Personalizza le preferenze di consenso

Utilizziamo i cookie per aiutarti a navigare in maniera efficiente e a svolgere determinate funzioni. Troverai informazioni dettagliate su tutti i cookie sotto ogni categoria di consensi sottostanti. I cookie categorizzatati come “Necessari” vengono memorizzati sul tuo browser in quanto essenziali per consentire le funzionalità di base del sito.... 

Sempre attivi

I cookie necessari sono fondamentali per le funzioni di base del sito Web e il sito Web non funzionerà nel modo previsto senza di essi. Questi cookie non memorizzano dati identificativi personali.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie funzionali aiutano a svolgere determinate funzionalità come la condivisione del contenuto del sito Web su piattaforme di social media, la raccolta di feedback e altre funzionalità di terze parti.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie analitici vengono utilizzati per comprendere come i visitatori interagiscono con il sito Web. Questi cookie aiutano a fornire informazioni sulle metriche di numero di visitatori, frequenza di rimbalzo, fonte di traffico, ecc.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie per le prestazioni vengono utilizzati per comprendere e analizzare gli indici di prestazione chiave del sito Web che aiutano a fornire ai visitatori un'esperienza utente migliore.

Nessun cookie da visualizzare.

I cookie pubblicitari vengono utilizzati per fornire ai visitatori annunci pubblicitari personalizzati in base alle pagine visitate in precedenza e per analizzare l'efficacia della campagna pubblicitaria.

Nessun cookie da visualizzare.

Tensione alla fiaccolata verso il 25 aprile a Torino, militanti strappano un cartellone col simbolo della “Brigata ebraica” e una bandiera ucraina (lastampa.it)

di IRENE FAMÀ, CATERINA STAMIN

«L’Anpi deve stare davanti. Ovvio», dice un 
militante del Fronte della gioventù comunista. 

«Allora possiamo far passare le persone e poi valutiamo?», ribatte uno dell’Anpi. Inizia con questo scambio di battute la fiaccolata per il 25 aprile in piazza Arbarello.

Torino, tensione alla fiaccolata per il 25 aprile: strappato cartello della brigata ebraica

Con uno spezzone pro Palestina partecipato da centinaia di persone: militanti del Fronte della gioventù comunista, del centro sociale Askatasuna e altre realtà antagoniste.

In piazza arrivano alcuni dell’associazione Aglietta e attivisti radicali che portano bandiere dell’Ucraina, dell’Iran e dell’Unione Europea. «Fuori la Nato dal corteo. Fuori la Nato dal corteo», urlano. «Fuori dalla guerra, fuori dalla Nato. Nessuna base, nessun soldato». Un giovane militante di Aska cerca di strappare dalla mano di un signore in piazza una bandiera dell’Ucraina. Ne scatta un breve parapiglia. Spintoni. Un altro afferra e strappa un cartellone con il simbolo della Brigata Ebraica.

Torino, scontro tra polizia e antagonisti in piazza Castello al termine della fiaccolata

«Il 25 aprile non è una ricorrenza, ora è sempre resistenza», cantano dal corteo. «Free free Palestine. Il 25 aprile per la Palestina libera».

Nel frattempo la fiaccolata, partita da piazza Albarello e diretta in piazza Castello, parte. Ad aprire la fiaccolata l’Anpi e il sindaco Stefano Lo Russo. Con lui, in marcia da piazza Arbarello a piazza Castello, anche l’assessora Chiara Foglietta, i segretari del Pd Marcello Mazzù e Domenico Rossi, la capogruppo comunale Nadia Conticelli, Gianna Pentenero e il vicepresidente del Consiglio regionale e presidente del comitato Resistenza Daniele Valle, che in mattinata ha ricordato il vicedirettore Carlo Casalegno e i poligrafici Franco Sbragia e Giovanni Battisti a La Stampa.
Assente il governatore Alberto Cirio ma l’ente è rappresentato da Gianluca Gavazza, consigliere segretario della Lega.

Dietro le istituzioni, l’Anpi, i sindacati, le associazioni e, in coda al corteo, un nutrito spezzone dei centri sociali e i collettivi pro Palestina. È Valle il primo a prendere la parola salito sul palco accanto a Palazzo Madama. E ricorda subito Bruno Segre. “È la prima volta che ci troviamo da soli, sembriamo tanti ma senza Bruno e i tanti partigiani che ci hanno lasciato siamo un po’ più soli”.

È il momento del sindaco Lo Russo: “Il 25 aprile è il momento del doveroso tributo, del necessario ricordo e del commosso ringraziamento, ma dell’affermazione di una grande responsabilità che dobbiamo sentire sempre più nostra”.

Mentre il primo cittadino parla i manifestanti arrivano in Piazza Castello, lanciano fumogeni e gridano “fuori gli sbirri dal corteo”. Lo Russo va avanti: “Torino ha saputo lottare in prima linea per contribuire a riaffermare i valori de Paese in cui viviamo, che non devono essere messi in discussione. Questa giornata non deve mai correre il rischio di trasformarsi in una ricorrenza priva di significato”.

I cori si intensificano. Come le grida: “Vergogna”, “Fateci parlare”. “Il 25 aprile di 79 anni fa fu un punto di partenza – conclude Lo Russo – il seme di una libertà che va coltivata e promossa ogni giorno”.

L’orazione ufficiale è dello storico Carlo Greppi: “Il nostro dovere è ascoltare la generazione dei nostri figli, i ventenni di oggi, in un Paese in cui la parola “antifascista” è diventata divisiva, in un mondo in cui parlare di pace è considerato sovversivo”.

Continuano a urlare slogan i militanti dei centri sociali mentre Greppi lancia un appello: “Loro oggi chiedono giustizia sociale e climatica, pace immediata, libertà di espressione e di circolazione e sventolano sulle loro bandiere arcobaleno istanze inclusive che le nostre generazioni non hanno saputo o non hanno voluto vedere. Noi dobbiamo saperli ascoltare”.

L’Europa sta apparecchiando una Monaco per l’Ucraina (linkiesta.it)

di

Vendere l’anima a Putin

Gli occidentali che fingono di non avere i mezzi per aiutare Kyjiv e dicono di aver già fatto il possibile stanno tradendo il popolo che difende la democrazia e il mondo libero

All’inizio degli anni Settanta, nella Cecoslovacchia risovietizzata dopo la fine della primavera dubcekiana, il filosofo Jan Patocka, brillante allievo di Edmund Husserl, mentore di Vaclav Havel e con lui successivamente promotore di Charta ’77, indicò proprio nella Praga prigioniera di Mosca il cuore da cui continuava a pulsare l’idea filosofica della libertà europea, che l’oblio della ragione e l’eclissi della coscienza del Novecento aveva fatto precipitare nelle tenebre della guerra e del potere totalitario.

Il suo monumentale “Platone e l’Europa” descrisse la “cura dell’anima”, nel senso prima socratico e poi platonico, come nucleo di un’originale esperienza politica di amicizia e di giustizia tra gli uomini, perché fondata sulla verità non come possesso, ma come esperienza di vita.

A distanza di oltre mezzo secolo, si conferma che c’è più senso e amore dell’Europa nelle terre dell’Europa negata e della speranza europea minacciata dai nemici, tradita dagli amici e sacrificata in un risiko geopolitico orchestrato da “realisti” senza senso della storia e della tragedia umana, abituati a derivare leggi storiche implacabili dai propri ben più implacabili pregiudizi.

C’è più senso dell’Europa e del suo terribile destino nelle piazze di Tbilisi, nelle trincee attorno a Kharkiv e nei Paesi baltici appoggiati alle fauci del drago, che nella gran parte dei paesi fondatori o di più antica adesione all’Ue, intrappolati nei propri imprescindibili “non possumus”, preoccupati di escalation prossime venture e negligenti di fronte a quelle presenti, paralizzati dalla paura che il giocattolo dell’ostpolitik sovietica e post sovietica si sia rotto per sempre e sempre più disponibili a riconoscere a Putin il diritto di tenersi quel che si è preso con la violenza e a garantire a un’Ucraina mutilata una pace bielo-georgiana.

Ormai moltissimi governi europei pensano e alcuni dicono sempre più chiaramente – quello italiano è tra questi – che per l’Ucraina abbiamo fatto il possibile e che se non possiamo fare di più, allora dobbiamo fare altro e quell’altro riporta alla pace di Putin, alla guerra che l’Ucraina non può vincere e la Russia non deve perdere.

C’è mezza America, quella trumpiana, che lavora contro l’Ucraina e forse più di mezza Europa, non solo quella pro Trump, che saluterebbe il ritorno del golpista del Campidoglio come uno scampato pericolo e un viatico per lo status quo ante, come se tutto quello che è successo fino a oggi fosse un incubo o un equivoco da lasciarsi alle spalle.

Di un’Europa che finge di non avere i mezzi per aiutare l’Ucraina per non ammettere neppure con sé stessa di non averne l’intelligenza e la volontà e per esorcizzare la maledizione di un destino comune, Patocka avrebbe detto che ha perso l’anima perché ha smesso di curarsene e perché si è illusa che la salvezza possa coincidere con la perdizione e la capitolazione alla menzogna.

Vendere l’anima a Putin per scampare alle sue ire, scambiare la pace di Mosca con la tranquillità di un’Europa deucrainizzata.

Le bombe che continuano a cadere ogni giorno e ogni ora sulla testa delle donne e degli uomini che vogliono essere europei sono anche una responsabilità europea, non solo russa. Che i sistemi antimissile disponibili e impiegati a difendere il niente non siano utilizzati per sventare la sistematica decimazione degli ucraini significa che, di fatto, c’è già un patto implicito e non dichiarato per creare le condizioni di un preciso percorso negoziale.

La Monaco informale per l’Ucraina è già stata apparecchiata. I conti del sostegno economico e militare al Governo di Kyjiv da parte di tutti i paesi membri e delle istituzioni dell’Ue – dell’ordine di grandezza del Pnrr italiano, molto meno del Superbonus – è la perfetta misura dell’ormai insostenibile sproporzione tra le parole e le cose, tra il sostegno dichiarato e il sempre più evidente abbandono dell’Ucraina.