Un Patto per respingere l’immigrazione povera (lavoce.info)

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Il nuovo Patto europeo su immigrazione e asilo 
nasce dalla percezione errata che l’Europa sia 
assediata dai migranti. 

Così le sue soluzioni cedono molto alle richieste dei sovranisti. E mantengono la confusione tra immigrazione irregolare e rifugiati.

Numeri e percezioni sull’immigrazione

La recente approvazione del Patto sull’immigrazione e l’asilo da parte del Parlamento europeo ha suscitato commenti entusiastici da parte dei vertici europei, che hanno parlato di un risultato storico. Pubblicato poco prima delle elezioni di giugno, il suo significato è innegabile. Eppure, in mezzo a tutto questo clamore, si nasconde una narrazione che merita un esame più attento.

L’idea prevalente, e sostanzialmente adottata come sfondo del Patto, dipinge l’Ue come assediata dai migranti, con l’Europa meridionale che subisce il peso maggiore della pressione migratoria. Tuttavia, nel discorso pubblico, i confini tra immigrati, richiedenti asilo e coloro che arrivano via mare sono confusi.

L’etichetta di “ingressi irregolari” spesso avvolge questi individui nel sospetto, ignorando le situazioni che hanno alle spalle e le sfide che devono affrontare nel cercare rifugio dalle regioni devastate da guerre e conflitti di varia natura: in particolare, la mancanza di mezzi legali e di trasporti regolari per raggiungere il territorio dell’Unione.

I dati resi disponibili per il 2023 da Eurostat aiutano a misurare la validità di queste argomentazioni. Si parla effettivamente di un aumento delle domande di primo asilo nell’Ue, che hanno superato nuovamente la soglia simbolica di un milione (1 milione e 49 mila), con una crescita del 18 per cento rispetto al 2022.

Rispetto ai cinque milioni di ucraini arrivati nel 2022, e in gran parte rimasti nell’Ue, mai menzionati nella discussione, non sembra tuttavia un dato così enorme. Inoltre, il 17 per cento proviene dall’America Latina, il 21 per cento da paesi esenti dall’obbligo del visto. Per esempio, venezuelani arrivati in Spagna in aereo. Se consideriamo che nel mondo, con i conflitti in corso, i rifugiati hanno certamente superato la cifra di 110 milioni (erano 108 milioni a fine 2022), forse dovremmo chiederci perché nell’Ue ne sono arrivati così pochi.

All’interno dell’Unione, non sembra poi che la distribuzione sia gravemente sbilanciata a carico dell’Europa mediterranea: quasi un terzo delle domande è stato presentato in Germania (329 mila), seguita dalla Spagna con 160.500 (qui pesa il caso venezuelano e altri arrivi dall’America Latina) e dalla Francia con 145.100. L’Italia è al quarto posto con 130.600 domande, un magro 12 per cento del totale, e precede la Grecia (57.900).

Le altre domande riguardano quasi sempre i paesi del Centro-Nord dell’Europa. I paesi dell’Europa meridionale complessivamente hanno accolto poco più di un terzo dei richiedenti asilo. L’Italia non è quindi il campo profughi d’Europa, senza contare che molti rifugiati cercano di raggiungere i paesi interni dell’Ue anche quando hanno chiesto asilo nei paesi del Sud, intraprendendo quelle “seconde migrazioni” che tanto dispiacciono ai nostri partner transalpini.

Gli sforzi per frenare i flussi migratori, in particolare quelli che puntano a Nord delle Alpi, sono attestati nel nuovo Patto da procedure di identificazione più rigorose, con il prelievo delle impronte digitali anche sui bambini dai sei anni, e da responsabilità di prima accoglienza estese (da 12 a 20 mesi) a carico dei paesi d’ingresso, salvo il caso di persone salvate dalle navi umanitarie, per cui rimangono fissate a 12 mesi.

Finora, il successo di misure di questo genere è stato limitato, si vedrà se ora avranno una maggiore efficacia: un esito però che da un punto di vista italiano non è molto auspicabile.

L’ossessione dei rimpatri

L’immigrazione irregolare, a differenza dei richiedenti asilo che vengono registrati e conteggiati, rappresenta una sfida più sfuggente. Si entra attraverso vari canali, tra cui permessi turistici, per studio o per visite ai parenti. Spesso senza neppure avere bisogno di un visto, da molti paesi dell’Europa Orientale e dell’America Latina.

Rendendo la vita più difficile ai richiedenti asilo, obbligandoli a viaggi più lunghi, più costosi e più rischiosi, si vuole far credere all’opinione pubblica che si sta contrastando l’immigrazione irregolare, ma in realtà si tratta di una sostituzione dell’obiettivo: si colpisce chi cerca asilo facendo credere di contrastare l’immigrazione irregolare.

La narrazione che circonda il Patto sull’immigrazione e l’asilo è resa ancora più confusa dalle manovre politiche. Sebbene acclamato, più o meno apertamente, come uno strumento per disarmare le forze sovraniste, le sue soluzioni sono in gran parte in linea con le loro richieste, promuovendo una visione distorta dell’asilo e dando priorità ai rimpatri forzati: quella dei ritorni è una vera ossessione degli estensori del Patto, vista la frequenza con cui il termine ricorre (oltre 90 volte nella versione inglese dello scorso settembre) e le puntigliose prescrizioni introdotte.

In realtà, la sovranità condivisa nella gestione delle frontiere dovrebbe riguardare il raggiungimento di una migliore governance dei diversi tipi di migrazione e il rispetto dei principi umanitari. Dovrebbe rappresentare uno sforzo collettivo per affrontare le complessità dell’immigrazione garantendo al tempo stesso la protezione dei diritti umani per tutti.

Al contrario, la sovranità condivisa nel nuovo Patto appare una condivisione degli sforzi per respingere l’immigrazione povera e indesiderata.

L’Università accusa: “4 mila morti in più in Veneto per i Pfas” (lidentita.it)

di Ivano Tolettini

Un dato choc, che deve per forza di cose far 
molto riflettere. 

Quasi quattromila morti in più di quelli attesi secondo le statistiche nei trenta Comuni veneti compresi nella cosiddetta fascia rossa a causa dei Pfas, i veleni rilasciati attraverso il plume per decenni dalla fabbrica Miteni di Trissino, che produceva le sostanze utilizzate non solo nell’industria tessile, ma anche per la produzione di tegami e in numerose altre applicazioni industriali.

Lo sostiene uno studio dell’Università di Padova, coordinato dal prof. Annibale Biggeri e dal suo team di esperti della facoltà di Statistica, pubblicato dalla rivista scientifica “Environmental Health”, che ha analizzato la mortalità nei 34 anni compresi tra il 1985 e il 2018 mettendo in luce il devastante impatto delle sostanze perfluoroalchiliche (Pfoa) e polifluoroalchiliche (Pfos) sulla salute pubblica.

“È come se fosse sparito un Comune di piccole dimensioni – spiega ai cronisti il prof. Biggeri, che ha condotto lo studio con il Registro tumori dell’Emilia-Romagna e il Servizio statistico dell’Istituto superiore di sanità -. Le date non sono casuali perché l’Arpav ha stabilito che dal 1984 sono cominciati gli sversamenti di Pfas nelle falde acquifere del Vicentino dallo stabilimento Miteni di Trissino”.

In particolare lo studio scientifico proverebbe una correlazione tra malattie cardiovascolari e tumorali a causa della contaminazione dell’acqua e degli alimenti da parte delle sostanze chimiche rilasciate dalla fabbrica della morte per la quale è in corso in Corte d’Assise a Vicenza un maxiprocesso che dura da oltre due anni contro i 15 manager e amministratori delle gestioni Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation che si sono succeduti nel tempo e che sono accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale e reati fallimentari perché la società – che continua a inquinare perché la fuoriuscita di Pfas non è ancora stata del tutto bloccata – è stata dichiara insolvente dal tribunale di Vicenza nel 2018. Dai dati emersi dalla ricerca, scaturisce che ci sono stati 3.890 decessi in più di quelli attesi e “siamo stati molto prudenziali”, analizza Biggeri.

Il team di Biggeri ha dunque trovato “prove di un aumento della mortalità per le malattie cardiovascolari e quelle tumorali maligne, tra cui il cancro del rene e ai testicoli. Per la prima volta – prosegue il docente padovano – è stata dimostrata un’associazione causale tra l’esposizione ai Pfas e un rischio elevato di morte per malattie cardiovascolari”:

E come sottolinea Biggeri a essere più colpiti sono le fasce giovanili. Da ricordare che sono 350 mila gli abitanti delle province di Vicenza, Padova e Verona esposti al rischio Pfas, gli inquinanti eterni. In quest’area è stata catalogata un’area rossa “A” perché è maggiore la concentrazione di Pfas nell’acqua potabile e in quelle superficiali e sotterranee, e un’area rossa “B” dove la contaminazione delle acque è minore. Nell’area rossa A sono compresi otto Comuni vicentini (Alonte, Asigliano Veneto, Brendola, Lonigo, Sarego, Noventa Vicentina, Orgiano e Pojana Maggiore), uno padovano (Montagnana), e quattro veronesi (Cologna Veneta, Pressana, Roveredo di Guà e Zimella). Altri diciassette municipi sono compresi nell’area rossa B.

“Queste drammatiche evidenze scientifiche mettono in luce – dicono a gran voce le Mamme No Pfas, che raccolgono tantissime persone tra le provinc e di Vicenza, verona e Padova – che non esistono più scuse per ritardare ulteriormente l’avvio dello studio di coorte, deliberato dalla Regione Veneto ancora nel 2016, ma che purtroppo non è mai iniziato. Il piano di sorveglianza sanitaria non basta perché ha metodi e obiettivi diversi. Mentre lo studio di coorte è decisivo poiché consente di valorizzare l’analisi a lungo termine, l’identificazione dei fattori di rischio, la quantificazione delle informazioni per le politiche della salute pubblica”.

La circostanza importante dell’indagine dell’Università di Padova è che “aumenta il rischio di insorgenza di malattie tumorali al diminuire dell’età, dunque la popolazione più giovane, esposta ai Pfas già dall’infanzia, è quella che paga il prezzo più alto”.

Schlein vuole rendere divisiva anche la Festa della Repubblica (chissà che gioia al Quirinale) (linkiesta.it)

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La bersagliera

Dalle candidature alle europee al referendum sul Jobs Act, fino alla irrituale mezza manifestazione a sorpresa del 2 giugno, la segretaria del Partito democratico porta avanti una linea massimalista in cerca dei voti post-grillini.

Meno male che Gentiloni c’è

Che la comunicazione interna del Partito democratico funzioni maluccio è cosa risaputa. Ma che un esponente di primissimo piano, non proprio del cerchio magico della segretaria, abbia dovuto apprendere dalle agenzie che il suo partito farà il 2 giugno una manifestazione contro il premierato e l’autonomia differenziata, beh, è abbastanza singolare. E la dice lunga su come ormai funziona quel partito. Però alla fin fine questi sono problemi loro.

La questione che invece riguarda tutti è un’altra: è giusto fare una manifestazione di partito nel giorno dell’unità nazionale, quello dei festeggiamenti della Repubblica di cui è gran regista Sergio Mattarella? Ovviamente i dirigenti del Pd eviteranno di tenere la loro iniziativa nelle stesse ore della parata ai Fori Imperiali, dove siederanno la segretaria, i capigruppo, qualche ex ministro, e dunque l’appuntamento dei dem si dovrebbe tenere al pomeriggio, se non sono matti. Rimedio così così, tuttavia.

Perché alla mattina vedremo Elly Schlein versione istituzionale a qualche sedia di distanza da Giorgia Meloni a omaggiare insieme, sotto lo sguardo del Capo dello Stato, l’anniversario della Repubblica, e qualche ora dopo i suoi la vedranno nelle vesti di battagliera leader della Resistenza al premierato.

Di lotta e di governo, si sarebbe detto una volta: addirittura nella stessa giornata!

Questo è solo l’ultimo episodio di una leadership che avanza senza farsi tanti scrupoli, magari al Quirinale non hanno gradito questa scelta di rompere il clima di unità che almeno il 2 giugno poteva ben reggere, ma l’occasione di una bella dimostrazione anti-Meloni a pochi giorni dal voto era troppo ghiotta.

Schlein sta andando avanti con il machete, tanto più che i sondaggi vanno bene: dalla scelta di mettere nelle liste due candidati contrari agli aiuti all’Ucraina come Cecilia Strada e Marco Tarquinio, sino alla firma del referendum vendicativo della Cgil contro il Jobs Act, la numero uno del Pd sembra scatenata.

Ha poi preso la bandiera della lotta contro il premierato sottraendola a un Giuseppe Conte in questa fase piuttosto evanescente (quanti voti riuscirà lei a portare via a lui?), quel premierato che verosimilmente sarà il focus principale del duello televisivo con la presidente del Consiglio.

L’ulteriore virata a sinistra impressa dalla segretaria è evidentemente frutto della convinzione che i voti siano lì, tra i post-grillini, in attesa di ritornare a casa dal partito-Ditta e può anche darsi che abbia ragione, sapendo però che non tutti sono disposti a portare il cervello all’ammasso gauchista.

Al Nazareno non sono sfuggite in questo senso le varie dichiarazioni di Paolo Gentiloni, critico sia sulla totale perdita di iniziativa del partito sull’Ucraina per non scontentare l’ala Strada e Tarquinio, sia sull’adesione della segretaria al referendum su quel Jobs Act che Paolo Gentiloni approvò da ministro del governo Renzi (assieme ad altri, all’epoca entusiasti, che ora fischiettano. Eccezione: Marianna Madia).

Ma non è questo il momento per discutere della linea. Nel Pd c’è una sola donna al comando.

La fallacia del “uno studio ha scoperto”… (butac.it)

di 

A partire da un articolo che riporta i risultati 
di un singolo studio non ancora pubblicato, 

spieghiamo una delle fallacie più frequenti quando si riporta la cronaca scientifica

Il 26 aprile 2024 su L’Indipendente è stato pubblicato un articolo dal titolo:

Secondo uno studio, una sostanza contenuta nei vaccini mRNA può “accelerare tumori e metastasi”

Articolo che, senza mai linkarlo, riporta i risultati di uno studio (non ancora) pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Biological Macromolecules. Il quotidiano fondato da Matteo Gracis riporta:

Secondo gli autori, una sostanza utilizzata all’interno dei vaccini ad mRNA – tra cui anche in quelli anti-Covid – potrebbe predisporre alcuni pazienti alla progressione del cancro e persino portare a scenari dove i rischi superano i benefici. Per questo, secondo i ricercatori, sarebbe «urgente condurre ulteriori ricerche sperimentali» ed evitare «studi clinici che utilizzino vaccini modificati al 100%» con tale sostanza.

Tutto corretto, ovvero quanto detto è quanto sostenuto nell’abstract dello studio, studio che però ad oggi non è ancora stato pubblicato – quindi è impossibile per noi leggerlo nella sua interezza e analizzarlo per capire di cosa si stia parlando esattamente. E il problema sta proprio qui: ad oggi è l’unico studio a riportare quanto riassunto da L’indipendente, e lo studio non è di pubblico dominio, anche se l’autore dell’articolo, Roberto Demaio, dice che loro hanno potuto leggerlo nella sua interezza.

Attualmente, a parte questa ricerca, non esiste nient’altro a sostegno di quanto riportato, in compenso troviamo scienziati come Helen M. Gunther dell’università del Queensland commentare lo studio con queste parole:

Pseudouridine is the most abundant naturally occurring RNA modification. Why would a transient spike in pseudouridine have any impact on cancer? I think that it’s prudent to approach any therapeutic with caution, but I am not convinced by the evidence that they present.

Sia chiaro, una critica non è sufficiente a smontarlo, ma come lo stesso abstract dello studio spiega è un’ulteriore conferma che quei dati non bastano a dimostrare alcunché, se non che sono necessari ulteriori approfondimenti sulla questione.

Siamo di fronte alla fallacia detta “Uno studio ha scoperto” (A study has found) descritta molto bene nel 2019 da Martin Cothran su Memoria Press. In pratica, ci spiega Cothran, la frase “uno studio ha trovato…” viene troppo spesso percepita con una gravità quasi religiosa, come se fosse prova provata di qualcosa. In realtà, spesso, questi studi sono inaffidabili a causa della natura intrinsecamente provvisoria della scienza e di pratiche di ricerca scadenti. Richard Harris ad esempio, nel suo libro “Rigor Mortis”, evidenzia come molti studi biomedici pubblicati siano errati a causa di procedure inadeguate, incentivi errati e vere e proprie frodi – tra gli altri problemi.

La crisi della replicabilità di questi studi è un problema significativo: in molti casi non si riescono a riprodurre gli stessi risultati, la ripetizione è considerata il golden standard per la ricerca scientifica. Purtroppo capita che i risultati degli studi continuino a essere citati favorevolmente anche dopo che non è stato possibile replicarli, contribuendo de facto alla condivisione di informazioni false.

Quando, invece che un singolo studio, saranno tanti studi a riportare la stessa scoperta, allora sì che avrà senso allarmare il proprio pubblico di riferimento, fino a quel momento si sta facendo una speculazione basata su dati che non sappiamo quanto possano essere affidabili. Vale ovviamente in un senso come nell’altro, come spiegato attentamente da Cothran e come qualsiasi altro ricercatore serio non avrebbe problemi a spiegare.

Non possiamo aggiungere altro, limitandoci a invitarvi alla lettura completa dello studio quando sarà pubblicato nella sua interezza.

All’Italia serve più Mattarella e meno Tarquinio (ilfoglio.it)

La gran lezione del capo dello stato all'assemblea 
delle Nazioni Unite, dedicata ai professionisti 
della resa come il candidato alle europee in 
lista con il Pd

Il presidente Mattarella ha pronunciato all’Assemblea generale dell’Onu un discorso  impegnato, in cui ha affrontato nel merito le situazioni di crisi internazionali. 

Sull’aggressione della Russia all’Ucraina ha precisato che non si tratta di cercare una pace a tutti i costi, che finirebbe col premiare l’aggressore creando così un precedente pericoloso e inaccettabile, anche perché contrario ai princìpi di rispetto della sovranità degli stati che sono alla base dell’Onu.

(I candidati: Strada e Tarquinio)

Mattarella ha spiegato che cedere all’aggressore non chiude la guerra ma ne provoca altre anche più devastanti: si è quindi nettamente contrapposto ai “pacifisti” senza princìpi, quelli, per intenderci, come Tarquinio, che proprio ieri in un’intervista a Repubblica aveva sostenuto che gli Ucraini avrebbero dovuto rispondere all’occupazione russa con la “nonviolenza”, cioè avrebbero dovuto cedere senza reagire.

Anche sulla crisi di Gaza, Mattarella ha ricordato che essa è stata provocata dall’ignobile assalto di Hamas e che può essere risolta nella logica dei due stati, a condizione che i paesi confinanti con Israele riconoscano il suo diritto alla sicurezza e non ci siano appoggi alle formazioni terroristiche.

Leggi anche: “Sono contento che Tarquinio condivida le mie idee su Russia e Israele”. Parla Vannacci