di Domenico Cacopardo
Reddito di cittadinanza, il 110%: sono soltanto
alcuni dei provvedimenti che adesso pesano sui
conti italiani
Può accadere solo in Italia (a causa del complice silenzio di tanti) che l’autore del più rilevante assalto alla finanza pubblica della storia d’Italia, Giuseppe Conte, si erga a moralizzatore della politica nazionale, conferendo farlocche patenti di legalità e di illegalità.
E può succedere solo in Italia che i caporioni del più grande partito della sinistra democratica decidano di affondarne l’originaria ispirazione riformista, affidandone le sorti a una persona estranea a se stesso e -l’abbiamo visto- totalmente incapace sul piano politico. Evidente il suo compito: liquidatrice dell’animo riformista per lasciare in vita soltanto l’animo massimalista che consegnerà l’Italia a una storica primazia della destra di Giorgia Meloni.
Vogliamo ricordare che quella che Carlo Calenda definisce la «grande iattura», cioè l’opaco arrivo dei grillini nell’area di governo, assumendone la direzione con un soggetto privo di storia politica, estratto dal cappello di Alfonso Bonafede, suo collega siciliano di studio legale fiorentino è stata una grande iattura nazionale.
Un premier ignoto all’elettorato e ai cittadini: consenso popolare uguale a zero. Il gruppo dirigente del Movimento 5Stelle, alla cui testa c’era il noto Luigi Di Maio, non aveva nessuno da indicare come premier. E, quindi, la riffa s’è fermata sul nome di questo Conte.
Quando era a capo del governo
Si ricorderà la sua esperienza di governo per avere assentito al grande esodo di personale sanitario in prepensionamento secondo i desideri di Matteo Salvini, che ha fatto trovare il nostro sistema sanitario gravemente depauperato nel momento in cui è arrivato il Covid-19.
Lo si ricorderà per il finanziamento delle fannullanze, cioè per la dissipazione di denaro pubblico, versato dai lavoratori dipendenti (gli unici soggetti in sostanza che alimentano le entrate dello Stato) a favore di chi stava sul divano ad ammirare le trasmissioni televisive o, meglio, fingeva di non fare nulla per andare a lavorare in nero (un triplo furto nei confronti della comunità nazionale: i soldi dati per non far nulla; i soldi non versati per il reddito prodotto in nero; i contributi parafiscali anch’essi non versati).
Sino alla sublimazione del contributo del 110% assentito a tutti coloro che essendo proprietari di un’abitazione intendevano restaurarla conferendole una crescita nella classifica degli edifici non inquinanti. Il fatto è che questa regalia (110%) è stata erogata a soggetti che, per reddito e patrimonio, non avevano alcun bisogno di questo extraincentivo che s’è trasformato in una dissipazione incontrollata di denari pubblici, una parte dei quali sono stati tranquillamente rubati con i soliti pasticci di cui vantiamo il brevetto. In definitiva, a oggi, il costo dell’operazione sembra più vicina ai 250 miliardi di euro che ai 200 con conseguenze ferali sui bilanci prossimi venturi e su spese essenziali come la sanità.
Questo politicamente esecrabile personaggio, sembra uno dei protagonisti della Batracomiomachia, il poemetto greco in versi addirittura attribuito a Omero, nel quale si narra la guerra delle rane e dei rospi. Strumento bellico: la cassa toracica, capace di gonfiarsi a dismisura per lanciare urla sempre più acuti. «Flati vocis» (fiati di voci) privi di sostanza come strumento di lotta e, in Italia, di lotta politica.
Il caso Puglia
Certo, questo è solo un aspetto della questione. Se guardiamo alla Puglia e al suo sempiterno giudice amministratore Michele Emiliano prima sindaco e ora presidente in scadenza della regione e ne esaminiamo da vicino le gesta politiche (assorbimento di oppositori di ogni genere) e amministrative (guerra alla guerra contro la Xylella, guerra alla Tap, guerra contro l’Ilva, tanto per accennarne a qualche ‘gesto’) ci rendiamo conto che il meccanismo di controllo della macchina regionale ed elettorale non appartiene alla fisiologia democratica immaginata nella Costituzione, ma al caudillismo di peggiore specie un tempo in voga in Sud-America.
I fatti corruttivi di cui si parla a proposito della Puglia (e del Piemonte) riguardano personaggi dell’area Pd e ‘associati’. Giusto scandalizzarsene, ma la sensazione è che si tratti per lo più di epifenomeni dietro i quali si può nascondere il tema più grande e più grave: la crescita del peso economico della criminalità organizzata, mediante soggetti che hanno scelto il colletto bianco in tutto il territorio nazionale.
Un fenomeno dal quale tutta la politica deve guardarsi con attenzione, dato che esso non è attratto dal Pd in quanto tale, ma dal sistema di potere che si realizza nelle regioni e nei comuni. Quindi tutto l’arco politico può essere oggetto di un approccio e di un’aggressione criminale.
Emerge ancora una volta il tema sostanziale sul quale chiudiamo gli occhi: l’inefficienza diffusa della giustizia, sia nella parte giudiziaria che nella parte amministrativo-poliziesca.
La Nazione è stata da tempo infettata e sarà difficile liberarla dai condizionamenti criminali diffusi nel territorio. Ed è la cittadinanza che ha perso l’attenzione al fenomeno, rispetto al quale sembra sia diffusa una anestetizzante indifferenza.
Sarà difficile, ma è necessario e urgente porvi mano. Trovando stimoli capaci di smuovere il pachiderma immobile, capace di barriti stentorei, ma altrettanto capace di chiudere gli occhi.
A proposito, che fine ha fatto l’inchiesta che aveva condotto Raffaele Cantone a riferire in Commissione antimafia degli illeciti sviamenti di potere accaduti in sacrali uffici giudiziari italiani?