Raccolta dei peggiori fetori emanati dalla stampa reazionaria
Lo sgambetto da riformisti e sinistra dem
Nel Pd, a essere sotto accusa, adesso è il “metodo-Schlein”. E la novità è che il dissenso non è limitato solo al correntone dei riformisti, più vicini al governatore dell’Emilia Romagna e presidente del partito Stefano Bonaccini. Anche la sinistra dem esprime perplessità e, sottotraccia, mugugna per il “commissariamento” del Pd da parte degli esterni.
Al centro del dibattito, infatti, ci sono le personalità della società civile che Elly Schlein vuole lanciare alle europee di giugno prossimo. Dunque, infuria la battaglia sui capilista. Assodata la corsa della giornalista Lucia Annunziata al Sud, bisogna riempire le caselle delle altre cinque circoscrizioni. Al Nord Ovest è sempre in pole position Cecilia Strada, ex presidente della Ong Emergency fondata dal padre Gino.
Al Centro la segretaria vorrebbe un’altra figura femminile di sua diretta emanazione come Marta Bonafoni, coordinatrice della segreteria nazionale, consigliera regionale del Lazio. Mentre al Nord Est ci sarebbe la responsabile ambiente del Pd Annalisa Corrado, considerata comunque una figura esterna al partito. Per le Isole la casella è ancora vuota. Il nodo del collegio Nord Est è stato affrontato dalla segretaria ieri in un incontro con Bonaccini, che vorrebbe correre da capolista, vanificando così lo schema del “panino” ipotizzato da Schlein.
L’exit strategy
Un’impostazione che prevede la segretaria in terza posizione, una donna capolista e un uomo al secondo posto, in virtù della regola dell’alternanza di genere. Una exit strategy potrebbe essere il cedimento a Bonaccini capolista in cambio di un via libera dei riformisti alla corsa dell’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio al Centro. Un collegio, quest’ultimo, dove ambisce a una candidatura in buona posizione anche l’ex governatore del Lazio Nicola Zingaretti, big della sinistra dem.
Ed ecco che l’ostinazione della segretaria sul “panino” sta avendo l’effetto di saldare un’alleanza inaspettata tra le correnti del partito. Una delle possibili conseguenze di questo patto trasversale potrebbe essere il flop dei civici che Schlein vuole imporre alla testa delle liste. Lo spiega una fonte del gruppo parlamentare del Pd: “Senza l’appoggio della struttura del partito e di chi convoglia le preferenze, i capilista scelti dalla segretaria rischiano di andare male”. È una minaccia rivolta alla segretaria, nell’intento di farle mettere in discussione la sua strategia.
L’incontro con i segretari
A proposito di portatori di voti, Schlein ieri ha incontrato i segretari regionali del Pd insieme al responsabile organizzazione del Nazareno Igor Taruffi e a Davide Baruffi, responsabile enti locali. Dal territorio è arrivata la conferma dell’appoggio alla corsa della segretaria, con molte riserve sulle personalità esterne al partito.
Stessi malumori espressi apertamente dalla vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picierno, una di quelle donne che rischiano la rielezione in virtù del “panino” di Schlein. “Le discussioni si fanno nelle direzioni dove vengono avanzate proposte. Insomma, non siamo certo l’Isola dei famosi e non siamo neanche in un contest televisivo”, ha detto Picierno a L’Aria che tira su La7. Intanto Schlein e Bonaccini, dopo il faccia a faccia, si limitano a una dichiarazione di prammatica: “Incontro positivo, al lavoro insieme su elezioni europee, regionali e amministrative”.
Dal campo riformista fanno girare la voce di tentennamenti da parte dei capilista designati, che sarebbero tentati dalla rinuncia perché avrebbero paura di non essere sostenuti dai dirigenti del partito sul territorio.
Il caso Tarquinio
E tiene ancora banco il caso di Tarquinio. Con l’ex ministro Andrea Orlando che insiste sulla bontà della scelta del giornalista contrario agli aiuti militari all’Ucraina. “È una discussione da matti, a questo punto un passo indietro sulla candidatura di Tarquinio sarebbe una rottura con il mondo cattolico.”, spiega Orlando. Anche Goffredo Bettini benedice Tarquinio.
Però nemmeno la sinistra dem è soddisfatta dal metodo Schlein. Mercoledì lo stesso Orlando aveva invitato la segretaria a dare più spazio nelle liste al mondo dei precari e dei ceti meno abbienti. Il tutto mentre dal fronte riformista provocano: “Tarquinio è contrario all’aborto, cosa ne pensa Alessandro Zan?” La deputata Lia Quartapelle, vicina all’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, pressa: “Se si vuole imporre un cambiamento di rotta politica, lo si faccia apertamente, con una discussione esplicita negli organismi di partito deputati, non con le candidature”.
L’ex direttore di Avvenire è il bersaglio grosso della minoranza interna anche perché il collegio dell’Italia centrale è già fin troppo affollato. Dovrebbe esserci Zingaretti, pure lui perplesso sulle mosse della segretaria. E poi i bonacciniani Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, e Alessia Morani, deputata nella scorsa legislatura. Per non parlare del sindaco di Firenze Dario Nardella, che ieri ha rilanciato l’ipotesi della sua candidatura. Se Schlein non mette in discussione il suo schema, rischia lo sgambetto.
(italiaoggi.it)
di Mario Lavia
Cultura politica cercasi
La radicalizzazione di tutti i partiti di opposizione e della Cgil ha generato una gara a chi alza di più il volume, sviluppando un’idea della politica come protesta più che come progetto
Nell’introduzione a un interessante recente saggio di Giulio Sapelli (“Verso la fine del mondo”, ed. Guerini), Ludovico Festa, giornalista e intellettuale di grande esperienza, scrive: «In Italia, a una coalizione di centrodestra con diversi evidenti limiti (al netto di un’interessante politica estera) si contrappone una opposizione in cui tutti i cosiddetti leader (da Elly Schlein a Giuseppe Conte, da Maurizio Landini a Carlo Calenda) sono privi di una vera e seria cultura politica».
È un giudizio praticamente senz’appello, e ognuno può essere d’accordo o meno sulla sua drasticità. Tuttavia è un dato di fatto che l’ultima generazione del centrosinistra dimostra ogni giorno scarsa dimestichezza con una seria cultura politica, che è tale solo se è una vera cultura politica di governo.
Può darsi che congiuri anche il fatto che direttamente e pienamente il centrosinistra non governa più dal 2018, cioè un discreto lasso di tempo, e che non disponga come una volta nemmeno di grandi prove di governo locale.
Ma la domanda vera è se questa crescente radicalizzazione delle posizioni di tutti i partiti di sinistra sia un fatto tattico, cioè mossa dalla ricerca di consensi che si ritiene finiti nell’astensionismo, o se evidenzi piuttosto un mutamento di pelle dell’attuale opposizione. E cioè, per capirci, se i dirigenti, i quadri, gli intellettuali di riferimento e i militanti siano ormai calati dentro un’idea della politica come protesta più che come progetto, di testimonianza più che come governo o aspirazione al governo.
In questa fase, dietro la guida movimentista di Elly Schlein, il Partito democratico si è molto radicalizzato. Giuseppe Conte ha sposato una battaglia disarmista in politica estera e populista in campo sociale. Maurizio Landini fa cortei su tutto e adesso raccoglie le firme per un referendum contro il Jobs Act, nemmeno fosse la madre di tutte le ingiustizie (vedremo quanta gente andrà a votare), segno di una evidente voglia di rivincita verso la stagione renziana. Carlo Calenda esaspera i toni polemici attaccando praticamente tutti su tutti i fronti.
È una gara a chi alza di più il volume. Finendo talvolta per abbaiare alla luna, come in occasione delle mozioni di sfiducia a Matteo Salvini e a Daniela Santanchè, sapendo tutti benissimo che a nulla servono, al punto che è parso anche a molti deputati dell’opposizione un «vecchio rito della politica», come lo ha definito Augusto Minzolini; oppure scegliendo un comodo Aventino, come sul peraltro bruttissimo premierato.
L’impressione è che non si tratti solo di campagna elettorale. Si parla per slogan, si fanno gesti. Dov’è finita la competenza che c’era una volta nel Pci, nel Psi, nella Cgil? La vicenda delle liste del Partito democratico, su cui si scrive giustamente tanto, è emblematica: volontarie, giornalisti, si era parlato di scrittrici, e lasciamo stare il caso di Ilaria Salis, ma è questo quello che serve in Europa?
Ma al di là delle candidature, quante forze intellettuali, specialistiche, si sono avvicinate al centrosinistra in questa fase? Zero. E allora il recupero di una vera cultura politica al servizio di una candidatura a governare il Paese quando la destra avrà fallito dovrebbe essere l’assillo di queste forze. Purtroppo però viene il dubbio che questi gruppi dirigenti della sinistra a governare non ci pensino proprio.
È più facile fare cortei, Aventini e referendum.
di CARLO CANEPA
In questi giorni il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, tra gli altri, sono tornati a chiedere le dimissioni di Daniela Santanchè.
Il 22 marzo la Procura di Milano ha comunicato alla ministra del Turismo che sono state concluse le indagini in cui Santanchè è indagata per truffa ai danni dell’Inps. Già l’anno scorso l’esponente di Fratelli d’Italia era andata in Parlamento per chiarire la sua posizione sulle presunte irregolarità commesse da alcune società a lei collegate durante la pandemia di Covid-19.
Dopo la notifica della procura, Santanchè ha detto in una nota che farà «una seria e cosciente valutazione di questa vicenda» solo dopo la decisione del giudice per l’udienza preliminare (Gup), che dovrà decidere se mandare la ministra a processo.
Al di là delle valutazioni politiche sulla condotta di Santanché, e al di là del fatto che in base alla Costituzione la ministra non è considerata colpevole fino a condanna definitiva, è interessante notare che in questi anni l’esponente di Fratelli d’Italia ha chiesto a molti politici di dimettersi, anche se non indagati. Basta fare una breve ricerca sul suo profilo Twitter (ora X), o tra le interviste rilasciate ai giornali, per individuare questo tratto distintivo della comunicazione politica di Santanchè.
Da Lamorgese a Bonafede
Prima ancora, Santanchè aveva chiesto le dimissioni della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, per l’acquisto dei banchi a rotelle, e del presidente dell’Inps Pasquale Tridico, colpevole a detta sua dei malfunzionamenti del sito dell’Inps durante il lockdown e accusato di essersi «triplicato» lo stipendio.
In realtà questo aumento era stato deciso dal primo governo Conte, sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle. Ad agosto 2020 Santanchè aveva scritto che si sarebbero dovuti dimettere anche Manlio Di Stefano (Movimento 5 Stelle), sottosegretario agli Esteri, e Carlo Borghetti (PD), vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia. Il primo aveva confuso in un tweet il Libano con la Libia, il secondo aveva messo un mi piace a un post su Facebook in cui si diceva che Meloni stava diventando «calva».
Il caso di Josefa Idem
Andando ancora indietro nel tempo, richieste di dimissioni sono state rivolte da Santanchè verso vari ministri dei governi Gentiloni, Renzi, Letta e Monti. Solo per citare due esempi: «Oggi aspetto le dimissioni del ministro Terzi», si legge in un tweet di marzo 2013 (curiosità: Giulio Terzi di Sant’Agata era il ministro degli Esteri del governo Monti e alle elezioni politiche del 2022 è stato eletto senatore con Fratelli d’Italia). «Cosa aspetta Maria Elena Boschi a dimettersi?», si legge in un tweet di dicembre 2017.
Nel 2013 un caso che fece molto discutere riguardò l’allora ministra delle Pari opportunità, dello Sport e delle Politiche giovanili, ed ex campionessa olimpica, Josefa Idem. Dopo alcuni articoli di giornale, Idem ammise di non aver pagato l’ICI – un’imposta sugli immobili – su un palazzo di sua proprietà. «Intanto perché s’è dimostrata anche molto arrogante, e l’arroganza non premia mai. Certamente non è una ladra. E del resto non penso che quello che ha fatto, se l’ha fatto, sia una mancanza pazzesca. Il problema è un altro», aveva dichiarato il 24 giugno 2013 Santanchè in un’intervista a la Repubblica, giustificando la sua richiesta di dimissioni.
«Il fatto che lei si sia presentata con l’immagine di una paladina della morale, dell’etica, della correttezza. Ebbene, quelle cose che ha fatto, pur essendo per me peccato veniale, sono del tutto incompatibili con l’immagine che aveva voluto dare di sé, ovvero di campionessa integerrima. È per questo, ribadisco, che Letta farebbe bene a sostituirla». Quello stesso giorno Idem si è poi effettivamente dimessa, sanando alcune settimane dopo la sua posizione con il fisco.
Va sottolineato comunque che Santanchè non ha sempre chiesto le dimissioni dei suoi avversari politici. A luglio 2019 il sindaco di Milano Beppe Sala è stato condannato in primo grado per «falso materiale e ideologico» per una cosa avvenuta nel 2015, quando era il commissario per l’Expo. Nel 2021 il reato è andato prescritto.
Alla notizia della prima condanna di Sala, Santanchè aveva scritto su Twitter: «Non chiederò oggi le dimissioni di Beppe Sala: garantisti lo si è sempre. Io combatto la sua politica: in prima linea al carrozzone del Pride, totalmente assente sulla sicurezza dei milanesi, specie in periferia. La sinistra giustizialista invece dovrebbe chiederle, per coerenza».
di Marco Bianchi
È diventata in pochissimo tempo la nuova eroina della gauche italica.
D’altronde, in mancanza di figure carismatiche ai vertici dei partiti di opposizione, tutto fa brodo. Anche un’anonima attivista riesce ad assurgere al ruolo di opinion leader di una sinistra che ha decisamente perso i propri punti di riferimento.
A far da cassa di risonanza, utilissima alla campagna elettorale in corso, sono le immagini che rimbalzano dai Tribunali ungheresi. L’ingresso in aula di Ilaria Salis ammanettata mani e piedi fa il giro di social e televisioni, diventando subito trend topic. Sotto accusa c’è “l’odiato” Orban, considerato dalla sinistra antidemocratico.
E il trattamento riservato a Ilaria Salis ne sarebbe la prova più concreta. Ovviamente nessuno si sofferma sull’ipotesi di reato contestata. Che lei sia innocente viene dato per certo e assodato, in barba a qualsiasi tipo di istruttoria in corso; in barba ai suoi precedenti penali, che ne descrivono un curriculum non certo da educanda.
Nessuno si chiede cosa facesse in Ungheria e perché è stata arrestata. Così tutti, a partire del Capo dello Stato in giù, hanno mostrato il pollice verso, rispetto alle modalità di detenzione imposte. Ma, come sempre capita nel nostro Paese, il doppiopesismo è ormai brand esclusivo della sinistra. E l’esempio ce lo dà l’arresto di Filippo Turetta, carnefice di Giulia Cecchettin.
Il suo arrivo il 25 novembre dello scorso anno in Italia dalla Germania, dove era stato arrestato, è stato oggetto di innumerevoli commenti tutti incentrati sull’efferatezza del delitto di cui si è autoaccusato. Nessuno si è soffermato sulle modalità del suo trasferimento, incatenato mani e piedi sin dalla Germania e così tradotto in carcere a Verona.
Nessuno ha protestato né nei confronti del democratico Stato tedesco e nessuno si è permesso di tirare dalla giacca il Capo dello Stato. Eppure, le regole devono valere per tutti, a prescindere dal capo di imputazione. Non a caso anche un criminale come Matteo Messina Denaro è stato arrestato senza catene; anzi, nelle immagini era anche senza manette tra due poliziotti. In Italia le catene ai piedi sono state vietate nel 1992.
In Europa esiste una raccomandazione in tal senso dal 2006. Ma la Germania e il nostro Paese per l’arresto di Turetta se ne sono dimenticati. Se ne sono ricordati per Ilaria Salis, ma solo perché di mezzo c’è Orbán. Se l’arrestato fosse stato di destra e le catene utilizzate dalla Germania, non ci sarebbe stato nessuna protesta, in nome del solito doppiopesismo.
Non leggete “il Fango Quotidiano”
Un Paese civile non ha bisogno di forcaioli e bugiardi.
Tutte le condanne di Marco Travaglio
Maurizio Belpietro, La Verità e le condanne – Diario
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