La strage di Brescia

Silvano Agosti racconta la strage di Piazza 
della Loggia che il 28 maggio 1974 causò 
otto morti e più di cento feriti

I detenuti del carcere di Verona contro Chico Forti: «Lo trattano come una star» (open.online)

di Alba Romano

La Polizia Penitenziaria: 

le carceri italiane sono una barzelletta

Dopo il suo rientro in Italia il condannato per omicidio Chico Forti è stato trasferito nel carcere di Verona. Poi ne è uscito per fare visita alla madre a Trento. Nel frattempo ha fatto anche qualche giro della struttura e si è meravigliato per il cuoco professionale che gli prepara pranzi e cene.

Ma a quanto pare il trattamento non è piaciuto a tutti, spiega oggi Repubblica. «Venga qua con noi a vedere che inferno è questo», dicono gli altri carcerati come riporta l’associazione Sbarre di Zucchero. «Dispiace vedere questa situazione di privilegio, specie se ad assistere a questo spettacolo è gente che deve dividere pochi metri di spazi vitali in una cella», dice la moglie di un detenuto.

Le proteste

Marco Costantini, segretario di “Sbarre di zucchero”, aggiunge: «C’è gente che aspetta da 5 anni per andare a trovare la madre. E a volte c’è chi non riesce ad arrivare nemmeno in cimitero, per salutare il proprio caro deceduto. Perché con lui è tutto così veloce? In un carcere già problematico come Montorio non ci possono essere detenuti di Serie A e altri di serie Z».

Anche i sindacati sono arrabbiati. «Il carcere non è un palcoscenico nel quale star possano fare il loro show e avere trattamenti e benefici di grande riguardo», dice Aldo Di Giacomo, segretario del Sindacato di Polizia Penitenziaria.

Che protesta anche per gli scatti del detenuto: «Il personale non fa il fotografo, ma ha compiti ben più seri a cui pensare. Ognuno si assuma le sue responsabilità: ci aspettiamo che l’amministrazione penitenziaria individui ogni responsabilità nell’interesse della legalità, per allontanare l’immagine che in tutto il mondo si sono fatti delle carceri italiane, come l’ennesima barzelletta italiana».

Il pluralismo situazionista del Pd, pronto a tutto e capace di niente (linkiesta.it)

di

Mucchio selvaggio

Il grottesco mischione di atlantisti e pacifisti, dirittisti e antiabortisti, riformisti e nostalgici, ichiniani e landiniani, produttivisti e descrescisti, fanatici pro-Pal e amici di Israele sembra funzionare per Elly Schlein a cui interessa solo il risultato più alto possibile alle elezioni europee

L’articolo pubblicato ieri da Repubblica ha fatto tirare un bel sospiro di sollievo nelle stanze del Nazareno, documentando come, sulla base dei principali sondaggi, la campagna elettorale della segretaria del Partito democratico sembri avere più mordente di quella del Capo del Governo – fosse mai che a chiamarla Capa si sentisse sminuita – e i risultati del principale partito di opposizione sembrino avvicinarsi alla “quota Zingaretti” del 2019, il 22,7 per cento, risultato inizialmente insperato.

Ammesso e non concesso che i numeri dei sondaggi siano giusti e che l’entusiasmo di Repubblica – un giornale non proprio antipatizzante del Pd – non serva anche a tirare la volata agli ultimi quindici giorni della campagna di Elly Schlein, questo risultato teorico e parziale merita di essere commentato e analizzato, perché riflette dinamiche della politica italiana che trascendono lo specifico del Pd e che segnano (io dico e poi spiego perché: in negativo) il funzionamento della nostra democrazia e il rapporto perverso e malato tra le strategie elettorali e l’esercizio delle responsabilità politica dei partiti.

La campagna del Nazareno ha seguito una logica pigliatutto e non ha mirato a comporre un insieme di candidature e di proposte unite da vincoli di coerenza o almeno di compatibilità, ma ad aggregare mondi, personalità e visioni radicalmente inconciliabili, pur di mantenere il PD su di una linea di galleggiamento elettorale da partito virtualmente maggioritario.

A Schlein non interessa nient’altro che i numeri che saranno prima e dopo la virgola nella percentuale che il suo partito guadagnerà alle elezioni e, a guardare gli ultimi sondaggi pubblicati, gli elettori di tutti questi sottomondi combinati nel sovramondo democratico d’opposizione non sono così delusi dalla strategia dell’avanti, c’è posto.

Il grottesco mischione di atlantisti e pacifisti, dirittisti e antiabortisti, riformisti e nostalgici, ichiniani e landiniani, produttivisti e descrescisti, fanatici pro-Pal e amici di Israele sembra funzionare, e neppure le supercazzole prematurate con scappellamento a sinistra della segretaria sul senso di questo pluralismo situazionista parrebbero compromettere l’efficacia dell’operazione.

Il problema di Schlein era ed è non perdere voti verso Movimento 5 stelle, sinistra e pacifisti, e semmai guadagnarne ai loro danni. La strategia del nessun nemico a sinistra è da sempre, in quelle lande, il modo migliore per riportare nella casa madre, in un attrezzatissimo recinto estremista, gli scavezzacolli dalle impazienze rivoluzionarie vogliosi di evaderne. Secondo questa logica, Schlein, se non glielo avessero impedito, avrebbe candidato anche Ilaria Salis, e magari pure Michele Santoro, se lui avesse voluto.

Se però questa strategia funzionasse, con la complicità o il concorso dei cosiddetti riformisti, disposti a sacrificarsi in questo fiancheggiamento abbastanza umiliante e assai poco redditizio (vedremo poi gli eletti e i non eletti delle diverse componenti, il 10 giugno), pur di frenare l’emorragia verso i partiti dell’area libdem (Azione e Stati Uniti d’Europa), dalle elezioni europee uscirebbe un Pd un po’ più grande, ma ancora più inutile di quello “né di qua, né di là” uscito dal voto del 2022.

Non uscirebbe un partito del «ma anche», ma un partito del «dipende», pronto a tutto, ma capace di niente, senza una posizione chiara su nulla, ma con tante posizioni diverse sulle questioni essenziali – l’Ucraina, Israele, la governance economica e la difesa dell’Europa, le tappe della transizione economica ed energetica, le ricette per invertire il declino italiano – interessato alla salvezza della ditta, ma indifferente all’impresa di tirare fuori l’Italia dalla palude bipopulista.

Un Pd unito solo dell’antifascismo da parata o da operetta che in Italia rimane l’alternativa obbligata e perdente alle destre brutte, sporche e cattive e la coperta di Linus del progressista medio collettivo.

Conte sbaglia: gli occupati a termine e la cassa integrazione sono scesi, non aumentati (pagellapolitica.it)

di CARLO CANEPA

LA DICHIARAZIONE
«Guardando i dati dell’occupazione di cui si vantano, sono aumentati i lavori a termine e i cassintegrati»
FONTE: CORRIERE DELLA SERA | 21 MAGGIO 2024

Il 21 maggio, in un’intervista con il Corriere della Sera, il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha accusato il governo Meloni di vantarsi dei dati sull’occupazione, nonostante siano aumentati i lavoratori con un contratto a termine e quelli in cassa integrazione.

Abbiamo verificato che cosa dicono i numeri più aggiornati di Istat e l’ex presidente del Consiglio non dice la verità.

Il calo dei lavoratori a termine

A marzo gli occupati in Italia erano oltre 23,8 milioni, 600 mila in più rispetto a ottobre 2022, quando si è insediato il governo Meloni. Nel nostro Paese non ci sono mai stati così tanti occupati e il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni, pari al 62,1 per cento, è il più alto da quando sono disponibili i dati mensili di Istat.

Da quando è diventata presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha citato più volte questa crescita, che – come abbiamo spiegato in altri fact-checking – segue una dinamica iniziata nel 2021, durante il governo Draghi.

Al di là dei meriti di questa crescita, è vero che l’aumento degli occupati in Italia nasconde un aumento dei lavoratori con un contratto a tempo determinato? I numeri di Istat dicono il contrario di quanto sostenuto da Conte. A marzo i dipendenti con un contratto a tempo determinato erano più di 2,8 milioni, circa 160 mila in meno rispetto a ottobre 2022. Gli occupati con un contratto a tempo indeterminato, invece, sono aumentati di quasi 700 mila unità, avvicinandosi al numero record di 16 milioni.

Secondo i dati più aggiornati, il 15 per cento degli occupati dipendenti in Italia ha un contratto a tempo determinato, una percentuale in calo rispetto al 16,4 per cento registrato a ottobre 2022. Questo calo è iniziato a febbraio 2022, quando è stato toccato il picco di dipendenti a termine, il 17,3 per cento sul totale dei dipendenti.

Il calo dei lavoratori a tempo determinato registrato nel 2023 è stato sottolineato dalla stessa Istat nel “Rapporto annuale 2024”, pubblicato il 15 maggio. «Uno dei tratti distintivi degli ultimi due decenni è la continua crescita dei dipendenti a tempo determinato, interrotta solo nelle fasi di congiuntura negativa in quanto più esposti al ciclo economico: sono infatti i primi a perdere il lavoro all’inizio di un periodo di crisi e ad aumentare con la successiva ripresa», ha scritto Istat, aggiungendo però che «in Italia solo nel 2023 si registra un primo calo del lavoro a termine in presenza di un aumento complessivo dell’occupazione».

Secondo Istat, questo calo «può essere legato sia alle trasformazioni verso il tempo indeterminato, sia alla ripresa del lavoro autonomo anche nella componente priva di dipendenti, come i collaboratori, forme di lavoro che soprattutto per i giovani assumono caratteristiche spesso sovrapponibili a quelle del lavoro a termine».

Nel suo “Rapporto annuale”, Istat scrive anche che se si allarga lo sguardo agli ultimi vent’anni, tra il 2004 e il 2023 i lavoratori a tempo determinato sono aumentati, in particolare nella fascia di età tra i 15 e i  34 anni. Il lavoro a tempo indeterminato, invece, «è aumentato solo tra gli occupati ultracinquantenni».

Ricapitolando: in vent’anni gli occupati a tempo determinato sono aumentati, ma durante i primi 17 mesi del governo Meloni sono calati, sia in valore assoluto sia in percentuale sul totale dei dipendenti.

E la cassa integrazione?

Secondo Conte, l’aumento del numero di occupati sarebbe anche frutto del conteggio dei lavoratori in cassa integrazione, cresciuti con il governo Meloni. Vediamo che cosa dicono i numeri, facendo prima una premessa.

Istat considera come “occupato” chi, nella fascia di età tra i 15 e gli 84 anni, dichiara di lavorare almeno un’ora retribuita alla settimana. Secondo alcuni, questo criterio, nonostante sia usato da molti anni a livello internazionale, falserebbe i dati sull’occupazione.

Come abbiamo spiegato in un altro approfondimento, in realtà non è così: in Italia solo l’1,5 per cento degli occupati lavora al massimo dieci ore alla settimana, una piccola percentuale sul totale, rimasta stabile negli anni. Nel 2021 Istat ha rivisto alcuni criteri per il conteggio degli occupati, aggiornando comunque i dati degli anni passati, che restano quindi confrontabili tra loro.

Tra le altre cose, Istat considera “occupati” i lavoratori dipendenti che si trovano in cassa integrazione al massimo per tre mesi e gli autonomi che non hanno sospeso la loro attività per più di tre mesi. La cassa integrazione è un sostegno economico temporaneo che lo Stato offre ai lavoratori quando le aziende per cui lavorano riducono o sospendono le attività per difficoltà di vario tipo. Esistono tre tipi di cassa integrazione: quella ordinariastraordinaria in deroga.

Innanzitutto va chiarito che un lavoratore, quando viene messo in cassa integrazione, non è conteggiato come un nuovo occupato: rimane infatti conteggiato tra gli occupati e se resta più di tre mesi in cassa integrazione, diventa disoccupato. Dunque al massimo questo criterio evita un calo temporaneo degli occupati, non un suo aumento.

Secondo i dati dell’Inps, in tutto il 2023 sono state autorizzate 409 milioni di ore di cassa integrazione, considerando quelle ordinaria, straordinaria e in deroga. Rispetto al 2022, le ore autorizzate di cassa integrazione sono scese del 12,6 per cento. Solo in due mesi, a settembre e a ottobre 2023, c’è stato un aumento delle ore di cassa integrazione rispetto agli stessi mesi dell’anno prima.

Secondo i dati più aggiornati, tra gennaio e marzo 2024 le ore di cassa integrazione autorizzate sono aumentate dell’8,6 per cento rispetto ai primi tre mesi del 2023, ma a marzo c’è stato comunque un calo del 7,3 per cento rispetto a marzo 2023. L’aumento si è concentrato finora su gennaio e febbraio.

Il verdetto

Secondo Giuseppe Conte, il governo Meloni si vanta dei dati sull’occupazione, ma «sono aumentati i lavori a termine e i cassintegrati». Abbiamo verificato e i numeri danno torto al presidente del Movimento 5 Stelle.

Secondo Istat, durante il governo Meloni gli occupati sono aumentati di 600 mila unità. I dipendenti a tempo determinato sono calati. Nel 2023 le ore autorizzate di cassa integrazione sono state più basse rispetto a quelle del 2022. Nei primi due mesi di quest’anno c’è stato un aumento rispetto allo stesso periodo del 2023, ma a marzo c’è stato di nuovo un calo.

(italiaoggi.it)

Giuseppe Conte è destinato a sparire

di V. S.

Giuseppe Conte rappresenta nel panorama politico 
italiano il parassitismo più disastroso e cinico 
che fa leva sui disagi della povera gente. 

È un pittoresco personaggio senza idee che fonda il suo consenso sull’odio sociale e sull’elargizione indiscriminata di bonus e super bonus che lo consegneranno alla storia come l’uomo che ha creato il più profondo buco di bilancio nelle casse dello Stato.

C’è nell’agire di questo dandy di Volturara Appula un cinismo davvero deplorevole: lui, uomo che da avvocato ha prestato i propri “servigi” alle banche e alle multinazionali, oggi recita il ruolo di capopopolo inseguendo adesso il consenso di quella povera gente che di quelle banche e multinazionali è un obiettivo di speculazioni.

Il solo ricatto è quello del suo partito di miracolati e disperati (“votateci se volete il reddito di cittadinanza”) che promettono soldi senza lavorare.

È destinato a sparire. E anche presto.