di Valentina Stella
Il magistrato snocciola numeri e dati di una
presunta invasione di mini apparecchi nelle mani
dei boss. Costa (Azione):
«Se non sono a casaccio, il Dap che fa?»
«O il ministero della Giustizia smentisce Nicola Gratteri o il ministero prenda provvedimenti»: non ha usato mezzi termini il responsabile Giustizia di Azione, Enrico Costa, nel commentare l’intervista rilasciata dal Procuratore di Napoli in cui, tra l’altro, ha dichiarato: «cominciamo col dire che mediamente in ognuna delle nostre strutture (carcerarie, ndr) ci sono 100 telefonini attivi in questo momento» e ancora: «detenuti di mafia organizzino chiamate collettive anche da carcere a carcere».
Immediata la reazione, dunque, del deputato e membro della Commissione Giustizia: «100 cellulari per ciascuno dei 190 istituti significa quasi 20mila cellulari attivi nelle carceri. O Gratteri spara numeri a casaccio o Nordio dovrebbe cacciare uno a uno quelli del Dap e i direttori degli istituti».
Ma come stanno in realtà le cose? Lo abbiamo chiesto in primis a Gennarino De Fazio, Segretario Generale della UilPa Polizia penitenziaria: «Nessuno conosce il numero esatto dei telefoni presenti al momento all’interno degli istituti di pena. Però la percezione è che siano tantissimi». Per De Fazio «le responsabilità sono da addebitare al sistema che consente l’introduzione e la detenzione di questi telefoni, insieme a droga e armi».
La falla «è all’inadeguatezza degli equipaggiamenti e nell’insufficienza degli organici, visto che mancano 18 mila agenti penitenziari. I controlli non sempre vengono effettuati così come dovrebbero essere effettuati su tutto il personale. La stessa polizia penitenziaria dovrebbe essere controllata al suo ingresso in carcere. Chiaramente questo non è possibile e si fanno controlli a campione. Maggiore attenzione è riservata agli estranei».
Ma come entrano i telefoni? «O tramite droni, o lanciandoli oltre il muro di cinta, o dalla porta principale, nascosti persino, quelli piccolissimi, nelle parti intime. Delle volte purtroppo ci sono anche agenti infedeli, ma in altre circostanze si sono resi responsabili pure i volontari, i medici, gli appartenenti a tutte le professionalità che lavorano negli istituti carcerari. Un anno e mezzo fa, se non ricordo male, fu scoperto persino un cappellano mentre introduceva cellulari».
Nel 2022, quando fu audito in commissione Giustizia del Senato, l’attuale Procuratore Nazionale Antimafia, Giovanni Melillo, ricordò come, quando era a lui a capo della procura partenopea, «a Secondigliano in un solo giorno, anzi in una sola ora, erano in funzione 253 telefonini». Le soluzioni? Il responsabile di Via Arenula, rispondendo a febbraio scorso a una interrogazione parlamentare del deputato di Fratelli d’Italia Marco Padovani, che sollevava appunto il problema, chiarì: «Abbiamo avviato una sperimentazione con l’impiego dei jammer reattivi, che sono quelli che dovrebbero appunto schermare.
L’esperimento si è concluso nel gennaio del 2024 e abbiamo ottenuto risultati positivi, però non le nascondo che non è un problema molto facile. La gran parte delle nostre carceri è costituita da istituti abbastanza vetusti per i quali la schermatura tecnicamente è molto difficile da far funzionare, per di più rischierebbe di compromettere anche le comunicazioni delle abitazioni circostanti.
Regina Coeli è piazzata nel centro di Roma e le carceri dove questa scrematura funziona, essenzialmente quelle americane, sono piazzate in mezzo al deserto dell’Arizona o dello Utah o del Texas e sono formate da moduli modernissimi che vengono regolati a distanza e lì questa sorta di schermatura è più facile».
Quindi l’unica soluzione è la prevenzione. In particolare per contrastare l’introduzione di telefoni cellulari all’interno degli istituti penitenziari il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha provveduto negli ultimi anni ad acquistare e distribuire diversi strumenti tecnologici che sono attualmente in uso. In primo luogo, metal detector, sia a portale che portatili, per il controllo di zone di transito e di accesso, oltre a metal detector manuali.
Sono inoltre in uso apparecchiature a raggi X per il controllo dei pacchi destinati alla popolazione detenuta, nonché rilevatori radio di telefoni cellulari. A breve, infine, sarà sperimentata una nuova tecnologia per l’inibizione di telefoni cellulari.
Ma torniamo alla domanda con cui abbiamo aperto l’articolo: ci sono davvero 20 mila cellulari attivi nelle mani dei detenuti in questo momento? Gli ultimi dati ufficiali del ministero della Giustizia risalgono ormai a quattro anni fa: mediante il proprio canale di informazione online via Arenula– ricordava Padovani nell’atto di sindacato ispettivo – «ha divulgato i relativi dati statistici, dai quali si rileva che, solamente nei primi 9 mesi del 2020, sono stati 1.761 gli apparecchi rinvenuti nelle carceri italiane, requisiti all’interno o bloccati prima del loro ingresso. Nello stesso periodo del 2019, erano stati 1.206».
E adesso? Per ora nessuna comunicazione ufficiale è giunta dal Dicastero, quindi la domanda o meglio l’esortazione a fare chiarezza e/o prendere provvedimenti dell’onorevole Costa rimane sospesa. Tuttavia fonti del Dap ci hanno fatto sapere che «sono stati 3606 i cellulari sequestrati in totale nel 2023». In pratica il 18 per cento del totale ipotizzato da Nicola Gratteri. Pur volendo supporre che quelli sequestrati non equivalgono a quelli effettivamente in uso ai reclusi, perché come abbiamo visto ci sono dei buchi nel sistema, come si fa ad arrivare a 20mila?