L’Occidente (prigioniero) al di là dei Balcani (linkiesta.it)

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Comunità di destino

Nonostante gli scontri e i dissapori tra i Paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa centro-orientale, in “Dal Baltico al Mar Nero” (Il Mulino) Beda Romano ricorda la vicinanza valoriale e storica tra i due «blocchi», in un’ottica di futura integrazione comunitaria di successo

Ci sono dichiarazioni politiche che sopravvivono al tempo, vivono di vita propria e diventano chiavi di lettura che, per anni se non per decenni, a torto o a ragione, influenzano le interpretazioni collettive. Interpellato durante una conferenza stampa a Washington il 22 gennaio 2003, l’allora segretario alla Difesa statunitense Donald H. Rumsfeld rimproverò alla Germania e alla Francia di essere la «Vecchia Europa», mentre ai nuovi paesi dell’Est di quel continente, appena usciti dal comunismo, concesse il complimento di «Nuova Europa».

I primi erano contrari all’entrata in guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein. I secondi invece si erano schierati a fianco degli Stati Uniti. Qualche settimana dopo, a Bruxelles, il presidente francese Jacques Chirac ebbe un’uscita delle sue, rimbrottando i vicini orientali «per avere perso una buona occasione di tenere la bocca chiusa».

Sono passati vent’anni. I nodi sono cambiati, ma i dissapori restano incredibilmente d’attualità. I paesi dell’Europa centro-orientale ci appaiono troppo spesso lontani ed estranei. Il muro di Berlino è caduto da tempo. Il grande mercato europeo si estende ormai dall’oceano Atlantico al mar Nero, e ha l’enorme merito, troppo spesso trascurato, di aver mandato nella soffitta della storia tensioni etniche e contrasti frontalieri.

Ma le differenze tra Est e Ovest in Europa incredibilmente permangono. Non passa mese senza che emergano nuove incomprensioni sul valore della democrazia, sul ruolo della Chiesa in politica, sul rapporto con gli Stati Uniti e la Russia, e anche sui principi di libertà, eguaglianza e solidarietà.

Dalla Slovenia alla Lituania, dalla Polonia alla Croazia, dalla Repubblica Ceca alla Bulgaria, gli undici paesi dell’Europa centro-orientale che hanno aderito all’Unione europea tra il 2004 e il 2013 hanno vissuto per secoli all’ombra degli imperi: quello asburgico, quello ottomano, quello russo e sovietico, e anche gli imperi tedesco e francese. In alcuni l’esperienza ha lasciato in eredità un buon ricordo, in altri meno.

L’assetto imperiale ha la curiosa abilità di tramandare istituzioni e tradizioni, ma anche di limitare lo sviluppo democratico e sociale. Troppo spesso le recondite differenze vengono attribuite solo al recente passato comunista che ha segnato per oltre quarant’anni l’anima e le menti nell’ex blocco sovietico.

Eppure, già nel 1946, a guerra appena terminata, lo studioso ungherese István Bibó dette alle stampe un piccolo volume, intitolato “Miseria dei piccoli Stati dell’Europa orientale”, nel quale faceva risalire le divergenze a un passato molto più remoto: «Quelle istituzioni che in Europa occidentale hanno creato i prodromi della democrazia – scriveva – hanno operato meno intensivamente nelle società dell’Europa centro e orientale».

E subito l’autore precisava: «Il territorio su cui si estendeva il feudalesimo inteso nel senso occidentale, fondato su relazioni personali e contrattuali, arrivava solo fino all’Elba, oltre iniziava il regno del predominio, rigido e uniforme, della servitù della gleba».

Qualche decennio dopo, nel 1983, Milan Kundera assunse tutt’altra posizione, pubblicando nella rivista francese «Le Débat» un lungo articolo dal titolo evocativo: «Un Occident kidnappé ou la tragédie de l’Europe centrale»(nella traduzione italiana «Un Occidente prigioniero, o La tragedia dell’Europa centrale»).

La tesi dello scrittore ceco era che, nonostante la dittatura comunista, l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la Polonia appartenevano culturalmente al grande mondo occidentale: «La parola Europa non è per loro un fenomeno geografico, ma una nozione spirituale, sinonimo di Occidente».

Egli osserva che fu il riformatore ceco Jan Hus a promuovere fin dal Quattrocento la traduzione della Bibbia in rumeno e in ungherese; che l’arte barocca, nata in Italia, domina una regione che va da Salisburgo in Austria a Vilnius in Lituania; e infine che la musica dell’Ottocento è tanto di Arnold Schönberg quanto di Béla Bartók. Chi dei due studiosi ha ragione? Entrambi, probabilmente. In realtà, la geografia ci viene in aiuto nel conciliare visioni divergenti.

Se è vero che nei fatti l’Europa non è altro che il prolungamento del continente asiatico, tutti i paesi europei hanno in comune almeno il confronto con l’Oriente. È da est che giunsero le incursioni più temibili, le influenze più pericolose, quelle persiane, mongole, assire o tartare.

In una lezione che tenne al Collège de France, negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale, lo storico Lucien Febvre affermò: «L’Europa si è costruita contro l’Asia». In quest’ottica, le differenze fra le due Europe improvvisamente si assottigliano, e i divari economici, culturali e forse anche politici diventano meri orpelli statistici sulla lunga curva della storia.

In fondo, osservati in una prospettiva di più lungo termine, gli stessi campi di battaglia di cui è seminato il continente riflettono un’incredibile unità storica e forse anche, come direbbero i tedeschi, una Schicksalsgemeinschaft, una comunità di destino.

La cura per l’autismo e gli amminoacidi (butac.it)

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ATTENZIONE

Senza indugiare cominciamo quest’articolo sottolineando, perché deve essere chiaro, che non esistono studi scientifici che supportino l’uso degli aminoacidi come cura per l’autismo.

Purtroppo però esistono pagine social, e relativi siti web, che sostengono diversamente, come ci è stato segnalato da un nostro lettore.

SI tratta di un’azienda, con sede a Praga, che da qualche tempo sta facendo consulenze online e dal vivo in Italia, Germania e Polonia. Sul loro sito riportano:

Utilizzando gli amminoacidi aiutiamo efficacemente alla cura di epilessia, Sindrome di Down, autismo, ADHD, paralisi cerebrale e altre malattie neurologiche. Con l’uso dei nostri preparati con amminoacidi osserviamo un aumento significativo dell’intelletto e linguaggio, il miglioramento della capacità motoria e del tono muscolare, il miglioramento di coordinamento e l’attività fisica. Di recente la maggior parte dei nostri pazienti preferisce le consulenze on-line tramite SKYPE o su WhatsApp.

La prima cosa che vorremmo sottolineare è che la consulenza medica online va contro ogni deontologia professionale, ma questo dovrebbe essere ovvio a chiunque abbia studiato medicina.

La seconda cosa da mettere in evidenza è che l’unico medico della squadra non è abilitato a esercitare in Italia. Cercando online l’unica referenza trovata della dottoressa Olga Blinnikova è un testo, firmato insieme a tal Prof. Dottor Alexander N. Dotsenko (anche nominato come Prof. Dr. Alexander Chochlow) dal titolo “Terapia metabolica per le malattie cerebrali infantili“.

Un singolo testo scientifico che risale al 2005, e che non ha passato alcuna peer review. Quindi non siamo di fronte a un “nuovo metodo” ma a qualcosa, che, senza alcun fondamento scientifico, viene portato avanti da quasi vent’anni, venduta come “nuova cura” per l’autismo.

Curiosamente il team dell’azienda è composto da soli cinque soggetti, di cui un amministratore delegato, questa dottoressa Olga Blinnikova e tre consulenti linguistiche (per le lingue italiana, tedesca e polacca). L’amministratore delegato, Michail Chavov, nella stessa sede si occupa sia di cure per l’autismo che di dirigere un’azienda dal nome Aeroservise SRO.

L’azienda Aminocure SRO, che propone gli aminoacidi come cura per autismo e altre malattie, è registrata alla camera di commercio di Praga come azienda che appunto si occupa di vendita al dettaglio e all’ingrosso, con un capitale versato di meno di quattromila euro al cambio attuale.

Sul sito Aminocure, come studi scientifici a sostegno delle tesi su cui si basano questi trattamenti, vengono presentati altri due testi, oltre a quello citato poco sopra. Nessuno di essi pare aver mai passato una revisione dei pari.

 Si tratta di materiale usato esclusivamente al fine di portare avanti il meccanismo di vendita stesso: se prenotate una consulenza online con noi vi forniremo un incontro gratuito e un’offerta di acquisto di un prodotto, venduto da noi, che potrà curare i vostri cari da malattie per cui la scienza ufficiale dice che non esistono cure.

Sul sito sono molto attenti a non pubblicizzare chiaramente i loro prodotti, ma basta andare nelle FAQ per rendersi conto che lo scopo del sito non è fare consulenze ma vendere un preparato a base di aminoacidi e nulla di più. Ma basta una ricerca più approfondita per trovare i loro prodotti, che, come potevate immaginare non sono altro che integratori alimentari: Calminin, Renovatil e Equinol.

Proposti in due “serie di preparazioni”:

Non abbiamo idea di quanto siano le spese di spedizione, ma spendere quei soldi per un’integratore alimentare di non comprovata efficacia ci pare assurdo.

Non cascateci, rivolgetevi sempre a medici del SSN, regolarmente iscritti all’Ordine nazionale, e magari con specializzazioni nel settore di vostro interesse.

Perché il bonus di Conte ci porterà alla rovina: lo dice anche l’Ocse (unita.it)

di David Romoli

Il fardello dell'avvocato

Se dal fronte dell’inflazione e della crescita arrivano buone nuove, su deficit e debito Meloni paga dazio alla sciagurata redistribuzione verso i ricchi (170 miliardi) voluta da Conte

Il Rapporto dell’Ocse sulle prospettive economiche anche dell’Italia è un’istantanea nitida che mette a fuoco meglio di tutte le dichiarazioni propagandistiche, di una parte come dell’altra e dunque di segno opposto ma altrettanto forzate, la situazione in cui si trova il governo Meloni.

Per quanto riguarda le prospettive di crescita il Rapporto non è disastroso per Chigi e per il Mef: prevede una crescita dello 0,7% quest’anno e dell’1,2% nel 2025. Sull’inflazione le previsioni sono più che rosee e del resto la crescita dell’ultimo trimestre in Italia è superiore a quelle di Germania e Francia, e la marcia indietro dell’inflazione procede più rapidamente che nella media della Ue.

Se si aggiunge che i dati sull’occupazione, in particolare quella stabile e non precaria, sono senza dubbio positivi, si dovrebbe concludere che il governo, pur senza esagerare in trionfalismo come fa d’abitudine la premier, è tutto sommato al sicuro.

Il quadro si capovolge quando si arriva al debito e al deficit. “Un aggiustamento di bilancio ampio e duraturo su diversi anni sarà necessario per fronteggiare future tensioni sulla spesa”, dice molto chiaramente l’Ocse.

Il deficit, che ha sforato per il 2023 ogni previsione lievitando fino al 7,4% dovrebbe sì ridursi ma senza rientrare nel paramento del 3% neppure nel 2025. Il debito ha smesso di diminuire, ha ripreso a crescere e sfonderà nel 2025 quota 140 miliardi.

Dunque, oltre a un drastico “aggiustamento dei conti pubblici” sarà necessario “mettere l’incidenza del debito su un percorso più prudente e per allinearsi alle nuove regole”: cioè al nuovo Patto di Stabilità. Conclusione sintetica: le cose non vanno male ma nei prossimi anni saranno necessarie misure di austerità e rigore pesanti.

In concreto: tagli e probabilmente anche tasse. Il problema del governo non sono i conti di oggi ma la prospettiva di ritrovarsi soffocato dalle ristrettezze già domani. In parte il nodo scorsoio dipende proprio da quel nuovo Patto che l’Italia ha accettato obtorto collo e che non poteva non accettare. Ma in parte altrettanto rilevante il danno lo Stato italiano se lo è fatto da solo con quella misura disastrosa che è stato il Superbonus.

Il ministro Giorgetti lo ripete tutti i giorni e con toni apocalittici: “È stato un mostro”. Dati i costumi politici tutti sospettano che si tratti almeno in parte di un alibi. Non è così. I costi del Superbonus sono davvero lievitati oltre ogni più nera previsione e continueranno a farlo.

La misura introdotta dal governo Conte è costata sinora circa 170 miliardi ai quali si dovranno aggiungere le spese dei prossimi due anni, al momento impossibili da valutare. Gli edifici che hanno approfittato del bonus sono appena il 3,5% del totale, va da sé quelli di proprietà della fascia più ricca di popolazione.

I risultati in termini di riduzione delle emissioni sono deludenti a essere molto generosi: in realtà quasi inesistenti. È senza dubbio vero che i bonus edilizi, dal Super alle facciate, sono in buona misura all’origine del rimbalzo eccezionale del 2022 ma anche così la colonna dei passivi supera largamente quella degli attivi e in ogni caso si è trattato di una ripresa essenzialmente drogata, molto vicina alla classica bolla.

Nel complesso una gigantesca operazione di redistribuzione del reddito a favore dei più ricchi. Il problema è che anche il disastro del Superbonus è una fotografia fedele dello stato della politica in Italia.

Draghi e il suo ministro Franco avevano previsto con notevole precisione quali sarebbero stati gli esiti della misura varata dal governo precedente, il Conte 2, anche se forse neppure loro avevano valutato appieno la portata del danno.

Tuttavia non lo bloccarono, come avrebbero voluto fare, limitandosi a vietare la cessione dei crediti, che di per sé portava il disastro a conseguenze anche più estreme. Non andarono oltre perché i 5S, prima forza di maggioranza, non lo avrebbero accettato.

Il Pd, in quel momento interessato solo all’alleanza con Conte considerato “insostituibile” gli dava man forte e in realtà nessun partito era disposto ad affondare una misura in quel momento molto popolare.

I vari interventi sul Superbonus, sinora 3, hanno avuto effetti limitati perché, pur essendosi nel frattempo palesata la situazione reale, i parlamentari anche della maggioranza che tuona (ora, non allora) contro il Superbonus hanno poi permesso una serie di deroghe che hanno limitato l’efficacia degli interventi sul bonus.

La situazione ora è che la sola alternativa alla sospensione anticipata del provvedimento, misura che comprensibilmente nessuno prenderebbe a cuor leggero trattandosi dello Stato che contravviene a un impegno preso, sembra essere spalmare le detrazioni nell’arco di 10 invece che di 4 anni, come propone un emendamento di Forza Italia, e magari portarli addirittura a 15.

Il danno sarebbe attutito, non eliminato. E la tagliola composta dagli effetti a lungo termine del Superbonus da un lato e dal nuovo Patto di stabilità che il governo ha dovuto accettare dall’altro è la sola vera e immensa difficoltà che aspetta dietro l’angolo il governo Meloni.

“L’uomo è l’unico essere senziente”. Perché l’ennesima trovata del ministro Lollobrigida è una fake news (ilfoglio.it)

di ENRICO BUCCI

CATTIVI SCIENZIATI

Il cognato d’Italia non sembra conoscere le basi della moderna neurobiologia, ed è anche lecito. La cosa grave però è che ignora le normative di cui dovrebbe essere esperto. Qualche riflessione per ragionare con la testa, invece che con la pancia

Ci risiamo. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ci delizia nuovamente con un’altra delle sue trovate, sempre costruita in modo tale da non farci capire se ignori anche le acquisizioni più semplici del pensiero moderno o se invece, al contrario, le conosca fin troppo bene e voglia picconarle, per compiacere i suoi amici-elettori, o coloro che ritiene tali.

Il ministro ha dichiarato: “L’uomo è l’unico essere senziente, non ce ne sono altri. Animali e piante sono importanti ma l’uomo è una cosa diversa”. Al di là di quale fra le ipotesi ventilate in apertura sia vera, una sparata ignorante come questa può comunque costituire un momento di riflessione, per chi abbia voglia di usare la testa e non la pancia cui si appella il cognato d’Italia.

Cominciamo dalla prima parte, quella che attribuisce all’uomo il primato di essere l’unico senziente fra i viventi. Decenni di acquisizioni in molti settori diversi delle scienze biologiche hanno già mostrato come animali di molti tipi anche molto diversi da noi, come i vertebrati ma anche molluschi quali i polpi, e per certi versi anche alcuni insetti, sono “senzienti” in ogni significato che si voglia attribuire a questa parola.

Significato che va oltre, naturalmente, la mera capacità di intercettare e reagire a stimoli ambientali mediante opportuni sensori – capacità questa presente persino nei virus – e comprende invece la capacità di percepire stimoli, integrarli ed elaborare una risposta complessa a livello centrale, attraverso un sistema nervoso più o meno evoluto, che a tutti gli effetti è indistinguibile dalle sensazioni evocate da stimoli fisici nell’uomo – dolore, piacevolezza, paura, repulsione e così via.

Ora, che il ministro non conosca nemmeno le più basilari acquisizioni della moderna neurobiologia e delle scienze della cognizione, potrebbe persino passare; ma egli ignora persino i regolamenti e le normative di cui dovrebbe essere esperto, che oltretutto sono di rango europeo. L’articolo 13 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue stipula infatti che: “l’Unione e gli Stati Membri devono, poiché gli animali sono esseri senzienti, porre attenzione totale alle necessità degli animali”.

Non a caso, la nuova riformulazione dell’articolo 9 della nostra costituzione contiene tra l’altro il seguente passaggio: “La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Tutela, ovviamente, che è appositamente distinta da quella di oggetti non senzienti, disciplinate altrimenti dal legislatore, e che è stata elevata a misura di civiltà di rango costituzionale.

Purtroppo, mentre tutti gli animali sono riconosciuti come esseri senzienti, almeno una fra di loro, vacuamente definito “sapiens”, non è sempre riconoscibilmente associato al raziocinio; e sebbene chiaramente senziente, è lecito dubitare del fatto che non debba chiamarsi “insipiens”.