radici nella storica asimmetria di potere fra uomini e donne e potremmo aspettarci che le battaglie condotte e vinte dalle donne, il grande cammino di libertà che abbiamo compiuto negli ultimi decenni abbia prodotto una riduzione del fenomeno. Nonostante il cammino fatto la percentuale di femminicidi è alta in tutta Europa. C’è qualcosa di radicato che non riusciamo a combattere. Le leggi sono uno strumento essenziale ma non sono sufficienti a difendere le donne – ammette Roccella – è necessario intervenire su diversi fronti, e per questo serve confronto serio, che parte da idee condivise. Temo che nessuna legge avrebbe potuto salvare Giulia Cecchettin, né altre donne che non sospettavano la violenza che covava nel cuore dell’uomo che sosteneva di amarla e che appariva al mondo come un ‘bravo ragazzo’”.

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Il Pd: “Valditara vergognoso, è razzismo”

Il Pd si è scagliato contro il ministro dell’Istruzione: “Le parole di Valditara sono indecenti. Strumentalizzare una tragedia – anzi l’assassinio di una ragazza per mano di un uomo che la riteneva ‘sua’ – per i propri fini ideologici, supera la soglia di ogni decenza. Oggi Valditara ha detto parole indegne di un ministro, per giunta dell’Istruzione. Mi vergogno come uomo e come rappresentante delle istituzioni”, ha dettoil senatore dem Marco Meloni. La senatrice Sandra Zampa ha aggiunto che “Valditara è persino offensivo nei confronti di Giulia, vittima di un suo conterraneo, uno studente veneto. Accusare i migranti irregolari in relazione allo spaventoso numero di femminicidi in Italia copre di vergogna un esponente delle istituzioni smentito tra l’altro nelle sue insultanti parole dai dati raccolti dalla Commissione parlamentare femminicidi. Il suo intervento è carico di razzismo perché non è sostenuto da alcuna evidenza. Nel codice penale esiste l’articolo 604 relativo a discriminazione razziale che punisce il reato con il carcere e penso sia necessario approfondire anche questo aspetto della gravissima esternazione del ministro. L’odio si costruisce così. A nessuno deve essere possibile farlo tanto meno se è un importante esponente istituzionale”.

Anche la rete degli Studenti medi si rivolta contro il ministro: “Parole sbagliate, oltre che gravi – afferma Camilla Velotta – Non accettiamo lezioni sulla violenza di genere da un ministro che ha fatto ben poco per occuparsi del tema quando gli è stato richiesto, e che è incapace di riconoscere il carattere strutturale e sistemico di questo problema, che ha radici proprio nella cultura patriarcale, che lui definisce ideologica. L’unico modo in cui la smantelliamo è con l’educazione sessuale, affettiva e al consenso in tutte le scuole: abbiamo lanciato proprio in questi giorni una petizione per chiederne l’introduzione, già firmata da molti rappresentanti d’istituto e di consulta”.

E aggiunge la rete Educare alle differenze: “Quest’anno il ministro sceglie di continuare a parlare di violenza di genere nel modo peggiore possibile: sceglie di parlare di violenza sfruttando il femminicidio di una ragazza da parte dell’ex compagno per cavalcare la propaganda contro le persone migranti che questo governo continua a perpetrare, tirando fuori dall’armadio, di fronte a violenti, stupratori e assassini che hanno molto spesso le chiavi di casa, lo stereotipo dello “stupratore nero”, che affonda le proprie radici direttamente negli Stati Uniti dello schiavismo e della segregazione razziale”.

Gino Cecchettin: “Qualcosa si sta muovendo”

Tornando alla Fondazione, alla domanda se, a suo parere, fosse cambiato qualcosa a livello culturale a un anno di distanza dal femminicidio di Giulia, Gino Cecchettin ha sottolineato che “noi ci stiamo lavorando e penso che se siamo qui così tanti qualcosa si stia muovendo”.

I pilastri dell’azione della fondazione saranno “l’educazione all’affettività, quindi formazione, e lavorare di concerto con le altre associazioni e le altre fondazioni. Noi vorremmo essere inclusivi e poi aiutare le ragazze nel loro percorso di studi dopo la tragedia immane che ci ha colpiti”.

L'ex campionessa di nuoto Federica Pellegrini, impegnata nella lotta alla violenza di genere insieme alla Fondazione Giulia Cecchettin
(L’ex campionessa di nuoto Federica Pellegrini, impegnata nella lotta alla violenza di genere insieme alla Fondazione Giulia Cecchettin (agf)

Il 25 novembre Giornata contro la violenza sulle donne

“Caro Gino, desidero far sentire la mia personale vicinanza a te esprimendo il mio personale apprezzamento e incoraggio l’impegno della Fondazione Cecchettin per evitare che certi episodi non succedano mai più”, il messaggio del presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi.

“L’idea di Gino di presentare la fondazione alla Camera mi ha molto sorpreso e commosso. Non aspettavamo altro, questa giornata è l’inizio di una settimana che ci porterà al 25 novembre, la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Lo facciamo nel nome di Giulia, guardando avanti, guardando la necessità di formare e parlare, confrontarsi soprattutto con i giovani per un’educazione affettiva che evidentemente oggi è carente”, ha detto il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè.

Mulè: “Legislazione migliorabile”

Mulè si è poi soffermato sulle misure di contrasto agli abusi sessuali: “Se si può migliorare la legislazione sui femminicidi? Si può fare sempre meglio, e si può fare meglio con l’impegno non solo dei parlamentari, ma di tutti coloro che hanno un ruolo nelle istituzioni. Non c’è differenza tra partito e ideologia, c’è un interesse comune che è quello di un approccio nuovo e diverso all’affettività, al modo di comportarsi e di avere rispetto, soprattutto delle donne”.

Gino Cecchettin alla Camera per presentare la fondazione dedicata a Giulia
(Gino Cecchettin alla Camera per presentare la fondazione dedicata a Giulia (agf)

Elena Cecchettin: “Un anno di dolore e lacrime”

Elena Cecchettin ha espresso il proprio dolore attraverso una storia su Instagram: “È stato un anno difficile, di dolore, di ricordi, di lacrime. Ma soprattutto di lotta. Lotta per lei, che non c’è più. Un anno fa – ha scritto – ero con una volontaria dell’associazione Penelope, che tentavo di fare colazione. Erano 6 giorni che non riuscivo a mangiare. Riceve una chiamata, mi dice ‘Elena, torniamo a casa da’. ‘L’hanno trovata?’ ‘Sì’. Un anno fa ho ricevuto la conferma che Giulia non sarebbe più tornata a casa”.

La storia Instagram di Elena Cecchettin
(La storia Instagram di Elena Cecchettin )

Cambiare i giudici, non la legge: l’ennesimo pastrocchio del governo sui richiedenti asilo (linkiesta.it)

di

Fratelli d’Ungheria

Sara Kelany, del partito di Giorgia Meloni, ha proposto un emendamento per modificare i magistrati che possono giudicare i casi di migranti.

Una soluzione temporanea e inefficace perché ad avere l’ultima parola saranno comunque la Cassazione e la Corte di giustizia europea

L’America che un tempo ha visto figure come Franklin Delano Roosevelt, John Fitzgerald Kennedy, Bob Dylan, John Rawls, Martin Luther King, Woody Allen e che ha dato vita a movimenti per i diritti civili, sembra ormai un ricordo lontano. E anche l’Italia non se la sta passando bene. Da noi, quegli stessi freak che Donald Trump sta ora accogliendo nel suo governo, sono già protagonisti da tempo nei ministeri, in Parlamento e nei talk show.

L’ultimo significativo episodio risale a un paio di giorni fa: l’inserimento nell’ultima versione del “decreto flussi” di un emendamento che prevede il trasferimento della competenza relativa ai procedimenti di convalida del provvedimento con cui il questore dispone il trattenimento, o la proroga del trattenimento, del richiedente protezione internazionale.

Tale competenza passa dal Tribunale alla Corte d’appello nel cui distretto ha sede il questore che ha adottato il provvedimento, con un giudizio in composizione monocratica.

L’autrice della proposta è la parlamentare di Fratelli d’Italia Sara Kelany, relatrice in Commissione Affari costituzionali del decreto in questo la cui approvazione sembra già scontata. Difficile dire se sia più stupefacente l’approssimazione della proposta, il sentimento di arroganza che ne emerge, o la sua totale inutilità che evidenzia un’evidente incompetenza sulla materia.

In poche parole: poiché i giudici delle varie sezioni dei tribunali italiani specializzate nell’immigrazione continuano a bocciare i trattenimenti in Albania, la maggioranza al potere, con un colpo di penna, cambia direttamente i giudici, sostituendoli in blocco con i colleghi delle Corti d’appello. È come se un allenatore di calcio, disperato, decidesse di sostituire tutta la squadra con un’altra.

Il tutto riflette lo stato di confusione e di esasperazione che caratterizza chi guida il paese. Stiamo parlando di una questione che, a oggi, riguarda solo poche decine di casi, ma che costa tantissimo in denaro.

Sprezzanti del ridicolo e indifferenti alla desolazione delle immagini che mostrano lo sbarco di quattro disperati circondati da battaglioni su navi da crociera, Meloni e i suoi continuano a proporre ulteriori trovate. Del resto, vanno capiti: hanno vantato «nell’orbe terracqueo» la genialità di questa ideona, figurarsi se ora rinunciano.

Cambiare rapidamente il giudice di una delicata procedura è, nella sostanza, un attacco all’autonomia della magistratura, come sottolinea l’Unione delle Camere Penali in un comunicato particolarmente severo. L’associazione lamenta «il persistente convincimento della maggioranza che le decisioni dei giudici siano dettate da ragioni politiche e rappresentino una violazione del principio di separazione dei poteri dello Stato», difendendo la correttezza delle decisioni dei tribunali.

Si tratta di un gesto di pura frustrazione, un calcio di ritorsione all’avversario, un «vaffa» all’arbitro. Una decisione prima di tutto insensata, che rivela ignoranza delle norme e, soprattutto, dei confini giuridici della questione.

Innanzitutto, l’iniziativa è del tutto inutile, poiché tra pochi giorni, il 4 dicembre, la Prima sezione civile della Corte di Cassazione deciderà sui ricorsi promossi dal ministero dell’Interno contro i provvedimenti di rigetto dei trattenimenti in Albania.

Qualunque sia l’esito, sia che si tratti di annullamento o di conferma dei decreti del tribunale, sia di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea per chiarire definitivamente il concetto e i criteri di selezione dei paesi sicuri, lo sgarbo verso i giudici da parte della maggioranza risulterà completamente inutile.

Infatti, anche le Corti di appello non potranno fare altro che uniformarsi a quanto stabilito dalla Cassazione o dalla Corte di Lussemburgo. E allora, valeva davvero la pena fare tutto questo? Qual è il senso, se non mandare l’ennesimo avvertimento ai magistrati?

Ma sbaglieremmo di grosso a ridurre la questione a una mera manifestazione di rabbia: dietro c’è un’assoluta convinzione che sia giunto il momento di saldare i conti con un soggetto istituzionale avverso, la magistratura, e con la stessa struttura dello Stato di diritto.

Un sistema concepito da Montesquieu e recepito dalla Costituzione, visto come un inutile ostacolo, una pietra d’inciampo tra il flusso di volontà del popolo e quello del leader di turno che non ha bisogno di mediazione. L’orizzonte di riferimento è rappresentato dall’Ungheria di Viktor Orbán e dall’America di Trump e di Capitol Hill.

Quanto questo cupo epilogo sia stato influenzato dalla stessa magistratura ai tempi di Mani Pulite, e quanto quell’esperienza, nella sostanza, abbia avuto conseguenze destabilizzanti per le istituzioni, lo dirà, si spera, la storia in tempi migliori di questi.

Oggi, non resta che augurarsi che tutti comprendano l’importanza di essere e di dirsi garantisti.