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Morale, sicurezza, gioventù…: come la post-fascista Giorgia Meloni sta mettendo l’Italia sotto il suo stivale (liberation.fr)

di Eric Jozsef

Divieto di rave party, 

criminalizzazione dei genitori, collocamento dei minori in carcerazione preventiva, diatribe contro l’aborto, pressioni sulla Lgbt+, contropoteri attaccati… L’estrema destra sta cambiando profondamente la società italiana.

Giorgia Meloni è arrivata alla Casa Bianca all’inizio di marzo in visita ufficiale alla Casa Bianca per un lungo incontro con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Alla fine della giornata, il Presidente del Consiglio italiano non avrebbe potuto essere più raggiante. Allineata con il sostegno occidentale all’Ucraina, partner affidabile della Nato, Giorgia Meloni è ora coccolata dall’ottuagenaria democratica, che non ha esitato, sotto l’occhio delle telecamere, a baciarla paternamente sulla testa.

Fuori dall’Italia, la leader dei post-fascisti transalpini si è così normalizzata. La donna che, al momento della sua ascesa al potere nell’ottobre 2022, ha suscitato paura e perplessità nelle cancellerie occidentali, si è inserita perfettamente nel panorama politico internazionale.

Dimenticata è la nostalgia mussolina del suo partito, le sue passate posizioni pro-Putin (“Stop alle sanzioni alla Russia”, ha sostenuto dopo l’annessione della Crimea nel 2014) e i suoi attacchi all’Unione europea. Esternamente, Giorgia Meloni sta vendendo una sorta di conservatorismo all’italiana, di destra nazionale e disinibito.

Ma nella penisola si moltiplicano le misure di sicurezza e la stigmatizzazione di alcuni gruppi della popolazione. E l’allergia ai controlli e agli equilibri è evidente. Nel novembre 2022, appena entrata in carica, Giorgia Meloni ha adottato un decreto-legge che ha voluto dare il tono alla sua azione all’insegna della repressione.

Dopo un rave party che ha riunito un migliaio di giovani per Halloween in una fabbrica in disuso vicino a Modena, il governo ha scatenato una misura radicale: pene detentive da tre a sei anni e una multa da 1.000 a 10.000 euro per gli organizzatori che hanno promosso “l’invasione di terreni e fabbricati” oltre alla confisca delle attrezzature e all’autorizzazione data alla polizia per collocare preventivamente a terra i sospetti.

Ascoltare. “Per il solo fatto di partecipare all’invasione, la pena è ridotta”, afferma vagamente il decreto legge. Alla fine del 2023, il Segretario di Stato alla Giustizia, Andrea Delmastro, ha esultato: “In un anno abbiamo spazzato via i rave party illegali”.

“Misura folle”

“Non ci sono più grandi rave party”, osserva il giornalista musicale Damir Ivic. Tutti i grandi eventi come il Teknival non passano più per l’Italia. È difficile sapere con certezza se questa sia una conseguenza della legge governativa. Ci sono ancora rave party, più piccoli, ma devono cercare di non essere scoperti”. A ottobre, circa 100 giovani, tra cui 28 minori, non sono stati così fortunati. Sono stati identificati dalle forze dell’ordine e denunciati in tribunale per essersi incontrati in un hangar di Monza. Il provvedimento sui rave party sembra quasi aneddotico, ma delineerà il modello di azione del governo: non appena una notizia o un evento sociale scuote l’opinione pubblica, l’estrema destra al potere tira fuori il bastone.

In autunno, dopo un sordido incidente, Giorgia Meloni ha introdotto una nuova serie di misure punitive. A Caivano, un sobborgo popolare di Napoli, due ragazze sarebbero state ripetutamente abusate da un gruppo di adolescenti. Il capo del governo ha rapidamente inventato un decreto-legge che prevedeva pesanti sanzioni nei confronti dei genitori i cui figli non frequentavano più il sistema scolastico, ovvero la possibile sospensione dei sussidi di disoccupazione, ma anche fino a due anni di reclusione per i genitori inadempienti.

“Si tratta di una misura folle che mostra la volontà di risolvere un problema sociale attraverso una risposta criminale. Invece di costringere i genitori ad assumersi la responsabilità fornendo loro sostegno, rispondiamo con la punizione”, ha detto Mauro Palma, ex garante nazionale per le persone private della libertà, che indica altre misure, come la possibilità di detenzione preventiva di minori per traffico di droga, anche di piccole dimensioni. In un chiaro segnale delle conseguenze del “Decreto Caivano”, l’associazione Antigone per i diritti e le garanzie nel sistema penale denuncia un forte aumento (+20%) del numero di giovani collocati nelle carceri minorili, già sovraffollate.

La mano è altrettanto pesante contro gli attivisti del collettivo Ultima Generazione (UG) che stanno portando avanti operazioni spettacolari per mettere in guardia dalla catastrofe climatica. Etichettati come “eco-vandali”, gli attivisti che lanciano vernice (“lavabile” secondo gli attivisti) sui monumenti ora rischiano una multa fino a 60.000 euro e cinque anni di carcere. Una minaccia che comincia a tradursi in condanne.

“Sono stata multata di 20.000 euro per aver incollato manifesti sulla finestra protettiva della ‘Primavera’ di Botticelli alla Galleria degli Uffizi di Firenze”, ha detto Alessandra Pipitone, 21 anni, portavoce di UG. Quanto alla dozzina di attivisti che hanno recentemente bloccato una strada a Civitavecchia, sono stati arrestati in flagranza di reato e hanno trascorso tre giorni in stato di detenzione.

Tre di loro sono già stati condannati a sei mesi di reclusione. “Le intimidazioni si moltiplicano”, dice Alessandra Pipitone, i cui genitori ricevono regolarmente visite dai servizi segreti della polizia anche se non vive più con loro.

Abolizione del reato di abuso di potere

“C’è un attacco sempre più sistematico alle iniziative e ai luoghi in cui i giovani socializzano, che si tratti di rave party, manifestazioni in difesa del clima, mobilitazioni studentesche”, osserva Paolo Notarnicola, coordinatore nazionale della Rete degli Studenti Medi, collettivo di studenti delle scuole superiori, che denuncia gli interventi pesanti delle forze dell’ordine. Alla fine di febbraio a Pisa, la polizia antisommossa ha represso violentemente una manifestazione pacifica a sostegno della Palestina.

“E’ da molto tempo, probabilmente dal G8 di Genova [nel 2001, ndr] che si vedono scene del genere, con giovani disarmati, con le mani alzate ma che, nonostante tutto, vengono duramente bastonati dalla polizia”. Di fronte a tali violenze, il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha violato la sua riserva presidenziale per denunciare pubblicamente un “fatto grave”.

“C’è stato un fortissimo aumento della lotta ai reati che preoccupano la popolazione ma che possono essere definiti minori, come l’immigrazione clandestina o i rave party, e viceversa un calo in altri ambiti di illegalità”, ha detto il pm Eugenio Albamonte, già presidente dell’Associazione nazionale magistrati. con particolare riferimento all’abolizione del reato di abuso di potere, che sta per essere approvata dal Parlamento, con grande disappunto delle associazioni anticorruzione.

A piccoli passi, l’estrema destra al potere sta avanzando le sue pedine sui suoi temi preferiti. “In apparenza, il governo non sta toccando il diritto all’aborto”, ha detto la ginecologa Silvana Agatone, presidente dell’associazione Laiga per l’applicazione del diritto all’aborto. “Ma in realtà, spesso dobbiamo trovare soluzioni per portare a Roma donne da Napoli o addirittura dalla Sicilia che non riescono a trovare medici disponibili”.

Prevista dalla legge, l’obiezione di coscienza da parte dei caregiver è estremamente diffusa. In alcune regioni, come il Mezzogiorno, le donne non riescono a trovare alcuna struttura per abortire. Il fenomeno non è nuovo, ma la ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, ha chiarito la sua posizione. “L’aborto è la libertà di una donna? Purtroppo sì e non è una bella cosa”, ha detto.

“Sempre più enti locali [governati dall’estrema destra] finanziano associazioni pro-Vita che si recano negli ospedali per dissuadere le donne dall’abortire o organizzano funerali e cimiteri per i feti”, ha detto Silvana Agatone, che teme un golpe da parte della maggioranza. A fine 2022 il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri (Forza Italia), ha nuovamente presentato un disegno di legge per riconoscere “la personalità giuridica del feto”. “Ho paura che un giorno passerà”, avverte il ginecologo.

“Cambiamento di atmosfera”

“Le piccole vittorie che abbiamo ottenuto in questi anni vengono messe in discussione”, ha detto Manuela Belmonti, fondatrice di Famiglie Arcobaleno, associazione di genitori gay. “Ci hanno preso nel mirino, noi siamo i nemici da massacrare”. Il governo non solo ha approvato un testo che rende la maternità surrogata “un reato universale” (con un massimo di due anni di carcere e una multa di un milione di euro per i trasgressori), ma ha anche chiesto ai sindaci di smettere di trascrivere automaticamente i certificati di nascita dei bambini provenienti da famiglie dello stesso sesso.

Recentemente, il Tribunale di Padova ha respinto la richiesta di cancellazione dal registro civile del nome della madre non biologica. Speranza per le coppie dello stesso sesso. “Ma la preoccupazione rimane. Per far valere i nostri diritti, dobbiamo andare in tribunale. Questo significa costi e incertezza, afferma Manuela Belmonti. Il clima è cambiato. Gli omofobi alzano la testa e si sentono in diritto di moltiplicare le loro aggressioni verbali. Il generale Vannacci è l’emblema di questo cambiamento di atmosfera”. 

Ex comandante di un reggimento paracadutisti, l’alto ufficiale è autore di un libro omofobo e razzista, Il Mondo al contrario, che ha già venduto più di 200.000 copie. Ormai figura mediatica, corteggiato dalla Lega di Matteo Salvini, ritiene che gli omosessuali “non siano persone normali” e stigmatizza il desiderio di genitorialità delle coppie LGBT+, sostenendo che è innaturale come il cannibalismo.

Nell’opinione pubblica, è abbastanza diffusa l’idea che le misure del governo siano soprattutto annunci. “Sentiamo la differenza”, dice Andrea Costa, presidente dell’associazione Baobab Experience, che sostiene i migranti a Roma, sottolineando che “i controlli di polizia sono diventati sistematici. È più difficile lavorare perché sei sempre sul punto di essere accusato di promuovere l’immigrazione clandestina. Già con i governi precedenti le cose non erano facili, ma la situazione è peggiorata”.

Giorgia Meloni, da sempre favorevole a un esecutivo forte, si appresta a far votare dal Parlamento una riforma costituzionale che rafforzerebbe notevolmente i poteri del Presidente del Consiglio. Già “c’è una tendenza da parte del governo a vedere gli organi di controllo, che si tratti della Corte costituzionale, della magistratura o della Corte dei conti, come ostacoli”, dice Eugenio Albamonte.

All’inizio di quest’anno, Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio e presidente emerito della Corte costituzionale, è andato oltre, dicendo che l’Italia di Giorgia Meloni potrebbe soccombere all’illiberalismo sul modello ungherese o polacco: “Pensiamo che sia inconcepibile, ma potrebbe accadere”.

L’ipocrisia? È una fra le principali componenti dei talk show (corriere.it)

di Aldo Grasso

A fil di rete

Lei è Bianca Berlinguer, ma per noi non è Bianca Berlinguer è solo un modello astratto e ideale di conduzione. Per non scivolare nel personale potremmo anche, per convenzione, chiamarla Berlinguer Bianca.

Lui è Alessandro Orsini, professore di sociologia del terrorismo (qualunque cosa voglia dire), ma per noi non è Alessandro Orsini, è il modello astratto e ideale di aizzatore, figura fondamentale nella retorica dei moderni talk show. Potremmo anche chiamarlo, purché non si offenda, Orsini Alessandro.

Per interpretare questi modelli astratti ci vuole una buona dose di ipocrisia, da intendersi non in senso moralistico ma tecnico. L’ipocrisia è un omaggio che la verità rende alla recitazione. La parola deriva infatti dal greco, «hypokrisis», e sta a significare, oggi, una simulazione di virtù e di buone intenzioni allo scopo di sedurre. L’ipocrisia è una fra le principali componenti dei talk show. L’aspirazione del pubblico, infatti, è di costringere i partecipanti all’ipocrisia.

Durante il corso di un talk show, Orsini Alessandro «sbrocca» come suo solito e prende a insultare un interlocutore: «Cappellini, lei è veramente un cretino» e poi, non contento, rincara la dose: «pagliaccio», «incompetente totale», ecc.

Ecco intervenire l’artificio dell’ipocrisia. Berlinguer Bianca cerca di contenere Orsini Alessandro con questo invito: «No, professore: io non accetto che lei insulti un mio ospite». Ma come, lo sappiamo tutti perché vengono invitati gli Orsini!

Vengono invitati per fare gli incendiari, altrimenti lo show languirebbe, s’infiacchirebbe, si consumerebbe come una candela. L’accorgimento vale per tutti i cosiddetti talk show politici o di approfondimento (i nomi, siate gentili, metteteli voi). Ma c’è di più, in quanto a ipocrisia. Lo spettatore si aspetta dai protagonisti dei talk un contegno onesto che lui stesso è incapace di adottare.

Lo spettatore non perdona a un personaggio tv ciò che di solito perdona a un amico, o a sé stesso. E qui scatta l’altra componente fondamentale di questi teatrini: l’indignazione. Si indignano tutti, sul palco o in platea, perché l’indignazione è gratificante, è l’ultimo entusiasmo degli immoralisti.

Dal Ramadan agli studenti stranieri: il fact-checking di Salvini sulla scuola (pagellapolitica.it)

di CARLO CANEPAVITALBA AZZOLLINI

Leggi alla mano, abbiamo analizzato due 
dichiarazioni che il leader della Lega ha fatto 
in tv, ospite di Porta a Porta

Il 27 marzo il leader della Lega Matteo Salvini è stato ospite di Porta a Porta su Rai 1. Tra le altre cose, Salvini ha parlato di scuola e della presenza di studenti stranieri nelle classi. Da un lato, il vicepresidente del Consiglio ha criticato la scuola di Pioltello, vicino a Milano, che ha deciso di rimanere chiusa il 10 aprile, giorno della fine del Ramadan. Dall’altro lato, ha detto che bisognerebbe introdurre la soglia del 20 per cento di studenti stranieri nelle classi per migliorare la qualità didattica.

Punto per punto e norme alla mano, vediamo che cosa non torna nelle dichiarazioni che Salvini ha fatto a Bruno Vespa.

Il caso Pioltello

Sul caso della scuola “Iqbal Masih” di Pioltello, che ha previsto la sospensione delle lezioni per il giorno della festa di fine Ramadan, Salvini ha dichiarato (min. 21:35): «È giusto spiegare ai bambini di ogni etnia, di ogni religione, quanto è bello conoscerci. Però siamo in Italia. Quindi occorre la reciprocità: non penso che in nessun Paese islamico chiudano per il Santo Natale o per la Santa Pasqua».

«Finché l’Islam non si darà una struttura e non riconoscerà la parità tra uomo e donna, chiudere la scuola mi sembra un pessimo segnale», ha aggiunto Salvini, secondo cui chiudere per il Ramadan è «un segnale di cedimento e di arretramento».

Riassumendo la sua posizione, Salvini ha spiegato la chiusura della scuola in termini religiosi, come se la scuola stessa avesse voluto istituire una nuova giornata di festa in aggiunta a quelle già previste dal calendario scolastico. Questa spiegazione però appare forzata per una serie di motivi.

Ogni anno il Ministero dell’Istruzione, con un’ordinanza, definisce il calendario delle festività nazionali, che vengono rispettate da tutte le scuole di ogni ordine e grado (in particolare si veda l’articolo 74 del decreto legislativo n. 297 del 1994). L’unica festività di tipo locale è quella del Santo Patrono, differente per ogni comune. Allo svolgimento delle lezioni sono assegnati almeno 200 giorni per garantire la validità dell’anno scolastico.

L’ordinanza stabilisce anche la data di svolgimento della prova nazionale inserita nell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo (ossia alla fine delle medie), comprese le sessioni suppletive, nonché la data di inizio degli esami di Stato conclusivi del secondo ciclo di istruzione (ossia alla fine delle superiori).

Posti questi limiti, la medesima normativa prevede che le Regioni definiscano un proprio calendario scolastico, in cui vengono individuate la data di inizio delle lezioni, la data di termine delle lezioni, i giorni di chiusura per le festività natalizie e pasquali, altri eventuali giorni di sospensione delle attività didattiche.

A propria volta, ai sensi del regolamento (DPR 275/1999) attuativo della legge sull’autonomia scolastica (legge n. 59 del 1997), le istituzioni scolastiche possono, sulla base del calendario scolastico della Regione di appartenenza, definire degli «adattamenti», quindi anticipare o posticipare la data di inizio delle lezioni, o individuare altri giorni di sospensione delle attività didattiche. Questo può essere fatto garantendo comunque l’effettuazione di almeno 200 giorni di lezione e rispettando le date delle festività fissate a livello statale, come detto.

Dunque, a differenza di quanto sostiene Salvini, la scuola di Pioltello ha adottato la decisione della chiusura della scuola nell’ambito del quadro giuridico riconosciuto dall’ordinamento. L’istituto scolastico ha definito il calendario delle lezioni in relazione a esigenze concrete della propria comunità scolastica e senza introdurre una festività ulteriore rispetto a quelle fissate a livello centrale.

Tra l’altro, la decisione di sospendere le lezioni per un giorno era stata presa a maggio 2023, in vista del seguente anno scolastico, ma è diventata poi una notizia solo in questi giorni. Dopo le polemiche, la decisione è stata confermata il 26 marzo dal Consiglio d’istituto.

Le conclusioni appena viste sono in linea con quanto ha dichiarato la stessa scuola di Pioltello in un comunicato stampa: «Le motivazioni che hanno portato alla delibera di tali giornate di sospensione delle lezioni sono esclusivamente di carattere didattico ed educativo, in coerenza con quanto previsto dal DPR 275/99 e dal D.lgs. 297/94». Infatti, la sospensione stessa è stata decisa «alla luce del tasso di assenza» che compromette «l’efficace svolgimento delle attività didattiche ed educative programmate».

Nei giorni scorsi il preside della scuola di Pioltello Alessandro Fanfoni ha detto che nell’istituto «i bambini di fede islamica sono la maggioranza», che il 43 per cento degli studenti è straniero e che gli anni passati molti alunni non venivano a scuola il giorno della fine del Ramadan, rendendo impossibile il regolare svolgimento dell’attività didattica.

Il limite di studenti stranieri

Ospite di Porta a Porta, il leader della Lega ha poi rilanciato una proposta che aveva già fatto alcuni anni fa: stabilire per legge che gli alunni stranieri in una classe non possano essere più del 20 per cento del totale. «Ma quando gli italiani sono loro il 20 per cento di bimbi in classe, come fa una maestra a spiegare l’italiano, la matematica, la storia e la geografia?», si è chiesto Salvini in tv.

In realtà un limite per il numero degli alunni stranieri a scuola è in vigore già dal 2010. In quell’anno, durante il quarto governo Berlusconi, la ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Mariastella Gelmini ha firmato una circolare in base alla quale il numero di alunni stranieri con una «ridotta conoscenza della lingua italiana» non deve superare il 30 per cento degli iscritti in ogni classe e in ogni scuola.

All’epoca Gelmini aveva chiarito il fondamento di questa regola, rispondendo in qualche modo alle obiezioni sollevate in questi giorni – quindi oltre 14 anni dopo – dal ministro Salvini. «La scuola deve essere il luogo dell’integrazione. La presenza di stranieri nella scuola italiana, spesso concentrati in alcune classi, non è certo un problema di razzismo ma un problema soprattutto didattico», aveva dichiarato la ministra dell’Istruzione.

«Stabilire un tetto del 30 per cento di alunni stranieri per classe è un modo secondo me utile per favorire l’integrazione, perché grazie a questo limite si evita la formazione di “classi ghetto” con soli alunni stranieri». «Oltre al tetto – aveva aggiunto Gelmini – è fondamentale prevedere classi di inserimento di durata limitata per poter insegnare la nostra lingua a chi è appena arrivato in Italia a un livello sufficiente per non sentirsi in difficoltà con i coetanei. Questi momenti di inserimento si svolgeranno sia la mattina che il pomeriggio, mentre nella scuola media una parte di ore della seconda lingua potrà essere usata per lo studio dell’italiano».

Quanto detto da Gelmini non era un mero auspicio. Da tempo, infatti, esistono norme che concretizzano quanto affermato dall’allora ministra. «Il collegio dei docenti definisce, in relazione al livello di competenza dei singoli alunni stranieri il necessario adattamento dei programmi di insegnamento; allo scopo possono essere adottati specifici interventi individualizzati o per gruppi di alunni per facilitare l’apprendimento della lingua italiana, utilizzando, ove possibile, le risorse professionali della scuola», stabilisce l’articolo 45 del decreto del presidente della Repubblica n. 394 del 1999, in tema di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

«Il consolidamento della conoscenza e della pratica della lingua italiana può essere realizzato altresì mediante l’attivazione di corsi intensivi di lingua italiana sulla base di specifici progetti, anche nell’ambito delle attività aggiuntive di insegnamento per l’arricchimento dell’offerta formativa».

Inoltre, una circolare ministeriale approvata nel 2007 dispone che «in via ordinaria gli alunni stranieri soggetti all’obbligo di istruzione sono iscritti d’ufficio alla classe corrispondente all’età anagrafica».

«I collegi dei docenti possono definire comunque le modalità generali dell’assegnazione dell’alunno straniero alla classe inferiore o superiore a quella corrispondente all’età» tenendo conto di alcuni criteri, tra cui l’ordinamento scolastico del Paese di provenienza, l’accertamento delle competenze possedute, il corso di studi seguito, e il titolo di studio posseduto. Questi criteri sono espressamente previsti dal già citato articolo 45 del DPR 394/1999.

Sempre ai sensi della circolare del 2007, le verifiche e gli accertamenti preliminari all’assegnazione dell’alunno straniero a una certa classe sono affidati «a un gruppo di docenti, appositamente individuato dal collegio e preposto all’accoglienza, che dia attuazione ai criteri di assegnazione e che ne segua inizialmente l’inserimento, al fine di fornire al dirigente scolastico ogni utile elemento per l’assegnazione alle classi».

Con riguardo allo specifico problema della lingua, la circolare prevede che i collegi dei docenti possano «valutare altresì la possibilità che l’assegnazione definitiva alla classe sia preceduta da una fase di alfabetizzazione strumentale e di conoscenza linguistica in intergruppo e/o interclasse finalizzata a favorire un efficace inserimento».

Infine, con riferimento alle iscrizioni degli alunni con cittadinanza straniera che avvengono in corso d’anno, la circolare raccomanda «l’adozione di particolari forme di accoglienza che possano facilitare, fin dai primi contatti, un’efficace azione di integrazione degli alunni stranieri».

Dunque l’applicazione di queste regole, finalizzate a colmare eventuali divari linguistici e culturali tra alunni originari di Paesi diversi, è volta proprio a scongiurare i rischi evidenziati dal ministro Salvini nelle sue dichiarazioni.

Deroghe alla soglia del 30 per cento

Possono esserci comunque deroghe alla predetta soglia del 30 per cento di alunni stranieri nelle classi. Per esempio questo limite può essere alzato a un Ufficio scolastico regionale a fronte della presenza di studenti stranieri che si ritenga abbiano adeguate competenze linguistiche. «In nessun caso, comunque, le scuole possono rifiutare l’iscrizione di un minore in ragione del superamento di una determinata percentuale di iscritti di origine migratoria», sottolinea il rapporto del ministero.

Salvini ha proposto di introdurre un limite al 20 per cento, quindi più basso di quello al momento in vigore. Non mancano i rischi di una proposta di questo tipo. Un limite più restrittivo, infatti, potrebbe obbligare gli alunni stranieri a doversi recare in località diverse da quelle in cui vivono, perché le scuole più prossime hanno raggiunto la percentuale prevista, e ciò potrebbe essere un ostacolo insuperabile per famiglie che si trovano in situazioni economiche non agiate.

Pertanto, i genitori di minori stranieri destinati alle scuole più lontane dal loro domicilio potrebbero non ottemperare all’obbligo di istruzione per i propri figli. Nei casi peggiori, c’è il rischio che i minori stessi siano avviati precocemente al lavoro minorile o sfruttati in forme di accattonaggio. Tale rischio, peraltro, era già prospettato nella citata circolare del 2007. 

Secondo i dati più aggiornati del Ministero dell’Istruzione e del Merito (anno scolastico 2021/2022), quasi il 7 per cento delle classi in Italia supera la soglia del 30 per cento, tra cui la scuola “Iqbal Masih” di Pioltello. Le percentuali cambiano molto a seconda del grado scolastico e delle regioni. Il limite è infatti superato in oltre l’11 per cento delle classi nelle scuole elementari, percentuale che scende sotto il 3,1 per cento nelle scuole superiori.

«Va tenuto conto che i dati comprendono gli studenti di origine migratoria nati in Italia», ha sottolineato il ministero. «Escludendo questi alunni, le classi con oltre il 30 per cento di alunni con cittadinanza non italiana nati all’estero si riducono allo 0,5 per cento, con un picco in Liguria (1,1 per cento) cui seguono Lombardia (0,9 per cento), Piemonte (0,8 per cento) ed Emilia-Romagna (0,7 per cento).

I dissidenti della Lega scrivono a Salvini: “No a fascisti e Vannacci” (ilriformista.it)

di Claudia Fusani

I documenti

Una levata di scudi netta e determinata alla vigilia delle mozioni di sfiducia al ministro e a Santanché. Nel mirino l’isolamento politico e l’alleanza strutturale con l’Afd tedesca

Caro Matteo, siamo “isolati politicamente, residuali, estremisti, alleati con fasci e svastiche, candidiamo gente totalmente estranea al nostro movimento…”. Un nome su tutti: il generale Vannacci. Caro Matteo Salvini, fai tesoro di queste “urgenti riflessioni” in vista delle elezioni europee perché così non si va avanti. Seguono le firme di ventuno amministratori locali, sindaci e consiglieri regionali, molti ex parlamentari e segretari.

Nomi che hanno fatto la storia della Lega, ben prima di Salvini, come Cristian Invernizzi, deputato dal 2013 al 2023 o come Dario Galli, presidente della provincia di Varese dal 2008 al 2014, ex viceministro dello Sviluppo economico e in Parlamento dal 1996 al 2022 (con una parentesi dal 2008 al 2018). Mai in quarant’anni di vita (il 12 aprile 1984 Bossi fondò la Lega Autonomista Lombarda, che sarebbe poi diventata la Lega Lombarda) s’era visto un atto d’accusa così forte, pubblico, argomentato e firmato contro un segretario in carica.

La Lega ha portato in piazza le scope, ha saputo fare pulizia e cambi di segretario, prima Bossi e poi Maroni, dolorosi quanto necessari. Mai s’era vista però, nell’era Salvini, una levata di scudi così netta e determinata. Che assume ancora più valore conoscendo quanto la Lega sia diventata nei dieci anni della segreteria Salvini un partito blindato, addirittura “stalinista” secondo qualcuno, dove il dissenso viene prima emarginato e poi espulso.

Un partito nei fatti non più scalabile dall’interno perché a capo dei comitati provinciali e regionali ci sono solo fedelissimi e obbedienti al Capitano. Quei pochi e rari momenti di dissenso pubblico, vedi il caso di Gianantonio De Re, sono stati isolati e poi espulsi. Invece, complice la riflessione pasquale, ieri è stato diffuso – Il Riformista ne ha una copia – un documento che trasforma in un colpo solo tutti i retroscena giornalistici scritti in questi mesi in scena politica e pubblica.

In 21 contro Salvini

Un documento che ha il pregio della sintesi, la forza della chiarezza e il coraggio delle firme. Ben ventuno che possono essere così definite: la base storica della Lega nord che Salvini da un pezzo ha deciso di non ascoltare più e quindi di escludere. Il coraggio avrebbe potuto essere maggiore se avesse firmato anche qualcuno degli attuali parlamentari che a taccuini chiusi sono molti critici con il segretario e il suo progetto politico.

Quattro punti chiave

Sintesi e chiarezza, quindi. Possiamo estrarre quattro punti chiave. Il primo: “In questi cinque anni la Lega è stata relegata ad un ruolo di importanza residuale nel parlamento italiano e nelle istituzioni europee”. Il secondo: “Questo isolamento politico non ci ha consentito di incidere concretamente nella ricerca di soluzioni a problematiche di interesse del movimento” e hanno provocato “l’appannamento dell’interesse degli iscritti e un affievolimento della loro partecipazione”.

Cioè il crollo del consenso. Il terzo punto chiave: “Dov’è finita, caro segretario, la tradizionale e giusta distanza che abbiamo sempre mantenuto da tutti gli opposti estremismi?”. Qualche riga più sotto: “Perché abbiamo smesso di dialogare con forze autonomiste e federaliste per accordarci con chi non ha la nostra naturale repulsione nei confronti di fasci e svastiche?”. Come è possibile, infine, “coniugare l’alleanza elettorale con l’Udc di Cesa con quella strutturale con l’Afd tedesca, due alleanze obiettivamente inconciliabili”.

Il quarto punto chiama in causa le ipotesi di candidature tipo Vannacci che, tra l’altro, si permette di fare il prezioso e neppure sciogliere la riserva, di speculare sull’offerta ma di fare i conti se non gli convenga piuttosto di candidare un proprio movimento politico. “Se le indiscrezioni sulla candidatura nelle nostre liste di personaggi con forte marcatura nazionalista – si legge nel documento – totalmente estranei al nostro movimento, fossero veritiere, renderebbero ancora più difficile il perseguimento degli obiettivi storici del partito”.

Il momento giusto

Non è un caso che il documento venga fatto circolare alla vigilia delle mozioni di sfiducia in calendario tra oggi e domani alla Camera, promosse dalle opposizioni e che coinvolgono la ministra del Turismo Daniela Santanché e, appunto, il vicepremier Salvini. I due azionisti di maggioranza del governo hanno un problema serio e non sarà facile, né senza conseguenze, risolverlo.

Non lo sarà per Meloni costretta a “difendere” – ma per quanto ancora – l’indifendibile Santanché la cui posizione – al di là del merito delle tre inchieste giudiziarie in cui è coinvolta – è diventata assai impopolare da sostenere. La mozione di sfiducia per la senatrice è in calendario stamani (ore10) e per quanto blindata nei numeri segnerà una nuova ferita per la credibilità della premier.

La ministra del Turismo infatti, prossima alla richiesta di rinvio a giudizio per truffa ai danni dell’Inps, si porta dietro il presidente del Senato Ignazio La Russa per via dell’inchiesta per riciclaggio sulla compravendita di una villa al Forte dei Marmi gestita dal compagno di Santanché Dimitri Kuntz D’Asburgo e dalla signora De Cicco, moglie di La Russa.

Non meno imbarazzante per Salvini la mozione di sfiducia circa il patto di alleanza sottoscritto nel 2017 con “Russia unita”, il partito di Putin. Ieri mattina una nota del partito ha provato a disinnescare la mozione. “L’accordo con Putin non ha valore dopo l’invasione dell’Ucraina, la guerra ha cambiato giudizi e rapporti. Dispiace che il Parlamento debba perdere tempo in polemiche così inutili. La linea in politica estera della Lega è confermata dai voti in Parlamento”.

Le crepe aumentano

Se così fosse, perché mettere in dubbio l’omicidio politico di Navalny e definire “libere elezioni di popolo” quelle che hanno confermato Putin al Cremlino? Soprattutto, perché non fare un semplice ma inequivocabile gesto e strappare in aula o comunque davanti alle telecamere l’accordo con Russia Unita?

La maggioranza in aula sarà compatta, anche questa volta, in entrambe le votazioni. Ma le crepe aumentano e la pazienza ha un limite. Anche nei partiti blindati della destra. Intanto Forza Italia mangia i popcorn.