La difesa del giornalista Toti: le 167 domande, i fogli volati dalla finestra e quei 400 voti ‘di scambio’ su 380mila preferenze (ilriformista.it)

di Tiziana Maiolo

La mossa che spiazza tutti

Le domande erano 167, il verbale dell’interrogatorio di Giovanni Toti da parte dei pubblici ministeri di Genova è stato volantinato a tutti i giornalisti.

Ma non è una notizia. Le notizie vere sono altre. Perché ora la partita sull’inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari Toti è tutta politica. E c’è da aspettarsi di tutto. Anche che qualche giornale possa scrivere che l’indagato “ha confessato”, girando a modo proprio le risposte alle 167 domande.

Giovedi è stata la giornata del governatore della Regione Liguria. Otto ore di interrogatorio, rette con una forza tranquilla che forse gli stessi pubblici ministeri non si aspettavano, abituati come sono a veder tremare, su quella seggiolina più bassa dei loro scranni.

Toti e la mossa che spiazza tutti

Poi una grande mossa di comunicazione, che ha preso in contropiede anche il pool dei cronisti amici di procura, con la consegna di quel documento di 17 pagine che, più che una memoria difensiva, è il programma politico di un liberale. Fogli volati fuori dalla finestra della caserma all’interno del porto dove Toti veniva interrogato. Una mossa che in genere è riservata al mondo dell’accusa e non certo a quello della difesa.

Se qualcuno si è stupito di questa novità della prassi giudiziaria, che ha anticipato di qualche ora l’uscita del verbale di interrogatorio e ha segnato un punto a favore della difesa nel derby con la magistratura, forse non sa chi è Giovanni Toti.

Il giornalista Toti e la decisione sui domiciliari 

Un giornalista, prima di tutto, che conosce i suoi polli, con le loro regole sulla comunicazione, perché ha fatto parte della stessa batteria. Inoltre, come esponente politico, è stato creato da quel Silvio Berlusconi il quale, ancora prima di vincere le elezioni del 1994, era già stato oggetto di attenzioni poco affettuose da parte della magistratura, e lo sarà per tutto il suo percorso politico.

C’è qualcuno, dalle parti di Firenze, che vorrebbe processarlo ancora oggi che non c’è più. In definitiva, il governatore della Regione Liguria, pur non avendo avuto fino a ora neppure un’informazione di garanzia, ha già nel suo dna una qualche forma di allenamento mentale alla questione. E alla sua parte comunicativa.

Ma un arresto è pur sempre privazione della libertà, e anche della dignità, anche se non corredato fisicamente dall’uso delle manette. E ora pare evidente che il suo difensore Stefano Savi giochi le carte della prudenza, nella richiesta della revoca della misura cautelare. Su cui decide l’ufficio del giudice delle indagini preliminari. Ma su cui pesa, come sempre, il parere della procura. E mai si è visto un pm che sia tornato sui propri passi. E neanche che abbia mostrato interesse per la parte nobile della politica.

“Sono garantista però…”

Quell’essersi sgolato, da parte del presidente Toti, a spiegare, nel suo documento, che cosa significa amministrare la cosa pubblica da parte di un liberale, che non considera il denaro lo sterco del diavolo e gli imprenditori come nemici del popolo, rischia di esser piombato in un annoiato silenzio. E così ogni risposta alle centinaia di domande che gli sono cascate addosso con la forza di pallottole.

Perché le sue parole cozzano contro muri di gomma che gliele rimbalzano indietro. Se ne sente l’eco persino nei talk dove ora va di moda non solo il ripetitivo ritornello del “sono garantista però” cui succede la valanga di guano sparsa a piene mani, ma anche la diffidenza nei confronti di tutti quei versamenti tracciati e legali.

Si è sentito dire, ed è chiaro che è quel che pensano i pm, che l’abito legalitario dei contributi elettorali è la maschera delle nuove forme delle mazzette. La corruzione ha ormai indossato l’abito della legalità. A che ti serve, caro Giovanni Toti, dire e scrivere che “i bilanci e i rendiconti sono stati (e sono ancora) pubblicati sui siti internet delle organizzazioni politiche a mio sostegno. Ogni euro incassato ha avuto una destinazione politica…”.

400 voti sui 380.000

Oppure: incrociate Ia mia agenda con le date dei versamenti e quelle in cui sono state votate alcune delibere, e vedrete che non c’è alcun nesso di causalità che induca al sospetto dello scambio economico-elettorale.

Ma i pm vogliono sapere perché lei in quella tal sera ha organizzato quella tal cena, e perché c’erano per esempio i fratelli Testa della comunità riesina, che potrebbero aver portato 400 voti sui 380.000 con cui il governatore è stato eletto. Viene chiesto a Toti per quale motivo, parlando con il suo capo di gabinetto Cozzani abbia chiesto “perché non gli hai dato dei soldi?” e lui risponde che era ironico perché il collaboratore gli aveva parlato di “squartare”.

La mafia e l’elettore dichiarato del Pd

Scherzavano su questo gruppo di siciliani, i cui nonni erano arrivati in Liguria e Lombardia dalla provincia di Caltanissetta nei primi anni novanta, scappando dalla guerra di mafia ingaggiata dai corleonesi. Questa parte dell’inchiesta sarebbe tutta prescritta, se la magistratura di La Spezia, da cui tutto è iniziato, non avesse contestato l’aggravante di mafia, dovuta solo al fatto che uno degli indagati, l’ex sindacalista della Cgil, fieramente comunista ed elettore dichiarato del Pd, Venanzio Maurici, non avesse qualche parente ancora attivo in Sicilia. Che cosa tutto ciò abbia a che fare con l’attività politica e amministrativa di Giovanni Toti, non è chiaro. Solo una ciliegina sulla torta, buona per titoloni sui giornali amici di procura.

Tutto il resto, l’attività di mediazione nelle attività del porto tra imprenditori concorrenti, e i rapporti con Aldo Spinelli, è stato già spiegato in modo molto preciso e la linea difensiva non è cambiata. Abbiamo chiarito ogni dettaglio, conferma l’avvocato Stefano Savi. Ma la gip Paola Faggioni ha già mostrato di che pasta è fatta quando ha respinto la richiesta di revoca dell’interdittiva professionale all’ex dirigente di Esselunga Francesco Moncada, nonostante si fosse già dimesso dal consiglio di amministrazione. A quando la separazione delle carriere?

Per votare alle elezioni europee 2024 non serve il Green Pass (open.online)

di Fact-checking Team

Gli unici documenti necessari sono un documento di riconoscimento e la tessera elettorale

«Non posso votare perché non ho il Green Pass». Questa è in sintesi la teoria che viene diffusa dagli ambienti No Vax sui social, facendo intendere che senza la certificazione verde non si possa esprimere il proprio diritto di voto alle elezioni europee che si terranno l’8 e 9 giugno prossimi in Italia, in concomitanza con gli altri Paesi membri dell’Unione. Tuttavia, per votare alle elezioni europee non serve il Green Pass. Il messaggio viene diffuso al fine di incentivare l’astensione.

Analisi

Vediamo uno screenshot di uno dei post oggetto di verifica (altri quiquiqui):

Mi dispiace, ma il 9 giugno non potrò presentarmi alle urne. Non ho il Green Pass

Ecco un altro esempio:

Volevo dire a questa letamaia chiamata Europa e a tutti i politicanti che ne fanno parte specialmente i nostri rappresentanti italiani, mi dispiace ma il 9 giugno non potrò votare perché non sono vaccinato e non ho il green pass.

L’invito all’astensione

In alcuni casi nella descrizione si leggono messaggi che invitano all’astensionismo, come il seguente:

DOBBIAMO provocare la più grande ASTENZIONE della storia italiana. A Bruxelles dovranno capire che “questa” Europa NON È ROBA NOSTRA. Anzi, che NON ci interessa proprio! E di conseguenza NON andremo a votare. Perché NON vogliamo votare. NON si può, e NON dobbiamo “legittimare” questa manica di CORROTTI e INCAPACI, che sicuramente TRADIRANNO il Mandato Popolare. E parlo di TUTTI…!! (Destra – Sinistra – Centro…) Oramai abbiamo capito che, arrivato il momento di tradire l’interesse italiano, sono tutti U.GUA.LI…!! (Purtroppo) Certamente qualcuno mi dirà che c’è qualche persona onesta che si potrebbe scegliere. E sono d’accordo! Però, 3 o 4 “onesti” NON cambieranno MAI quell’ “ASSURDO e PE.RI.CO.LO.SO BARACCONE” chiamato Unione Europea. MEGLIO una “bella delegittimazione” in blocco. ESAUTORARE proprio tutto questo benedetto parlamento europeo, totalmente RIDICOLO, COSTOSO, INUTILE e soprattutto anti-italiano! PS: Alle Europee, #iononvotopiu

Altra immagine che circola è la seguente:

Chi può votare alle elezioni europee

Per votare alle elezioni europee non viene richiesto né il green pass né un test che dimostri la negatività al Covid-19. Infatti, la necessità di mostrare la certificazione verde all’ingresso dei luoghi pubblici è decaduta ufficialmente l’1 maggio 2022.

La richiesta di Green Pass non è menzionata nemmeno nella pagina web dedicata a spiegare come si svolgono le elezioni in Italia. Nello specifico, alla voce che elenca chi può votare la lista indica coloro che:

  • Hanno compiuto 18 anni;
  • Sono cittadini italiani o dell’Ue con residenza legale in Italia o cittadini italiani residenti all’estero;
  • Sono registrati come votanti entro la scadenza stabilita (per i cittadini UE votanti in Italia).

Quali documenti servono per votare alle elezioni europee

I documenti necessari per poter votare sono i seguenti:

  • Documento di riconoscimento valido;
  • Tessera elettorale.

Conclusioni

Si sostiene che il Green Pass sia necessario per votare alle elezioni europee. Il Green Pass non è più obbligatorio negli edifici pubblici dall’1 maggio 2022. Quindi, per votare alle elezioni europee non serve il Green Pass. Gli unici documenti necessari sono un documento di riconoscimento e la tessera elettorale.

Greco: la parità accusa-difesa non ci sarà mai finché le carriere non saranno separate (ildubbio.news)

di Valentina Stella

GIUSTIZIA

Suspence sulla riforma costituzionale di Nordio, il cui testo a via Arenula è pronto, ma che non è ancora stata messa all’ordine del giorno di Palazzo Chigi. Intanto il presidente del Cnf avverte: «La modifica è indispensabile, ora il giusto processo non esiste»

Il disegno di legge costituzionale su separazione delle carriere e riforma del Consiglio superiore della magistratura è praticamente pronto. Lo riferiscono fonti del ministero della Giustizia. Si attende ora solo di conoscere da Palazzo Chigi, che definisce gli ordini del giorno, la data in cui il provvedimento, insieme ad altri decreti legge in materia di giustizia – compreso uno sulle carceri –, finirà sul tavolo del Consiglio dei ministri.

Le ultime date disponibili prima delle Europee dovrebbero essere due: mercoledì 29 maggio e lunedì 3 giugno. Ovviamente non si può dare per scontato che la riforma riesca ad essere effettivamente discussa e approvata dall’Esecutivo prima dell’election day, fissato per l’8 e il 9 giugno. Ma il ddl costituzionale di Nordio non ha solo un valore in sé: i tempi del suo iter assumono anche un significato politico, considerato che Forza Italia e Antonio Tajani ne fanno una bandiera, e vorrebbero poterla issare almeno nell’ultima settimana di campagna elettorale.

Chiaramente la strada sarà lunga, prima che il progetto di riforma possa trasformarsi in realtà, considerati i passaggi parlamentari previsti per una modifica costituzionale e l’eventuale referendum.

Sta di fatto che la maggioranza, e soprattutto la premier Giorgia Meloni, non possono disattendere, a questo punto, l’impegno assunto con Antonio Tajani e l’intero partito berlusconiano, i quali intendono rivendicare la modifica imperniata sul “divorzio” tra giudici e pm come uno dei principali obiettivi ottenuti in memoria del Cavaliere. Se così non dovesse essere si creerebbe un bel problema all’interno dell’alleanza di governo.

GRECO: LA RIFORMA È ESSENZIALE 

Sulla riforma costituzionale dell’ordinamento giudiziario si è espresso anche Francesco Greco, presidente del Consiglio nazionale forense, ospite a Coffee Break su La7: «Noi riteniamo la separazione delle carriere indispensabile per riequilibrare il sistema del processo penale. Oggi non esiste parità tra accusa e difesa: l’accusa gode di un vantaggio sproporzionato. Il principio del giusto processo, sancito dalla nostra Costituzione, non potrà mai essere realizzato appieno finché persisterà questo squilibrio».

Il vertice della massima istituzione dell’avvocatura ha proseguito: «Il sistema italiano, tra l’altro, è un’anomalia nel panorama europeo: in quasi tutti i Paesi del Vecchio Continente, in particolare quelli con princìpi democratici e liberali paragonabili all’Italia, le carriere di giudici e pubblici ministeri sono separate. In Germania, Francia, Svizzera, Austria, Portogallo e Olanda, per esempio, questa distinzione è già realtà. Addirittura, in Germania non esiste il Csm: le carriere, le promozioni e gli avanzamenti dei magistrati sono decisi da funzionari dello Stato. Il nostro sistema rappresenta un’eccezione tutta italiana».

Poi un passaggio su una battaglia che il Cnf porta avanti da tempo e che, salvo modifiche dell’ultima ora, verrà concretizzata nel ddl costituzionale, così come immaginata nell’ipotesi del Consiglio nazionale forense: «Il ministro Nordio – ha aggiunto difatti Greco – ha annunciato che il disegno di legge sulla separazione delle carriere includerà anche l’inserimento della figura dell’avvocato nella Costituzione, passo fondamentale per riequilibrare il ruolo di accusa e difesa nel processo».

DDL PENALE IN STAND BY: 343 EMENDAMENTI 

Forza Italia aveva chiesto una accelerazione anche per l’approvazione del cosiddetto ddl penale, che invece è stato rimandato a data da destinarsi, certamente a dopo le elezioni di inizio giugno. La precedenza, come stabilito dalla conferenza dei capigruppo della commissione Giustizia della Camera, è stata data al ddl sicurezza. Sono d’altra parte ben 343 gli emendamenti presentati dai gruppi al provvedimento, che contiene, com’è noto, anche l’abolizione dell’abuso d’ufficio.

Il termine per depositare le proposte di modifica è scaduto oggi alle 12. In totale 53 emendamenti sono arrivati dalla stessa maggioranza: 35 dalla Lega, 10 da Fratelli d’Italia, 7 da Forza Italia e 1 da Noi moderati. Mentre tra le file delle opposizioni, 100 emendamenti sono stati depositati dal Partito democratico, 97 dal Movimento 5 stelle, 48 da Alleanza Verdi e Sinistra, 20 da Italia viva, 12 da + Europa, 8 dal gruppo Misto e 2 da Azione.

La discussione, che inizierà martedì prossimo, non si preannuncia breve, e solo dopo l’appuntamento elettorale si tornerà a parlare di questo pacchetto di modifiche in materia penale. Ha espresso, per questo, il proprio disappunto il responsabile Giustizia di Azione, il deputato Enrico Costa: «Il ddl Nordio, quello sull’abuso d’ufficio, ancora rinviato. Iscritto all’odg dell’aula Camera per lunedì 27 maggio per l’approvazione definitiva, il punto salterà e si andrà dopo le Europee. Sulla giustizia una maggioranza al rallentatore, tra indecisioni e rinvii».

(FRANCESCO GRECO PRESIDENTE CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE)

Al discount della pace. Conte, Santoro e pure il Pd: la parolina magica trabocca nella campagna per le Europee (huffingtonpost.it)

Nei manifesti, sui social, persino sul retro 
dei bus: 
tutte le forze di sinistra fanno a gara a chi è più pacifista. Scordandosi un piccolo particolare: come si fa se Putin non si ferma?

Nei manifesti, sui social, persino sul retro dei bus. La pace trabocca nella campagna elettorale delle europee. Ma è una pace pret à porter. O meglio à voter. La copiosa offerta di promesse, la pace un tanto al chilo, i programmi dei partiti quasi la ignorano.

Al discount della pace. E dire che il tema, specie a sinistra, è di quelli scavati. Anno 1948, Comunisti e Socialisti si uniscono nel Fronte Popolare. La guerra è ancora nell’aria, De Gasperi lamenta “il puzzo acre di guerra civile” che ancora aleggia nel Paese. Sui manifesti della Dc, campeggia lo spettro del sovietismo. Su quelli del Partito comunista italiano la bandiera rossa con falce e martello, su tricolore italiano. In alto a caratteri cubitali la scritta “Per la pace”, in basso: “Vota così”.

In anni più recenti, è stato Enrico Berlinguer, alle europee del 1984, a celebrare l’eurocomunismo con una campagna tutta incentrata sul pericolo nucleare. Un uomo in tuta bianca anti radiazioni si aggira in una piazza Farnese desolata. Una voce off spiega: “Il governo democristiano è stato il primo in Europa a dire di sì ai missili e nell’83 ha stanziato 12.000 miliardi (di lire) per gli armamenti. Vuoi che l’Italia diventi un bersaglio atomico? Vota per la Pace, vota Partito Comunista Italiano”.

Il senso della sinistra per la pace ritorna in occasione di queste europee. Giuseppe Conte la mette in hashtag nel nuovo simbolo, sotto le cinque stelle. Il primo capitolo del programma si intitola: “Riportare la pace in Europa”. Bene, ma come si fa? Il programma non lo dice, nel senso che non scioglie il nodo di fondo: convincere Putin a fermare le armi.

“Fin da subito abbiamo condannato l’invasione di Putin. Al popolo ucraino va tutto il nostro supporto, ma adesso diciamo basta all’invio di nuove armi e perseguiamo in tutti i modi la pace. L’Unione europea deve tornare protagonista nello scenario internazionale promuovendo incisive azioni diplomatiche volte all’immediato cessate il fuoco e all’avvio di negoziati adoperandosi da subito per una Conferenza di pace da tenersi sotto l’egida delle Nazioni Unite. All’Europa serve un Commissario per la pace”.

Tutto bello, ma come si fa se Putin non si ferma?

L’interrogativo, che Conte trascura, resta senza risposte anche negli altri programmi. “Pace, terra e dignità” si chiama la lista promossa da Michele Santoro e Raniero La Valle. Il programma ha il pregio della chiarezza: prevede la sconfitta dell’Ucraina.

“Chiediamo al Parlamento e alle istituzioni europee che facciano queste scelte: riguardo alla pace in Europa, non confondere la solidarietà data all’aggredito col rifornirlo di armi e aizzarlo allo scontro promettendogli impossibili vittorie, alimentando un conflitto infinito suscettibile di precipitare in una terza guerra mondiale, fino al ricorso alle armi nucleari e alla distruzione del genere umano e della natura”.

Una colomba arcobaleno anche nei manifesti di Avs, l’alleanza verdi sinistra, per i quali l’Europa deve essere “terra di pace”. Ma non basta dirlo e il nodo Putin resta. Anche per il partito di Fratoianni e Bonelli l’Europa “deve assumere l’onere di una grande iniziativa diplomatica convocando una conferenza multilaterale per la pace e la sicurezza e interrompere le forniture militari per creare un quadro che consenta un cessate il fuoco nel conflitto russo-ucraino, il ritiro delle truppe di occupazione russa e l’avvio di negoziati per una pace duratura”. Tutto così, magicamente.

Ma non quanto avviene nel Pd. La pace è il tema centrale della campagna di Marco Tarquinio. “La pace è meglio”, è il suo slogan elettorale. Cecilia Strada pè stata scelta come testimonial sulle card social del partito. “Non penso che parlare di pace sia da anime belle, piuttosto da persone attente al futuro. E in ogni caso preferisco le anime belle alle anime brutte”. A rigor di cronaca, di “anime brutte” ce ne sarebbero un certo numero nel suo partito, visto che è schierato per la difesa dell’Ucraina e ha votato i decreti per l’invio di armi. Perentorio l’ex presidente della Regione Lazio.

“Scrivi Zingaretti, un’Europa più umana che promuove la pace e ferma le guerre”, si legge sul retro dei bus. Ma il programma elettorale del Pd cosa dice sul tema? Il Pd sostiene che bisogna creare un esercito comune europeo e “sostenere la resistenza del popolo ucraino di fronte all’aggressione russa”. Al contempo l’Ue deve mettere “in campo ogni sforzo diplomatico e politico volto a creare le condizioni per far cessare il conflitto e costruire una pace giusta, sicura e sostenibile”. Il trionfo del ma anche.

A conti fatti, forse meglio l’approccio pragmatico della giovane candidata dei Verdi Benedetta Scuderi. Lei i bus li ha presi per verificare lo stato del trasporto pubblico locale e nello stesso tempo inquinare il meno possibile. Percorsi finora 3mila chilometri. Se avesse usato la sua macchina avrebbe prodotto 800 kg di Co2 in più. Guerra al cambiamento climatico.

Conte annusa l’euro-flop e si attacca al reddito di cittadinanza Ue: “Ci batteremo”

Mancano due settimane alle elezioni europee e i 
sondaggi non arridono al Movimento 5 stelle, 

con alcuni istituti demoscopici che danno i grillini addirittura sotto la soglia psicologica del 15 per cento e altri che certificano un calo progressivo dei consensi.

Insomma, il partito guidato da Giuseppe Conte rischia l’euroflop senza nomi forti e lo stesso leader fuori dalle liste. Per il rush finale in vista del voto dell’8 e 9 giugno l’ex “avvocato del popolo” si gioca la carta di sempre, quella del reddito di cittadinanza, declinata su dimensione continentale.

“Con il M5s avremo degli europarlamentari che si batteranno con una tenacia e una determinazione incredibile per introdurre anche a livello europeo un reddito di cittadinanza che venga imposto anche in Italia, visto che l’hanno voluto smantellare”, afferma Conte, parlando con i giornalisti a margine di un incontro pubblico con i cittadini a Casoria (Napoli).

“Ci batteremo anche per la decontribuzione Sud – aggiunge – una misura che taglia il costo del lavoro per tutti gli imprenditori del Sud e che questo Governo ha fatto decadere. Si tratta di misure per cui noi ci siamo battuti come leoni, mentre loro non le stanno rinegoziando. Sono degli incapaci”.

Conte chiama, i big grillini rilanciano in coro: “Stiamo usando tutti gli strumenti possibili per far si che lo Stato non abbandoni chi è in difficoltà. Siccome questo governo aveva promesso di non abbandonare nessuno, ma ha smantellato il reddito di cittadinanza lasciando centinaia di migliaia di famiglie con anziani e disabili, soggetti fragili, soli senza nulla”, afferma la candidata del M5s all’Europarlamento, Chiara Appendino che sul reddito di cittadinanza europeo annuncia: “Noi faremo questa battaglia”.

Ranucci e il selfie “elettorale” con la candidata M5S. Meloni: “Se l’avesse fatto Chiocci con me…”

di Lucio Meo

“Durante il mio tour in Sicilia, ho avuto 
l’opportunità di trascorrere del tempo con 
Sigfrido Ranucci, giornalista di Report, e di 
cenare con lui.

Abbiamo discusso dell’importanza della libertà di informazione in Italia…”.

A proposito di libertà di informazione, alla fine del post, casualmente, compare un invito a votare: “Scrivete MONTAUDO e barrate il simbolo del Movimento 5 Stelle“. Un puro caso, eh, quella foto su Instagram nella quale il giornalista Rai, Sigfrido Ranucci, quello autonomo, a testa alta, indipendente, s’è accompagnato alla candidata alle elezioni Europee per il Movimento 5 Stelle Matilde Montaudo, in Sicilia. Un momento da “campagna elettorale”, più che da grande giornalismo, quello di Sigfrido Ranucci, che ieri la premier Giorgia Meloni gli ha fatto notare, a proposito della “libertà” di informazione.

Ranucci, lo spot per il M5S e le ironie della Meloni

“Venendo qui mi sono battuta nel post di una candidata del M5s per le europee che va a cena con Sigfrido Ranucci, conduttore di Report e quindi giornalista Rai, pubblicata la foto chiedendo poi il voto per le europee. Per me niente di male, non ho nulla da dire su questa vicenda anche perché credo che nessuno dirà niente a sinistra su questa cosa, però chiedo di chiudere un attimo gli occhi e di provare a immaginare cosa sarebbe accaduto se avessi fatto una foto col direttore del Tg1 Chiocci e avessi pubblicato quella foto su Fb con sotto scritto barra il simbolo di FdI e scrivi Giorgia. Temo che si sarebbero chieste le dimissioni di Chiocci, io non chiederei mai le dimissioni di Ranucci. Penso la stampa sia libera di fare anche campagna elettorale, la cosa che non tollerò è l’utilizzo di due pesi e due misure” ha detto la premier intervenendo a Trento al Festival dell’Economia.

E Ranucci? Ha sminuito: “Era uno scatto casuale, ne faccio tanti in giro…”. Una gallery, per la verità.

“Le affermazioni della premier Meloni rispetto a una mia presunta partecipazione a campagne elettorali di candidati di qualsiasi natura sono destituite di ogni fondamento. L’incontro a cui si riferisce la Meloni è avvenuto in un locale ed è stato del tutto casuale. Sono passato anche vicino a uno stand di Fratelli d’Italia ma la’ nessuno ha chiesto di fotografarmi. Al ristorante erano presenti anche altri esponenti di altri partiti. Se qualcuno in maniera cortese mi chiede una fotografia io la faccio. E a differenza di altri giornalisti non ho mai partecipato a manifestazioni di partito. Né sono stato mai indicato nella mia lunga attività in Rai da partiti…”. Ovvio, tutto casuale.