“Fa pulizia etnica”. Tarquinio spacca il Pd su Israele

di Marco Leardi

Il giornalista, ora candidato alle europee col 
Pd: "Israele sta compiendo un'operazione di 
pulizia etnica". 

Ma tra i dem c’è chi non la pensa così. Si riaccende il dibattito

Pd al bivio. In vista delle ormai imminenti elezioni europee, il partito guidato da Elly Schlein deve fare una scelta. E decidere da che parte stare. Sulla politica estera e in particolare sul sostegno a Israele e Ucraina, infatti, i dem si sono sinora trincerati dietro a posizioni ondivaghe: da una parte hanno appoggiato Tel Aviv e Kiev, dall’altra hanno dato spazio a voci e a candidature apertamente schierate per il pacifismo più convinto.

Ebbene, ora l’ambiguità di questo atteggiamento rischia di deflagrare e di innescare fratture potenzialmente insanabili.

Ad accentuare la diversità delle posizioni in campo è stato proprio nelle scorse ore Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire oggi candidato alle Europee con il Pd. “In Palestina non parlerei di genocidio, è una parola pesante che va usata a ragion veduta, ma Israele sta compiendo un’operazione di pulizia etnica. C’è una tendenza a svuotare un territorio da quelli che lo abitano, si chiama ‘domicidio’, la distruzione sistematica delle case“, ha affermato il giornalista, intervenendo in mattinata sulle frequenze di Giornale Radio.

Dichiarazioni destinate a riaprire il dibattito nell’area dem, all’interno della quale c’è invece chi auspica una presa di posizione netta in favore dello Stato ebraico e della sua legittimità.

Lorenzo Guerini, atlantista convinto ed ex ministro della Difesa, già all’indomani delle stragi del 7 ottobre aveva espresso una linea molto chiara: “Il Pd è dalla parte giusta, con Israele come già con l’Ucraina“. E ancora: “Contro il terrorismo i progressisti si schierano con libertà e democrazia“. Considerazioni ribadite con coerenza anche di recente.

Ma ora la segreteria guidata da Elly Schlein si appresta a mandare in Europa candidati che non la pensano esattamente così. “Sono contrario da sempre all’invio di armi in qualunque teatro di guerra. Sono per stare accanto in ogni altro modo possibile ai popoli aggrediti. La guerra in Ucraina, due anni dopo e in uno scenario che abbiamo inzeppato di armi, si sta solo aggravando“, ha sostenuto Tarquinio nel proprio recente intervento radiofonico.

Le posizioni dell’ex direttore di Avvenire non sono però nuove e infatti, nelle scorse settimane, l’ipotesi (poi concretizzatasi) di una sua candidatura nelle liste Pd aveva provocato mal di pancia in una parte del partito.

Io non ho né l’autorità né la propensione individuale a porre o mettere veti sulle persone. Ho invece l’interesse a far sì che il nostro partito, pur nel rispetto del pluralismo che come dice lei è una ricchezza, mantenga una linea chiara e intellegibile sull’Ucraina, che è in questo momento la questione delle questioni e non ammette spazi per ambiguità“, aveva osservato lo stesso Guerini in una lunga intervista all’Huffington Post.

Ora certe divergenze rischiano di acutizzarsi in concomitanza con le europee e con il loro esito. Anche e soprattutto in riferimento a Israele.

Se il Pd cambierà idea sull’invio di armi? Se un partito di sinistra non è in grado di tenere alta l’idea che la politica e la diplomazia valgono più delle armi e che la pace è l’obiettivo da realizzare, ma che cosa sta dicendo al mondo, alla società alla quale si rivolge, all’Europa che vogliamo fare? Questa è la dimensione costitutiva“, ha aggiunto Marco Tarquinio in radio. Ecco, appunto: nell’Europa futura, che posizione avrà il Pd?

Il silenzio di Scurati e l’imbarazzante 25 aprile judenfrei e deucrainizzato (linkiesta.it)

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Censure e autocensure

Le celebrazioni della Festa della Liberazione hanno avuto momenti disastrosi, non solo per il solito fanatismo ideologico antiamericano ma anche perché è stato allestito un teatrino di discriminazioni ignobili contro il popolo ebraico e quello di Kyjiv

Ormai a sinistra la mitridatizzazione al veleno antisemita è tale che, di fronte alla notizia dell’aggressione degli ebrei nelle manifestazioni del 25 aprile, la reazione del progressista collettivo medio è: «Embè?», e quella del mandarinato antifascista ufficiale diventa: «Se la sono cercata».

A parte – più su, più giù e più oltre, avrebbe detto il tenero Nicola Palumbo di “C’eravamo tanto amati” – ci sono gli emuli di Pietro Secchia, come il presidente dell’Anpi del Piemonte Nino Boeti, che ha fatto la sua bella intervista per spiegare che a Torino i veri «violenti» e «fascisti» sono stati i «provocatori radicali» dell’Associazione Adelaide Aglietta, che hanno preteso di sfilare con le insegne della Brigata Ebraica. Che razza di pretesa, eh?

D’altra parte, di quelle piazze che, nell’incombenza del genocidio di Gaza, era meglio rimanessero Judenfrei, non per un bando formale, ma per un interdetto sostanziale, era stata politicamente decretata dai vertici dell’Anpi anche la radicale de-ucrainizzazione, fosse mai che la resistenza dei nazisti di Kyjiv alla denazificazione putiniana venisse confusa con quella dall’occupazione nazifascista.

A completare questo quadro di mostruosa deformazione morale della Festa della Liberazione ovviamente non ha concorso solo il fanatismo ideologico dei combattenti e reduci del transpartito “Yankee go home”, con tutti gli annessi e connessi geopolitici post-colonialisti e anti-imperialisti del caso, ma anche la condiscendenza (forse irritata, forse indifferente) delle gerarchie nominalmente atlantiste e europeiste, ma fedeli alla linea del «nessun nemico a sinistra».

Così, a una destra coi busti di Mussolini in salotto e le teste e le coscienze ingombrate dai cimeli e dalle mitologie inabilitanti della marginalità post-fascista e anfetaminizzate da un consenso e da un potere inaspettato, il mondo sedicente democratico – antifa “from the river to the sea” ovviamente inclusi – in questi giorni non ha solo opposto una richiesta di abiura di prammatica, inutile anche come imputazione nel momento in cui Meloni & Friends vincono non malgrado, ma proprio perché non rinnegano la nostalgia vittimista dell’Italia vilipesa e tornano semmai ad annunciare la vendetta agli oltraggi subiti come ai tempi del Capoccione.

Però, per ragguagliarsi al situazionismo democratico della destra e per perdere anche quel minimo di legittimità morale che la pregiudiziale antifascista ancora costituzionalmente consente, a sinistra si è pure pensato bene di allestire uno spettacolo di censure e di autocensure e di discriminazioni ignobili, contro quelli che avrebbero dovuto essere i campioni delle piazze antifasciste e ne sono diventati i fantasmi, gli ospiti sgraditi, le presenze vilipese.

Tutto è culminato nel discorso più inutile e atteso, quello di Antonio Scurati, che rileggendo in Piazza Duomo il suo compitino televisivo e accusando la destra di non riuscire a «nominare mai, mai, mai la parola antifascismo» è riuscito a non dire una parola sugli ebrei insultati e malmenati lungo tutto il corteo e poi in quella stessa piazza o sugli ucraini che il titolare del palco antifascista, il mediocre travet del conformismo cossuttiano, Gianfranco Pagliarulo, vorrebbe da due anni disarmare in nome della “liberazione dalla guerra” e che il pure non pacifista Scurati ha pensato non sarebbe stato gentile nominare, in quel contesto arcobaleno, come simboli della resistenza al fascismo putiniano.