L’Italia ha un numero di morti sul lavoro più alto della media Ue (pagellapolitica.it)

di CARLO CANEPA

LA DICHIARAZIONE
«Anche a livello europeo, il nostro Paese ha un solo indicatore sopra la media Ue per gli infortuni, quello relativo ai morti. Ma questo perché l’Italia ha inserito il Covid tra le cause di infortunio sul lavoro, a differenza della stragrande maggioranza degli altri Paesi. Infatti, prima della pandemia eravamo al di sotto della media europea»
FONTE: LA STAMPA| 13 APRILE 2024

Il 13 aprile, in un’intervista con La Stampa, la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Elvira Calderone ha commentato l’incidente del 9 aprile nella centrale idroelettrica di Bargi, dove sono morte sette persone, e ha parlato di quanto sia diffuso il fenomeno delle morti sul lavoro in Italia.

«I numeri vanno letti con attenzione», ha detto Calderone. Secondo la ministra, infatti, l’Italia ha più morti sul lavoro rispetto alla media europea solo perché ha inserito la Covid-19 «tra le cause di infortunio sul lavoro». Questa tesi sarebbe supportata dal fatto che «prima della pandemia eravamo al di sotto della media europea», ha aggiunto la ministra. In realtà i numeri dicono il contrario.

I morti sul lavoro nell’Ue

Le statistiche sulle morti sul lavoro nei 27 Paesi membri dell’Unione europea sono raccolte periodicamente da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Ue. I dati più aggiornati sono stati pubblicati a ottobre e fanno riferimento al 2021.

Per evitare confronti poco attendibili, quando si paragonano i numeri delle morti sul lavoro tra i vari Stati europei bisogna considerare almeno due fattori. Il primo fattore è il numero di lavoratori: Paesi più grandi, più popolosi e con più occupati hanno un numero di morti sul lavoro più alto in valori assoluti. Il secondo fattore riguarda la diversa “pericolosità” dei settori lavorativi, che non sono rappresentati allo stesso modo nei singoli Stati.

Per esempio, le costruzioni e i trasporti sono settori con un maggior rischio di morire sul lavoro: per avere un confronto il più affidabile possibile tra i vari Paesi Ue bisogna dunque considerare quanti lavoratori sono occupati nei settori più pericolosi e in quelli meno.

Entrambi questi fattori stanno alla base di uno specifico indicatore calcolato da Eurostat: il cosiddetto “tasso standardizzato di incidenza”. Questo tasso indica il numero di morti sul lavoro ogni 100 mila lavoratori, aggiustato per le dimensioni dei singoli settori economici (per chi volesse approfondire, qui è spiegata nel dettaglio la metodologia usata per calcolare questo indicatore).

Nel 2021 l’Italia ha registrato un tasso standardizzato di incidenza pari a 3,17 morti ogni 100 mila lavoratori, l’ottavo dato più alto tra i Paesi Ue, contro una media europea pari a 2,23 (Grafico 1). Tra gli altri grandi Paesi Ue, la Francia ha un dato più alto di quello italiano (4,45), mentre Germania (1,08) e Spagna (2,49) hanno numeri più bassi. Al primo posto c’è la Lituania (5,45), all’ultimo i Paesi Bassi (0,43).

Grafico 1. Il tasso standardizzato di incidenza dei morti sul lavoro ogni 100 mila lavoratori – Fonte: Eurostat

(Grafico 1. Il tasso standardizzato di incidenza dei morti sul lavoro ogni 100 mila lavoratori – Fonte: Eurostat)
Quanto c’entra la Covid-19
Secondo Calderone, l’Italia ha un numero di morti sul lavoro superiore alla media europea perché, a differenza di altri Paesi, conteggia le morti causate dalla Covid-19. A sostegno di questa tesi, la ministra del Lavoro ha detto che «prima della pandemia eravamo al di sotto della media europea». Le statistiche di Eurostat consentono di controllare anche queste due affermazioni.

Innanzitutto, è vero che dal 2020 in poi, ossia da quando è iniziata la pandemia di Covid-19, i singoli Stati Ue hanno usato criteri diversi per catalogare le morti di persone causate dalla malattia, contratta sul luogo di lavoro.

Per esempio, l’Italia è tra i Paesi che ha riconosciuto l’infezione come causa di infortunio sul lavoro. Come spiega la stessa Eurostat in una nota metodologica, queste differenze possono aver creato problemi nel confronto tra i numeri. Va poi tenuto in considerazione che la pandemia ha ridotto le attività in alcuni settori lavorativi, mentre l’ha aumentata in altri (si pensi per esempio agli ospedali), influenzando così la dinamica del numero delle morti sul lavoro. Insomma, il 2020 e il 2021 sono stati due anni particolari.

In ogni caso, i dati precedenti all’inizio della pandemia smentiscono la tesi della ministra Calderone. Nel 2019, infatti, l’Italia ha registrato un tasso standardizzato di incidenza di 2,61 morti sul lavoro, contro una media europea di 2,17. In generale, dal 2008 in poi (ossia da quando sono disponibili i dati Eurostat), il tasso italiano è sempre stato superiore a quello europeo. Dunque non è vero che l’Italia è sopra alla media Ue solo per colpa della Covid-19.

Il verdetto

Marina Elvira Calderone ha detto che l’Italia ha un numero di morti sul lavoro superiore alla media europea perché conteggia la Covid-19 «tra le cause di infortunio sul lavoro». Secondo la ministra del Lavoro, «prima della pandemia eravamo al di sotto della media europea». Abbiamo controllato e le cose stanno diversamente.

Nel 2021 l’Italia aveva un tasso standardizzato di incidenza delle morti sul lavoro più alto della media europea. È vero che a differenza di altri Paesi, l’Italia ha conteggiato alcune morti di Covid-19 tra quelle sul lavoro, ma il dato italiano è sempre stato più alto della media europea anche negli anni precedenti alla pandemia.

Il referendum sull’articolo 18 finirà per isolare la Cgil e la Uil (italiaoggi.it)

di Marco Bianchi

L'immagine di Tafazzi, che si colpiva nelle parti 
basse con una bottiglia vuota correndo per lo 
studio di Maidiregol, 

è ben impressa nella mente di tutti gli italiani dai 40 anni in su. Da allora è diventato il simbolo dell’autolesionismo al punto da far coniare come sinonimo il termine “tafazzismo”. Ecco, in questo solco si incanalano tutti coloro che prendono posizioni che sono perse in partenza.

Per esempio, il lancio di un Referendum per il ripristino del famoso articolo18 quando l’occupazione segna record su record e vola ogni oltre più rosea aspettativa; quando il tasso di disoccupazione scende a livelli storici; quando il numero dei contratti a tempo indeterminato si avvicina al 90%; quando non si hanno notizie di una crescita esponenziale di licenziamenti e di relative impugnative.

Ecco, avere proposto questo quesito referendario può essere certamente un caso di acuto tafazzismo moderno, perché non bisogna sapere prevedere il futuro per immaginarne l’esito negativo.

Ai lavoratori interessano ben poco queste battaglie di retroguardia, politiche e politicizzate, che Landini e Bombardieri stanno insistentemente portando avanti. Non portano niente di buono, salvo che creare opposizione al Governo vista l’evanescenza di Conte e Schlein. Ma ai lavoratori non interessa per niente delle smanie di potere dei due leader sindacali.

Interessa invece guardare al futuro, pensare a come impostare la propria formazione per risultare adatti al mercato del lavoro, così da poter intercettare le opportunità che si creano. Perché il lavoro c’è, mancano piuttosto i lavoratori formati ad hoc.

È questa un’altra delle verità che si incrociano giornalmente. Ma per i due sindacalisti i problemi sono il Decreto Precarietà (così come avevano battezzato il decreto 48/23) che invece ha eliminato il Reddito di cittadinanza, facendo emergere centinaia di migliaia di lavoratori che per scelta lavoravano in nero.

Così il refrain “articolo 18, lavoro precarizzato, totale assenza di tutele e diritti” viene ripetuto come un mantra tutti i giorni. Refrain che però scivola via addosso agli italiani, impegnati piuttosto a creare posti di lavoro che fanno crescere il Paese.

E così i Tafazzi di turno saltano di microfono in microfono lanciando slogan e anatemi. E che a nessuno venga in mente di chiedere loro dove fossero negli anni scorsi, quando il precariato e la disoccupazione galoppavano e i Governi loro amici non dovevano essere disturbati con scioperi e cortei. Non risponderanno mai a questa domanda. Li impegna molto correre con la bottiglia vuota in mano, percuotendosi…ta ta ta tatatà…ta ta ta…tatatà.

La solitudine di Schlein alle Europee (però con sardina) (linkiesta.it)

di

La rappresentante di lista

Ilaria Salis candidata da Alleanza Verdi e Sinistra, lo scontro in Basilicata col Movimento 5 stelle e il rilancio di Draghi col Terzo Polo. La segretaria del Pd non sembra in grado di affrontare con forza tutti questi temi (figuriamoci con la sardina Jasmine Cristallo)

In teoria in Basilicata sono alleati a sostegno di Piero Marrese, contro il presidente uscente del centrodestra Vito Bardi, appoggiato anche dall’ex Terzo Polo. In pratica tra Elly Schlein e Giuseppe Conte, ieri entrambi in quella regione, il grande freddo congela i brutti pensieri l’una sull’altro e viceversa. Mai vista una cosa simile. La Sardegna è un ricordo lontano. Bei tempi, se paragonati a questi: in Basilicata vincere è fuori dal novero delle cose possibili, anche per come è stata gestita tutta la vicenda, tra veti, candidati improbabili, lotte interne di vario tipo.

Pure Carlo Calenda, dopo Matteo Renzi, se n’è andato con Bardi. La fine è nota. E la testa è già alle elezioni europee. Altre gatte da pelare. Per lei più che per lui, che in fondo è perennemente in una situazione win-win, anche se dovesse finire al quindici per cento non sarebbe una tragedia, e non sembra, secondo i sondaggi, che possa sprofondare verso il dieci. Ma per Elly il discorso è diverso. Sotto il venti sarebbe un problema enorme.

Lei in questo periodo appare politicamente sola, dentro e fuori il suo partito. È un momento delicato per la giovane segretaria che si trova tutti insieme i problemi di quella politique-politicienne (le liste, gli scandali) che di certo non ama. E in più ha di fronte tre avversari (oltre Giorgia Meloni, ma la presidente del Consiglio gioca in un altro campionato): di Conte si è detto, le sta con il fiato sul collo e maramaldeggia pure: «Se supero il Pd non chiederò la leadership». Il che suona anche come avvertimento destinato alla segretaria del Pd: guarda che se anche se avrai più voti di me, la questione di chi guida la baracca non è chiusa.

Poi ci sono Calenda e Renzi, divisi tra loro ma ringalluzziti dalla possibile novità europea di Mario Draghi. E infine ci mancava il duo Fratoianni-Bonelli che arruoleranno nella lista di Alleanza Verdi e Sinistra Ilaria Salis, la donna detenuta a Budapest nei modi barbari che sappiamo, un nome che era stato corteggiato anche da Schlein ma poi fatto cadere per ragioni politiche e di opportunità, ragioni che evidentemente al duo rossoverde non interessano punto, come si diceva nell’Ottocento, e che riguardano la possibilità che Salis non venga eletta, magari perché Avs non supera il quattro per cento, con tutte le conseguenze negative che si ripercuoterebbero sul suo caso.

Ma la solitudine di Schlein è anche nel suo partito, dal quale escono spifferi assai critici (non certo dichiarazioni ufficiali, siamo già in campagna elettorale) persino dalla sinistra del partito, la corrente che la votò contro Stefano Bonaccini nell’idea che si sta rivelando illusoria di un ritorno sulla tolda di comando ma oggi i big di quella corrente si sentono esclusi, scavalcati, ignorati addirittura più dei riformisti che non l’hanno mai amata ma che qualche paletto, per esempio sulla questione ucraina, l’hanno piantato.

È vero che Schlein parla con i tre-quattro fedelissimi e basta. E anche i vecchi capi, da Dario Franceschini a Goffredo Bettini, hanno molto da ridire su come Schlein affronta la fase politica: senza un’idea precisa, senza alleanze, senza popolo. Da sola, in questo grande freddo interno, Elly è riuscita a fare le liste che la Direzione approverà domenica.

Lei sarà candidata al Nord ovest, al Centro e nelle Isole. Ha cerca gente nuova ma ne ha trovata pochina, e discussa: Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Lucia Annunziata. Ah, ora c’è anche Jasmine Cristallo, al Sud. In questa difficile situazione una sardina non poteva mancare.