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La vera Meloni è sempre quella di Vox, tutto il resto è Lollo (linkiesta.it)

di

Quelli bravi

All’iniziativa organizzata dal partito spagnolo la premier ha messo in crisi la narrazione sulla leader pragmatica e modernizzatrice ostacolata dall’inadeguatezza di chi la circonda.

Ma i suoi ministri, in fondo, si sono rivelati alla sua altezza, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

Die Zeit, sotto il cavalleresco titolo “Die charmante Postfaschistin”, si domanda se Giorgia Meloni abbia mostrato finora «il suo vero volto». L’Economist le dedica un articolo dal titolo “Pragmatist or pasionaria?”. I residui punti interrogativi non cambiano però la sostanza: con il suo recente intervento all’iniziativa di Vox, dove ha rispolverato il meglio del repertorio populista e antieuropeista che l’ha portata al successo,

Meloni ha messo seriamente in crisi la narrazione sulla leader pragmatica e modernizzatrice (addirittura «draghiana», secondo i più audaci). Versione sempre meno condivisa dalla stampa internazionale e ultimamente persino dalla stampa nazionale.

Al riguardo, un merito indiscutibile va dato a Francesco Lollobrigida, il celebre ministro-cognato, di cui Salvatore Merlo celebra oggi così, sul Foglio, i recenti trionfi comunicativi: «L’abbiamo osservato parlare con le mucche, gli abbiamo sentito dire “quante guerre si sarebbero evitate con delle cene ben organizzate”, poi in Parlamento l’abbiamo visto mentre spiegava che “per fortuna quest’anno la siccità ha colpito il sud e la Sicilia”, e infine ieri lo abbiamo ascoltato in un video vecchio e inedito ritornato virale che circola su internet e nel quale egli si spinge a un’analisi degli anni di piombo. Una disamina diacronica.

Accurata. E che si conclude con questa esatta frase: “…fino all’episodio di Aldo Moro che fortunatamente grazie al suo sacrificio creò un allarme democratico che consentì di sconfiggere il terrorismo”». Qui però devo correggere Merlo, perché la frase esatta è: «…fortunatamente, tra virgolette, con il suo sacrificio…». Lo riporto per dovere di cronaca, lasciando decidere al lettore se la scrupolosa precisazione del ministro costituisca un’attenuante o un’aggravante (personalmente, propenderei per la seconda ipotesi).

Se avessi un po’ più di tempo, e molta più pazienza, aggiungerei all’ormai ricchissima rassegna stampa degli infortuni di Lollobrigida, chiamiamoli così, la non meno nutrita, ma ormai decisamente più datata, rassegna stampa degli articoli che ne celebravano le fortune e ne spiegavano la crescente influenza, descrivendolo come l’uomo forte del governo, titolare occulto di almeno tre ministeri (oltre a quello da lui gestito in chiaro, per dir così) in forza del rapporto e soprattutto della stima di cui lo onorava la cognata-presidente del Consiglio.

Tutti quei retroscena in cui, a ogni passo falso dei suoi parlamentari, come nel caso Donzelli-Delmastro, si riportavano le lamentele di una sconsolata Meloni sul fatto che, quando «Lollo» era capogruppo, certe cose non succedevano. Insomma, almeno a giudizio del capo, lui era quello bravo. Il che dà certamente la misura della qualità della nuova classe dirigente, ma anche delle capacità di giudizio di Meloni, che quel partito ha fondato e guidato sin dalla nascita.

E fa giustizia anche della seconda indulgente narrazione sulla leader pragmatica e modernizzatrice, ostacolata solo dall’inadeguatezza di un gruppo dirigente che invece, a mio parere, si è sempre dimostrato alla sua altezza.

Conte, Schlein e Salvini: leader di partito contro il partito: da Strada a Vannacci passando per Morace: gli innesti per legittimare la leadership (ilriformista.it)

di Giulio Baffetti

Il ritratto

Elly in prima linea per Cecilia Strada e Marco Tarquinio, l’ex premier in sollucchero per Pasquale Tridico e Carolina Morace, e il leader della lega galvanizzato da Roberto Vannacci.

Tutti e tre impegnatissimi a sostenere i “candidati esterni”, gli “indipendenti”. Adesso la “società civile” serve per legittimare una leadership, in opposizione alla nomenclatura del partito che si capeggia

Che cosa hanno in comune Elly Schlein, Giuseppe Conte e Matteo Salvini? La risposta esatta è una sola: sono tre leader di partito che sono contro il loro partito. Può sembrare un gioco di parole, ma non è così. È sufficiente prendere nota delle mosse dei tre durante questa campagna elettorale per le elezioni europee.

Basta annotare qualche indiscrezione. Ascoltare qualche mal di pancia che arriva dai rispettivi partiti. Infine, tocca guardare la composizione delle liste per il voto dell’8 e 9 giugno prossimi. Ciò che colpisce è la nutrita pattuglia degli “esterni”. Il rinverdirsi della tradizione degli “indipendenti”. Queste europee, infatti, sembrano la riedizione, certamente in tono minore, della saga degli “Indipendenti di sinistra”. Fenomeno in voga nel Partito Comunista.

Che, di volta in volta, selezionava una serie di personalità non organiche per dare un valore aggiunto alle proprie liste. Solo che qua non si parla di innesti mirati, volti a completare un’offerta politica. Adesso la “società civile” serve per legittimare una leadership, in opposizione alla nomenclatura del partito che si capeggia. Così abbiamo Schlein in prima linea per Cecilia Strada e Marco Tarquinio.

Conte in sollucchero per Pasquale Tridico e Carolina Morace. Salvini galvanizzato da Roberto Vannacci. In uno scenario politico che si scompone e ricompone, non fa più notizia che i candidati prediletti dai leader non abbiano in tasca la tessera del partito.

Il PD e i due funamboli

Il caso più eclatante è il Pd di Schlein. Lo è perché resta il partito più strutturato in Italia. Segretari territoriali, sezioni dappertutto, presenza capillare ovunque. Un apparato che si è consegnato nelle mani di una segretaria che, fino a poco tempo prima di candidarsi al congresso, non era iscritta al partito.

Non a caso la leader sta facendo di tutto per mutare antropologicamente i dem. Quale migliore occasione delle liste per le elezioni europee? Allora spazio ai pacifisti Tarquinio e Strada. Ma anche ai giornalisti Lucia Annunziata e Sandro Ruotolo. Senza dimenticare l’ex sardina Jasmine Cristallo. L’attivista, figlia di Gino, e l’ex direttore di Avvenire sembrano i veri volti di punta della campagna di Schlein. A scapito di uscenti, amministratori e politici sperimentati.

Anzi, la segretaria voleva fare di più. Cercava lo schema del “panino”. Con lei candidata in terza posizione, una donna esterna capolista in ogni collegio e un uomo a chiudere il terzetto, puntava al repulisti di quasi tutte le europarlamentari uscenti. Progetto naufragato tra le proteste interne. Adesso ci sono Strada e Tarquinio che picconano sulla linea del partito su un tema cruciale come la guerra in Ucraina.

I due beniamini della segretaria sono contro gli aiuti militari a Kiev, in barba alle opinioni della maggioranza del Pd. Idee tradotte sempre in voti parlamentari a favore delle armi agli ucraini invasi dalla Russia. Strada addirittura ha rilanciato la patrimoniale. Intanto, Schlein cerca di essere sempre presente agli eventi dei due funamboli che disorientano la nomenclatura del Pd.

Conte palleggia con la Morace

Anche Conte lavora contro gli uscenti, gli ex deputati e senatori e contro chi ha partecipato alla lotteria delle europarlamentarie online. L’ex premier ha imposto agli attivisti del M5s sette candidati esterni, blindati in un listino già preconfezionato. Gli iscritti su di loro non si sono potuti esprimere e hanno soltanto potuto accettarli o respingerli in blocco.

Una volta ottenuto il plebiscito, Conte ha fatto sapere ai referenti sul territorio che bisognava impegnarsi di più per tirare la volata agli “indipendenti”. Parallelamente, il leader del M5s ha vietato a tutti i candidati di affiggere manifesti con il proprio volto.

Secondo le malelingue, un modo per favorire la corsa di uomini e donne del listino. I due nomi simbolo, che Conte vuole portare in Europa a ogni costo, sono Pasquale Tridico e Carolina Morace. L’ex presidente dell’Inps, considerato l’ideatore del Reddito di cittadinanza, corre come capolista al Sud.

La circoscrizione dove il M5s punta a essere la prima lista. Seggio blindato, dunque, per il professore scelto da Conte senza passare per il vaglio della base. Nell’Italia Centrale la capolista sarà l’ex calciatrice Morace. Una candidata del Movimento che è stata “aiutata” da Conte con un video diffuso sui social.

Un filmato, che ha divertito molti commentatori, in cui si vede l’ex presidente del Consiglio palleggiare insieme all’ex giocatrice della Nazionale italiana di calcio. “Facciamo insieme goal in Europa”, lo slogan di Conte e Morace.

Mercoledì il presidente dei pentastellati ha condiviso un altro video con protagonista Martina Pluda, anche lei del “listino-Conte”, manager del no-profit e direttrice della Ong Human Society International, leader nelle battaglie animaliste. A completare il quadro ci sono il simbolo antimafia Giuseppe Antoci, la manager sarda Cinzia Pilo, il fondatore di Banca Etica Ugo Biggeri e il professore dell’Università di Salerno Maurizio Sibilio.

Salvini con Vannacci

Infine Salvini. Il segretario della Lega, per rimanere in sella, confida nell’exploit del generale Vannacci. Un candidato che non è iscritto al partito e non ha nemmeno intenzione di tesserarsi. Il discusso militare è visto come fumo negli occhi da molti dirigenti leghisti.Ma Salvini continua a tirargli la volata.

“Con Vannacci siamo in sintonia su temi e valori, alle europee prenderà una marea di voti”, ha ribadito ieri il vicepremier. I leader preferiscono gli “indipendenti”. Senza tessera di partito, ma con l’appoggio del segretario.

Perché sono contrario all’eccesso di cordoglio occidentale per il tiranno Raisi. (Il Papa si sapeva) (huffingtonpost.it)

di 

Il popolo iraniano sta accendendo i fuchi 
d’artificio per celebrare la fine di un 
orribile aguzzino

Dello spirito religioso in cui mi sono formato mi è rimasto il sacro rispetto per i morti, la pietas cristiana per i corpi che non sono più di questa terra. Tuttavia gli smodati salamelecchi con cui i governi dell’Occidente (compreso il nostro) hanno detto di confortare il popolo iraniano privato della sua guida Raisi non hanno nulla del doveroso omaggio a un defunto, ma sono uno schiaffo agli iraniani e alle iraniane che hanno patito l’immensa crudeltà omicida di un uomo senza scrupoli e senza l’ombra della pietas per i vivi.

Un biglietto diplomatico di condoglianze non si nega nemmeno al peggiore degli esseri umani. Ma Raisi era appunto uno dei peggiori esseri umani. Un massacratore seriale. Un assassino sanguinario che ha mietuto vittime con un ritmo che lasciato sbalorditi persino i suoi complici della carneficina. Un telegramma secco di cordoglio e via, giusto un’incombenza da sbrigare in fretta e con legittimo imbarazzo.

Non “vicinanza al popolo iraniano”. Il popolo iraniano sta accendendo i fuchi d’artificio per celebrare la fine di un orribile aguzzino.

L’Europa non perde occasione per dare il peggio di sé (a ancora traccheggia sull’invio di armi alla Resistenza ucraina).