Elly Schlein e il teatrino del 2 giugno, la sinistra alle prove generali (ilriformista.it)

di Paolo Macry

La forzatura

Elly Schlein mostra i denti.

Prima decide di firmare il referendum della Cgil sul Jobs Act, restaurando la storica e sia pur polverosa cinghia di trasmissione. Poi chiama la sinistra a scendere in piazza contro il progetto del premierato e l’autonomia differenziata.

“Portiamo la battaglia per la Costituzione anche fuori dal Parlamento”, dice, “usiamo i nostri corpi e le nostre parole per fare muro”. I nostri corpi. Un’allusione alla biopolitica, forse. Una citazione di Foucault (o di Roberto Esposito) tanto più discutibile oggi, quando le sezioni dei partiti sono vuote di militanti in carne e ossa e i corpi, piuttosto, occupano le manifestazioni degli studenti filopalestinesi e altri corpi vengono massacrati dai missili di Putin e dai lupi feroci di Hamas.

Ma non è tutto. Per la prova di forza del popolo di sinistra, la segretaria del Pd sceglie un giorno altamente simbolico, il 2 giugno, portando così sotto il fuoco incrociato delle barricate non soltanto la riforma costituzionale e la riforma regionalista, ma la stessa Repubblica, la forma della nostra democrazia. Una scelta grave o, peggio ancora, superficiale.

Divisivo è stato, giorni fa, per le ragioni ben note, il 25 aprile e divisivo si vuole che diventi il 2 giugno. L’ha detto a chiare lettere Francesco Boccia, rinfacciando alle destre di “non avere scritto la nostra Costituzione e di pensare oggi di stravolgerla”. Nelle piazze del 2 giugno, è sembrato intendere il luogotenente di Schlein, si confronteranno gli eredi dei costituenti e gli eredi del fascismo. Parole che – si spera inconsapevolmente – rischiano di spezzare anche l’unità rituale del paese. A

La vecchia frattura

Boccia andrebbe ricordato quel che accadde il giorno del referendum istituzionale, il 2 giugno del 1946, quando, dopo una campagna elettorale che pure era stata molto aspra, tredici milioni di repubblicani prevalsero su undici milioni di monarchici. Detto altrimenti, il paese si scopriva realmente diviso in due e la divisione aveva un marcato carattere territoriale.

Nord e Sud, tanto per cambiare. Nelle regioni centrosettentrionali i monarchici erano stati appena il 36 per cento, nelle regioni meridionali arrivarono al 67 per cento. A Napoli furono l’80 per cento. Ma quello era il tempo della politica e i partiti, benché segnati da fratture ideologiche oggi impensabili, seppero gestire quella vistosa frattura con efficacia.

Un esempio? Quando, in attesa del primo Parlamento, si trattò di eleggere un capo provvisorio dello Stato, la scelta cadde sul giurista meridionale Enrico De Nicola, un monarchico che era stato presidente della Camera nell’Italia prefascista, e fu proprio Togliatti a mediare tra le forze politiche. Certo è che i monarchici, sebbene fossero molti, non diventarono mai un grande partito.

Verso il 2 giugno

Altri tempi certo. Nel bene e nel male, Elly Schlein non è Palmiro Togliatti. Ma tradurre la politica in alternative apodittiche, utilizzando il linguaggio e la narrativa della divisività, sembra un gioco sterile. E contraddittorio. Nella piazza del 2 giugno si lanceranno fulmini contro il Jobs Act, sebbene il Jobs Act fu promosso e varato dal Pd (certo, il Pd renziano, oggi ritenuto poco meno che un partito di destra).

Si denuncerà la deriva anticostituzionale della proposta di premierato, sebbene di premierato la sinistra, o una sua parte qualificata, vada discutendo ormai da decenni. Si griderà alla spaccatura del paese tra regioni ricche e regioni povere, sebbene l’autonomia differenziata costituisca l’applicazione della riforma del Titolo V, anch’essa voluta dalla sinistra (e questa volta parliamo del partito dalemiano, non del partito renziano).

Slogan, insomma, fuochi divisivi che meriterebbero, piuttosto, confronti parlamentari serrati, argomentazioni analitiche, controproposte, emendamenti. Che andrebbero cioè affrontati con pragmatismo e che invece diventano parole d’ordine da megafono, striscioni di piazza, esposizione di corpi. Con me o contro di me.

Vecchi vizi di una politica che tradisce la mancanza di un respiro progettuale, che non ha l’ambizione dell’alternanza, che si limita a dire no. E che sembra assuefatta a un destino minoritario, incapace di costruire alleanze credibili, muta rispetto alle praterie degli astensionisti, interessata piuttosto a inseguire la piazza che diventò vincente con Beppe Grillo, con le sue adunate oceaniche, con i corpi del Vaffa.

La forzatura

Ma la scelta del 2 giugno appare come una forzatura anche rispetto ai linguaggi e ai riti che portarono al successo – sebbene effimero – del movimento pentastellato. Né Elly Schlein, né il suo partito hanno l’allure incendiaria del comico genovese, i democrat restano pur sempre un pezzo importante dell’establishment del paese, e recitare due parti in commedia è velleitario. Tanto più sembra pericoloso giocare con la Repubblica, farne un mito divisivo senza starci troppo a pensare.

Sono tempi di scelte forti, sul piano interno e internazionale, come spesso ricorda il presidente Mattarella. Tempi di crisi degli Stati nazionali e di difficile ricomposizione delle loro spoglie nella fantomatica unità politica dell’Europa. Il 2 giugno dovrebbe essere perciò, ancor più del 25 aprile, un patrimonio da difendere con le unghie e con i denti. Non certo il teatrino di una prova di forza elettorale.

Il Fatto Quotidiano di Travaglio e Gomez non gode di ottima salute (startmag.it)

di Emanuela Rossi

Conti, problemi e prospettive per la casa editrice 
del Fatto quotidiano 

che può beneficiare degli incassi di Loft grazie alla Rai con la trasmissione La Confessione

Acque agitate in Seif, la società fondata nel 2009 che edita Il Fatto Quotidiano e che negli anni ha allargato il suo raggio d’azione per diventare una media company. Guidata dalla presidente e ceo Cinzia Monteverdi, nel 2023 Seif ha chiuso in rosso per circa 2,4 milioni, comunque in recupero rispetto ai quasi 4,3 milioni di perdita dell’esercizio precedente.

IL BILANCIO 2023 DI SEIF, SOCIETÀ EDITRICE DEL FATTO QUOTIDIANO DI TRAVAGLIO E GOMEZ

Oltre alla perdita per 2,38 milioni, pari a 3,3 milioni prima delle imposte, si registra un margine operativo lordo di oltre 2,2 milioni a fronte dei 404 mila euro del 2022 e un Ebit in calo di 3 milioni, in recupero dai -5,5 milioni dell’anno precedente. Negativo anche il patrimonio netto, per 2,1 milioni.

Sul fronte dei ricavi si nota un incremento (da quasi 28 milioni a 29,2 milioni). La parte del leone con l’80,71% la fa il settore editoria (a 23,6 milioni da 22 milioni), seguito dal settore pubblicità (10,70%) – che però scende da quasi 3,8 milioni a poco più di 3,1 milioni – e dal settore media content (8,59%), in crescita da 2,2 milioni a 2,5 milioni.

Insomma, numeri che indicano un miglioramento ma sempre una situazione complicata. Tanto è vero che, nella relazione sul bilancio 2023, il collegio sindacale, riferendosi alle scelte degli amministratori della società, segnala che “nell’ambito delle loro valutazioni, hanno ritenuto che gli effetti di un eventuale e sostanziale mancato raggiungimento degli obiettivi riportati nel piano 2024-26 e, conseguentemente, nel piano di liquidità, rappresenterebbero un’incertezza significativa che potrebbe causare dubbi significativi sulla capacità di operare secondo il presupposto della continuità aziendale”.

Allo stesso modo Kpmg, la società incaricata di fare la revisione sul bilancio 2023, ha richiamato l’attenzione “su quanto riportato dagli Amministratori nella nota integrativa al paragrafo “Continuità aziendale” in merito all’esistenza di un’incertezza significativa che può far sorgere dubbi significativi sulla capacità del Gruppo di continuare ad operare come un’entità in funzionamento”.

Di sicuro gli amministratori di Seif puntano sulla controllata Loft (che si occupa di produzioni multimediali) per la produzione di ricavi e utili in linea con le previsioni e sottolineano che “nel mese di febbraio il formato televisivo La Confessione è approdato in Rai raggiungendo i risultati di share ambiti. Accordi e Disaccordi è stato confermato per tutta la stagione in prima serata sul canale 9 e le trattative ad oggi gestite per il 2024 per Loft Produzioni esprimono la tendenza prevista a piano e un’ottima diversificazione di interlocutori”.

IL BILANCIO 2022 DI SEIF E LA NASCITA DI LOFT PRODUZIONI

A proposito di Loft, occorre ricordarne la nascita. Nel comunicato stampa del 31 marzo dello scorso anno, che illustrava i dati di bilancio 2022, si affermava che il valore della produzione, pari a 40 milioni, era cresciuto dai 38,4 milioni del 2021, così come l’Ebitda, a 7,1 milioni da 5,9 milioni, l’Ebit, a 1,2 milioni da 465mila, il risultato netto a 2,5 milioni, da 169mila. Il patrimonio netto passava addirittura a 7,1 da 4,5 milioni.

In calo risultavano i ricavi delle vendite (da 32,5 milioni del 2021 a 27,9 del 2022) che portavano il fatturato a diminuire di 4,6 milioni. Il valore della produzione, invece, saliva da 38,4 milioni a 40 milioni grazie all’incremento delle immobilizzazioni immateriali per 5 milioni e ad “Altri ricavi” per oltre 7 milioni.

A fine 2022, però, Seif aveva costituito una nuova società controllata al 100% per gestire un ramo d’azienda, Loft Produzioni per l’appunto, che opera nel settore delle produzioni televisive di cui ha la proprietà dei contenuti. Peraltro Seif ha continuato comunque a produrre contenuti televisivi.

“La scelta di costituire Loft – si leggeva nel comunicato stampa della società che edita Il Fatto Quotidiano – nasce dalla volontà di poter disporre di maggiore autonomia e flessibilità all’interno del mercato delle produzioni televisive e di poter cogliere al meglio le nuove opportunità legate all’ulteriore sviluppo del prodotto ‘video’.

Con questa operazione LOFT potrà cogliere opportunità di partnership industriali oltre che ampliare le collaborazioni con broadcaster e player del settore”.

Forse però c’era anche qualcosa di più. Leggendo il bilancio 2022, infatti, emerge che sono state identificate nella voce “beni immateriali” alcune poste specifiche, iscritte per un valore di circa 6,4 milioni, con il nome di “ramo d’azienda Loft Produzioni”, poi conferito in una società neocostituita posseduta al 100% dopo la valutazione di un professionista, il professor Gigante, secondo il quale Loft Produzioni valeva 13,3 milioni. In questo modo si è avuto un aumento di ricavi per circa 6,4 milioni (all’interno della voce “Altri ricavi”).

In sostanza senza questa operazione i numeri sarebbero stati ben diversi con  Ebitda in pareggio, Ebit negativo di quasi 6 milioni, perdita netta di circa 5 milioni e un patrimonio netto al 31 dicembre 2022 azzerato.

EVOLUZIONE PREVEDIBILE DELLA GESTIONE

Per quanto riguarda il futuro, nella revisione al bilancio d’esercizio 2023 Kpmg ricorda che “nei primi mesi del 2024 la società ha dato avvio al programma dei corsi di formazione della ‘Scuola del Fatto’ con il corso sull’Intelligenza artificiale preceduto da un evento informativo sulla Scuola del Fatto e sul programma del 2024.

Contemporaneamente è stato lanciato il progetto inerente la Community Web 3.0 che ha iniziato la sua fase sperimentale da cui ci si aspetta la possibilità di affinare il modello e la proposta di marketing per ottenere dei risultati anche in termini di ricavi nel secondo semestre del corrente esercizio”. E ancora: “L’andamento del settore publishing è in linea con le stime di budget con una spinta all’incremento dei ricavi degli abbonamenti digitali.

Per il resto prosegue la riorganizzazione della struttura delle risorse umane prevista dal budget a supporto della transizione digitale, come gli sviluppi nell’ambito IT. Anche la riorganizzazione dei processi produttivi di tutti i contenuti editoriali, con l’obiettivo di efficientare e incrementare la produzione dei prodotti digitali, viene costantemente perseguita”.

IL RUOLO DI LOFT PRODUZIONI

Sul fronte Loft Produzioni nei primi mesi del 2024 anche le sue attività “proseguono e sono allineate con le stime di budget. Nel mese di febbraio sono riprese le produzioni dei format televisivi che proseguono la messa in onda sul canale 9 del gruppo WBDiscovery e il format La Confessione, che con la nuova stagione è per la prima volta approdata su Rai3.

Pertanto visto gli andamenti dei primi mesi di gestione del 2024, in linea con le previsioni di budget, la regolarità nei flussi finanziari operativi, l’ormai quasi conclusa realizzazione dei programmi di investimenti relativamente a due pilastri della rivoluzione strategica prevista a piano e la disponibilità di linee di credito utilizzabili, si prevede la regolare gestione delle attività produttive e commerciali e quindi l’operatività della continuità aziendale”.

GLI INTERROGATIVI DI PUGLISI

Nel frattempo, su X, si registra un dubbio da parte di Riccardo Puglisi, economista e docente universitario. “Altra domanda rilevante su SEIF, @fattoquotidiano e Loft Produzioni. I contenuti multimediali di Loft sono sul Nove e sulla RAI, ma @marcotravaglio @AndreaScanzi e @a_padellaro sono tipicamente ospiti su @La7tv. Non fanno concorrenza a loro stessi?”.

Viva gli alpini, abbasso i “pacifinti”

di Adolfo Spezzaferro

È surreale ma purtroppo è tutto vero: 

se da un lato la leader del Pd Elly Schlein vuole intestarsi pure il 2 giugno, mobilitando la piazza contro il premierato a pochi giorni dalle Europee; dall’altro, l’Anpi getta fango sulla Festa degli alpini. Tutto questo accade in Italia nel 2024, quando a certe desolate e sinistre latitudini ideologiche sembra che il tempo si sia fermato a 80 anni fa. Stiamo parlando di figuri fermi imbambolati all’allarme, all’emergenza per la deriva autoritaria, al pericolo fascista.

Questi antifascisti in assenza di fascismo che vedono il male in tutto quello che non condividono o non capiscono sono l’espressione più retrograda e ottusa del nostro Paese. Ebbene, da oggi a domenica i nostri gloriosi alpini tornano a riunirsi, questa volta a Vicenza, e l’Anpi, ossia l’associazione dei partigiani in assenza di partigiani (per via dei limiti biologici della durata della vita umana dei partigiani), lancia l’allarme.

Sono dei militari, quindi dei militaristi, quindi dei guerrafondai, quindi nemici dei “pacifinti” dell’Anpi, i nuovi partigiani da centro sociale e salsiccia alla graticola, da pastasciutta antifascista e “barcollo ma non mollo”. Stiamo parlando di un evento che rientra nella nostra tradizione e che chiama a raccolta circa mezzo milione di persone tra alpini e simpatizzanti delle penne nere. Stiamo parlando quindi di una festa che ha una ricaduta di milioni di euro per il territorio.

Di un evento istituzionale, viste le numerose autorità presenti tra cui il ministro della Difesa Guido Crosetto. Ma Anpi, Cgil, antimilitaristi, femministe e sinistri vari non alzano il naso dal loro ombelico: “Basta retorica militare, la sfilata creerà disagi in città”. A proposito delle femministe come dimenticare che due anni fa durante l’adunata di Rimini avevano lanciato una campagna mediatica contro gli alpini, finiti al centro di una bufera per molestie.

E così arriva la nota che sembra scritta dagli alieni. Flc-Cgil di Vicenza e le associazioni pacifiste Movimento Internazionale Riconciliazione (Mir), Salam Ragazzi dell’Olivo, Siamo Vicenza esprimono “preoccupazione per i disagi e l’impatto per la città di tale evento: dal punto di vista organizzativo, dal punto di vista ecologico e sostenibile e per la retorica militare che purtroppo non è solo prettamente storica, commemorativa e civile”. Come se non bastasse, si accusano le scuole cittadine di aver invitato gli studenti a visitare l’accampamento degli alpini previsto per la tre giorni vicentina.

Non sia mai che i giovani entrino in contatto con dei biechi militaristi. La nota dell’Anpi e delle altre associazioni va avanti nel suo delirio per gettare discredito sugli alpini, paventando addirittura una “militarizzazione” della società e dei giovani: “Negli ultimi anni su tutto il territorio nazionale è in aumento la presenza di forze militari armate nelle scuole pubbliche grazie a protocolli d’intesa con gli uffici scolastici; così come la collaborazione tra le industrie militari nelle Università e negli Enti di Ricerca”.

La presenza dei militari nelle scuole nate per informare gli studenti dell’attività dell’esercito italiano viene definita uno scandalo e non frutto di iniziative programmate in chiave di impegno civico e “scuola di vita”. La risposta a tutti questi deliri la danno le penne nere con lo slogan dell’adunata: “Il sogno di pace degli alpini”.

Il governatore del Veneto Luca Zaia nel suo saluto alla manifestazione respinge ogni illazione: “Gli alpini hanno scelto di arrivare nel capoluogo berico con un grande messaggio di pace: esprimo loro un ringraziamento. Un messaggio di grande valore che indica la via a tutta la società perché giunge da persone che hanno nel proprio dna il vissuto della guerra”.

Già, facile fare i “pacifinti” con le guerre combattute dagli altri e lontano.

Boschi: “Conte inciucia e il Fatto è in affari con Viale Mazzini”

di Giovanna Vitale

Intervista a Maria Elena Boschi per 
«Repubblica» del 10-05-2024

Onorevole Boschi, come mai in Vigilanza ha chiesto chiarimenti sul talk condotto da Peter Gomez, direttore del Fatto online?

«Prima di tutto perché viene da chiedersi come mai tra tante professionalità e produzioni interne alla Rai si sia sentita l’esigenza di rivolgersi all’esterno e di acquistare da una società — la Loft — il format di una trasmissione televisiva. Società che, guarda caso, fa parte del gruppo del Fatto Quotidiano. Visto che i soldi con cui la Rai paga Le Confessioni di Gomez sono dei cittadini che versano il canone, la trasparenza mi pare il minimo. Ma c’è di più».

Ossia?

«Se c’è un legame economico tra l’azienda che gestisce il servizio di informazione pubblica e il Fatto deve emergere».

Crede che dietro ci sia uno scambio di favori?

«Che i conti della società Seif, proprietaria del Fatto quotidiano, si reggano sui programmi venduti dalla sua controllata al 100% Loft (che produce anche il programma di Gomez) non lo dico io: è scritto nell’ultimo bilancio approvato e nella relazione della società di revisione, che non nasconde la crisi finanziaria del gruppo. Non a caso la Loft pare stia trattando con la Rai la vendita di altri programmi. Così potrebbe far cassa grazie alla Rai e salvare il giornale dal possibile fallimento».

È la ragione per cui Travaglio insiste col dire che non c’è alcuna occupazione militare della Rai, che la destra sta facendo oggi quello che ha fatto ieri la sinistra?

«Basta sfogliarlo: quel quotidiano non esprime mai una critica verso la Rai dell’era Meloni né dice una parola sugli inciuci di Conte con la premier per le nomine. Travaglio dimentica sempre che il capo del M5S con il governo gialloverde ha trasformato l’emittente pubblica in una tv sovranista: allora, in coppia con Casalino, non ha mai fatto ostaggi in Viale Mazzini. Quanto a oggi, il direttore che non si tira mai indietro quando c’è da attaccare qualcuno, anche un innocente a cui è arrivato un avviso di garanzia, è lo stesso che è stato condannato per diffamazione e che con la Rai “gestione Fratelli d’Italia” usa i guanti di velluto. Arriva proprio a difenderla. Per carità, saranno solo coincidenze, ma io penso che il Travaglio che parla tanto di conflitto di interessi per gli altri dovrebbe prima guardare a casa sua».

Lei ha chiesto anche di sapere quali altri programmi e conduttori dell’orbita Fatto entreranno nei prossimi palinsesti Rai. Ritiene che il giro di affari possa ampliarsi?

«Mi piacerebbe saperlo. Vorrei sapere se i soldi dei contribuenti vanno a salvare dal possibile fallimento Travaglio e Co. Solo che a queste domande l’ad Sergio e il dg Rossi non hanno risposto. Hanno detto di non saperne nulla e di dover approfondire. Non penso ci voglia molto a fare una telefonata e verificare. Anche perché la trasmissione di Gomez va in onda da tempo».

Rientra in questo quadro, secondo lei, la sponda che spesso il M5S offre ai vertici meloniani della Rai, sia in Cda sia in Vigilanza?

«Non spesso. Sempre. Del resto, il patto per assegnare al M5S la presidenza della Commissione parlamentare di controllo lo hanno fatto Meloni e Conte. I grillini hanno votato addirittura a favore del nuovo contratto di servizio e, dopo essersi accordati su varie nomine in Rai, sono pronti all’intesa anche sul nuovo Cda, vedrete. Del resto è lo stesso Conte che pone la questione morale in Puglia e poi salva la giunta Emiliano, votando a favore della fiducia».

Dopo l’affondo della presidente Soldi pensa che i vertici Rai abbiano mentito al Parlamento? E se così fosse, potrebbero restare al loro posto?

«Dobbiamo ascoltare in Vigilanza anche Serena Bortone, il direttore degli Approfondimenti Paolo Corsini e la stessa presidente Soldi. Lo avevo chiesto, insieme alle altre opposizioni, già prima dell’audizione di ad e dg, ma la maggioranza si è opposta. Ora diventerebbe gravissimo non farlo. Occorre andare fino in fondo e capire chi sta mentendo e perché».

Un Loft in Rai per il Fatto quotidiano (ilfoglio.it)

di LUCIANO CAPONE

Seif ha i conti in rosso (-2,39 milioni nel 2023) 

e secondo la società di revisione c’è “incertezza significativa sulla continuità aziendale”.

Il Piano industriale punta sulla vendita dei format di Loft tv alla Rai: così Meloni può salvare Travaglio

Fabio Fazio? Un furbacchione che passa per censurato. Lucia Annunziata? Una messa dalla sinistra che si candida con il Pd. Antonio Scurati? Ho letto le carte, ma quale censura!

Roberto Saviano? Fa il martire, ma è dappertutto.

Tra i tanti attacchi che da mesi il governo riceve per la censura e l’assenza di pluralismo in Rai, c’è una voce tra i giornali di opposizione che si distingue dalle altre: Marco Travaglio.