Per la Nato difficile vincere una guerra solo difensiva (quotidianodelsud.it)

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È possibile per la Nato condurre con successo 
una guerra solo difensiva?

Questo è quello che sino ad ora la Nato ha chiesto all’Ucraina in cambio del suo aiuto. Nel frattempo la Russia non solo ha occupato militarmente circa il 20% del territorio ucraino, ma continua a bombardare città, villaggi, industrie e centrali energetiche ovunque nel paese. Probabilmente questa guerra non potrà concludersi con una chiara vittoria.

La Russia, malgrado le gravi difficoltà che sta sperimentando l’Ucraina per il ritardo degli aiuti militari e dopo il fallimento della sua controffensiva, sta solo lentamente e faticosamente cercando di occupare alcuni brandelli di territori che aveva già da tempo teoricamente annessi, pur non avendone il controllo. L’Ucraina potrà forse riuscire a bloccare questo tentativo, ma è ormai improbabile che riesca a liberare tutti i territori occupati.

Nel frattempo, né Mosca né Kyiv sembrano ancora pronti ad intavolare un seria trattativa per arrivare, se non ad una pace, quanto meno ad un armistizio che faccia cessare i combattimenti e le distruzioni. In questa situazione l’Ucraina vorrebbe avere la possibilità di usare le armi a più lungo raggio che ora le arrivano, specie da parte degli Stati Uniti, per colpire le basi, in territorio russo, da dove partono i bombardamenti aerei e missilistici.

In tal modo essa potrebbe almeno in parte riequilibrare la situazione, alleviando le sofferenze della popolazione civile e liberando importanti risorse militari. È una decisione politicamente e strategicamente difficile, perché potrebbe provocare risposte pericolose da parte russa, che spetta essenzialmente ai paesi che forniscono questo tipo di armi.

Quindi in primo luogo agli USA (che in effetti stanno dibattendo la questione al loro interno). È una decisione difficile non solo per ragioni strategiche (come contenere una eventuale escalation), ma anche, e forse soprattutto, politiche.

Sino ad oggi la Nato, con la sua guerra difensiva, ha mantenuto una invidiabile unità di intenti, dalla Turchia sino ai nuovi membri Svezia e Finlandia, appoggiata da una parallela unità di intenti dell’Unione Europea, con la sola, un po’ grottesca eccezione ungherese.

Questa unità è tanto più preziosa in quanto sia Mosca, sia Pechino hanno più volte cercato di incrinarla, con blandizie e minacce. È questa unità che sino ad oggi ha impedito che il conflitto si estendesse pericolosamente su altri teatri politicamente delicati, come ad esempio i Balcani.

Ora però, di fronte alla possibilità che basi in territorio russo vengano attaccate, le reazioni europee sono molto diverse tra loro. Il rischio è quello di una grave perdita di compattezza e unità politica che indebolirebbe in primo luogo l’Europa e poi forse anche l’Ucraina.

Tutti dovranno riflettere con grande attenzione alle scelte da compiere, prima del Vertice della Nato che si terrà a luglio a Washington. Dividere l’Alleanza non è oggi una scelta accettabile, come del resto sarebbe un gravissimo errore abbandonare l’Ucraina.

Manifestano contro ciò per cui si sono battuti (italiaoggi.it)

di Marino Longoni

Gli studenti delle università americane ed 
europee che manifestano per Hamas sono 
degli stolti. 

Loro, che fino a ieri manifestavano per i diritti delle donne, dei gay, dei trans, dell’aborto, della pace, non si rendono conto di schierarsi dalla parte di un movimento terrorista che tratta le donne peggio di come alcuni di noi trattano gli animali, che le costringe a fare tanti figli per rinfoltire il loro esercito, che uccide gli omosessuali, che ha la sua ragion d’essere nell’odio contro un altro popolo. Gli stolti urlano “free Palestine”, ma cosa significa?

Significa buttare a mare gli ebrei, un bell’esempio di razzismo e di antisemitismo: Hitler sarebbe fiero di loro!

Gli stolti si impietosiscono per le vittime civili di Gaza, ma dimenticano che Hamas è stato eletto dai Gazawi, i quali, ancora oggi non l’hanno rinnegato. La guerra è stata dichiarata da loro con un eccidio di una brutalità inaudita contro civili inermi, soprattutto donne e bambini.

Hanno rapito e stuprato ostaggi che ancora oggi tengono prigionieri nei tunnel, se non sono morti. Lamentano le loro vittime civili, ma intanto proprio i guerriglieri di Hamas se ne fanno scudo in modo sistematico. E continuano a tirare razzi sulle città di Israele, contro i civili.

Ma soprattutto gli stolti non si rendono conto che il mondo che questi tagliagole vorrebbero imporre con la violenza è esattamente l’opposto di quello che loro hanno sempre sognato, per il quale hanno manifestato e occupato le università fino a ieri?

Un mondo nel quale le donne escono di casa solo se accompagnate, e sempre con il velo, un mondo nel quale è imposta a tutti, volenti o nolenti, una legge arcaica, la Sharia, che poteva forse andare bene per un popolo di beduini di mille anni fa ma che nulla ha a che fare con il mondo contemporaneo?

O forse gli stolti odiano tanto l’Occidente che sarebbero disposti a rinunciare a tutte le conquiste della scienza della tecnica della ragione (che vengono insegnate nelle loro università) per tornare a un’età primitiva, violenta, misogina, ignorante e nella quale loro sarebbero i primi cui tagliare la gola?

Trump verso il giorno del giudizio, De Niro lo attacca (ansa.it)

L'attore fuori dal tribunale: 'E' un tiranno che 
vuole il caos'

Si avvicina il giorno del giudizio per Donald Trump nel caso pornostar: dopo le arringhe e la requisitoria a conclusione di oltre un mese di processo, mercoledì il giudice Juan Merchan darà le istruzioni alla giuria prima che si ritiri in camera di consiglio.

Una decisione è attesa entro fine settimana. “Questo è un giorno triste, un giorno molto pericoloso per l’America”, ha avvisato il tycoon prima dell’udienza. A surriscaldare l’atmosfera ci ha pensato la campagna di Joe Biden, che dopo aver accuratamente evitato di interferire col procedimento ha organizzato una conferenza stampa fuori dal tribunale con Robert De Niro, già ingaggiato in precedenza come voce di uno spot anti Trump.

L’attore ha attaccato pesantemente il tycoon, definendolo “un tiranno” che “vuole seminare il caos” e “distruggere non solo il Paese ma il mondo”, “una sorta di clown” tollerato da New York ma pericoloso come presidente.

“Se Trump tornasse alla Casa Bianca, potrete dire addio a quelle libertà che tutti diamo per scontate. E le elezioni? Dimenticatele. È finita. Se ce la fa, non se ne andrà mai”, ha accusato. L’ex presidente, ha rincarato riferendosi all’assalto al Capitol, si è impegnato in una “violenza da codardo” dopo aver perso le elezioni del 2020, “ordinando alla folla di fare il lavoro sporco per lui”. Accanto a lui due ex agenti che difesero il Campidoglio dai fan di Trump, portati sempre dalla campagna di Biden, che ha giustificato la scelta della location col fatto che tutti i media sono lì, per il processo.

“Loro sono rimasti lì e hanno combattuto per noi, per te… sono loro i veri eroi”, li ha difesi De Niro dagli attacchi di un simpatizzante di Trump. Immediata la replica della campagna del tycoon, che ha additato la conferenza stampa come la prova di quanto The Donald va accusando, ossia che Biden ha orchestrato il processo per eliminare un rivale politico: “Lo staff di Biden alla fine l’ha fatto. Dopo aver detto per mesi che la politica non aveva nulla a che fare con questo processo, si sono presentati al tribunale con un evento elettorale”, ha attaccato il consigliere Jason Miller. Intanto difesa e accusa tiravano le loro conclusioni in aula, presenti tre figli di Trump (Eric e Donald Trump jr, Tiffany) e la nuora Lara ma non la moglie Melania e la prediletta Ivanka.

“Il presidente Trump è innocente, questo è un verdetto di non colpevolezza facile e veloce”, ha detto Todd Blanche, l’avvocato del tycoon. “Non potete condannarlo oltre ogni ragionevole dubbio sulle parole di Michael Cohen”, ha proseguito cercando di demolire la credibilità dell’ex fixer, che ha testimoniato di aver pagato su ordine di Trump 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels perchè non rivelasse la sua ex relazione danneggiandolo in campagna elettorale.

I procuratori invece hanno chiesto che sia riconosciuto colpevole. Tre i possibili scenari. Il peggiore per il tycoon è di essere riconosciuto colpevole da tutti i 12 giurati. In tal caso Trump diventerebbe il primo ex presidente americano condannato in un processo penale e anche il primo candidato presidenziale a correre come pregiudicato, uno status che comunque non gli impedirebbe di essere eletto e fare il commander in chief. La condanna, che sarebbe stabilita in un’udienza successiva, può variare da un massimo di 4 anni di carcere alla messa in prova sino ad una multa.

La galera appare improbabile perchè è anziano ed incensurato, oltre alle complicazioni logistiche di dover prevedere agenti del Secret Service in prigione per difenderlo. In ogni caso farà appello e serviranno altri mesi. Il secondo scenario è quello dell’assoluzione.

Se invece i giurati non saranno in grado di raggiungere un verdetto unanime, il giudice potrà sollecitarli ad un ulteriore sforzo ma se anch’esso risulterà vano dovrà annullare il processo e i procuratori dovranno decidere se ritentare o meno. Una condanna avrebbe effetti politico-elettorali pesanti per il tycoon in una corsa testa a testa con Biden: secondo un sondaggio Bloomberg-Morning Consult, il 53% degli elettori negli Stati chiave si rifiuterebbe di votare per lui.

Stando ad un altro sondaggio della Quinnipiac University, il 6% degli elettori di Trump sarebbe meno propenso a votare per lui. Ma in caso di assoluzione potrebbe volare verso la Casa Bianca, anche se vincendo non potrebbe auto-graziarsi, trattandosi di reati statali e non federali.

L’ipocrisia del dibattito italiano sulla guerra russa all’Europa (linkiesta.it)

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Nato per difenderci

Mentre Mosca bombarda città, civili, grandi magazzini (e soffoca la Georgia), l’Alleanza atlantica indica le responsabilità del Cremlino e gli stolti leader del nostro paese guardano il dito

La Russia continua a radere al suolo l’Ucraina, a lanciare missili su un grande magazzino di sabato pomeriggio, in modo da massimizzare il numero delle vittime civili, e poi su un parco cittadino, e poco prima anche sulla principale tipografia del paese, colpevole evidentemente di stampare libri in lingua ucraina, e poi a tempestare la notte di Kharkiv con quattordici missili e trentuno droni armati di fabbricazione iraniana, costringendo l’intera popolazione di una delle più grandi città europee a rifugiarsi nei sotterranei, per terrorizzarla e obbligarla ad abbandonare l’antica capitale ucraina alla furia distruttrice e criminale dell’armata russa.

Mentre succede tutto ciò, con decine di morti civili e molti feriti in sole ventiquattr’ore, a leggere i giornali italiani sembra che l’infigarda Nato abbia attaccato di nascosto la povera e pacifica Russia, che tanto vorrebbe la pace come da racconto di quattro fonti anonime russe alla Reuters, e non importa che poi siano state smentite formalmente dal Cremlino sia a parole sia appunto con i missili e i droni di cui sopra, perché per noi, per il miserabile dibattito  pubblico italiano, conta solo il pensiero di sfangarla in vista dell’apericena.

La Russia uccide e distrugge e noi ce la prendiamo con la leadership della Nato che, peraltro in ritardo, dice che non si può più andare avanti così e che gli ucraini dovrebbero poter essere in grado di colpire le basi russe da cui partono gli attacchi missilistici contro i civili, contro i centri commerciali, contro le case, contro i parchi, contro le tipografie, contro le biblioteche, contro i teatri, contro le scuole, contro gli ospedali, contro chi sta in fila per il pane.

Niente di tutto questo fa notizia, la notizia diventa l’indignazione italiana nei confronti di chi vorrebbe aiutare gli ucraini a difendersi e provare a fermare l’imperialismo sanguinario russo.

Il discorso politico italiano è aggrappato dall’inizio della guerra alla fantasia di una Russia pronta a fermarsi se solo gli ucraini la smettessero di difendersi e si consegnassero ai loro carnefici, gli stessi carnefici che da tre secoli provano a sottometterli e a cancellarli come con l’Holodomor e a Bucha, senza peraltro considerare che non fare niente, provando così ad accontentare le mire espansionistiche russe, è esattamente quello che abbiamo fatto dieci anni fa quando Putin ha occupato illegalmente la Crimea e due regioni ucraine orientali, solo che il risultato non è stata la fine della guerra, ma l’invasione su larga scala e la morte di centinaia di migliaia di persone, la distruzione di intere città, la creazione di campi di tortura e di fosse comuni nel continente europeo, settanta anni dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Il dibattito italiano è particolarmente stravagante, perché c’è una parte della opposizione che quando stava al governo fece sfilare l’esercito russo lungo le strade della Italia chiusa per Covid, aprendo le porte del nostro paese a una delle più palesi operazioni di spionaggio militare della storia europea, e un’altra parte dell’opposizione, quella responsabile del Partito democratico, che ha scelto come capilista alle Europee candidati sedicenti pacifisti che – come diceva Christopher Hitchens – in realtà non vogliono la pace, ma sono a favore della guerra e tifano per gli avversari.

Poi ci sono i partiti di governo che ci tengono a far sapere che loro mai e poi mai autorizzerebbero un’azione militare ucraina contro obiettivi militari in Russia. Il dibattito è ridicolo già di per sé, e non solo perché è condotto da personaggi da operetta, alcuni dei quali politicamente alleati col macellaio di Mosca e altri pronti a riprostrarsi al Cremlino nel caso il 5 novembre 2024 Trump dovesse vincere in America.

Ma è un dibattito soprattutto insensato perché accompagnato, almeno da parte di chi sostiene che l’Ucraina abbia il diritto a difendersi e sia nostro interesse che sopravviva, da distinguo e tartufismi che rendono inefficienti gli aiuti all’Ucraina ed efficaci gli attacchi russi.

La cosa ancora più sconcertante è che siamo a due settimane dal rinnovo delle istituzioni dell’Unione che dovranno affrontare l’attacco russo all’Europa, non solo in Ucraina, ma anche in Moldavia e in Georgia, un paese che ieri ha festeggiato il giorno della sua indipendenza e che da settimane sfila per  strada dietro uno striscione che dice l’unica cosa che davvero importa alle popolazioni un tempo sottomesse ai russi, e ora finalmente libere di esprimere il proprio desiderio di vivere come noi: «Non riuscirete a russificare questo paese», uno slogan georgiano che andrebbe rivolto anche ai Cinquestelle, alla Lega, ai candidati pacifisti ma guerrafondai del Pd, e alle cloache massime chiamate talk show che inquinano il discorso pubblico ospitando saltimbanchi, buffoni, burattini e mangiatori di fuoco per ottenere un punto di inverecondia televisiva in più.

La campagna elettorale per le europee, invece, finge che la guerra russa al sistema liberal democratico europeo e occidentale, cioè a noi, non esista (e, in parte, la responsabilità è anche della timidezza delle formazioni liberal democratiche che si rifanno a Renew Europe di Macron, ma che tendono a non affrontare con adeguata solennità l’argomento).

Parlare di guerra è evidente che non porta voti, ma la guerra c’è, e i voti ai partiti che provano a nasconderla o che la vorrebbero chiudere alle condizioni di Putin porteranno molta più guerra.

La politica italiana avrebbe potuto scegliere fra l’oscenità della narrazione russa e fermare la guerra di aggressione all’Ucraina, ma ha scelto l’oscenità russa e otterrà l’allargamento della guerra.

Le fatiche di Giuseppe Conte, il terzo incomodo. Fuori dai duelli (persino sul Covid) (corriere.it)

di Roberto Gressi

Il tentativo del leader di rompere la dinamica 
tra Schlein e Meloni e smettere il ruolo della 
comparsa

Quando Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni, lasciò figli felici e grandi ricchezze. Ma prima di quante ingiuste e feroci privazioni aveva patito!

Eppure, mai la sua fede aveva vacillato, e la sua pazienza divenne proverbiale.

Giuseppe Conte c’era quasi, accidenti quanti rospi aveva ingoiato. Ma il Covid no, quello non glielo dovevano toccare. Passi che Giorgia Meloni ed Elly Schlein stiano sempre a darsi addosso, a tendersi trappole, a insultarsi, pronte a sfidarsi pure in un duello tv, di battute taglienti una contro l’altra armate. Che poi a dirla tutta è anche un modo di civettare, di legittimarsi tra loro, Giorgia come guida di un centrodestra vincente, Elly come timoniera di un’opposizione dispersa ma che lei cerca di unire.

Insomma, un giochetto vecchio come il mondo, in politica: io attacco te, tu attacchi me e vedremo come andrà. Ma intanto gli altri, tutti gli altri, li lasciamo nell’ombra, a fare le comparse. Così il voto si polarizza, un po’ a me e un po’ a te, mentre le seconde file arrancano e lottano nel fango per accaparrarsi quello che resta. Buona e saggia regola vorrebbe che, se sei tra le vittime di questo trucco mediatico, fai di tutto per non darlo a vedere, altrimenti è pure peggio.

Giuseppe Conte lo sa bene, lui avvocato di grido, lui presidente del Consiglio prima e durante la pandemia, lui che ha rintuzzato la scissione di Luigi Di Maio, lui che ha domato i Cinque Stelle, buttando quasi nel dimenticatoio addirittura il fondatore, Beppe Grillo. Ma quando Meloni e Schlein si sono messe a battibeccare tra loro perfino sul Covid non ha retto più. «E no Giorgia, quello è roba mia, è me che devi attaccare, e vedrai come ti risponderò».

Certo, si dirà, errore da principianti. Se si continua a bussare alla porta che non si apre di un club esclusivo, la brutta figura si moltiplica. Bravi sì, tutti bravi, ma mettevi nei suoi panni. Premierato: «O la va o la spacca, Elly, dovrai rispondermi». «Ti ho fatto sei proposte, Giorgia, e non le hai nemmeno guardate». Fisco: «Strizzi l’occhio ai furbi, cara Meloni».

«Un fisco giusto non vessa, cara Schlein». Lavoro: «Non hai fatto niente, Giorgia». «I vostri disastri hanno creato povertà, Elly». Superbonus: «Devo fermare io l’emorragia, Elly». «Ma Giorgia, sei tu che hai firmato le proroghe». Sanità: «Meloni, hai tagliato più di un miliardo di fondi». «Guarda che i soldi ce li ho messi io e non tu, Schlein». E poi la libertà di stampa, la Rai, l’Europa e quant’altro.

E pure i meme, simbolo della consacrazione. Le due faccine, con la scritta FratElly d’Italia. Ancora loro, fascista contro armocromista. Meloni e Schlein si stringono le mani: «Che vuoi chiedermi? Dimmi pure». «Ma quei centritavola poi, Giorgia, sull’ocra o sul noisette?». E ancora caricature, slogan, foto, foto e foto. Per Conte appena una battuta, sulla solita pochette.

Ma eccolo l’apriti cielo. Meloni sbotta: «Ma con che faccia, Elly, mi accusi di limitare la libertà? Lo dici proprio tu che hai chiuso le persone in casa durante la pandemia?». Quando è troppo è troppo, e stavolta Giuseppe Conte prorompe: «Giorgia, pur di sfuggire al confronto con me, ora te la prendi con Schlein per le chiusure durante il Covid. Scusa, ma lei che c’entra? Non ha avuto nessun ruolo. Se vuoi confrontarti su questo ritroviamoci da Mentana, o dove vuoi tu, che ti spiego tutto». Risposte di Meloni, al momento, non pervenute.

Il gozzo è una malattia endemica, che consiste nell’ingrossamento abnorme della tiroide, diffusa soprattutto in montagna nella seconda metà dell’Ottocento. Si racconta che, quando Vittorio Emanuele II andò a visitare la città, le autorità locali chiusero i gozzuti di Cuneo nelle cantine.

Atto vergognoso e crudele, compiuto certo all’insaputa del re galantuomo. Ma al passare del corteo reale, quei cuneesi discriminati si attaccarono alle grate e gridarono: «Sire! Ci siamo anche noi!».

(italiaoggi.it)