di Massimo Gramellini
Il caffè
In un mondo dove persino al Papa slitta la frizione sulla «frociaggine», non ci si può più stupire se la premier stringe la mano a un presidente di Regione che le aveva mancato gravemente di rispetto, presentandosi a lui come «quella stronza della Meloni».
È il nuovo bon-ton istituzionale: la prossima volta che mio figlio dirà una parolaccia, anziché sgridarlo lo chiamerò Eccellenza o direttamente Santità.
C’è un precedente: Vincenzo De Luca aveva dato della «stronza» a Giorgia Meloni in un fuorionda grondante disprezzo e maschilismo anni Cinquanta, ma Elly Schlein, invece di chiederne indignata le dimissioni come avrebbe fatto se il malparlante fosse stato di destra, aveva preferito minimizzare, perdendo l’occasione storica di cambiare lo stile della politica.
Tornando a quello della Meloni, questo siparietto degno del Bagaglino conferma che la premier ha scelto di replicare colpo su colpo agli attacchi senza separare la sua persona dall’incarico che ricopre. Come se non le interessasse essere la presidente di tutti, ma solo di chi vota per lei. Ed è probabile che chi vota per lei la voglia proprio così: orgogliosamente rivendicativa e disinvolta nei modi e nel linguaggio.
Forse però la presidente del Consiglio sottovaluta l’esistenza di un’altra Italia non di sinistra che non l’ha mai votata, ma che potrebbe iniziare a farlo soltanto se la vedesse ispirarsi un po’più ad Angela Merkel e un po’ meno alla protagonista di «Come un gatto in tangenziale».