Da Samarcanda a Nicolai Lilin: la deriva di Michele Santoro (valigiablu.it)

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Se vivere è un mestiere, saper invecchiare 
bene è una parte tutt’altro che scontata 
del lavoro. 

E spesso la nostalgia per ciò che si è lasciato indietro è un veleno che macera, rendendo ardua l’impresa. A differenza di molti della sua generazione, in Michele Santoro la nostalgia non prende solo i tratti del tempo che fu, ma lascia spazio soprattutto all’ossessione per la gloria mediatica andata.

Le luci della ribalta ora brillano affievolite, pendono sulla sua canuta testa di ospite televisivo, in quegli studi dove un tempo era al centro della scena. Era l’ammiraglio Achab cui guardare con ammirazione perché, se qualcuno poteva catturare la colossale balena, quello era lui.

Così abbiamo avuto SamarcandaIl rosso e il nero, Moby dickAnno zero e tutta una serie di navi che, di anno in anno, salpavano una volta a settimana per solcare gli oceani dell’ingiustizia. Milioni di italiani appesi al dito ponderante di Santoro, alle invettive da abile retore, al carisma da guru, al fiuto di chi padroneggia il mezzo come pochi. Da spettatori si era tutti coinvolti in quell’impresa eroica; passava in secondo piano la rotta un po’ troppo a tesi, una certa debolezza di metodo.

Questo perché guardare le trasmissioni di Santoro era vissuto come un atto politico, una forma di resistenza. E quindi, anche in nome di un certo antioccidentalismo di facile presa e complici gli attacchi NATO con vittime civili, si chiudeva un occhio di fronte a pagine alquanto discutibili, come la puntata di Moby dick da Belgrado, in piena guerra; una sponda al dittatore Milosevic e alla sua propaganda di guerra.

Erano gli anni in cui la balena bianca per eccellenza diventò Berlusconi, il gigantesco blocco di interessi privati che si innestava nella cosa pubblica cambiando il volto del paese. Ma, in quel paese, c’era anche una certa fetta di oppositori che ammiravano la potenza della balena, con quell’irrazionale soggezione che spinge gli uomini a desiderare l’illimitato mentre si misurano sconsolati i centimetri e, sotto sotto, rosicano.

E tra questi, ovviamente, c’era lo stesso Santoro. Che dalla balena era stato anche danneggiato, come altri, pensiamo solo al famigerato episodio dell’editto bulgaro.

Ma proprio perché un colosso simile impone una nave molto grande e attrezzata, conoscenza del mare, della terra e di varie arti e scienze, quella stagione politica tutto aveva bisogno meno che di capitani dall’ego tronfio. Ce ne siamo accorti dopo anni di navigazioni e promesse da marinai, quando è arrivato infine lo scontro diretto con la balena bianca. Silvio BerlusconiServizio pubblico.

La mia generazione ricorda benissimo quella puntata televisiva, Santoro circondato dalla ciurma di santorini che si sfrega le mani, pensando di aver realizzato il colpaccio; ricordano come la balena si sia mangiata lui e tutto l’equipaggio, e poi li abbia sputati sorridendo di gusto. La fiocina si rivelò uno stuzzicadenti.

Il nostro Achab era già in una fase di declino, e chi non si era convinto prima, quella sera (presente!) si era forse sentito un po’ ciuccio nell’aver compreso dopo chissà quanti anni che i giornalisti non vanno eletti a salvatori della patria. Al massimo a bravi giornalisti, che è già molto.

Come puntualmente accade nella vita, l’imbarazzo per un’infatuazione ridicola, benché longeva, svanisce, si va avanti un po’ più saggi e un po’ meno ottenebrati dalle passioni. Almeno una generazione di italiani elaborò, anche con sofferenza, una verità molto elementare, per quanto amara: c’era un indotto generato non dalla caccia alla mitica balena, ma dal sogno della sua cattura. L’eroico ammiraglio venne ridimensionato a modesto capitano, mentre il suo carisma scalfito resisteva comunque, ma in assenza di imprese memorabili.

Può un capitano rassegnarsi a vivere sulla terra? Può oggi il settantaduenne ex ammiraglio rassegnarsi a fare l’umarell davanti a qualche cantiere nel Cilento? Impossibile. Ecco allora che, pur di nutrirsi delle luci della ribalta, Santoro, si imbarca su qualunque chiatta possa trasportarlo tra le onde dell’oceano etereo, fargli provare ancora una volta l’ebbrezza. Poiché nel mondo accadono cose orribile, e poiché in Italia, salvo clamorosi sgarri, una mano tra colleghi si dà sempre, l’ego ormai senile di Santoro, unito al carisma e al mestiere, fa danni.

Dalla “Pace proibita” a Nicolai Lilin candidato al Parlamento Europeo

Costerà 16.500 euro ed è la cifra che vogliamo raccogliere. Non sarà una trasmissione televisiva ma una ribellione contro l’idea che le armi rappresentino una soluzione. Ti chiediamo di aiutarci anche con una piccola cifra. Non solo perché ne abbiamo bisogno ma per capire quanto forte sia il desiderio di scrivere insieme la parola Pace oggi proibita.”

Così scriveva Michele Santoro nel promuovere la raccolta fondi per l’evento Pace proibita, con cui si opponeva alla “deriva del pensiero unico” insieme ad altri artisti e intellettuali, nessuno dei quali è mai stato costretto a entrare in clandestinità.

Pace proibita fu una serata di westsplaining e disinformazione sull’Ucraina invasa dalla Russia, per giunta a circa due mesi di distanza dal massacro di Bucha e della strage di Mariupol; serata di cui ricorderemo in particolare Moni Ovadia che cita come fonte attendibile una giornalista cacciata persino da Fox News – e sì che da quelle parti hanno una soglia di tolleranza molto alta per le cazzate.

Uno potrebbe anche concedere le attenuanti del caso a chi si è imbarcato in una simile impresa armato di buona fede e migliori intenti: però capisce anche che un amico ucraino non lo teneva, o non lo ha ascoltato abbastanza.

(Se per caso avete partecipato al crowdfunding dell’evento, un consiglio: la prossima volta che volete dare dei soldi per la pace, donate a chi porta aiuti umanitari.)

Con questo clima, si sarà detto il nostro Achab, se i soliti trucchi funzionano, e nel frattempo si trovano nuovi compagni di avventure, o persino i vecchi compari di una volta, perché smettere? Meglio infuriare contro il morire della luce. Se il pubblico, pur di sentirsi moralmente assolto, è disposto a non vedere le falle della nave, e un armatore lo si trova sempre, perché restare a terra?

Tanto più che ora l’impresa epica non è nemmeno la caccia alla balena, nel frattempo morta di suo. Ora l’impresa è un’idea, qualcosa di impalpabile come i sogni (o il fumo). La pace! E la resistenza, stavolta, è contro il “furore bellicista”, contro la NATO, contro gli Stati Uniti, contro chi vuole “demonizzare Putin” o “dipingerlo come un mostro”. Un sogno a uso e consumo del pubblico italiano: le parti coinvolte nel conflitto sono passivizzate, o deformate quanto basta per non disturbare il sonno.

A dispetto della “deriva del pensiero unico dominante”, Santoro ha continuato a macinare ospitate in televisione, anche un libro per Marsilio. Nulla di sconvolgente, nell’economia generale del panorama mediatico e culturale italiano. Ma poiché a questo bisogno di rilevanza mediatica si uniscono le iniziative politiche, e proprio perché in Italia la libertà di espressione e il diritto di critica sono un attimo messi meglio della Russia, ci tocca constatare l’imbarazzante equipaggio imbarcato per strada, l’ambiguità perniciosa delle iniziative.

Così abbiamo avuto la “Staffetta dell’umanità”, naturalmente presentata “senza alcuna copertura mediatica”. 50mila persone dichiarate, secondo numeri non verificabili forniti, mentre è verificabile l’appello dell’iniziativa, rivolta a chi “è contrario all’invio di armi in Ucraina”. Dove la “solidarietà” va data, ma senza armi. Il regime di Putin? “Putin è il responsabile dell’invasione ma la NATO…”.

C’è stato poi il sostegno al cosiddetto “referendum pacifista” contro l’invio di armi in Ucraina. Referendum palesemente incostituzionali e che comunque non hanno raggiunto il quorum di firme richieste. Ma a cui Santoro ha prestato la propria piattaforma comunicativa e sostegno attivo. Iniziative a sostegno del popolo invaso, nel frattempo, qualcosa di paragonabile all’Ukraine Solidarity Campaign, o agli aiuti inviati dai minatori gallesi (quei servi della NATO!) ai colleghi ucraini? Zero, all’incirca.

Col senno di poi, le nuove uscite in mare aperto del nostro Achab sono servite a chi le ha portate avanti. Non alla pace, non all’Ucraina, non agli oppositori del regime russo. Sono state la rotta di un percorso in parte esplorativo, per un progetto che poi è diventato realtà. Ovvero la presentazione di una lista per le elezioni europee: Pace Terra Dignità (PTD), con la Federazione Nazionale della Stampa a ospitare la conferenza stampa di presentazione – si nega mai un favore a un collega, in Italia?

Nella lista ritroviamo alcuni dei nomi visti in queste iniziative, tra cui il già citato Moni Ovadia. Ma, nel complesso, scorrendo i candidati, più della ciurma di una nave sembra di avere di fronte un torneo di bocce stile “Memorial Giulietto Chiesa”, più Rifondazione Comunista. Più Nicolai Lilin, ovvero uno che diffonde roba del genere:

Non si sa se la lista, che secondo i sondaggi viaggia attorno al 2%, riuscirà a raccogliere le firme per presentarsi. Ma per il nostro Achab è già un’operazione di successo, quanto meno una botta di vita che allontana lo spettro dell’umarell che vaga nel Cilento; alla peggio potrà cantare eroicamente vittoria anche nella sconfitta, prendendosela con la burocrazia e la solita censura del “pensiero unico”. Qualora dovesse riuscire a presentarsi, l’effetto principale sarà di togliere voti a sinistra del PD, col rischio di tenere Verdi/Sinistra sotto il quorum.

In ogni caso, va evidenziato come l’operazione, anche solo per eterogenesi dei fini, accorpi soggetti e discorsi politici molto problematici per farne massa critica e aumentarne l’impatto. La fase di raccolta firme di PTD e i primi passi di campagna elettorale per le europee sono cominciati a ridosso del terribile attentato di Mosca. Questo ha permesso di osservare in modo più evidente cosa pensano alcuni candidati a proposito di Russia e Ucraina, e della parola “pace”.

Il già citato Lilin è stato tra i primi candidati di PTD a commentare. Lo ha fatto il 22 marzo su Telegram (e in un tweet poi rimosso), rilanciando un video falso, realizzato attraverso tecnologia deepfake e intelligenza artificiale, dove il Segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell’Ucraina ammetteva il coinvolgimento del suo paese nell’attentato di Mosca.

Del resto, sugli ucraini Lilin ha le idee molto chiare. In un altro tweet, infatti, spiega che gli “ucraini non vedono l’ora di entrare in Unione Europea”, paragonandoli a “zecche che si attaccano al corpo umano e succhiano il sangue”. Una tipica metafora pacifista, no?

Il 27 marzo, sul Fatto Quotidiano Pino Arlacchi spiegava invece quale fosse la pista più probabile per i mandanti dell’attentato. Non l’ISIS-K, che ha subito rivendicato la strage, ma “Il governo ucraino su input CIA.

Due giorni prima, lo stesso SantoroL’aria che tira butta là il sospetto, usando il solito tormentone: “Putin non è un mostro […], descriverlo in questo modo è solo funzionale a una cosa: volete fare la guerra. […] Come si fa a dire che l’Ucraina non c’entra, quando in Russia esistono punti di resistenza ucraini molto forti, ci potrebbero essere collegamenti, non lo sappiamo”. Elementi plausibili a sostegno in tutti questi casi? Zero.

Al di là dell’attentato, abbondano ovviamente le posizioni anti-NATO. “Minaccia per la pace”: così ne parla Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione Comunista, il 4 aprile, giorno in cui cadono l’anniversario per i 75 anni dell’Alleanza Atlantica. Quanto alle Nazioni Unite e al diritto a difendersi dell’aggredito (articolo 51), la candidata Ginevra Bompiani ci spiega che “nessuno ci ha attaccato”, mentre “quanto al diritto alla difesa, se c’è un diritto alla difesa, allora ce l’ha anche Putin nei confronti della NATO”.

L’invasione su larga scala dell’Ucraina, di per sé illegittima, è presentata alla stregua della narrazione del Cremlino: una guerra “difensiva” provocata dalla NATO, che avviene in un paese estraneo “all’Occidente” e alla “meravigliosa cultura dell’Europa” su cui aleggia lo spettro della Terza Guerra Mondiale.

A proposito di diritto, c’è da considerare anche la volontà popolare, visto che da poco si sono consumate le elezioni in Russia. Elezioni che non abbiamo diritto di criticare, sostiene il candidato Pino Aprile, visto il precedente del referendum per l’annessione del Regno delle Due Sicilie.

Se vuoi la pace prepara la resa

“Ciascuno cresce solo se sognato”, diceva qualcuno che sulla pace e la nonviolenza ne sapeva certo più di tutti i protagonisti di questo articolo. Poiché spesso le critiche a un certo tipo di pacifismo vengono bollate come “demonizzazione”, e subdolamente si fa coincidere il principio di legittima difesa contro l’essere “pro-Ucraina”, domandiamoci: che Ucraina e che Russia immagina chi parla di pace?

Cosa immagina per quei due popoli? Se la politica, nella sua forma più nobile, impone di essere visionari pragmatici, poeti nel sognare e scienziati nell’operare, che Ucraina sognano movimenti e soggetti che ruotano attorno a figure come Santoro, e che ora cercano di accreditarsi in vista delle europee?

Immaginano un’Ucraina che cede varie regioni a una Russia guidata da Putin. Immaginani quindi quello che già abbiamo visto non nei sogni, ma nella storia degli ultimi decenni, e che ha spinto paesi come Finlandia e Svezia a voler entrare nella NATO: territori occupati, russificazione forzata, milioni di profughi, centri di filtraggio, decine di migliaia di minori sottratti alle famiglie (e per cui già Putin ha un mandato di cattura internazionale); dove la radicalizzazione della parte non ceduta all’invasore, eventualmente, sarà vista come conferma del “nazismo” ucraino.

Immaginano una Russia dove i premi Nobel come Muratov od Orlov sono all’estero o in prigione; immaginano una Russia dove le persone in coda per omaggiare Alexey Navalny, facendosi anche arrestare, hanno sfidato il regime per un “brand dell’Occidente”.

Immaginano una Ucraina dove Oleksandra Matviichuk, Nobel per la Pace 2022 con il Centro per le libertà civili, ha raccolto prove dei crimini di guerra russi per niente. Immagina una Bielorussia dove Ales Bialiatski, altro vincitore del Nobel per la Pace nel 2022, resta in carcere.

Attorno a questi due popoli, immaginano un mondo dove i paesi che stanno fornendo le armi alla Russia, come Iran e Corea del Nord, non hanno interessi particolari se non per colpa della NATO o degli USA; un mondo dove l’aver creato un’eccezione al principio di difesa territoriale non farà scuola per nessuno, non creerà precedenti, ma anzi spingerà le altre potenze nucleari a desiderare il disarmo, in primis la stessa Russia.

Immaginano un mondo dove sono fuori dall’equazione, MoldovaGeorgia, Azerbaijan e Nagorno-Karabakh. Dove il problema della Siria e di Assad riguarda l’Europa nella misura in cui questa “deve rifiutare il criterio delle relazioni internazionali come ‘competizione strategica’ tra le grandi Potenze com’è concepita dagli Stati Uniti”.

Immaginano un mondo dove la Corte Internazionale di Giustizia va fatta rispettare in alcuni casi, ma evidentemente si può ignorare quando chiede il ritiro delle truppe russe di occupazione (cioè dal marzo 2022).

Immaginano la resa di un popolo, ma la chiamano “pace”. Immaginano il dominio, ma sono troppo vili per nominarlo; al massimo lo relativizzano, poiché se così fan tutti, a nessuno si può fare la morale. Oppure, sotto sotto, lo ammirano pure, ma sanno che non è ancora il momento giusto per dirlo.

Intendiamoci: una guerra può essere persa, una sconfitta può essere una sciagura con cui misurarsi. Ci sono scenari su cosa potrebbe accadere in un caso simile, che non può essere escluso a priori. Ma non è questo il punto per certi soggetti politici; non lo è mai stato.

Quando sognano, e immaginano quanto abbiamo descritto sopra, probabilmente parlano nel sonno, e dicono qualcosa come “fatelo agli ucraini, basta che non lo facciate a me”. Il loro sogno è un incubo dettato dall’accidia, dall’otium latino. E poiché quest’incubo va in giro per la piazze, produce discorsi come quello che citiamo a conclusione dell’articolo.

L’ha pronunciato Michele Santoro nei giorni scorsi, accostando i presunti discorsi su “Putin mostro” alla propaganda antisemita di Hitler. Piccola nota a margine: l’attuale presidente del paese invaso da Putin, l’ucraino Volodymyr Zelensky, è ebreo.

Quando stava per finire la Seconda Guerra Mondiale due gruppi di studio, in Russia e negli Stati Uniti si posero il problema di capire il cervello di Hitler, perché dovevano sapere come avrebbe reagito Hitler alla fine della guerra. Quindi hanno studiato tutto di Hitler, i russi hanno studiato anche dopo, hanno preso perfino il cervello, hanno cercato di capire come era nato un mostro così grande, no? Bene, hanno trovato di tutto, cose che non posso raccontare in piazza. Si sono posti il problema se era pazzo, che si faceva umiliare dalle donne, che poi portava al suicidio, che poteva avere sangue ebreo perché sua nonna e sua madre che erano state domestiche potevano essere state addirittura inseminate da ebrei, quindi lui poteva avere questa rivalsa contro gli ebrei… Ne hanno studiate di tutti i colori, che la mamma lo metteva sul vasino per dirgli “adesso tu qui devi fare la cacca, non ti devi muovere da questo vasino!”, quindi questo stato di costrizione nel quale era cresciuto come infante… Ne hanno studiate di tutti i colori per arrivare a capire qual era il mistero per cui un uomo aveva potuto concepire un’idea così aberrante come la Shoah nei confronti degli ebrei. Ebbene, a quale conclusione arrivo io? Che Hitler era un uomo, era un uomo del suo tempo non era un mostro. Era un uomo che interpretava le paure del suo tempo e che le ha interpretate più degli altri, e per poterle interpretare al meglio ha inventato il nemico. Ecco perché gli ebrei sono stati un nemico pazzesco da individuare per Hitler perché erano tedeschi come lui quelli che perseguitava. Capite? Erano gente che pagava le tasse come lui, erano il vicino di casa nostra che guardavamo, che vedevamo uscire la mattina e poi non abbiamo visto più tornare, e noi che cosa abbiamo fatto, noi che li vedevamo andare, partire, essere buttati nei campi di sterminio? Abbiamo girato la faccia dall’altra parte, abbiamo finto di non vedere, quindi quel mostro non era solo lui, quel mostro era dentro di noi, nella nostra indifferenza, nella nostra volontà di trovare sempre un nemico, un nemico, un nemico da distruggere! E allora è questa idea che ci dobbiamo togliere, e tanto più ce la dobbiamo togliere quando parliamo di Putin, perché di tutte le bugie che ci dicono, ricordiamoci una cosa che abbiamo studiato alle elementari e che non possiamo dimenticare, che come Hitler è stata una concezione dell’Occidente, perché Hitler era tedesco, è nato da questa parte della Storia, eh, non è nato da un’altra parte, così siamo stati sempre noi ad andare a invadere la Russia e mai la Russia a invadere noi, e noi stiamo disegnando una bugia colossale che è quella di Putin che vuole arrivare a San Pietro.

Cara Schlein, Conte non aiuta la destra, Conte è la destra (linkiesta.it)

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Bari opportunità

L’ennesimo schiaffo dei Cinquestelle al Pd potrebbe liberare il partito dall’ossessione anti renziana che lo costringe a inseguire i populisti, ma purtroppo non lo farà

Su X, Francesco Cundari ha scritto: «Per tutti quelli che nel Pd ora si scandalizzano della slealtà, dei voltafaccia e del cinismo di Conte c’è una sola parola. Bari. Plurale». Luca Sofri, sempre su X, ha commentato: «Insomma Bari sta dimostrando che per il PD allearsi col M5S non funziona e che cooptare quelli di centrodestra non funziona: resterebbe quella vecchia idea di costruire un PD che si faccia votare e vinca le elezioni».

Basterebbe fermarsi qui, anche perché non credo sia necessario argomentare ulteriormente ciò che abbiamo scritto fastidiosamente e senza sosta tutti i santi giorni per quattro anni di fila, e cioè che Giuseppe Conte è la più grande impostura della politica italiana e chi da anni lo asseconda ha ormai raggiunto i requisiti necessari per richiedere e ottenere il “bonus psicologo”.

Linkiesta ha scritto in splendida solitudine chi era, e chi è, Giuseppe Conte sia quando governava con Salvini sia quando governava con il Pd. Chiedo scusa per aver usato il verbo “governare” a proposito di due grottesche esperienze politiche bipopuliste caratterizzate da imbarazzanti figure internazionali, decreti sicurezza e porti chiusi in difesa della razza, giustizialismi di stampo sudamericano, trumpismi di ogni ordine e tipo, accordi di vassallaggio con la Cina, mutilazione del Parlamento in nome del superamento della democrazia rappresentativa, disastri economici e sanitari che ci avrebbero accoppato se non fossero arrivati Mario Draghi e il generale Figliuolo, un Pnrr da barzelletta per cui a Bruxelles ridono ancora, putinismi da Volturara Appula con amore e superbonus di cittadinanza.

Insomma, favolose gesta che prima o poi meriterebbero una solenne retrospettiva tipo quelle ricorrenti sul Futurismo o sull’Arte povera, perché come altro può essere omaggiato il contismo se non come una funambolica riedizione politica e altrettanto concettuale della merda d’artista?

Inutile fare l’elenco delle slealtà e dei sadismi di Conte nei confronti di un Pd imbelle e masochista che da anni lo abbraccia strategicamente perché mosso da un unico e grottesco disegno strategico: fare il contrario esatto di quello che fa in quel momento Matteo Renzi, l’ex segretario dimessosi sei anni e quattro segretari fa da un partito che per ragioni incomprensibili non riesce a liberarsene.

L’unico programma non negoziabile del Pd dal 2018 a oggi è quello di derenzizzare il partito, servendosi di metodi da gruppo Wagner, anche nei confronti delle brave, bravissime, eurodeputate del Pd, molto rispettate a Bruxelles ma potenziali vittime della pulizia etnica del Nazareno nella prossima tornata elettorale perché colpevoli, anni fa, di aver guidato le liste europee del Pd di Renzi.

Poco importa che la Schlein sia anch’essa una beneficiata di Renzi, essendo stata eletta a Bruxelles, nonostante fosse arrivata sesta nella sua circoscrizione, grazie al clamoroso 40 per cento ottenuto nel 2014 dall’allora presidente del Consiglio.

Schlein è uscita dal Pd l’anno successivo, ed è stata eletta segretaria del partito l’anno scorso pur non facendone parte, anzi proprio grazie alla sua storia di militante progressista che voleva occupare il Pd, esattamente la stessa cosa che vuole fare anche Giuseppe Conte, occupare il Pd, con la solita mistificazione dell’alleato strategico cui affidarsi per battere la destra.

Dopo l’ultimo schiaffo barese di Conte al Pd, Elly Schlein con ritrovato orgoglio di partito ha detto che «Conte aiuta la destra». Che tenerezza! Ma, in teoria, anche un’opportunità per il Pd di rivendicare la differenza con i grillini e di stabilire un rapporto non tossico con i populisti di Conte.

L’effetto però è comico, non tanto perché Schlein e altri dirigenti del Pd (i famosi bari al plurale del tweet di Cundari) si siano accorti del giochetto di Conte soltanto adesso, nell’anno del Signore 2024, ma perché la segretaria del Pd e i suoi continuano a sbagliare analisi: Conte non aiuta la destra, Conte è la destra.