Meloni non la racconta giusta sulle agenzie di rating (pagellapolitica.it)

di Carlo Canepa

La dichiarazione
«Le agenzie di rating per la prima volta, due agenzie di rating, per la prima volta hanno rivisto in positivo le stime sull’Italia. Dal 1989 questa cosa è accaduta tre volte in Italia»
Fonte: Porta a Porta – Rai 1 | 30 ottobre 2024
Verdetto sintetico

Questa cosa è avvenuta più volte rispetto al numero indicato da Meloni.

Il 30 ottobre, ospite a Porta a Porta su Rai1, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che l’Italia è riuscita «a invertire totalmente la tendenza» per quanto riguarda la crescita economica. A sostegno di questa sua tesi, la leader di Fratelli d’Italia ha dichiarato che due agenzie di rating «per la prima volta hanno rivisto in positivo le stime sull’Italia». Secondo Meloni, «dal 1989 questa cosa è accaduta tre volte» nel nostro Paese.

Non è chiaro come queste due dichiarazioni possano stare insieme. Da un lato, la presidente del Consiglio sostiene che durante il suo governo, «per la prima volta», due agenzie di rating hanno cambiato il giudizio sulla solidità economica dell’Italia. Dall’altro lato, dice che una cosa simile è successa già «tre volte» negli ultimi 35 anni.

Al di là di questa osservazione, abbiamo verificato che, in realtà, le agenzie di rating hanno modificato in positivo le loro stime sull’economia italiana più di tre volte negli ultimi 35 anni.

I pareri delle agenzie di rating

Come abbiamo spiegato di recente in un altro fact-checking, le agenzie di rating sono istituti finanziari privati che valutano la solvibilità di Stati o aziende, ossia forniscono un giudizio sulla loro capacità di ripagare i debiti (le tre agenzie più famose sono Moody’sStandard & Poor’s e Fitch ratings).

Questo giudizio è espresso attraverso un rating, un punteggio su una scala di valutazione che va da livelli più alti di affidabilità a quelli più bassi. Più si scende nella scala di rating, maggiore è il rischio di insolvenza di un Paese. Di solito il rating più alto è l’AAA, ma i nomi dei gradi cambiano leggermente da agenzia ad agenzia.

Le agenzie pubblicano anche gli outlook, ossia le previsioni sull’andamento futuro dei rating. Un outlook può essere negativo, stabile e positivo: come suggeriscono gli aggettivi, questo parametro indica la possibile direzione in cui il rating potrebbe muoversi nel medio termine. Per intenderci, un outlook negativo suggerisce che il rating potrebbe essere abbassato in futuro, mentre un outlook positivo lascia prevedere un possibile miglioramento, seppure non sicuro.

Durante il governo Meloni, che si è insediato il 22 ottobre 2022, due agenzie di rating hanno cambiato l’outlook dei titoli di Stato italiani, ma non il rating. Lo scorso 18 ottobre Fitch ha confermato il rating BBB per l’Italia (questo rating è due gradini sopra al livello “spazzatura” assegnato ai titoli di Stato dei Paesi su cui diventa più rischioso investire), ma ha rivisto al rialzo l’outlook da stabile a positivo.

Lo stesso giorno Standard & Poor’s ha confermato sia il rating BBB per l’Italia (due gradini sopra il livello “spazzatura”) sia l’outlook stabile, rimasto lo stesso assegnato a luglio 2022, durante la crisi del governo Draghi e prima dell’insediamento del governo Meloni.

A novembre 2023, invece, Moody’s ha alzato l’outlook da negativo a stabile, mentre lo scorso maggio ha confermato il rating Baa3 per l’Italia (un gradino sopra al livello “spazzatura”). La nuova valutazione di Moody’s è attesa per il prossimo 22 novembre.

Ricapitolando: Meloni ha ragione quando dice che durante il suo governo «due agenzie di rating» – Fitch e Moody’s – «hanno rivisto in positivo le stime sull’Italia». Ma davvero «dal 1989» una cosa simile è successa solo «tre volte»?

Che cosa è successo in passato

Il Grafico 1 mostra l’andamento del rating e dell’outlook assegnato da Standard & Poor’s all’Italia dal 1988 a oggi. I pallini verdi rappresentano un outlook positivo, mentre i pallini rossi un outlook negativo. Quando la linea azzurra scende di un gradino, il rating dell’Italia peggiora; quando sale, il rating migliora. Viceversa se sale, significa che il rating è migliorato.
Dal grafico si vede che Standard & Poor’s ha aumentato il rating del nostro Paese una volta, a ottobre 2017, durante il governo Gentiloni. L’outlook, invece, è stato rivisto al rialzo quattro volte, l’ultima a ottobre 2021, durante il governo Draghi.
Grafico 1. Andamento del rating e dell’outlook assegnati all’Italia da Standard & Poor’s – Fonte: World Government Bonds

(Grafico 1. Andamento del rating e dell’outlook assegnati all’Italia da Standard & Poor’s – Fonte: World Government Bonds)
Dal 1989 Moody’s ha aumentato il rating al nostro Paese due volte: a luglio 1996, durante il governo Ciampi, e a maggio 2002, durante il secondo governo Berlusconi. L’outlook è stato rivisto al rialzo tre volte, l’ultima a novembre scorso.
Grafico 2. Andamento del rating e dell’outlook assegnati all’Italia da Moody’s – Fonte: World Government Bonds

(Grafico 2. Andamento del rating e dell’outlook assegnati all’Italia da Moody’s – Fonte: World Government Bonds)
Infine, Fitch ha rivisto al rialzo il rating dell’Italia due volte negli ultimi trent’anni: a giugno 2002 e a dicembre 2021. L’outlook è stato migliorato due volte, l’ultima volta il 18 ottobre scorso.
Grafico 3. Andamento del rating e dell’outlook assegnati all’Italia da Moody’s – Fonte: World Government Bonds

(Grafico 3. Andamento del rating e dell’outlook assegnati all’Italia da Moody’s – Fonte: World Government Bonds)
Ricapitolando: dal 1989 a oggi, le tre principali agenzie di rating hanno aumentato il rating dei titoli di Stato italiani cinque volte e rivisto l’outlook al rialzo sette volte (senza considerare i due miglioramenti registrati durante il governo Meloni). In conclusione, sia il rating che gli outlook sull’Italia sono stati migliorati più volte rispetto alle «tre» sole indicate da Meloni.

Il verdetto

Secondo Giorgia Meloni, durante il suo governo due agenzie di rating «hanno rivisto in positivo le stime sull’Italia», una cosa avvenuta solo «tre volte» dal 1989. Abbiamo controllato e la presidente del Consiglio non la racconta giusta.

Durante il governo Meloni, Fitch ha rivisto l’outlook dell’Italia da stabile a positivo, mentre Moody’s l’ha aumentato da negativo a stabile. Nessuna delle due ha modificato il rating, mentre Standard & Poor’s ha mantenuto invariato sia il rating sia l’outlook.

Dal 1989 fino all’insediamento del governo Meloni, le tre principali agenzie di rating hanno aumentato il rating dei titoli di Stato italiani cinque volte e rivisto l’outlook al rialzo sette volte.

Landini ha sbagliato libro (italiaoggi.it)

di Michele Magno

Apprezzerebbe un autore che ha l'opposto 
delle sue idee

Forse affidandosi al solo titolo, vuol regalare a Meloni «L’uomo in rivolta» di Camus

Caro direttore, mentre si stanno ancora versando (giustamente) fiumi di inchiostro sulla vittoria di Donald Trump, mi consenta di spendere poche parole su un piccolo fatto, che tuttavia in qualche misura denota la modestia del dibattito pubblico nel nostro paese.

Durante lo sciopero dei trasporti di venerdì scorso (il venerdì è d’obbligo per garantire un weekend lungo), Maurizio Landini ha ribadito che ci vuole «una rivolta sociale perché è in discussione la libertà di esistere delle persone» . Il segretario generale della Cgil, inoltre, ha annunciato che avrebbe regalato a Giorgia Meloni «L’uomo in rivolta» di Albert Camus.

Ora, lasciamo stare il linguaggio protogruppettaro, che mal si addice al capo di un sindacato che è diventato una grande, responsabile e democratica organizzazione grazie a leader come Giuseppe Di Vittorio, Luciano Lama e Bruno Trentin. Andiamo, invece, al merito delle sue dichiarazioni.

Non so se Landini sia «pronto a occupare le fabbriche», come diceva circa dieci anni fa quando era segretario della Fiom i metalmeccanici della Cgil. Né ha chiarito se è pronto a occupare anche le Camere, Palazzo Chigi, i ministeri, Confindustria, la Rai, le scuole. So però, ma forse lui non se n’è accorto, che in realtà una sorta di «rivolta sociale» in Italia è in corso già da tempo.

È cominciata nel 2020 con il blocco dei licenziamenti imposto a un accondiscendente presidente del consiglio (Giuseppe Conte). La sua abolizione, qualcuno forse lo ricorda, fu duramente avversata dalla Cgil e dalla Uil agitando lo spettro di uno tsunami di licenziamenti. Solo che gli impieghi stabili da allora sono aumentati e quelli precari sono diminuiti (dati Istat, Bankitalia e Inps).

Quella rivolta è poi proseguita con una raffica di scioperi nei servizi pubblici e di scioperi generali, che hanno preso in ostaggio gli utenti e che spesso hanno riempito le piazze, ma non hanno svuotato i luoghi di lavoro. Non basta. Nel costosissimo elenco di rivendicazioni, illustrato dalla Cgil nell’audizione parlamentare sulla legge di Bilancio, compare nuovamente il blocco dei licenziamenti. Richiesta che all’epoca della pandemia poteva avere un senso, ma che nel tempo presente è palesemente strampalata.

Vengo al secondo e ultimo punto. Chiuque conosca anche solo superficialmente la letteratura sul dono, non può ignorare il suo significato ambivalente. Il termine «gift» vuol dire infatti dono in inglese, ma veleno in tedesco. Fiabe e miti sono pieni di doni avvelenati, che portano, se non proprio alla rovina, sfortuna a chi li riceve.

Basta ricordare il cavallo di Troia, il vaso di Pandora, il pomo di Adamo, il bacio di Giuda, la mela di Paride e quella della strega di Biancaneve. Forse il libro di Camus promesso alla premier da Landini non è un dono avvelenato, ma, nonostante lo sfoggio di cultura apprezzabile, non ci azzecca niente con la sua idea di rivolta sociale.

Pubblicato nel 1951, L’homme révolté creò una spaccatura insanabile nell’avanguardia intellettuale francese che si proclamava «engagée» impegnata. Il suo esponente più brillante e autorevole, Jean-Paul Sartre, guardava con interesse all’esperimento sovietico e predicava, nei confronti del partito comunista francese, una sorta di «compagnonnage critique».

Una scelta delicata di fronte ai rigori dello stalinismo, ai suoi processi politici e alle sue «purghe» nei campi di concentramento. Ma che l’autore de L’étranger se ne servisse per concludere che la rivoluzione, proprio perché autorizzava quelle misure, si autodistrugge fino a ridursi a ignobile crimine e a follia omicida, Sartre non riusciva a mandarlo giù. Di qui la rottura clamorosa e (verbalmente) violenta col suo vecchio amico e compagno di lotta.

Caro direttore, a differenza di altri opinionisti non mi interessa conoscere qual è il progetto politico di Landini (se ne ha uno). Se ambisce o meno, a colpi di scioperi, referendum (dal Jobs Act all’autonomia differenziata) e slogan a effetto, a diventare un «punto di riferimento fortissimo delle forze progressiste».

Ne abbiamo già avuto uno, impalmato dal Pd, e abbiamo visto che fine ha fatto. Mi interessa piuttosto che il sindacato maggioritario italiano, nel quale ho trascorso buona parte della mia vita, riconquisti la sua tradizionale saggezza e capacità di proposta, e un ruolo da protagonista nell’era dell’intelligenza artificiale. E presumo di non essere l’unico.