Sfatiamo i falsi miti sul vaccino COVID-19: verità su rischi ed effetti collaterali (marionegri.it)

Vaccino anti-Covid e morti improvvise, trombosi, 
miocarditi: 

c’è una reale connessione? Facciamo chiarezza sugli effetti collaterali del vaccino.

La vaccinazione è una delle più importanti scoperte scientifiche nella storia della medicina e ha contribuito in modo fondamentale ad incrementare la speranza di vita della popolazione umana. Anche nella recente pandemia di SARS-CoV-2, la campagna di vaccinazione contro il COVID-19 ha rappresentato e rappresenta tuttora un’arma fondamentale nella lotta contro la malattia infettiva. Tuttavia, sorgono frequentemente domande e preoccupazioni riguardo alla sicurezza e agli effetti collaterali dei vaccini.

Riceviamo diverse email sugli effetti avversi dei vaccini e reputiamo importante segnalare che l’analisi dei dati della farmacovigilanza internazionale e basati sulle informazioni raccolte da qualche miliardo di persone conferma la sicurezza dei vaccini ad mRNA osservate negli studi clinici: le reazioni avverse si verificano principalmente nel breve termine e la quasi totalità di questi effetti indesiderati è rappresentata da sintomi lievi (cefalea, astenia, febbre e reazioni locali nel sito di iniezione).

Alcune reazioni avverse non emerse dagli studi ed osservate solo dopo l’inizio delle somministrazioni, come miocarditi e pericarditi, sono da considerarsi eventi rarissimi (6 per ogni milione di dosi somministrate) e comunque non gravi, perché hanno decorso favorevole.

Nessuno studio ha evidenziato rischi di geno tossicità o cancerogenicità: l’mRNA è attivo nel citoplasma della cellula, non entra nel nucleo, non interagisce con il genoma e non si replica, pertanto non c’è motivo di attendersi effetti genotossici. Continueremo certamente a tener d’occhio la letteratura, ma ad oggi non ci sono studi o segnali della farmacovigilanza che suggeriscano un nesso di causalità con gli eventi segnalati da diverse persone che scrivono all’Istituto.

In questo articolo, esaminiamo attentamente i dati disponibili riguardo agli effetti collaterali dei vaccini COVID-19, fornendo risposte basate sulle più recenti evidenze della letteratura scientifica.

Vaccino anti-Covid e morti improvvise: c’è un nesso?

Una delle domande che ci vengono poste più frequentemente è se i vaccini contro il COVID-19 possano causare morti improvvise. Studi condotti da autorità sanitarie di tutto il mondo e da diversi gruppi di ricerca internazionali non hanno riscontrato alcun collegamento tra il vaccino e le morti improvvise. Uno studio inglese ha analizzato i dati sanitari nazionali su tutti i residenti del Regno Unito tra i 12-29 anni per valutare l’impatto del vaccino sul rischio di mortalità nei giovani.

Questo studio ha mostrato che non c’è un aumento significativo della mortalità nelle 12 settimane successive alla vaccinazione a mRNA contro il COVID-19. Anche da noi in Italia, uno studio della regione Veneto condotto sui soggetti fino a 40 anni di età ha dimostrato che non vi è alcuna variazione nella mortalità tra gli anni 2021-2022, quando è stata introdotta la vaccinazione, rispetto ai precedenti anni (2018-2019). Questi risultati però non valgono solo per i giovani. I risultati di un studio americano su oltre 3 milioni di veterani seguiti per 60 giorni dopo la vaccinazione hanno dimostrato che la vaccinazione non è associata ad un aumentato rischio di morte.

Lo stesso si può dedurre da uno studio australiano che ha analizzato i dati dell’intera popolazione vaccinata senza aver trovato alcun aumento di decessi improvvisi nei giorni successivi alla vaccinazione. Quest’ultimo studio ha una grande rilevanza perché è stato condotto in Australia, un Paese con un altissimo tasso di vaccinazione (98% della popolazione) ma che ha anche subito lockdown prolungati e una trasmissione estremamente bassa di SARS-CoV-2 nella comunità. Questo contesto ottimale ci permette di valutare i tassi di mortalità dopo l’introduzione della vaccinazione, escludendo i potenziali effetti sul rischio di morte indotti da un’ampia diffusione di SARS-CoV-2 come si è visto in altri Paesi del mondo.

Ma non è finita, uno studio condotto in India ha cercato di capire a cosa fossero dovute le morti improvvise avvenute in soggetti vaccinati. Lo studio non solo ha confermato che la vaccinazione contro COVID-19 non causa morti improvvise ma ha addirittura dimostrato che ricevere almeno una dose del vaccino ha ridotto le probabilità di morte improvvisa inspiegata. Inoltre, andando ad analizzare le cause di morte nei soggetti vaccinati, gli autori hanno dimostrato che queste erano attribuibili ad una precedente ospedalizzazione per COVID-19, una storia familiare di morte improvvisa, un eccessivo consumo di alcol o all’uso di droghe/sostanze ricreative.

Vaccino AstraZeneca e aumento delle trombosi: facciamo chiarezza

Un altro evento avverso severo che non era stato identificato nei primi trial clinici ma che è emerso solo durante l’uso dei vaccini su un numero molto elevato di popolazione, sono i fenomeni di trombosi. La trombosi è la conseguenza della formazione in un vaso sanguigno di un coagulo di sangue (trombo), cioè di un aggregato solido di globuli bianchi, globuli rossi e soprattutto piastrine che ostacola la circolazione all’interno del vaso stesso. I fenomeni di trombosi venosa in seguito a vaccinazione sono rarissimi con un’incidenza di 28 casi su 100.000 dosi, ovvero lo 0.02 %.

Queste trombosi avvengono a causa di una reazione immune, dovuta alla formazione di anticorpi che agiscono contro le piastrine in un modo del tutto particolare che ora abbiamo imparato a conoscere e a gestire. Infatti questi sono eventi simili alle trombosi legate alla riduzione delle piastrine indotte dall’uso di eparina, un fenomeno ben conosciuto e abbastanza frequente. La maggior parte dei casi segnalati si è infatti verificata dopo somministrazione di vaccini a vettore virale, principalmente AstraZeneca, nelle donne e in coloro di età inferiore ai 50 anni, entro due settimane dalla vaccinazione.

I siti più comuni di trombosi sono stati nelle vene cerebrali (54%), nelle vene profonde polmonari (36%) e nelle vene splancniche (19%). Tale evidenza ha indotto le agenzie regolatorie per i medicinali, europea (EMA) e italiana (AIFA), a condurre un’indagine al termine della quale è stato confermato che i benefici del vaccino superano i rischi.

Che i benefici superino i rischi è stato effettivamente confermato da uno studio del Regno Unito che ha confermato come i rischi di trombosi erano molto più elevati in seguito ad infezione con SARS-CoV-2. Questi fenomeni trombotici erano ancor più limitati con le vaccinazioni a mRNA. Per ridurre al minimo la possibilità di questi eventi avversi, molti paesi hanno raccomandato di riservare i vaccini a vettore virale ai soggetti di età superiore ai 60 anni, incoraggiano l’uso dei vaccini a mRNA nei soggetti più giovani.

Miocardite: rischio più alto con il vaccino anti-Covid?

La miocardite, un’infiammazione del tessuto muscolare del cuore, è un evento avverso severo molto raro che è stato osservato dopo la somministrazione dei vaccini a mRNA contro il COVID-19. A causa della loro estrema rarità, questi eventi non erano stati rilevati negli studi clinici iniziali, ma sono stati segnalati attraverso i sistemi di sorveglianza passiva dopo l’autorizzazione.

Un studio condotto in Israele su oltre 2,5 milioni di persone vaccinate ha trovato un leggero aumento del rischio di miocardite nei giovani maschi dopo la seconda dose di vaccino, ma il rischio era comunque molto basso: circa 2 casi su 100.000 dosi somministrate, ovvero lo 0,002%.

La maggior parte delle miocarditi è di lieve entità e si risolve spontaneamente nel giro di alcune settimane. Lo studio ha inoltre evidenziato che il rischio di miocardite era molto più alto dopo l’infezione da COVID-19, indicando un rischio/beneficio favorevole della vaccinazione.

Questi risultati sono stati ulteriormente confermati da uno studio condotto nel Regno Unito su un campione ancora più ampio di 21 milioni di vaccinati che hanno ricevuto 3 dosi di vaccino. Gli autori hanno evidenziato che il rischio di miocardite rimane modesto dopo dosi successive, inclusa una dose di richiamo del vaccino a mRNA. Anche in questo studio il rischio di miocarditi era maggiore dopo l’infezione da SARS-CoV-2.

Ma cosa sappiamo dei meccanismi alla base di questi rari eventi di infiammazione del cuore in seguito alla vaccinazione? Uno studio americano ha suggerito che questi siano causati dall’aumento di citochine infiammatorie e della risposta immunitaria, senza evidenza di autoanticorpi mirati al cuore, ipersensibilità o meccanismi iperimmuni. In altre parole, questo effetto collaterale non è dovuto al vaccino di per sé ma alla reazione del nostro corpo ad esso.

In linea con questi dati, una revisione sistematica pubblicata su Lancet Respiratory Medicine, una tra le più prestigiose riviste nell’ambito della ricerca clinica, ha analizzato dati provenienti da 22 studi distinti, che hanno esaminato oltre 405 milioni di dosi di vari vaccini. I risultati hanno rilevato che non vi è una differenza significativa nell’incidenza di miocardite tra coloro che hanno ricevuto vaccini COVID-19 e coloro che hanno ricevuto altri tipi di vaccini.

Anzi, l’incidenza più alta di miocarditi si è verificata dopo la vaccinazione contro il vaiolo, ma non significativamente diversa dalla la vaccinazione antinfluenzale o di altri tipi di vaccini. Questo sottolinea ancora una volta come la miocardite sia un raro effetto collaterale che può avvenire in seguito ad ogni tipo di vaccinazione a causa della risposta immunitaria del nostro organismo.

Vaccino anti-Covid: gli effetti indesiderati più comuni

Se il vaccino contro COVID-19 non è associato a morti improvvise mentre le trombosi e le miocarditi sono eventi rarissimi, quali sono i reali effetti indesiderati? L’esperienza complessiva accumulata nel tempo sulla sicurezza e gli eventi avversi della vaccinazione è ormai vasta, solida e completa.

Questo è dovuto principalmente al fatto che le segnalazioni della sicurezza dopo l’autorizzazione dei vaccini COVID-19 sono state monitorate in modo estremamente robusto attraverso capillari sistemi di sorveglianza passiva e attiva, molto di più che per altri vaccini. Insieme, questi sistemi di sorveglianza hanno catturano i dati sulla sicurezza da un’ampia ed eterogenea popolazione globale.

Basti pensare che solo nei paesi dell’Unione Europea sono state somministrate oltre 900 milioni di dosi, di cui 200 e 66 milioni di terze e quarte dosi. Allo stesso modo, negli Stati Uniti sono state somministrate rispettivamente più di 700 milioni di dosi. Il grande numero di vaccinazioni effettuate ha consentito una valutazione dettagliata di tutti i potenziali effetti indesiderati con elevata precisione.

Gli effetti indesiderati più comuni includono:

• Dolore, gonfiore, arrossamento nel sito di iniezione (80-90%)

• Stanchezza (60-70%)

• Mal di testa (60-70%)

• Dolori muscolari e articolari (50-60%)

• Brividi (30-40%)

• Febbre (30-40%)

• Nausea (20-30%)

La frequenza di questi effetti indesiderati avviene in maniera lieve ma può variare a seconda del tipo di vaccino e della persona. Questi sintomi rappresentano una normale risposta del sistema immunitario alla vaccinazione e di solito scompaiono entro pochi giorni, sono lievi e possono essere ridotti attraverso misure preventive.

Sono invece estremamente rari i casi di ipersensibilità e di reazioni anafilatticheUna recente analisi ha mostrato che le reazioni allergiche avvengono in media 13 ogni milione di dosi somministrate (0,001%), mentre l’anafilassi è un evento ancora più raro e se ne riscontrano 2 ogni milione di dosi somministrate (0,0002%).

Le reazioni allergiche possono essere dovute agli ingredienti attivi o agli eccipienti utilizzati nella formulazione del vaccino e avvengono principalmente nelle persone che hanno avuto anafilassi o una reazione allergica in passato.

Tutti questi dati confermano il profilo di sicurezza iniziale osservato negli studi clinici, dimostrando che il vaccino è sicuro e ben tollerato. Anche per quanto riguarda la terza e la quarta dose di richiamo, gli studi clinici di fase II/III non hanno riportato effetti indesiderati significativamente diversi rispetto a quelli osservati dopo la seconda dose e non sono stati individuati nuovi segnali di rischio.

Quanto dura l’immunità della vaccinazione anti-Covid?

Sono passati tre anni dalla vaccinazione, cosa sappiamo oggi della durata della protezione immunitaria conferita dai vaccini? Le informazioni sulla durata della protezione del vaccino COVID-19 sono in continua evoluzione. Quello che sappiamo è che la vaccinazione primaria con due dosi di vaccino conferisce una forte protezione contro le forme severe di malattia, la morte e l’ospedalizzazione in seguito all’infezione con SARS-CoV-2. Questa protezione è stimata durare oltre un anno.

I dati raccolti fino ad ora avevano però mostrato che i livelli anticorpali tendono a diminuire in modo significativo a partire da tre mesi dopo aver ricevuto la seconda dose di vaccino, favorendo così la possibilità di contrarre l’infezione anche se in forma non severa. Per questa ragione, le autorità sanitarie hanno approvato una terza dose di vaccinazione al fine di ripristinare alti livelli di anticorpi e prevenire ulteriormente la possibilità di contrarre l’infezione e quindi la malattia.

Anche in questo caso però i livelli di anticorpi tendevano a diminuire nel tempo dopo circa tre mesi dalla dose di richiamo. La percezione era quindi che l’immunità anticorpale indotta dai vaccini svanisse rapidamente. Tuttavia, questa convinzione si basava principalmente su dati ottenuti da studi a breve termine con un numero molto limitato di dati.

RISPOSTE DEGLI ANTICORPI POST VACCINO: LA SCOPERTA DEI RICERCATORI DEL MOUNT SINAI

Un recente studio a lungo termine pubblicato a febbraio 2024 sulla prestigiosa rivista Immunity da un gruppo di microbiologi del Mount Sinai di New York ha rivelato che le risposte degli anticorpi indotte dai vaccini COVID-19 durano molto più a lungo di quanto inizialmente pensato, sfatando l’idea che l’immunità indotta dai vaccini svanisca rapidamente.

I ricercatori hanno analizzato oltre 8.000 campioni raccolti da circa 500 dipendenti in un periodo di tre anni e hanno mostrato che al momento dell’immunizzazione primaria, i partecipanti con immunità preesistente (coloro che erano stati precedentemente infettati dal virus) avevano risposte anticorpali più elevate più rapidamente e hanno raggiunto titoli anticorpali costanti più alti rispetto agli individui che non erano stati precedentemente infettati.

Il declino delle risposte anticorpali è stato caratterizzato da due fasi: un rapido decadimento dal picco forte dopo la vaccinazione, seguito da una fase di stabilizzazione con un decadimento molto lento, suggerendo che i livelli degli anticorpi fossero molto duraturi. La vaccinazione di richiamo ha equilibrato le differenze nella concentrazione degli anticorpi tra i partecipanti con e senza immunità preesistente.

LO STUDIO DELL’ISTITUTO MARIO NEGRI

Sebbene questa indagine rappresenti una delle valutazioni più estese e approfondite della longevità delle risposte immunitarie al SARS-CoV-2 fino ad oggi, dei risultati assolutamente sovrapponibili erano stati ottenuti in uno studio dell’ Istituto Mario Negri nel febbraio 2022. In quest’ultimo studio condotto su circa 50 ricercatori del nostro istituto avevamo dimostrato che 9 mesi dopo le due dosi della vaccinazione primaria, i soggetti con immunità preesistente mostravano livelli residui di anticorpi più elevati, con un’attività neutralizzante significativa contro varianti distinte rispetto ai soggetti senza immunità preesistente.

La risposta umorale più elevata era associata a livelli più alti di cellule B specifiche contro la proteina spike codificata dal vaccino. La terza dose di richiamo era necessaria per i soggetti senza immunità preesistente per raggiungere livelli di anticorpi comparabili ai soggetti con immunità preesistente e migliorare la risposta delle cellule B.

Da questi dati risulta dunque chiaro che l’immunità indotta dal vaccino possa durare a lungo e la ragione principale per cui i soggetti vaccinati possano contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 possa dipendere esclusivamente alle continue mutazioni del virus che consentono di eludere l’immunità, piuttosto che l’indebolimento dell’immunità.

LA PROTEZIONE DEI VACCINI CONTRO LE COMPLICANZE POST SARS-COV-2

Ma non è tutto qui. Non solo gli anticorpi potrebbero persistere per lungo tempo, ma anche la protezione che offrono i vaccini contro le complicanze dovute all’infezione di SARS-CoV-2 potrebbe essere altrettanto duratura. Un recente studio condotto nel Regno Unito su oltre un milione di soggetti ha infatti dimostrato che la vaccinazione contro il COVID-19, soprattutto l’assunzione della terza dose di richiamo, era efficace nel ridurre significativamente il rischio di conseguenze per la salute a seguito dell’infezione da SARS-CoV-2.

pazienti che hanno ricevuto tre o più dosi di vaccino non hanno subito un aumento significativo del rischio di conseguenze cliniche fino ad un anno dell’infezione iniziale. Al contrario, i pazienti non vaccinati avevano un rischio maggiore di diverse conseguenze cliniche, inclusa la mortalità per tutte le cause fino a un anno dopo l’infezione. Tali risultati forniscono prove a sostegno della protezione potenziale della vaccinazione nel ridurre il rischio di conseguenze per la salute a lungo termine.

E SE GLI ANTICORPI SPARISSERO … ?

Ma se gli anticorpi indotti dalla vaccinazione dovessero spariresaremmo esposti a forme severe di malattia? Un lavoro tutto italiano dice di no e ci ha spiegato il perché. In seguito alla vaccinazione alcune cellule del nostro sistema immunitario, i linfociti T, vengono istruiti a difenderci dal virus e sono sufficienti a proteggerci da SARS-CoV-2 e da tutte le sue nuove varianti anche in assenza di anticorpi specifici.

Queste cellule rappresentano quindi un’impronta duratura nelle nostre difese immunitarie, un vero e proprio scudo che persiste nel tempo in caso di ulteriori incontri con il virus. Le cellule T quindi possono spiegare il perché il vaccino può proteggerci a lungo contro l’infezione grave anche se gli anticorpi diminuiscono o, addirittura, svaniscono.

In conclusione, tutti i dati esaminati in questa analisi portano a una conclusione di fondamentale importanza: la vaccinazione non solo si conferma estremamente sicura, con un numero esiguo di eventi avversi gravi, ma si intravedono anche potenziali vantaggi significativi nella protezione a lungo termine dalla malattia.

Questi benefici potrebbero manifestarsi in modi diversi e complessi, che al momento potrebbero ancora sfuggire a una comprensione completa. Questi risultati sottolineano l’importanza cruciale di continuare la ricerca e il monitoraggio costante per cogliere appieno il potenziale impatto positivo della vaccinazione nel contrastare la diffusione e la gravità della malattia nel lungo periodo.

Il piccolo mondo antico dell’articolo 18 e il referendum sul Jobs Act (linkiesta.it)

di

Forzalavoro

Il quesito proposto da Maurizio Landini, e appoggiato da Conte e Schlein, sembra sollevare questioni e battaglie del passato che avrebbero effetti scarsi, se non nulli, in un mondo totalmente diverso rispetto a dieci anni fa. Iscriviti alla newsletter!

Nel 2018, l’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio annunciò dal balcone di Palazzo Chigi di aver abolito la povertà con un decreto. Quasi sei anni dopo, il segretario della Cgil Maurizio Landini vorrebbe abolire il precariato, ma con un referendum.

La materia, ovviamente, è più complessa. E la domanda che potremmo porci è: quanto gioverebbe ai lavoratori italiani una vittoria del sì al referendum?

«Cancellare il Jobs Act» Il primo dei quattro quesiti referendari proposti dalla Cgil, sui quali anche la segretaria del Pd Elly Schlein si è detta favorevole, è quello che fa più discutere. Presentato come un testo che mira: 1. all’«abolizione del Jobs Act», la riforma del lavoro voluta e approvata nel 2015 dal Pd guidato da Matteo Renzi; 2. alla reintroduzione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che prevedeva la reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa.

Il quesito è:
«Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?».

Tradotto: volete cancellare il contratto a tutele crescenti del Jobs Act? Parliamo di quel contratto a tempo indeterminato, ma senza la prospettiva del reintegro in caso di licenziamento illegittimo. Reintegro sostituito da un indennizzo crescente con l’anzianità di servizio.

Non sarà facile spiegare il quesito ai cittadini. E con molta probabilità prevarrà, coma sta accadendo, la semplice interpretazione «contro il Jobs Act», additato nelle piazze e nei comizi come responsabile dei tanti problemi del mercato del lavoro italiano.

Ma la realtà – guardando oltre le polemiche interne al Pd – è che il referendum della Cgil, programmato per il 2025, sembra sollevare questioni e battaglie del passato che avrebbero effetti scarsi, se non nulli, in un mondo totalmente diverso rispetto a dieci anni fa.

Manca un pezzo Perché, nel frattempo, il contratto a tutele crescenti è stato prima rivisto da un intervento del governo gialloverde Conte Uno – che ha aumentato l’indennizzo massimo in caso di licenziamento da 24 a 36 mesi della retribuzione precedente – e poi da una sentenza della Corte Costituzionale, che ha depennato la formula secondo cui l’indennizzo cresce con l’anzianità di servizio. Di fatto, quindi, quel contratto a tutele crescenti di cui si parla nel quesito referendario non esiste più.

Quindi? Abolirlo non significa tornare all’articolo 18, ma alla modifica precedente di quella norma, cioè alla riforma Monti-Fornero che tre anni prima aveva già ridimensionato di molto la reintegra in caso di licenziamento. Con il risultato paradossale che si tornerebbe pure all’indennizzo massimo di 24 mensilità e non più 36.

Il nuovo mondo Ma dieci anni dopo, oltre che con le norme aggiornate, bisognerebbe fare anche i conti con la realtà. La vulgata comune, ripetuta da Landini e da Schlein, è che il Jobs Act abbia aumentato la precarietà. È vero? Guardiamo i dati.

I dati dell’Inps dicono che negli ultimi quindici anni la probabilità di essere licenziati in Italia è rimasta sostanzialmente invariata. E gli ultimi dati Istat informano che gli assunti a tempo indeterminato non sono mai stati così alti da quando esistono le statistiche in Italia, mentre i rapporti a termine sono in calo, circa un sesto rispetto al totale, in linea con la media europea.

(Il Jobs Act, poi, aveva anche abolito i cocopro e messo nuovi paletti contro le false partive Iva, introducendo quella norma che di recente ha permesso ai rider di Torino di ottenere le tutele del lavoro dipendente).

Questo non significa che la precarietà è scomparsa, né che i contratti a tempo indeterminato siano aumentati grazie al Jobs Act. Il lavoro non si crea per legge. Ma dire che la riforma di Renzi ha aumentato il precariato è falso. Così come è falso dire che i problemi del mercato del lavoro italiano dipendano dal Jobs Act.

Tra l’altro, negli altri Paesi europei, dove il reintegro in caso di licenziamento non è previsto, sia l’occupazione sia i salari sono più elevati. Perché, per quanto siamo al record di occupati, il nostro tasso di occupazione resta comunque tra i più bassi d’Europa e i nostri salari restano in media più bassi.

Torniamo alla domanda iniziale: il fantomatico ritorno all’articolo 18 servirà quindi ad aumentare l’occupazione, migliorare la condizione delle lavoratrici donne, facilitare l’ingresso dei giovani nel mercato, aumentare i salari ecc.? Difficile dirlo, ma è molto improbabile, come scrive la ex ministra Elsa Fornero.

Le soluzioni sono altre, diversificate e già note. Ma sono più complesse e faticose. Hanno bisogno di più tempo, impegno e di certo non sono riassumibili in uno slogan da referendum. Ma invece di concentrarsi sul grande tema dei bassi salari – salario minimo legale per i lavoratori a basso reddito e rinnovo senza ritardi dei contratti per tutti – ci si accanisce a dimostrare che la quantità e la qualità del lavoro sarebbero in verità in calo e che i dati sull’aumento dell’occupazione sarebbero gonfiati.

Come ha scritto Marco Bentivogli, «l’orizzonte delle politiche del lavoro non può essere mai quello troppo corto della propaganda , per cui magicamente e in pochi mesi si crea lavoro o, al contrario, si generano catastrofi».

Chi meglio del sindacato dovrebbe saperlo?

Ecco perché questi dati Istat non dimostrano un collegamento tra vaccini ed eventi avversi (open.online)

di Juanne Pili

FACT-CHECKING

I dati Istat riportati dal dottor Oliviero riguardo a vaccini Covid ed eventi avversi gravi sono stati smentiti dall’Istituto di statistica

Secondo il dottor Francesco Oliviero si tratterebbe di una vera e propria «bomba atomica dall’Istat», sono le “sconvolgenti rivelazioni” che il personaggio – apprezzato negli ambienti No vax -, elenca in una clip condivisa su Facebook. Si tratta di dati provenienti dall’Istituto italiano di statistica, che secondo questa narrazione dimostrerebbero un collegamento dei vaccini contro il nuovo Coronavirus con gravi eventi avversi. Vediamo di cosa si tratta realmente.

Analisi

Le condivisioni su queste presunte rivelazioni tratte dai dati Istat possono presentarsi con la seguente didascalia:

Il siero mRNA scatena processi cancerogeni a lungo termine, causando tumori, infarti, arresti cardiaci, malori improvvisi, paralisi, malattie fulminanti, risveglia tumori dormienti e malattie autoimmuni dell’organismo.

I dati Istat secondo Oliviero

Nella clip riportata in condivisione il dottor Oliviero riporta dei presunti dati Istat, elencando una serie di eventi avversi che sarebbero aumentati notevolmente a seguito delle vaccinazioni Covid:

«Gli aborti spontanei del 279%; il tumore al seno del 487%; l’infarto del miocardio del 269%; l’embolia polmonare del 468%; le disfunzioni ovariche del 437%; e in ultimo – dato allarmante – le sclerosi multiple sono aumentate del 680%. I malori improvvisi nel 2020, quando non c’erano i vaccini sono stati in Italia 155 mila, nel 2022 siamo arrivati a 548 mila. Sono tutti dati Istat».

Ammesso che i dati fossero veri, dal momento che i vaccini Covid stimolano una esigua quantità di proteine Spike, che invece proliferano in gran numero durante l’infezione vera e propria, non si capisce perché attribuire tali incrementi ai vaccini e non alla Covid-19. Per esempio, è stato già accertato che disturbi come quelli cardiaci, polmonari e di coagulazione sono più probabili se ci si ammala, mentre risultano molto rari quelli correlati alla vaccinazione. Lo abbiamo visto in numerose analisi, per esempio quiqui qui.

Ma i dati Istat ci permettono davvero di correlare i numeri dati da Oliviero coi vaccini Covid? No, quei dati sono falsi, come avevano riportato i colleghi Michelangelo Coltelli su Butac in un articolo del dicembre 2023; e nel marzo dello stesso anno la redazione di Facta, prima che il filmato cominciasse a essere virale su TikTok.

Ipotizzando che gli aumenti indicati nel tweet facciano riferimento al periodo successivo al 2020 – riporta Facta -, non è possibile verificare le percentuali in quanto Istat non pubblica statistiche sulle malattie citate. L’unico dato disponibile riguarda il tasso di aborti spontanei, ma le informazioni più aggiornate si riferiscono al 2020. Contattati dalla redazione di Facta, i responsabili dell’Istituto nazionale di statistica hanno smentito il contenuto del post oggetto della nostra verifica, confermando che non si tratta di dati elaborati dall’Istituto di ricerca.

Anche sui presunti collegamenti tra aborti spontanei e vaccini Covid avevamo pubblicato delle analisi precedenti (per es. quiqui qui), dove si evince che tale collegamento non è dimostrato.

Conclusioni

Il video dove il dottor Oliviero dà i numeri (sui dati Istat) durante una intervista si basa su dati di pura invenzione.