Ponte sullo Stretto. Ostacoli e rischi (corriere.it)

di Domenico Affinito e Milena Gabanelli

Ponte sulle Stretto. Stesso operatore del progetto 
del 2011 ma, intanto, i costi da allora sono 
triplicati.

Il Ponte sullo Stretto di Messina appare e scompare quasi a ogni cambio di governo. L’ultimo «no» è di Mario Monti. Nel 2012 il governo rileva gravi carenze nel progetto definitivo del 2011 e chiede di dettagliare gli aspetti finanziari e la sostenibilità generale dell’opera, pena la liquidazione della società Stretto di Messina. Le integrazioni non arrivano e il governo il 15 aprile 2013 nomina un commissario liquidatore.

Nell’estate 2020 l’esecutivo Conte ripropone l’idea con il piano di rilancio delle infrastrutture inserito nel Pnrr. Viene nominata una commissione di 16 esperti per esaminare possibili alternative e stanziati 50 milioni per un nuovo progetto di fattibilità. Dopo le elezioni del 2022 il neoministro dei Trasporti Matteo Salvini decide di usarli per riattivare la società Stretto di Messina.

Salvini passa all’azione

L’opera figura nel programma elettorale della Lega che in precedenza si era sempre detta perplessa. Il 29 settembre 2016 ad Agorà Salvini dice: «Più di una volta la Lega ne ha sottolineato le perplessità». Diventato ministro, il leader della Lega decide che «il Ponte è una priorità». Il 31 marzo 2023 il governo emana il decreto che fissa il termine per il progetto esecutivo al 31 luglio 2024 sulla base di quello definitivo del 2011 che va «integrato» da una relazione aggiornata del progettista.

Si rispolvera anche il soggetto deputato alla realizzazione dell’opera: il consorzio Eurolink che aveva vinto la gara e ha ancora in ballo una causa con lo Stato da 657 milioni di euro per l’interruzione del 2013, persa in primo grado e ora in appello, ma che ha promesso di ritirare con la ripartenza dei lavori.

Un progetto già bocciato

Si riparte dunque dal vecchio progetto, bocciato anche dalla commissione di esperti del Mit ad aprile 2021. Il problema posto dagli ingegneri è che non esiste ancora la tecnologia per un’infrastruttura di quel tipo a campata unica. Lo stesso anno le università di Catania e Kiel (Germania) annunciano la scoperta di una faglia attiva di 34,5 km lungo lo stretto di Messina, mai mappata, che ha deformato il fondale marino e che è in grado di scatenare terremoti di magnitudo 7,1. Il livello massimo sopportabile dalla struttura. L’aggiornamento del progettista non ne tiene conto.

D’altronde i tempi sono troppo stretti: il 29 settembre 2023 c’è la firma tra Stretto di Messina ed Eurolink e il 30 settembre il consorzio comunica di aver consegnato la documentazione. Il plico finisce al Comitato scientifico indipendente della Stretto di Messina che a febbraio 2024 dà parere positivo, ma a patto che siano accolte 68 raccomandazioni. Tra queste: nuovi approfondimenti sismici, nuove analisi e previsioni con scenari che tengano conto di eventi estremi, e una nuova analisi delle correnti marine e dei venti in relazione alla struttura.

Il Mise: 239 integrazioni

Il 15 aprile si esprime anche il ministero dell’Ambiente: chiede 239 integrazioni. Tra queste la necessità di chiarire se l’analisi costi-benefici è stata aggiornata rispetto alle condizioni attuali di traffico o se si sono mantenuti i valori indicati nella precedente documentazione, di specificare la tipologia dei costi di manutenzione e gestione dell’opera, di presentare un quadro «aggiornato e congruente» degli scenari di rischio sismico e maremoto aggiornati allo stato attuale dei luoghi. Scrive anche il ministero della Cultura: «Avevamo già segnalato nel 2012 che la documentazione presentata non era esaustiva».

Parte l’iter degli espropri

Intanto il 3 aprile la Stretto di Messina avvia l’iter per l’esproprio sulle sponde siciliana e calabra: i cittadini coinvolti devono rispondere entro il 2 giugno. Si stimano 500 edifici (fra abitazioni e immobili commerciali) e 1.500 proprietà terriere, in totale 370 ettari. Ma prima di sottoporre il progetto definitivo al Cipess, che per legge approva i progetti infrastrutturali strategici, occorre acquisire le osservazioni degli enti locali coinvolti attraverso le Conferenze dei servizi.

Ma è complicato fornire osservazioni se ancora non ci sono gli adeguamenti richiesti dal Comitato scientifico e dai ministeri dell’Ambiente e della Cultura. E senza l’ok del Cipess non si può procedere con gli espropri e aprire i cantieri. Il 3 maggio prende carta e penna anche l’Ordine degli ingegneri della Provincia di Messina: «Alla luce della vigente normativa antisismica il progetto definitivo non risulta adeguato».

Faglia attiva sotto il pilastro

Nelle aree di esproprio alcune situazioni sono cambiate rispetto al 2011: su una c’è la variante ferroviaria, un’altra cade in zona cimiteriale, su una terza è sorto un villaggio turistico. Ma soprattutto lo studio geologico commissionato dal Comune di Villa San Giovanni sulle mappe catalogate da Ispra nel 2015, individua 5 faglie attive di cui una nell’area del blocco di ancoraggio dei pilastri.

Dopo il terremoto a L’Aquila su quel tipo di aree c’è l’inedificabilità assoluta. La Stretto di Messina dice di esserne a conoscenza e che si eviteranno posizionamenti su faglie attive. Intanto da gennaio 2023 il valore di case e terreni è crollato. Anche sulle aree circostanti è piombata l’incertezza: chi vuole acquistare casa non riesce a stipulare un mutuo perché la banca con il vincolo di esproprio non può mettere l’ipoteca. Il vincolo blocca anche tutti i progetti delle amministrazioni pubbliche, inclusi quelli del Pnrr, come la riqualificazione dell’area di Forte Beleno a Villa San Giovanni, su cui era partito un investimento di 1,5 milioni.

Cambiano i costi

Il bando di gara vinto nel 2006 prevedeva che l’opera fosse finanziata in project financing : il consorzio vincitore avrebbe dovuto mettere tra il 10 e il 20% del totale e sarebbe rientrato con i proventi dei pedaggi. Dai 3,9 miliardi della gara del 2006 siamo passati ai 13,5 previsti dal documento della Stretto di Messina. La legge di Bilancio 2024 ne stanzia 11,6. Chi ce li mette gli altri?

L’ipotesi di realizzarlo in project financing è già stata bocciata nel 2021 dalla commissione tecnica del Mit: «Appare evidente che la brevità del percorso di attraversamento non consente di prevedere un volume di pedaggi in grado di consentire una operazione di project financing».

A oggi, quindi, l’opera non è interamente finanziata e non è nemmeno certo che costerà 13,5 miliardi perché sarà la Stretto di Messina, in sede di progetto esecutivo, a definire il prezzo finale. Eppure, nonostante tutti i problemi, il governo tira dritto. A chiedercelo è l’Europa, sostiene Salvini, per completare il corridoio TEN-T Palermo-Reggio-Roma-Milano-Berlino-Helsinki.

In realtà il 26 aprile Pat Cox, coordinatore del Corridoio Scandinavo-Mediterraneo per la Commissione Europea, risponde per iscritto a 3 eurodeputati: «La Commissione potrebbe co-finanziare fino una quota del 50% degli studi di preparazione». Ma «senza conoscere i risultati degli studi preparatori, non è possibile fare ipotesi su un potenziale contributo dell’Ue». Insomma, Bruxelles vuol vedere le carte prima di ipotizzare un aiuto economico.

Chi ha fatto bingo

In sostanza il progetto più ampio su cui scommette l’Italia è rimasto quello del 2011 rilanciato per decreto. Quello che cambia è il costo: dai 3,9 miliardi di allora ai 13,5 di oggi. La direttiva europea del 2014 (art.72) impone una nuova gara quando un’opera costa il 50% in più di quella vecchia. Ostacolo aggirato perché nel 2012 i costi erano già saliti a 8,5 miliardi.

Quindi nella migliore della ipotesi non si può sforare di un euro altrimenti si torna a nuova gara. Il dato certo è che il governo Monti aveva chiuso la partita perché le carte non mostravano la sostenibilità finanziaria e le cose non sono cambiate.

Chi ha fatto bingo è l’operatore tornato in pista: con l’uscita del decreto il titolo Webuild si è impennato del 20%.