La mossa che spiazza tutti
Le domande erano 167, il verbale dell’interrogatorio di Giovanni Toti da parte dei pubblici ministeri di Genova è stato volantinato a tutti i giornalisti.
Ma non è una notizia. Le notizie vere sono altre. Perché ora la partita sull’inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari Toti è tutta politica. E c’è da aspettarsi di tutto. Anche che qualche giornale possa scrivere che l’indagato “ha confessato”, girando a modo proprio le risposte alle 167 domande.
Giovedi è stata la giornata del governatore della Regione Liguria. Otto ore di interrogatorio, rette con una forza tranquilla che forse gli stessi pubblici ministeri non si aspettavano, abituati come sono a veder tremare, su quella seggiolina più bassa dei loro scranni.
Toti e la mossa che spiazza tutti
Poi una grande mossa di comunicazione, che ha preso in contropiede anche il pool dei cronisti amici di procura, con la consegna di quel documento di 17 pagine che, più che una memoria difensiva, è il programma politico di un liberale. Fogli volati fuori dalla finestra della caserma all’interno del porto dove Toti veniva interrogato. Una mossa che in genere è riservata al mondo dell’accusa e non certo a quello della difesa.
Se qualcuno si è stupito di questa novità della prassi giudiziaria, che ha anticipato di qualche ora l’uscita del verbale di interrogatorio e ha segnato un punto a favore della difesa nel derby con la magistratura, forse non sa chi è Giovanni Toti.
Il giornalista Toti e la decisione sui domiciliari
Un giornalista, prima di tutto, che conosce i suoi polli, con le loro regole sulla comunicazione, perché ha fatto parte della stessa batteria. Inoltre, come esponente politico, è stato creato da quel Silvio Berlusconi il quale, ancora prima di vincere le elezioni del 1994, era già stato oggetto di attenzioni poco affettuose da parte della magistratura, e lo sarà per tutto il suo percorso politico.
C’è qualcuno, dalle parti di Firenze, che vorrebbe processarlo ancora oggi che non c’è più. In definitiva, il governatore della Regione Liguria, pur non avendo avuto fino a ora neppure un’informazione di garanzia, ha già nel suo dna una qualche forma di allenamento mentale alla questione. E alla sua parte comunicativa.
Ma un arresto è pur sempre privazione della libertà, e anche della dignità, anche se non corredato fisicamente dall’uso delle manette. E ora pare evidente che il suo difensore Stefano Savi giochi le carte della prudenza, nella richiesta della revoca della misura cautelare. Su cui decide l’ufficio del giudice delle indagini preliminari. Ma su cui pesa, come sempre, il parere della procura. E mai si è visto un pm che sia tornato sui propri passi. E neanche che abbia mostrato interesse per la parte nobile della politica.
“Sono garantista però…”
Quell’essersi sgolato, da parte del presidente Toti, a spiegare, nel suo documento, che cosa significa amministrare la cosa pubblica da parte di un liberale, che non considera il denaro lo sterco del diavolo e gli imprenditori come nemici del popolo, rischia di esser piombato in un annoiato silenzio. E così ogni risposta alle centinaia di domande che gli sono cascate addosso con la forza di pallottole.
Perché le sue parole cozzano contro muri di gomma che gliele rimbalzano indietro. Se ne sente l’eco persino nei talk dove ora va di moda non solo il ripetitivo ritornello del “sono garantista però” cui succede la valanga di guano sparsa a piene mani, ma anche la diffidenza nei confronti di tutti quei versamenti tracciati e legali.
Si è sentito dire, ed è chiaro che è quel che pensano i pm, che l’abito legalitario dei contributi elettorali è la maschera delle nuove forme delle mazzette. La corruzione ha ormai indossato l’abito della legalità. A che ti serve, caro Giovanni Toti, dire e scrivere che “i bilanci e i rendiconti sono stati (e sono ancora) pubblicati sui siti internet delle organizzazioni politiche a mio sostegno. Ogni euro incassato ha avuto una destinazione politica…”.
400 voti sui 380.000
Oppure: incrociate Ia mia agenda con le date dei versamenti e quelle in cui sono state votate alcune delibere, e vedrete che non c’è alcun nesso di causalità che induca al sospetto dello scambio economico-elettorale.
Ma i pm vogliono sapere perché lei in quella tal sera ha organizzato quella tal cena, e perché c’erano per esempio i fratelli Testa della comunità riesina, che potrebbero aver portato 400 voti sui 380.000 con cui il governatore è stato eletto. Viene chiesto a Toti per quale motivo, parlando con il suo capo di gabinetto Cozzani abbia chiesto “perché non gli hai dato dei soldi?” e lui risponde che era ironico perché il collaboratore gli aveva parlato di “squartare”.
La mafia e l’elettore dichiarato del Pd
Scherzavano su questo gruppo di siciliani, i cui nonni erano arrivati in Liguria e Lombardia dalla provincia di Caltanissetta nei primi anni novanta, scappando dalla guerra di mafia ingaggiata dai corleonesi. Questa parte dell’inchiesta sarebbe tutta prescritta, se la magistratura di La Spezia, da cui tutto è iniziato, non avesse contestato l’aggravante di mafia, dovuta solo al fatto che uno degli indagati, l’ex sindacalista della Cgil, fieramente comunista ed elettore dichiarato del Pd, Venanzio Maurici, non avesse qualche parente ancora attivo in Sicilia. Che cosa tutto ciò abbia a che fare con l’attività politica e amministrativa di Giovanni Toti, non è chiaro. Solo una ciliegina sulla torta, buona per titoloni sui giornali amici di procura.
Tutto il resto, l’attività di mediazione nelle attività del porto tra imprenditori concorrenti, e i rapporti con Aldo Spinelli, è stato già spiegato in modo molto preciso e la linea difensiva non è cambiata. Abbiamo chiarito ogni dettaglio, conferma l’avvocato Stefano Savi. Ma la gip Paola Faggioni ha già mostrato di che pasta è fatta quando ha respinto la richiesta di revoca dell’interdittiva professionale all’ex dirigente di Esselunga Francesco Moncada, nonostante si fosse già dimesso dal consiglio di amministrazione. A quando la separazione delle carriere?