di ADRIANO SOFRI
PICCOLA POSTA
Dopo l’attacco ucraino a Sebastopoli, Crimea, una rappresaglia su Odessa era scontata. Così, quando la notte era trascorsa tra gli allarmi senza esito, una certa incredulità si era diffusa. Si trattava solo di un ordinario ritardo
Odessa, lunedì 24 giugno. C’è un sobborgo di Odessa che si chiama Blizhniye Mel’nitsy, dei Mulini vicini, perché ce n’è un altro dei Mulini lontani. E’ vecchio e abbastanza diroccato, case di abitazione a un solo piano, una strada stretta ma lunga intitolata a Babel’.
E’ attraversato dalla ferrovia regionale che ha una sua stazione, Odessa Malaja, Piccola Odessa, che passa sotto un ponte di ferro ad arco, già sovietico, il Ponte Gobbo. C’è una caserma che fu già colpita nell’aprile scorso, con un bilancio grave di vittime militari. Al limite del quartiere c’è un vasto viale che si chiama Lustdorf, dal nome tedesco del paese di mare cui portava, che oggi si chiama Chornomors’k.
E’ un viale cui ho un rispetto speciale, perché, venendo dal centro, ha a destra il lungo confine del cimitero cristiano, ortodosso prima e cattolico poi, e a sinistra la lunga livida barriera della vecchia prigione, maschile e femminile, dismessa più o meno da un anno, probabilmente nell’intento di usarne lo spazio per scopi più redditizi, come si vorrebbe da noi per Regina Coeli o San Vittore – è in funzione ancora il pezzo del carcere giudiziario, per gli imputati in attesa di processo.
Tra due fuochi, si può dire. Con un’altra singolarità: che il viale è attraversato dai doppi binari del tram numero 7, erede del tram che nel 1907 fu inaugurato dal centro di Odessa a Lustdorf-Chornomorsk, l’unico villaggio rurale dell’impero dotato di una linea tranviaria elettrica. E la storiella di tipico umore odessita dice che sul tram ci sono due uomini anziani, uno che guarda fuori a sinistra e l’altro che guarda fuori a destra, e al passaggio tirano ambedue un gran sospiro, senza pronunciare una sola parola: e si sono detti tutto.
Dunque ci ripasso questa mattina, inseguendo la nuvola nera. Dopo l’attacco ucraino di domenica a Sebastopol, Crimea, una rappresaglia su Odessa era scontata. Così, quando la notte era trascorsa tra gli allarmi senza esito, una certa incredulità si era diffusa.
Si trattava solo di un ordinario ritardo. Alle 8 di mattina due missili sono arrivati, Khalibr, o Iskander K, uno intercettato, l’altro caduto su una vasta area industriale dismessa da molti anni – ci si fabbricavano gru e macchinari di costruzione in epoca sovietica – e adibita in parte a deposito della catena di supermercati Tavria.
L’esplosione ha provocato una nuvola nera colossale, come non si era mai vista sulla città, e l’incendio è stato domato (chissà perché si dice ancora così) solo dopo molte ore. Ci sono stati tre feriti, un diciottenne e due uomini di 58 e 59 anni. Roba da poco.
La pretesa di qualche fonte russa che sia stato colpito un deposito di munizioni è del tutto infondata, dal momento che il rumore dell’esplosione è stato minimo rispetto a tutto quel fumo. L’attacco alla Crimea, dicono le fonti russe, era costato la vita a cinque persone, di cui tre bambini, bagnanti su una spiaggia adiacente a Sebastopol e a un aeroporto militare, e 150 feriti.
Le autorità russe hanno denunciato la responsabilità diretta, “terroristica”, degli americani, per i missili Atacms che sarebbero stati impiegati e deliberatamente rivolti contro i civili. Si è trattato più verosimilmente dei frammenti di un missile diretto su Sebastopol e intercettato dalla contraerea russa. Dolorose come sono tutte, le incursioni dal territorio russo (o dai russi occupato) su quello ucraino sono quotidiane e illimitate, le incursioni ucraine sul territorio russo rare e ferreamente limitate, e accolte con gran dissipazione di scandalo. Superior stabat lupus.
L’itinerario al luogo dell’esplosione del missile mi ha portato nei pressi del cortile e della casa di Dal’nickaja 26 che la mia guida, la fotografa e scrittrice Anna Golubovskaja, raccontò sulla scorta di un racconto di Babel’ per la nostra Review (n. 20, giugno 2023), dopo aver rintracciato il tataro Zyaki Fazlyevich, bisnipote di Ismitulla Rashkin (Sultan-Ali Bikbaev), e nipote della leggendaria Mirziya Ismitullova. Rileggetela, se ne avete voglia.
Io oggi voglio annotare (non mi pare narcisista, mi pare piuttosto una conferma delle cose straordinarie che capitano se si va per il mondo) che ho fatto la conoscenza della famiglia di Zyaki e mi sono fotografato con lui sotto il famoso noce del suo cortile, dopo aver scoperto che siamo nati nello stesso giorno dello stesso mese dello stesso anno. Nella stessa guerra.