150.000 posti di lavoro in Germania minacciati con Trump vincente (bild.de)

di Lena Campanaro, Nils Heisterhagen

Gli esperti economici avvertono

Come i presidenti avrebbero un impatto sui portafogli dei cittadini tedeschi.

Azioni

► Trump: I mercati azionari potrebbero gioire in un primo momento. Il motivo: Trump vuole una riduzione delle imposte sulle società, il che significa maggiori profitti per gli azionisti. Il capo economista di Commerzbank, il dottor Jörg Krämer (58 anni), ha dichiarato a BILD: “Anche i proprietari tedeschi di azioni statunitensi ne trarrebbero beneficio”.

A lungo termine, tuttavia, gli svantaggi superano gli svantaggi: i dazi di Trump probabilmente provocheranno contro-dazi. “Questo potrebbe indebolire la divisione internazionale del lavoro e persino innescare una guerra commerciale”. Anche le aziende e gli azionisti tedeschi ne risentirebbero.

Una vittoria di Trump potrebbe inizialmente dare una spinta ai mercati azionari, ma avere conseguenze negative a lungo termine

(Una vittoria di Trump potrebbe inizialmente dare una spinta ai mercati azionari, ma avere conseguenze negative a lungo termine Foto: AP)

Harris: Per il democratico, è il contrario: prevede un aumento delle tasse sulle società, che inizialmente potrebbe deprimere i prezzi delle azioni. A lungo termine, tuttavia, Krämer si aspetta “più stabilità”, poiché Harris non inizieranno una guerra commerciale con noi.

Lavoro

Trump: L’IW di Colonia ha calcolato cosa significherebbero per noi i piani tariffari di Trump: se aumentasse i dazi sui prodotti europei fino al 20% e Bruxelles rispondesse con contromisure, il prodotto interno lordo della Germania potrebbe ridursi di ben 180 miliardi di euro entro il 2028.

Si tratterebbe di una media di 2170 euro in meno in ogni portafoglio. Peggio ancora, la Germania è minacciata di una perdita fino a 151.000 posti di lavoro.

Se Trump dovesse effettivamente introdurre le tariffe, sarebbe “un problema per la Germania come paese esportatore”, ha detto Krämer. L'”industria automobilistica già malconcia” ne risentirebbe in modo particolare.

Martin Moryson (Chief Economist Europe presso l’asset manager DWS) a BILD: “Anche se i dazi non arriveranno come precedentemente annunciato, sconvolgeranno gli investimenti. Le aziende attendono le loro decisioni di investimento fino a quando non avranno chiarezza. Questo può richiedere molto tempo con Trump, fino a quattro anni”.

"L'elezione di Harris non significa che la Germania possa stare a guardare", dice l'economista Krämer

(“L’elezione di Harris non significa che la Germania possa stare a guardare”, dice l’economista Krämer Foto: KENT NISHIMURA/Getty Images via AFP)

► Harris: Uno studio della Fondazione Hans Böckler avverte che se continuerà il corso del suo predecessore Joe Biden (81), potrebbe mettere a dura prova anche il mercato del lavoro tedesco. Questo perché gli Stati Uniti stanno attirando industrie ad alta intensità energetica nel paese con sussidi giganteschi.

Lo scenario peggiore: le aziende migrano. Krämer a BILD: “Questa distorsione della concorrenza rimane, non puoi ingannare te stesso”.

Quale futuro per i tuoi soldi?

Nel complesso, gli economisti di Harris si aspettano “deficit più bassi, inflazione e tassi di interesse più bassi”. L’economista Max Krahe del Future Department Institute ha detto a BILD: “Quindi i rendimenti dei risparmi rimarranno come sono ora, ma i mutui non diventeranno più costosi”.

Con Trump, d’altra parte, potrebbero esserci “deficit più alti, più crescita, più inflazione e tassi di interesse più alti”. Quest’ultimo potrebbe estendersi all’Europa, rendendo i mutui più costosi ma allo stesso tempo aumentando il rendimento dei risparmi, secondo Krahe.

Risultato

Il verdetto del capo economista di Commerzbank Krämer: “Harris sarebbe meglio per la Germania di Trump. Ma con lei non c’è il sole”.

Un altro sciopero (corriere.it)

di Massimo Gramellini
IL CAFFÈ DI GRAMELLINI

Ha ragione de Bortoli: i primi che avrebbero diritto di rivoltarsi, in questo Paese, sono i milioni di cittadini costretti a subire gli effetti dei continui scioperi selvaggi del trasporto pubblico.

La logica dello sciopero è di infliggere un danno economico e di reputazione al datore di lavoro (in questo caso il governo), mentre così si finisce per rafforzarlo. So bene che in un mondo ideale dovrebbe scattare la solidarietà tra utenti e manifestanti, ma nel mondo reale (quello, per intenderci, dove vincono i Trump) ciascuno finisce per mettere davanti i propri interessi.

Puoi anche sentirti spiritualmente vicino al bigliettaio vessato e all’autista sottopagato, ma se poi lo sciopero selvaggio trasforma il tuo tragitto casa-lavoro in un’impresa epica, farai fatica a tifare per chi, pur dicendo in buona fede di voler creare un disagio a Salvini, nei fatti lo sta procurando a te.

Il diritto di sciopero è sacrosanto e intoccabile, però mi si conceda una provocazione: agli scioperanti non converrebbe affiancare forme di protesta più moderne e anche più furbe? Se ieri i mezzi pubblici avessero funzionato regolarmente ma gratuitamente, cioè se i manifestanti avessero aperto i tornelli ed evitato di controllare i biglietti, avrebbero ottenuto il loro scopo — danneggiare la controparte — senza inimicarsi la clientela.

Ci sarebbero stati strascichi legali? Sicuramente, e per qualche tempo, ma la storia insegna che ogni cambiamento comincia con un attrito e finisce con un accordo.

Fare propaganda anti Meloni vuol dire soffiare sugli spiriti partigiani: cambiamenti strutturali avviati solo da governi Renzi e Draghi (ilriformista.it)

di Claudio Velardi

Caro Mario,

parto dalle tue conclusioni, con le quali (ohibò!) concordo: due anni dopo siamo al punto di partenza.

Nel senso che nessun problema strutturale del paese è stato finora affrontato dal governo in carica con il passo necessario, che dovrebbe avere la potenza e la velocità di un razzo di Musk. Perché il nostro paese, tra quelli europei, ha il più basso tasso di crescita della produttività non da ieri, ma dal 2000 (0,4% contro l’1,5% medio del continente).

E la vecchia Europa (il cui PIL, da qui a 20 anni, scenderà dal 15% al 10/12% del PIL globale) è l’epicentro dell’Occidente aggredito, oltre che da chi ci fa direttamente la guerra, dal mondo BRIC che cresce alla velocità della luce.

I dati fuorvianti

In questo quadro, che vuoi che faccia il governo Meloni? Certo, neppure ci prova. Si balocca con dati fuorvianti, il principale dei quali – quasi l’unico – è che l’occupazione italiana cresce (vero), ma è mal pagata e sempre meno qualificata, con i giovani bravi che scappano via dal paese; altri dati incoraggianti non ne conosco.

Mentre il governo, nelle sue varie articolazioni, sa usare, con addestrata esperienza, i più classici argomenti securitari (immigrati alle porte, città insicure, cancerose nostalgie verso un passato idealizzato) per dirottare le paure generate dalle trasformazioni (digitalizzazione, tecnologie, IA… Insomma la modernità in marcia) verso obiettivi di comodo: l’”altro” da noi, il diverso pronto a scardinare la nostra civiltà, e la solita sinistra nemica della triade Dio-Patria-Famiglia, emissaria delle élites che non si rassegnano al governo degli underdogs (e poco male se, al di là della Meloni, parecchi di questi underdogs sono brocchi veri).

Solo governi Renzi e Draghi avviato cambiamenti strutturali

Bene, qui finisce la filippica, buona per riempire il vuoto delle chiacchiere tra conoscenti perbene. E poi? Poi, per onestà, dobbiamo anche dirci che nei 25 anni di non-crescita e progressiva depressione dell’Italia ci sono stati governi di centro-sinistra (o tecnici equiparabili) per una dozzina d’anni e di centro-destra per 10.

E, sempre per onestà, dobbiamo aggiungere che nessun governo ha messo in moto nessuno di quei cambiamenti strutturali indispensabili (da fondare sulla triade libertà-mercato-mondo, altro che quell’altra…). Salvo (giudizi miei) il governo Renzi, scalzato per la sua ingenua arroganza giacobina, e il breve regno del supertecnico Draghi, che personalmente ancora rimpiango.

Tu potresti controbattere che questo è il passato, e che – visti i risultati non brillanti della Meloni – sarebbe comunque il caso di puntare, magari a breve, a costruirle un’alternativa, iniziando a pressarla su quello che non fa, mettendo su una coalizione alternativa ragionevole, un programma credibile e bla bla bla… Ma mi parleresti di cose che palesemente non si stanno facendo, dalle parti di Elly e della sua squinternata band.

E comunque il punto, caro Mario, non è neppure questo: il fixing dei rapporti tra Schlein, Conte, Fratoianni, Renzi &C è l’ultimo dei problemi, a mio avviso. Il punto è che, dopo 25 anni di incalzante trasformazione del mondo e di parallelo declino dell’Italia, si può legittimamente arrivare alla conclusione (provvisoria come tutte le cose della vita, ma al momento piuttosto condivisa nel comune sentire) che non è dall’alternarsi di coalizioni e partiti che ci si può aspettare un cambio di rotta, un’inversione di tendenza del piccolo pezzo di pianeta che abitiamo.

Dopo 25 anni dare stabilità e credibilità a sistema Italia

L’unica remota possibilità di migliorare le cose, sul medio-lungo periodo, sarebbe dare al sistema-Italia un minimo di stabilità e credibilità in più, magari unendo le forze, non organizzando gli eserciti contrapposti: ma questo, più che una speranza, è un sogno.

Mentre la sfida più concreta, stimolante e appassionante – almeno secondo me – sta nel costruire, giorno dopo giorno, la cultura diffusa, cosmopolita e moderna delle casematte della società civile (niente egemonia, dio scampi…), che – sole – possono far sperare in una crescita del paese reale.
Di qui la conclusione. Che si dica che il governo Meloni è “così così”, è splendido o fa schifo, non cambia le cose, neppure di un ette.

Le sorti di Giorgia dipenderanno da come riuscirà a districarsi nel caos crescente di casa sua, e dalla quantità di elettori/tifosi che andranno alle urne e, quando sarà il momento, decideranno. Ma, anche a questo fine, che si alzi la voce e si sparga una parola di propaganda in più contro il suo governo, non significa conquistare consensi ma solo soffiare sui bollenti spiriti dei partigiani.

Che continueranno, contenti loro, ad andare in cerca di qualche rivincita e non della soluzione dei problemi. Ma quella è una partita che non può appassionare i riformisti.

Firmato il contratto degli statali: aumento di 165 euro, settimana di 4 giorni e smartworking articolato (lastampa.it)

di Francesca Del Vecchio

L’accordo è stato sottoscritto dalla Cisl-Fp e 
dai sindacati autonomi Confsal Unsa, Flp e 
Confintesa Fp. 

Il no di Fp-Cgil e Uil-Pa

Firmato all’Aran – con una spaccatura tra i sindacati – il rinnovo del contratto 2022-24 del comparto Funzioni centrali, che interessa circa 195mila dipendenti dei ministeri, delle agenzie fiscali, degli enti pubblici non economici tra cui Inps e Inail. L’accordo è stato sottoscritto dalla Cisl-Fp e dai sindacati autonomi Confsal Unsa, Flp e Confintesa Fp, no invece da Fp-Cgil e Uil-Pa.

Le sigle firmatarie raggiungono la maggioranza del 54,6%. Il contratto prevede un incremento retributivo medio di 165 euro al mese, per tredici mensilitàA questi incrementi economici si aggiungono circa mille euro di arretrati medi mensili, calcolati al dicembre 2024.

Tra le principali novità, la possibilità della settimana corta, su quattro giorni: in via sperimentale e volontaria mantenendo le 36 ore settimanali, comportando ovviamente una giornata lavorativa più lunga, pari a nove ore più la pausa, oltre al riproporzionamento di ferie e permessi giornalieri.

Si tratta di una prima sperimentazione, che le amministrazioni possono decidere di attuare su base volontaria e con l’assenso del lavoratore, fermi restando i servizi da erogare.

«In pratica – evidenzia il presidente Aran – un’ulteriore norma di flessibilità che si aggiunge alla possibilità di fare smart working in modo più articolato a seconda delle esigenze delle amministrazioni, con la quota di lavoro agile che può superare anche la presenza in servizio».

Lo afferma Antonio Naddeo, presidente Aran, al termine dell’incontro con i sindacati che ha portato alla sottoscrizione del nuovo contratto per il pubblico impiego. «Tra le novità – sottolinea Naddeo – una maggiore valorizzazione del ruolo delle relazioni e della partecipazione sindacale e l’introduzione di una norma – già molto dibattuta a livello mediatico – che avvia la sperimentazione di una rimodulazione su quattro giorni, invece che su cinque, dell’attuale orario di lavoro di 36 ore settimanali, comportando ovviamente una giornata lavorativa più lunga, pari a nove ore più la pausa, oltre al riproporzionamento di ferie e permessi giornalieri.

«Innovativa – prosegue Naddeo – l’introduzione dell’age management, che stimola le amministrazioni a tenere in considerazione le diverse età dei dipendenti, con il duplice obiettivo di avviare un nuovo patto intergenerazionale, valorizzando al meglio chi ha maggiore esperienza, attraverso il “mentoring”, nei confronti dei più giovani, ma allo stesso tempo permettendo di attivare un “reverse mentoring” verso i più anziani, per esempio, sulle competenze digitali. Nel testo si rivolge, inoltre, una particolare attenzione nella contrattazione integrativa per i nuovi assunti. In particolare con specifiche indennità, lavoro agile e welfare aziendale».

Conclude Naddeo: «siamo chiamati a ridefinire un nuovo orizzonte alla Pubblica amministrazione e a rendere più attrattivo il lavoro, e sono certo che queste norme possono veramente avviare il cambiamento, iniziato con il precedente contratto firmato poco più di due anni fa, valorizzando le persone che ogni giorno garantiscono all’Italia servizi e competenze».

Oddio, non mi starete dicendo che le idiozie dei buoni hanno perso le elezioni? (linkiesta.it)

di

Ma pensa te

Cuoricini sui post pieni e urne vuote anche stavolta. Come sempre, da una parte gli autocertificati intelligenti, dall’altra i vincitori

Oddio, non mi starete mica dicendo che, ancora una volta, cuoricini sui post pieni e urne vuote, ancora una volta vale quel che scriveva otto anni fa Jon Ronson della Brexit, «mentre la sinistra li irrideva, loro vincevano», non mi starete dicendo che potrei non incomodarmi a scrivere un articolo nuovo e limitarmi a ricopiare la me che nel 2016 scriveva «da una parte tutti gli autocertificati intelligenti, dall’altra i risultati elettorali»? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che ancora una volta tocca dire che Aaron Sorkin ci aveva visto lunghissimo, e andare a recuperare su Sky quell’inizio di “Newsroom” che nel 2012 ci folgorò ma che poi abbiamo deciso fosse troppo trombone per dire che ci piaceva, e invece aveva ragione Will McAvoy: «Lo sai perché alla gente non piace la sinistra? Perché perde. Se sono così intelligenti, come cazzo è che perdono sempre?». Ma tu pensa.

Oddio, non mi starete mica dicendo che ha ragione Thomas Chatterton Williams quando scrive che il problema è il prezzo che elettori d’ogni genere ed etnia vogliono far pagare ai democratici non per le loro idee ma per quanto sono stati indulgenti nel 2020 con ogni genere d’invasato, da quelli di «Defund the police» in su e in giù? Ma tu pensa. 

Oddio, non mi starete mica dicendo che il parrucchiere che mi ha asciugato i capelli martedì pomeriggio, un cinese che parla in dialetto veneto, uno che certo non è abbonato al New York Times e sospetto non legga mai neanche un giornale italiano, ma mi ha detto «credo che vinca Trump perché è più attento all’economia», non mi starete mica dicendo che il parrucchiere venticinquenne capisce il mondo più degli editorialisti? Ma tu pensa. 

Oddio, non mi starete mica dicendo che, nella nazione che a quelli che erano schiavi fino a un attimo prima, gli uomini neri, ha dato il diritto di voto cinquant’anni prima di decidersi a darlo alle donne, non mi starete mica dicendo che in quella nazione lì piuttosto che votare una donna votano un anziano teppista miliardario? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che facevo bene a ridere in faccia a tutti quelli che per mesi mi hanno spiegato che Taylor Swift spostava voti, che in fantastiliardi s’erano iscritti a votare dopo il suo appello, che se la cantante preferita ti dice di votare così tu, diamine, la ascolti, non mi starete dicendo che l’idea dell’egemonia swiftiana sulle elezioni dimostrava scarsa contezza del reale? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che aveva ragione quel mio amico che, vista la conversazione tra Joe Rogan e Donald Trump, aveva commentato «ci mancava solo che si mettessero a giocare con le macchinine: le donne in quel loro mondo non esistono proprio», e che tuttavia il mondo maschile nel quale le donne sono fuori posto si estende ben oltre lo studio di Rogan, da “Tintoria” a “Propaganda”, e all’elettorato quel mondo delle stanze dei giochi separate non dispiace più di tanto, e le donne se ne catafottono se il conduttore non ha argomenti di conversazione con loro, le donne vogliono anche loro pagare meno tasse? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che, quando J.D. Vance dice «domani portiamo fuori l’immondizia, e il nome dell’immondizia è Kamala Harris», e la conduttrice di Msnbc sgrana gli occhioni e fa rimandare in onda tre volte il filmato, e poi dice che la corsa dei repubblicani finisce lì, perché noi donne siamo abituate alle vessazioni, ma non potete chiamarci spazzatura, non mi starete mica dicendo che a quel punto il pubblico pensa «ma è una risposta al “garbage” di Biden, cosa c’entra che la candidata è una donna», non mi starete mica dicendo che la corsa non finisce quando lo dice la tipa alla tele? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che mentivano, o che non avevano capito il mondo, tutte le intellettuali che da settimane ci spiegavano che stavolta non ce n’era per nessuno, stavolta anche l’Iowa da sempre repubblicano lo vincerà Harris, lo dice anche la più brava sondaggista in circolazione, ma è ovvio sia così, le donne sull’aborto si compattano, le mogli votano Harris di nascosto dai mariti, l’ha detto anche Julia Roberts, vuoi non credere alle analisi politiche delle attrici? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che l’elettorato bada più a quanto costi il latte che alle brutte cose che i maschi repubblicani dicono alle avversarie politiche, più all’inflazione che al non binarismo di genere, più all’economia che ai pronomi? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che il metodo che da sempre funziona per i mariti che menano le mogli, quello «torna da me, cara, questa volta sarà diverso», non ha funzionato quando la candidata del partito che non aveva finora fatto una legge sull’aborto ha spiegato a quella moglie perpetuamente menata che è l’elettorato che solo votando lei ci sarebbe infine stata una legge sull’aborto, non mi starete mica dicendo che «mi piaccion le fiabe, raccontane altre» non è una strategia politica vincente? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che l’America non è fatta a forma della Ethical Culture Fieldstone School, che per sessantacinquemilacinquecentoquaranta dollari l’anno dà i compiti a casa ai vostri puccettoni ogni giorno dell’anno scolastico tranne martedì, e li interroga ogni giorno tranne ieri, perché lo stress elettorale è troppo, e anzi se volete stare a casa un giorno siete giustificati, e comunque ci sarà lo psicologo tutta la settimana.

Jerry Seinfeld, due dei cui figli erano iscritti alla Fieldstone, gli ha cambiato scuola, dicendo al New York Times che per una retta dall’importo immorale insegnano ai loro studenti a essere tremebondi invece di affrontare la vita. Mi state dicendo che il trauma che le elezioni provocano a un liceale non è un’idea convincente per alcuni rispettabili genitori di sinistra? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che Donald in arancione, con la divisa dei netturbini addosso, che dice al pubblico del comizio che non se l’è tolta perché gli hanno detto che lo fa più magro, è più in sintonia con l’elettorato e le sue preoccupazioni estetiche di quanto lo sia la figliastra di Kamala Harris su Vogue? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che, quando Obama nei comizi a sostegno della Harris diceva che McCain sì che era un gran signore, McCain sì che era un politico serio, McCain sì che nel 2008 era stato un avversario valido, McCain sì che era come i repubblicani dovrebbero essere, non mi starete dicendo che ogni volta l’elettore medio, quello che sta a casa davanti alla tele e non al comizio di Obama a sventolare bandierine, l’elettore medio pensava esattamente la cosa che pensavo io, e quella cosa era «e infatti John McCain ha perso»? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che nel paese in cui le donne fino al 1974 non potevano aprirsi un conto corrente senza la firma del padre o del marito, fino al 1920 non avevano il diritto di voto, nel 2024 non hanno il congedo di maternità retribuito per legge ma solo per generosità di alcune aziende, ma in compenso il partito di sinistra si è molto speso perché chi vuol essere chiamata «signorina» lo sia anche se ha il cazzo, non mi starete dicendo che in quel paese lì è più probabile che nel 2028 il partito democratico chieda di candidarsi a Biden che a una donna, dopo che Trump le donne le ha battute in due diverse elezioni e pare chiaro che candidare una donna sia un bel gesto dal non bellissimo esito? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che la donna indiana che queste elezioni hanno portato a presenziare alla cerimonia d’insediamento del 20 gennaio è la moglie di J.D. Vance e non quella di Doug Emhoff? Ma pensa te.

Oddio, non mi starete mica dicendo che ha di nuovo ragione James Carville. James Carville, «il più sveglio figlio di puttana a essersi mai guadagnato da vivere in questo settore», James Carville che nel 1992 fece del governatore dell’Arkansas un presidente, James Carville che Bill Clinton lo fece vincere con lo slogan con cui si può spiegare ogni elezione, «It’s the economy, stupid», James Carville sul quale c’è un nuovo documentario, girato da quel gran genio di Matt Tyrnauer (il regista di “Valentino – The last emperor”).

Non mi starete mica dicendo, ma pensa te, che già solo dal titolo del documentario, senza neanche bisogno di vederlo, avremmo dovuto rimettere in ordine le priorità. “Winning is everything, stupid”.

Oddio, non mi starete mica dicendo ma noi siamo per il bel gioco, per il vincere pulito, per il vincere dicendo le cose giuste, per il bon ton, per le giuste cause anche quelle di cui all’elettorato frega niente nientissimo, non mi starete mica dicendo che ancora una volta pensavate che, in condizioni normali, vincessero i buoni, e non quello cui piace la fi’, la so’, la fre’ più delle opere di Brecht? Ma pensa te.

(Peter Herrmann)