Le star russe che hanno incoraggiato l’esercito a compiere crimini umanitari in Ucraina (linkiesta.it)

di

Anime morte

Come racconta Ian Garner nel libro “Figli di Putin” (pubblicato da Linkiesta Books), i propagandisti del Cremlino e una pletora di volti famosi hanno spinto le truppe a comportarsi nei modi più abominevoli e a devastare le città ucraine occupate

Quello che leggete in queste pagine è un estratto del libro di Ian Garner “Figli di Putin” (pubblicato da Linkiesta Books nella traduzione di Anna Zafesova), che racconta come il nuovo fascismo russo indottrini le nuove generazioni. Lo potete acquistare nel nostro store online. Questo estratto è stato pubblicato el numero speciale di Linkiesta Paper, pubblicato in occasione del secondo anniversario della guerra in Ucraina. In edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia. È ordinabile qui.

I “nemici dello Stato” più celebri sono stati fustigati da politici, propagandisti e sacerdoti, in una campagna di critiche pubbliche.

Ma non sono stati solo i russi più famosi […] a manifestare le loro opinioni attraverso la decisione di andarsene all’estero. Si stima che nelle prime settimane di guerra almeno duecentomila russi abbiano lasciato il Paese per accamparsi in Paesi dell’ex Unione Sovietica con una cospicua popolazione russofona, come la Georgia, l’Armenia e il Kazakistan, per i quali era più semplice ottenere un visto. I pochi fortunati dotati di agganci, denaro e visti giusti, si sono invece trasferiti negli Stati Baltici o in altri Paesi europei.

Il movimento di protesta si è però estinto con la stessa rapidità con la quale era divampato. Già a fine marzo del 2022, la protesta pubblica era di fatto morta. Mentre una manciata di celebrità prendeva ancora posizione contro la guerra, i russi continuavano a lasciare il Paese, in un rivolo verso l’esilio che nel 2022 si è trasformato per qualche giorno in un torrente quando, alla fine del mese di settembre, lo Stato ha annunciato la mobilitazione al fronte. L’opposizione si è ritirata nel silenzio […].

Per ogni celebrità scappata dalla Russia, ce n’è stata una che ha fatto campagna per la guerra. Aleksandr Ovechkin, eroe sportivo nazionale e capitano della squadra di hockey dei Washington Capitals, è andato a Mosca per incontrare il leader della gioventù filoputiniana.

L’oligarca del rap Timati, una sorta di risposta russa a Jay-Z che vanta stretti legami con il Cremlino e possiede un impero che va dalle case discografiche alle hamburgherie, ha dichiarato che «il mondo vuole un altro Gorbaciov o un altro Eltsin» – cioè un leader considerato debole e ostile alla Russia – «ma la storia ha altri progetti».

Roma Zholud’, fotogenico cantante partito da YouTube per diventare una star buona per ogni occasione, ha condotto sul suo Instagram una campagna contro gli aiuti occidentali all’Ucraina: «Forza Russia! Io sono per la pace nel mondo, ma l’odio e gli appelli a uccidere i russi che vengono lanciati da quelli che voi sostenete mostrano il vostro vero volto!».

Il linguaggio della violenza ha iniziato a calpestare i germogli della protesta contro la guerra. Ad aprile, l’opinione pubblica occidentale è stata scossa dalla scoperta delle stragi di massa a Bucha, una cittadina alle porte di Kyjiv.

Le immagini dei cadaveri con le mani legate dietro la schiena e la benda sugli occhi, abbandonati per le strade, così come le fotografie dei corpi mutilati e delle celle di tortura improvvisate negli scantinati e nelle scuole, sono state uno shock per tutto il mondo.

Il governo russo ha fatto di tutto per promuovere una narrazione che smentisse le immagini come un fake, sostenendo che si trattasse di una «provocazione» occidentale e che forse non ci fossero nemmeno i cadaveri, oppure che gli ucraini stessi o delle non meglio precisate forze occidentali avessero commesso delle stragi per poi addossarne la responsabilità al buono e onesto esercito di Mosca.

Ci sono stati dei russi che non ci sono cascati. Molti altri però si sono scatenati nei canali nazionalisti sui social, arrivando quasi a criticare il loro esercito per aver mostrato pietà verso il nemico. Centinaia di utenti hanno lasciato commenti su «quei disumani», su quelle «vipere», sugli ucraini «malati» che «meritano la morte». «Dobbiamo ammazzare questi fottuti», ha scritto uno di loro.

Alina, una diciannovenne di Nizhny Tagil (inospitale città postsovietica in rapido decadimento), si è unita agli attacchi: «Bucha. Farò un’altra Bucha. Darò loro una lezione», ha scritto sui social. Alina non solo non ha negato le atrocità commesse dai russi, ma le ha appoggiate. E si è spinta fino a promettere di partecipare al genocidio di due dei nemici dello Stato, gli ucraini e gli omosessuali: «Ukry, venite a fare un gay pride a Tagil e noi lo trasformeremo in un tritacarne».

Il “tritacarne” è il sinonimo preferito dai russi per indicare un processo accompagnato da tortura, oppure un bagno di sangue come quello vissuto dai sovietici durante la Seconda guerra mondiale. Oggi si dice che i “russi etnici” – i russofoni che Putin dichiara di difendere – vengano macinati in un altro tritacarne, come cibo per i nemici della Russia. Che Alina mette tutti nello stesso paniere: ucraini, omosessuali e nazisti, tutti sinonimi di “non-russi”, e quindi malefici e indesiderati.

Spinti dallo Stato, dai suoi propagandisti, da un’intera pletora di volti famosi e da una vasta rete di gruppi sui social, i russi come Alina hanno incoraggiato le truppe russe a comportarsi nei modi più abominevoli e a devastare le città ucraine occupate.

I soldati hanno trasgredito le regole della guerra e cospicue fette della popolazione russa – non tutti i russi, quindi, ma quantomeno una corposa minoranza – non si sono limitate ad applaudirli, ma li hanno incoraggiati. Come Alina, hanno chiesto loro di essere all’altezza della reputazione di cattivi di cui godevano nei media occidentali. Più erano terribili le atrocità commesse e più l’opinione pubblica scandiva #non- ci vergogniamo (#NamNeStydno).

Chi lo faceva aveva creduto in questa crociata. Aveva creduto di partecipare alla purificazione della Russia, un Paese che si estende ovunque Mosca abbia regnato in passato e su tutte le terre in cui si parla russo. Quello di Alina non è l’unico percorso possibile per i russi di oggi.

Ma i giovani russi dall’altra parte della barricata hanno sempre più paura di parlare. Nel 2022 ho mandato decine di mail a vecchi amici e ai contatti nella mia agenda, ma nemmeno i conoscenti più fidati hanno avuto il coraggio di confessarsi.

Ho scritto a Sveta: «Ciao. È tanto che non ci sentiamo, spero tutto bene. Ascolta, sto scrivendo dei giovani russi. So che probabilmente sei presa, ma possiamo parlane? Mi piacerebbe sapere da te com’è fare l’insegnante oggi». La risposta è arrivata quasi subito.

Sveta scrive le stesse parole che ho già letto tante altre volte: «Che carino. Bello risentirti. Oggi nel nostro Paese è tutto molto complicato, perciò non posso esserti utile. Stammi bene. Sveta». “Complicato” è una parola che dice più di un lungo dibattito politico. Sveta, che è un’insegnante poco più che trentenne, non è mai stata una sottomessa. Alla fine degli anni Duemila avevamo trascorso parecchio tempo insieme in una Pietroburgo piena di speranze […].

Sveta amava l’Occidente, ma anche il suo Paese. Parlava un ottimo inglese, ma voleva mostrarmi la “vera Russia”. Mi portava a vedere l’architettura barocca della città, mi conduceva lungo i viali e i canali, mi faceva prendere la metropolitana fino alle lontane periferie moderne […]. Era una fan delle band indie britanniche e americane più di tendenza, ma non aveva mai preso in considerazione l’idea di andarsene dalla Russia.

Per Sveta e per molti suoi coetanei, negli anni Duemila Pietroburgo e tutta la Russia stavano navigando inesorabilmente verso un destino europeo: un concetto che racchiudeva l’appartenenza culturale e la pace politica, i valori liberali e la prosperità economica.

Ma nel 2022, nemmeno Sveta voleva più parlare di ciò che stava accadendo […]. Ormai i vecchi valori europei dei giovani russi sembrano dileguarsi, mentre emergono il revanscismo, la paranoia e l’aggressività della bacheca di Alina su VKontakte e dei discorsi di Putin.

Aborto, la rabbia dei pro-life che promettono la rivincita nelle urne (ilmanifesto.it)

di Eleonora Martini

LEGGE 194. Le reazioni al voto del Parlamento 
europeo. I dati della disparità in Italia

A giudicare dalle reazioni che ha suscitato in Italia la risoluzione approvata ieri a larga maggioranza dal Parlamento europeo, il segnale politico che si è levato dalla plenaria è andato decisamente a segno, anche se nei fatti si tratta ovviamente, a questo punto della legislatura, di un documento dalla portata più simbolica che reale.

«Oggi è un giorno tragico per la storia dell’Europa e per i suoi valori fondanti», tuona infatti Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus, l’associazione che ieri ha inviato per le strade di Bruxelles un grande camion-vela con l’immagine stilizzata di un feto insanguinato e lo slogan: «To kill a baby is not a fundamental right» («Uccidere un bambino non è un diritto fondamentale»).

E che ora promette battaglia nelle urne europee di giugno. Ma in realtà, è soprattutto la richiesta di vietare i finanziamenti ai «gruppi anti-genere e anti-scelta» che manda in tilt i pro-life italiani, da sempre forti del sostegno anche finanziario della Chiesa e delle destre e ora rinvigoriti dal recente documento «Dignitas infinita» che ribadisce la posizione intransigente sull’aborto di Papa Francesco: uno dei delitti più gravi e deprecabili «che l’uomo può compiere contro la vita».

DI CONTRO, L’ITALIA LAICA e libertaria trova una sponda (e un sollievo) nel documento con cui gli europarlamentari spronano la Commissione Ue e condannano in particolare l’Italia per la disparità di accesso ai servizi di Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) dovuta all’«ampia maggioranza di medici» che si dichiara obiettore di coscienza in alcune regioni.

Per la Cgil, ad esempio, è «un voto storico» che «dà un segnale fortissimo sulla tutela dei diritti e l’autodeterminazione delle donne». «I deputati che rappresentano le forze di governo, Fd’I, Lega e FI, hanno votato contro il diritto all’autodeterminazione delle donne – afferma la segretaria confederale Lara Ghiglione – non nascondendo quindi quale sia la loro visione del ruolo della donna nella società del XXI secolo».

Stesso entusiasmo espresso a più voci dal Pd. Tra gli altri la deputata dem Laura Boldrini, presidente del Comitato permanente sui diritti umani nel mondo, sottolinea in particolare il «monito preciso» indirizzato agli Stati come l’Italia dove «in molte regioni è sostanzialmente impossibile accedere all’aborto, le donne sono spesso costrette a girare in lungo e in largo per il Paese prima di trovare un medico o una struttura dove potere interrompere la gravidanza, e nei consultori si dà sempre più spazio ad associazioni e movimenti contrari alla libertà di scelta».

In Italia, in effetti, la legge 194 che tra poco più di un mese compirà 46 anni è applicata da sempre, e sempre più, a macchia di leopardo. E non perché, come ha spesso ripetuto la premier Meloni, non sempre garantisce a sufficienza alternative possibili alle donne che potrebbero non voler abortire.

Tutt’altro: nell’ultima Relazione al parlamento trasmessa il 12 settembre 2023 e basata sui dati del 2021 si sottolinea che «nel 2021 il fenomeno dell’obiezione di coscienza ha riguardato il 63,6% dei ginecologi (valore in diminuzione rispetto al 64,6% del 2020), il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico. Si rilevano – evidenzia il report dello stesso ministero della Salute – ampie variazioni regionali per tutte e tre le categorie».

UN PROBLEMA CHE POTREBBE essere gestito a norma di legge – garantendo il servizio con medici gettonisti o con assunzioni ad hoc – o aggirato, privilegiando e agevolando la pillola abortiva Ru486 che, ad esempio, nei Paesi scandinavi è usata nel 98% delle Ivg.

E invece, sempre secondo l’ultima Relazione al parlamento, da noi «il ricorso all’aborto farmacologico varia molto tra le regioni, sia per quanto riguarda il numero di interventi che per il numero di strutture che lo offrono».

Solo negli ultimissimi anni il trend nel tempo evidenzia un aumento dell’uso di Mifepristone e Prostaglandine in tutte le regioni: nel 2020 il 35,1% delle Ivg era effettuato con uno o entrambi i farmaci abortivi mentre nel 2021 la percentuale è salita al 48,3% .

“Nessun legame tra i vaccini Covid e le morti improvvise”: i dati di una nuova indagine americana

“I dati non supportano un’associazione tra 
vaccinazione anti-Covid e morte cardiaca 
improvvisa nei giovani”. 

E’ questo l’esito di una nuova indagine condotta in Oregon e resa nota dai Cdc statunitensi (Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie) nell’ultimo ‘Morbidity and Mortality Weekly Report’.

Lo studio torna su uno degli argomenti che finisce spesso al centro di polemiche da parte di chi esprime posizioni critiche verso i vaccini. Nell’aprile 2021, ricordano i Cdc, sono stati segnalati al Vaccine Adverse Event Reporting System casi di miocardite post iniezione-scudo, in particolare tra i giovani maschi sottoposti a immunizzazione.

E dopo che la vaccinazione Covid è stata associata a miocardite in questa fascia di adolescenti e giovani adulti, sono state sollevate preoccupazioni su possibili decessi cardiaci correlati al vaccino in questa fascia di età.

Il legame inesistente tra vaccini e morti improvvise per infarti e miocarditi

Per valutare questo aspetto, i ricercatori hanno preso in esame i certificati di morte dei residenti dell’Oregon di età compresa tra 16 e 30 anni che sono deceduti nel periodo giugno 2021-dicembre 2022 per cause di morte cardiache o indeterminate.

Sono stati poi esaminati per i deceduti identificati i registri nel sistema informativo sulle immunizzazioni dell’Oregon. Tra i 1.292 decessi identificati, Covid-19 è stato citato come causa di 30. Per altri 101 non è stato possibile escludere una causa di morte cardiaca. Tra questi deceduti, erano disponibili dati del sistema informativo sulle immunizzazioni per 88.

Dei 40 decessi avvenuti tra persone che avevano ricevuto una dose di vaccino anti-Covid a mRna, 3 si sono verificati entro i 100 giorni successivi alla vaccinazione. Ma 2 erano casi di persone con malattie croniche di base e un singolo deceduto aveva una causa di morte indeterminata.

Questi dati, concludono gli autori, “non supportano un’associazione tra la ricezione del vaccino a mRna anti-Covid e la morte cardiaca improvvisa tra giovani precedentemente sani”.

La paralisi di Bell, Simona Ventura e il VAERS (butac.it)

di 

Complottismo ormai automatico 

– altro che spirito critico! – che collega qualsiasi malanno, starnuto o brufolo al vaccino anti-covid, l’importante è che venga fatto rigorosamente senza alcuna prova

Una segnalazione che ci avete inviato rimanda a un tweet di un soggetto che da tempo ci ha bloccato l’accesso al suo profilo Twitter (come se servisse a qualcosa), tale Chance Giardiniere. La segnalazione però includeva già uno screenshot, questo:

Il nostro amico Giardiniere nel suo post fa un confronto tra il numero di segnalazioni di paralisi di Bell dopo i vaccini secondo i dati del VAERS, citando una cifra precisa, e un caso attribuito al “freddo”.

Il VAERS, come ben sa chi segue BUTAC da tempo, è un sistema dove professionisti sanitari e i cittadini possono segnalare eventi avversi post-vaccinazione, ma è importante notare – come segnalano già sulla home page del sito del VAERS stesso – che le segnalazioni da sole non significano che l’evento sia stato causato dal vaccino, solo che l’evento è seguito – dal punto di vista temporale – all’inoculazione.

Quando si valutano dati come questi, non si può prescindere da un’analisi approfondita che consideri il contesto e i fattori concomitanti, chi lo fa dimostra una mancanza di competenze evidente a chiunque abbia cercato di informarsi un minimo sul tema. Prima di stabilire la correlazione causale, gli esperti devono esaminare attentamente ognuna di queste segnalazioni. Inoltre, e anche questo è precisato in maniera chiara sul sito, 

i numeri presentate su sistemi come il VAERS devono essere interpretati con particolare cautela, poiché ogni segnalazione è auto-riferita e non necessita di alcuna documentazione a supporto: questo significa che non necessariamente è stata verificata, tantomeno confermata come effetto collaterale causato dal vaccino, e che potrebbe essere inventata di sana pianta.

La paralisi di Bell, come abbiamo già spiegato altre volte, è una condizione che causa improvvisa debolezza o paralisi dei muscoli di un lato del viso. Alcuni studi hanno esaminato possibili collegamenti tra la paralisi di Bell e i vaccini anti-Covid, individuando una probabile correlazione (facilmente risolvibile in poche settimane dalla vaccinazione) che si manifesta principalmente dopo la prima dose.

Giardiniere vuole dare a intendere che la paralisi facciale di Simona Ventura sia stata sicuramente causata dai vaccini, ma senza alcuna prova che la conduttrice si sia vaccinata da poco – tantomeno con la prima dose – è molto probabile che il motivo della sua paralisi facciale sia dovuto ad altro. Come riportato su MSD Manuals:

Le evidenze indicano che alcune cause comuni della paralisi di Bell includono

Anche altri virus, come quello che causa COVID-19, i coxsackievirus, i citomegalovirus e i virus che causano la parotite, la rosolia, la mononucleosi o l’ influenza, possono causare la paralisi di Bell.

Quindi dare per sicuro che la causa della paralisi sia un vaccino, come avete appena potuto leggere, è una semplificazione sensazionalista che giusto un soggetto che gode della disinformazione che diffonde – come il nostro “amico” Giardiniere – può fare.

Sia chiaro, anche sostenere sia “colpa del freddo” è una di quelle semplificazioni senza alcuna attinenza scientifica, non è il “freddo” a causare una paralisi del viso.

Ma siamo in Italia, dove il “colpo d’aria” è ancora considerata una causa di alcuni mali, con conseguente presa per il culo da parte della stampa straniera…