Aborto, le argomentazioni dei gruppi anti-scelta non hanno alcuna base scientifica (valigiablu.it)

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Sul volantino dell’organizzazione americana 
contro l’aborto Rehumanize International, 
si legge: 

“Se sei incinta o pensi di esserlo, meriti di ricevere tutte le informazioni. Esistono risorse che possono aiutarti a fare la scelta migliore per te e per tuo figlio”.

Tra le informazioni elencate, si citano i rischi che, secondo l’associazione, l’aborto può provocare: infezioni, emorragie, cicatrici, aumento dell’uso di droghe e del rischio di suicidio, disturbo da stress post-traumatico. “La comunità scientifica ha raggiunto un accordo: la vita comincia dal concepimento”, dicono sul loro sito.

Rehumanize International si definisce “organizzazione per i diritti umani dedita alla creazione di una cultura di pace e vita”, non è di carattere religioso e utilizza fatti pseudoscientifici per portare avanti la sua battaglia di condanna all’aborto e “difesa” della vita. Non è però l’unica organizzazione anti-scelta che utilizza la scienza per motivare le proprie battaglie: riconoscendo che il solo ricorso alla fede non sarebbe più stato sufficiente, anche molti gruppi religiosi hanno introdotto argomentazioni “scientifiche” nelle loro strategie di comunicazione.

“Dati oggettivi”, “evidenza dei fatti” e “congiura del silenzio” portata avanti da chi “vuole occultare la realtà sull’aborto”, è ciò che ad esempio si legge sul sito dell’associazione Pro Vita & Famiglia. Di fatti oggettivi ed evidenze scientifiche però nelle argomentazioni dei gruppi contro l’aborto sembra esserci ben poco.

Il concepimento, il feto e la nascita di una vita

Secondo i movimenti anti-scelta, sia religiosi sia laici, la vita comincia con il concepimento, ed è da lì che va difesa. Pro Vita & Famiglia specifica anche che fin da quando “ha una decina di cellule”, il prodotto della fecondazione “già dialoga con la madre”; dopo 3 settimane “si formano i lobi del cervello” e l’embrione “sente la voce della mamma e prova un profondissimo dolore quando un oggetto esterno pone fine alla sua esistenza”.

In realtà, la fecondazione e lo sviluppo dell’embrione e poi del feto hanno un funzionamento molto più complesso e tempi più lunghi rispetto a ciò che viene presentato dai gruppi anti-scelta.

Tenendo a mente che in Italia è possibile interrompere volontariamente una gravidanza entro la nona settimana con aborto farmacologico ed entro i primi 90 giorni (12 settimane circa) con metodo chirurgico, proviamo a capire cosa succede in queste prime fasi.

Innanzitutto è difficile conoscere la data esatta del concepimento, tant’è che per tenere traccia delle settimane di una gravidanza si considera il primo giorno dell’ultima mestruazione, anche se è durante l’ovulazione (circa 14 giorni dopo) che la fecondazione può avvenire. La data del rapporto sessuale e il momento della fecondazione non necessariamente coincidono, poiché gli spermatozoi possono sopravvivere fino a 4 giorni.

Dalla fecondazione dell’ovocita e formazione dello zigote all’impianto nell’utero passano ancora circa 6 o 7 giorni. Lo sviluppo dell’embrione e del feto avviene poi in maniera piuttosto lenta. È tra la quinta e l’ottava settimana di gravidanza, ad esempio, che iniziano a formarsi gli organi, ma serve tempo per farli crescere e diventare del tutto funzionali: i polmoni e il cervello, ad esempio, hanno bisogno di diverse settimane e mesi per potersi sviluppare completamente. Attorno alla decima settimana di gravidanza, infine, l’embrione è considerato feto.

“Prima della 23ª settimana e quindi fino ad almeno il quinto mese di gravidanza, sappiamo benissimo che non c’è possibilità di vita autonoma da parte del feto, che è completamente dipendente dalla madre, e non è scindibile dalla sua volontà”, ha spiegato a Valigia Blu la ginecologa endocrinologa Valeria Dubini.

“Poche cellule possono essere considerate un progetto, ed è bello pensarle come tale quando è effettivamente desiderato e condiviso in una relazione che lo consente. Non possono però di certo essere considerate una persona. Questa è una posizione semplicemente ideologica, che non ha alcuna base scientifica”.

Le evidenze scientifiche ad oggi disponibili non parlano infatti di possibilità di “dialogo” tra la donna e il prodotto del concepimento ed è improbabile che negli stadi iniziali di una gravidanza un feto – o tantomeno un embrione – percepisca dolore, come sostengono invece i gruppi anti-scelta. “L’embrione non ha ancora un sistema nervoso sviluppato, cosa che avviene molto successivamente, e gli stimoli nocicettivi non possono essere percepiti. Né ha un cervello in grado di elaborarli”, ha spiegato la dottoressa Dubini. La rete di connessioni neurali necessaria per percepire dolore, ad esempio, inizia a svilupparsi dalla 28° settimana.

È la prospettiva comunque a essere sbagliata. Sarah Salkeld, direttrice clinica associata dell’organizzazione che si occupa di diritti riproduttivi e aborto sicuro MSI Reproductive Choices UK, ha detto a Valigia Blu: “Le persone hanno idee diverse su quando una vita umana abbia inizio, e questo è dovuto a molti fattori, tra cui la religione e le esperienze personali” e “in quanto associazione per la scelta, rispettiamo il diritto di tutti di mantenere le proprie posizioni e prendere qualunque decisione sia giusta per loro”.

La strategia comunicativa delle organizzazioni contro l’aborto però ha tutto un altro scopo: riconoscere un embrione o un feto come un essere umano con dei diritti, “a prescindere da ciò che dice la scienza medica, è una tattica spesso usata dai gruppi anti-scelta per eliminare l’autonomia delle donne sul proprio corpo e per denigrare e stigmatizzare chiunque prenda in considerazione l’aborto”, ha spiegato Salkeld.

“La differenza tra chi è per la scelta e chi sostiene di essere per la vita, in realtà, è che chi è davvero per la scelta non condiziona le decisioni degli altri”, ha detto la dottoressa Dubini.

Le conseguenze fisiche e mentali dell’aborto sulle donne

L’aborto, dicono i gruppi anti-scelta, non è un problema solo per chi non nasce ma anche per la donna che vi si sottopone. Tra le conseguenze citate e molto diffuse vi è il presunto rischio di sviluppare cancro al seno e di subire una serie di complicazioni mediche anche a lungo termine.

In realtà, si tratta di teorie più volte smentite. I pochi studi che hanno suggerito una relazione tra IVG e cancro al seno non possono essere considerati attendibili perché presentano delle limitazioni nel modo in cui sono stati condotti, come il fatto che si basassero su auto-dichiarazioni e resoconti delle pazienti. Ricerche più attendibili invece hanno escluso un rapporto causale tra aborto volontario e tumore al seno.

Per quanto riguarda invece altre complicanze, l’OMS parla di un rischio al di sotto dell’1% e di un tasso di mortalità per aborto sicuro al di sotto di quello dovuto al portare a termine una gravidanza.

Per quanto riguarda invece la salute mentale, la credenza più diffusa dai gruppi anti-scelta è quella che esista una “sindrome post-aborto”, che tra le altre cose provocherebbe sensi di colpa, angoscia, tristezza e pensieri suicidi alle donne che si sono sottoposte a un aborto volontario.

Si parla di “trauma subito dalla madre” e di “disagio individuale e familiare”; della figura del “padre mancato” e della sofferenza che un’interruzione di gravidanza provocherebbe a ogni membro della famiglia, inclusi i “fratelli del bambino abortito”. Ad oggi però non esistono studi attendibili che dimostrino l’esistenza di questo disturbo.

Piuttosto, ad avere un impatto sulla salute fisica e mentale sarebbero lo stigma attorno all’aborto, la mancanza di servizi di IVG e il dover portare a termine una gravidanza indesiderata. “Laddove non c’è la possibilità di un aborto sicuro e una legge che garantisca l’interruzione di gravidanza legale, l’aborto è causa di morte materna”, ha ricordato la dottoressa Dubini.

L’OMS infatti specifica che limitare l’accesso ai servizi di interruzione di gravidanza volontaria non riduce il numero di aborti e piuttosto incrementa quelli clandestini e pericolosi per la salute e la vita delle donne che vi si sottopongono.

I costi dell’aborto

Nel 2021, alla Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma è stato presentato uno studio sui costi di applicazione della legge 194/1978. Patrocinato dalla Società Italiana per la Bioetica e i Comitati Etici, l’Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici, la Fondazione Il Cuore in una Goccia e Pro Vita & Famiglia, lo studio è stato descritto da chi lo ha coordinato e redatto come il tentativo di “suscitare un dialogo aperto e costruttivo, basato su dati oggettivi, su una legge che ancora oggi divide profondamente gli italiani, portandone alla luce alcuni aspetti controversi”.

Gli “aspetti controversi” sarebbero i costi elevati che la legge 194 ha generato rendendo l’aborto legale e che, soprattutto “in un contesto di emergenza” dato dalla pandemia e di “crescente limitazione delle risorse” sanitarie, andrebbero tenuti in considerazione. Nonostante sia ripetuto più volte che i risultati riportati siano oggettivi, non si può davvero definire questo studio come tale.

Tante ad esempio sono le imprecisioni e le inesattezze, che riprendono le credenze diffuse dai gruppi anti-scelta per condannare aborto e contraccezione. Tra queste, ad esempio, vi sono: la definizione della contraccezione di emergenza come potenziale causa di “aborti precocissimi”, nonostante il suo funzionamento si basi sul prevenire e non sull’interrompere una gravidanza; e i “costi ingenti a carico del SSN” dovuti agli “effetti avversi a lungo termine dell’aborto”, tra cui infertilità, cancro al seno e problemi psichici a cui la donna e chi la circonda potrebbero andare incontro: tutte questioni di cui però, come detto, non esistono evidenze scientifiche.

Tra i costi considerati nel report per valutare l’impatto della Legge 194 sul sistema sanitario poi vengono inclusi: l’ecografia di controllo iniziale, perché “anche se non strettamente necessaria per l’esecuzione dell’aborto” ne costituisce “il primo passo”; i test diagnostici prenatali; l’aborto effettuato dopo i 90 giorni, che in Italia è possibile nel caso in cui la gravidanza, il parto o eventuali anomalie o malformazioni del feto costituiscano un grave pericolo per la salute e la vita della donna; e la presenza di complicazioni che però, come già spiegato, sono minime.

Anche il linguaggio non è oggettivo: l’aborto è descritto come ciò che “uccide un figlio” e gli operatori che lo praticano come “medici che uccidono bambini in maniera continua e regolare”.

Come spiega la dottoressa Dubini, è piuttosto il non garantire aborti sicuri a generare costi elevati: “Se una donna non può, non vuole o non è nelle condizioni di portare avanti una gravidanza, non si ferma davanti al fatto che non ci sia una legge. Anche nel nostro paese, prima della 194, le donne si sono sottoposte alle peggiori torture a causa di una gravidanza indesiderata, sono morte per questo, o sono spesso andate in ospedale per emorragie e con bisogno di trattamenti. Sicuramente questo ha un costo molto maggiore, prima di tutto in termini di umanità e poi di costi sanitari”.

Inoltre, aggiunge la ginecologa, “dall’introduzione della legge 194, il numero di aborti in Italia si è ridotto”: il tasso di abortività nel nostro paese è infatti tra i più bassi al mondo.

Se la preoccupazione dei gruppi anti-scelta, come si legge nello studio, è lo spreco di risorse in un periodo di crisi per la salute e la sanità, lo stesso approccio dovrebbe allora essere riservato ai fondi pubblici regionali stanziati per sostenere le loro attività: un caso tra tutti è il Piemonte, che nel 2022 ha lanciato il fondo “Vita nascente” da 400 mila euro per sostenere le associazioni che operano per la promozione del “valore sociale della maternità” e per la “tutela della vita nascente”. Il fondo è stato poi raddoppiato l’anno successivo.

La contraccezione

Anche la contraccezione è condannata dai gruppi anti-scelta. Definita come ciò che impedisce il concepimento, viene suddivisa in metodi “artificiali” e metodi “naturali” o anche metodi “abortivi” e “non-abortivi”. Tra i primi, sono ad esempio inclusi la pillola anticoncezionale, l’anello contraccettivo e i dispositivi intrauterini IUD; tra i secondi invece la posizione può variare leggermente. C’è infatti chi considera i preservativi come un “non abortivo”, ma in realtà il pensiero più diffuso accetta esclusivamente i metodi detti “naturali”.

Secondo le associazioni anti-scelta religiose infatti i rapporti sessuali devono avere come primaria finalità la procreazione, per cui qualunque strumento che la limiti o impedisca è definito come “illecito”. Alla contraccezione e in particolare alla pillola anticoncezionale viene poi attribuita una deresponsabilizzazione da quello che è appunto il fine principale dell’atto sessuale.

La Conferenza statunitense dei vescovi cattolici USCCB, ad esempio, sostiene che fin dalla sua introduzione negli anni Sessanta la pillola abbia gettato molte donne in povertà: “Dicendo che la pillola avrebbe impedito una gravidanza, le donne avevano rapporti sessuali senza promessa di matrimonio.

Poiché le donne avevano il controllo sulla decisione di prevenire una gravidanza, partorire o abortire, molti uomini ritenevano di non essere responsabili dei figli concepiti al di fuori del matrimonio”, lasciando così le donne a dover crescere da sole i loro figli.

In realtà però per molte donne l’introduzione della pillola ha significato poter scegliere del proprio corpo, programmare, ritardare o evitare gravidanze e avere quindi il tempo per dedicarsi agli studi, alla carriera e alla creazione di un futuro diverso.

Un altro punto su cui si concentrano le associazioni anti-scelta è quello che riguarda il benessere psicofisico delle donne: i metodi definiti “artificiali”, dicono tanto i gruppi religiosi quanto quelli laici, sarebbero pericolosi per la loro salute.

Tra le argomentazioni più diffuse vi è il rischio cancerogeno attribuito alla pillola anticoncezionale. Per comprendere quanto ci sia di vero in questa affermazione, bisogna prima di tutto conoscere il contesto. Sul mercato oggi esistono due tipi di pillola: la cosiddetta minipillola, che contiene solo ormoni progestinici e che viene prescritta poco e solo in casi particolari; e la pillola combinata, che contiene estrogeni e progestinici.

Sul primo tipo non vi sono ancora molte ricerche, anche perché è meno diffusa, mentre è sulla pillola combinata che si concentrano i principali studi. Quello che possiamo dire oggi è che la pillola combinata, in alcune circostanze, potrebbe aumentare lievemente il rischio di cancro al seno, al fegato e alla cervice uterina.

Nel caso del tumore al fegato, si tratta di formazioni benigne e non maligne e potrebbe incidere anche un tempo di utilizzo della pillola prolungato nel tempo. Per quanto riguarda invece quello alla cervice uterina, il rischio potrebbe essere indiretto e legato all’infezione da HPV, perché tendenzialmente chi assume la pillola non utilizza il preservativo, che è utile a ridurre il rischio di contagio: contro l’HPV è comunque possibile vaccinarsi.

È importante però ricordare che definire una sostanza cancerogena non implica sostenere che questa causerà un tumore sempre, in ogni contesto e circostanza e in qualunque essere umano: molto dipende infatti dal tipo e dai livelli di esposizione a una determinata sostanza, ma anche dai fattori di rischio e condizioni personali di partenza.

A ciò va anche aggiunto che la maggior parte degli studi condotti sui contraccettivi ormonali si basano su prodotti diversi e con dosaggi molto più alti rispetto a quelli oggi in commercio, per cui è difficile applicare in maniera certa i risultati alla situazione attuale.

Cancer Research UK, organizzazione indipendente di ricerca sul cancro, sottolinea inoltre che esistono cause e fattori che incidono sul rischio di tumore molto più della pillola, come ad esempio il fumo.

Per quanto riguarda invece gli effetti sulla salute mentale, oggi non si sa ancora molto e i risultati sono contraddittori, come spesso succede quando si parla di salute delle donne. Diverse ricerche condotte sull’argomento sono state definite come non attendibili; uno studio danese ha rilevato una possibile associazione tra contraccettivi e depressione, ma non un rapporto di causalità; e molte donne riportano un forte impatto sull’umore.

L’AIFA nel frattempo nel 2019 ha aggiornato le informazioni di sicurezza sui contraccettivi ormonali, specificando che “le pazienti devono essere informate sulla necessità di contattare il proprio medico in caso di cambiamenti d’umore e sintomi depressivi, anche se questi si verificano poco dopo l’inizio del trattamento”. Ciò che sappiamo per certo però è che ogni persona può reagire in maniera differente e che oggi sul mercato esiste un’ampia varietà di opzioni tra cui scegliere.

Trattandosi di farmaci a tutti gli effetti, d’altro canto, i contraccettivi ormonali possono avere degli effetti sull’organismo ed è per questo che per prescriverli è necessario un consulto medico. Il medico dovrà infatti esporre alla persona interessata i rischi e i benefici dei contraccettivi e valutare insieme a lei se e quale utilizzare, basandosi anche sulla sua storia medica e familiare per individuare eventuali fattori di rischio.

Proprio la valutazione del rapporto rischi/benefici però è stata criticata dal gruppo Pro Vita & Famiglia, che la considera come “un’impostazione” che “ha molto poco di scientifico” e che non lascia “vera libertà di scelta per le donne”. In realtà, il rapporto rischi/benefici è ciò che ogni medico deve valutare prima di prescrivere qualunque farmaco, considerando le ragioni per cui un medicinale può o non può essere proposto, la storia clinica del paziente o della paziente e la sua consapevolezza e disponibilità ad accettare eventuali rischi.

Piuttosto, sostiene la dottoressa Dubini, quello sugli effetti della pillola è un dibattito che “ha molto condizionato la nostra cultura sulla contraccezione, tanto che anche rispetto alla media europea la pillola anticoncezionale in Italia è poco diffusa”. Ancora troppe persone nel nostro paese invece scelgono il coito interrotto, che non possiamo però considerare un metodo di contraccezione dato che non è né sicuro né affidabile.

“Ciò che si dice troppo poco”, dice piuttosto Dubini, “è che la pillola anticoncezionale in realtà ha anche dei vantaggi sulla salute”, dal momento che può ridurre in maniera significativa il rischio di cancro dell’ovaio, dell’endometrio e del colon-retto. Inoltre, viene anche prescritta in caso di endometriosi, ovaio policistico e disturbo disforico premestruale.

Anziché allora manipolare argomentazioni scientifiche per decidere sul corpo delle donne e limitare la loro libertà di scelta, è invece necessario garantire aborti sicuri, contraccezione accessibile e ricerche sempre più accurate e affidabili: questo è l’unico modo per tutelare davvero la salute delle donne.

Messaggio del Presidente Mattarella ai Prefetti d’Italia per la ricorrenza del 2 giugno (Quirinale)

«Cari Prefetti,

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della ricorrenza della Festa della Repubblica, ha inviato un messaggio ai Prefetti d’Italia affinché se ne facciano interpreti nelle iniziative promosse a livello locale nella ricorrenza del 2 giugno:

rivolgo il mio saluto a quanti ricoprono pubblici uffici, alle comunità locali, alle espressioni della società che, nei diversi territori, celebrano la Festa Nazionale del 2 giugno.

Nel 1946 la scelta del popolo italiano per la Repubblica scrisse una pagina decisiva di democrazia e pose le basi per un rinnovato patto sociale, che avrebbe trovato compiuta articolazione nella Carta costituzionale.

Un esito al quale si giunse dopo i tragici eventi bellici e la lotta di Liberazione dal nazifascismo, costellata da molteplici episodi di eroismo, da eccidi efferati, di cui nel corso di quest’anno, con commossa partecipazione, viene commemorato l’ottantesimo anniversario in numerose località.

Fare memoria del lascito ideale di quegli avvenimenti fondativi è dovere civico e preziosa opportunità per riflettere insieme sulle ragioni che animano la vita della nostra collettività, inserita oggi nella più ampia comunità dell’Unione Europea cui abbiamo deciso di dar vita con gli altri popoli liberi del continente e di cui consacreremo, tra pochi giorni, con l’elezione del Parlamento Europeo, la sovranità.

Fare memoria è un esercizio proprio a ogni cittadino e soprattutto per quanti, esercitando pubbliche funzioni, trovano nei principi costituzionali di libertà, uguaglianza e solidarietà una bussola di sicuro orientamento di fronte alle complesse sfide del presente.

I Prefetti, in particolare, sono chiamati nei territori provinciali a essere, ogni giorno, perno di unità e di coesione sociale, incarnando, nei delicati ambiti affidati, la missione di instancabili “operatori della Costituzione”, adoperandosi per il bene comune.

È un’azione che, insieme alle altre Istituzioni e alle diverse espressioni della società civile, i Prefetti svolgono nella ricerca dell’interesse generale e per rinvenire adeguate soluzioni ai problemi delle comunità, in una fase resa ancor più ardua dall’aspro contesto internazionale.

Dagli spazi di mediazione per la tutela dell’occupazione e per il superamento dei conflitti sociali, alla cura, con le amministrazioni locali, delle fasce più deboli della popolazione, a percorsi efficaci di accoglienza e di integrazione dei migranti, si tratta di un lavoro prezioso a favore dell’unità del Paese e della sua coesione.

Vale per la tutela delle libertà dei cittadini nello svolgersi della vita quotidiana, per lo sviluppo di efficaci cornici di sicurezza per territori sempre più sicuri e vivibili. Vale per la garanzia dell’esercizio del diritto di riunione e manifestazione.

Con il contrasto alle spinte criminali, alla violenza e alla disgregazione, con la promozione, in particolare tra le giovani generazioni, della diffusione dei valori del rispetto della persona e del dialogo tra le distinte posizioni politiche, sociali, culturali, religiose, si affermano importanti testimonianze di devozione alla Repubblica e di senso dello Stato.

Quando vengono tessute proficue sinergie tra le Istituzioni locali e favoriti percorsi di raccordo tra il centro e i territori, quando – come avvenuto anche nei mesi scorsi – insieme vengono affrontati gli eventi emergenziali, quando gli enti locali sono sostenuti nel superamento dei momenti di crisi amministrativa e finanziaria, viene rinsaldata l’unità dell’edificio democratico, valorizzando il principio di autonomia nell’orizzonte della solidarietà.

Nel rinnovare i sentimenti di gratitudine della Repubblica per l’opera prestata, rinnovo ai Prefetti e a tutti coloro che si adoperano per il bene della collettività gli auguri di buon lavoro e di buona Festa, nell’auspicio che la ricorrenza del 2 giugno rafforzi la consapevolezza e l’orgoglio della partecipazione, prerogativa di ciascun cittadino».

Pd, il flop della piazza di Schlein: poca gente, tante correnti

di Edoardo Sirignano

Altro che Piazza del Popolo, il Pd di Elly Schlein 
riempie a mala pena mezza Piazza Testaccio. 

Nonostante ci siano nomenclatura, dirigenti e apparati vari, il comizio della capitale, da qualche big definito come «l’altra Festa della Repubblica», si rivela un fallimento.

A parte il solito scatto ad arte di Furfaro, la verità è che Schlein inizia con mezz’ora di ritardo perché i volontari non sanno a chi dare le bandiere. Molte restano sotto il gazebo. L’importante, ribadiscono gli organizzatori, è apparire bene davanti agli obiettivi delle telecamere. I sorrisi non abbondano, non solo per il pienone che non c’è stato, ma soprattutto per una vera propria faida interna che divide il Pd nel Centro Italia.

Il primo ad arrivare è il sindaco di Pesaro Matteo Ricci che, per quasi un’ora, gira sotto il palco per vociferare nell’orecchio dei presenti: «Sono il candidato di Bettini, aiutatemi». Anche se dell’immancabile Goffredo non c’è traccia. C’è, invece, la solita Covassi che “scarica” il ribelle Marco Tarquinio per il nuovo pupillo dell’uomo col cane e il bastone. Laureti, invece, viene lasciata in solitudine vicino alle transenne. Nessuno dei primi arrivati parlerà.

Chi ruba la scena è l’ex direttore di Avvenire, pacifista all’esterno e guerrafondaio interno. Tra i pochi a intervenire sul palco ammette come il suo «sia un partito faticoso». Un messaggio probabilmente indirizzato alla segretaria, che qualche ora prima lo aveva scaricato in tv, dicendo che «la sua posizione sulla Nato non era quella del partito».

Allo stesso modo, il suo linguaggio non usuale fa presa sul popolino. Se ne accorge Nicola Zingaretti, a cui non basta che Bonafoni distribuisca santini senza farsi vedere. Per fare il capogruppo a Bruxelles serve un risultato importante, ovvero che arrivi terzo: unica strada per diventare capogruppo dei socialisti a Bruxelles.

Ragione per cui interviene con la solita verve, ma dopo se la prende con i vari Boccia e Braga, che, a suo parere, si starebbero disimpegnando. Insomma, «la celebrazione della Costituzione» per i rossi di Elly è tutta al veleno. «La battaglia al premierato e all’autonomia» non è sufficiente a mettere da parte le ormai quotidiane faide tra mozioni.

Tra i pochi presenti l’unico argomento è: togli questo, metti quell’altro. Il tutto mentre i big della sinistra, vedi l’ex ministro Speranza, Orfini e D’Attorre, vengono lasciati fuori e col broncio dal recinto dei vip. Nell’area riservata, comunque, le cose non vanno meglio. Più di una Covassi o di un Ricci avrebbero voluto dire la propria.

Parlano, invece, prima della segretaria, solo Paiotti, Rondinelli, Insolera, Tarquinio e l’immancabile Zinga, applaudito, ma non troppo. Gli unici a essere entusiasti i pochi compagni della Cgil presenti quando Elly intona Bella Ciao e si dice fiera dell’«identità antifascista». Qualche vecchietto attento, comunque, replica: «Adesso Franceschini (altro grande assente di Testaccio) come la prende?». Nella piazza romana non c’è neanche il sindaco di Firenze Dario Nardella, suo pupillo per la futura segreteria.

Ci sono, invece, uomini e donne di Elly, che accortisi dell’indiscusso flop, provano a scambiare quello che venerdì doveva essere l’anti-Piazza del Popolo, poi divenuta l’altra 2 giugno, per un comizietto di quartiere.

(italiaoggi)

“Noi senza impresentabili”. ll boomerang giustizialista colpisce Conte

di Marco Leardi

"Non abbiamo candidati impresentabili", gongolava 
il leader 5s. 

Ma un’indagine per presunta truffa manda in tilt i grillini: il candidato Allegretti si ritira dalla corsa elettorale. Alla faccia del garantismo

Il boomerang giustizialista è tornato indietro. E ha colpito i Cinque Stelle. Solo pochi giorni fa, durante un punto stampa a Catania, Giuseppe Conte aveva attaccato il solito disco della presunta superiorità morale pentastellata. “Non abbiamo candidati impresentabili, noi siamo l’unico partito che non è coinvolto in casi di corruzione“, aveva esclamato.

Ebbene: stamani Repubblica ha riportato la notizia delle presunte indagini delle procure di Torino e di Asti a carico del candidato 5s in Piemonte, Marco Allegretti, per l’ipotesi di truffa. Sebbene la presunzione di innocenza sia sacrosanta e valida in assoluto, la cosa ha mandato in cortocircuito il partito grillino.

Chi di giustizialismo ferisce, di giustizialismo perisce. Dopo aver bacchettato gli altri con la cantilena sugli “impresentabili“, i Cinque Stelle si sono infatti trovati a fare i conti con una presunta indagine nei confronti di un loro candidato. L’accusa mossa a quest’ultimo sarebbe, secondo quanto si apprende, quella di sottrazione fraudolenta delle imposte.

Così, sulla base di semplici ipotesi di reato e di una notizia spifferata da un quotidiano, l’esponente grillino ha deciso di fare un passo indietro nella corsa elettorale. E Giuseppe Conte ha pure comunicato la circostanza con una certa enfasi.

Marco Allegretti – ha spiegato il presidente del Movimento – “non ne sapeva nulla, né aveva prima di questa mattina ricevuto atti o documenti che lo informassero su questa presunta indagine. Eppure non c’ha pensato due volte: ha alzato il telefono e mi ha comunicato, in attesa che venga fatta luce su questa situazione, la determinazione a fare un passo indietro“.

E ancora: “È assolutamente convinto di chiarire presto questa vicenda, sicuro che ne uscirà a testa alta. Ma ha ritenuto opportuno ritirarsi dalla competizione elettorale per non prestarsi a strumentalizzazioni politiche“. Ecco spiegata, in concretezza, l’assurdità del meccanismo giustizialista pentastellato, che alla fine ha travolto pure l’esponente grillino innocente fino a prova contraria.

In questo caso non è neppure chiaro se ci sia una indagine, una precisa ipotesi accusatoria ma il senso dell’onore che si ha per se stessi e il rispetto per il prestigio delle istituzioni ci spinge a scelte di questo tipo, per evitare imbarazzi a se stessi e alla propria forza politica, per difendere i valori di legalità e trasparenza da sempre professati“, ha aggiunto Conte in una lettera a Dagospia.

Ma la legalità – tanto sbandierata dai 5s – si esprime anche attraverso il principio della presunzione d’innocenza, che il partito grillino sembra voler mettere da parte pur di riaffermare una presunta diversità dagli altri competitor politici.

Lo dico ai nostri avversari: non saremo mai uguali a voi. Tenetevi gelosamente i vostri casi Sgarbi e Santanché, continuate a governare le regioni dai domiciliari come nel caso Toti, tenetevi saldi alle poltrone amministratori che palesemente utilizzano la politica per fare affari e per il tornaconto personale.

Noi invece ci teniamo stretti la testimonianza di Allegretti“, ha concluso infatti l’ex premier, definendo la scelta del candidato una “lezione che parla a tanti e guarda all’interesse del Paese intero“.

E il garantismo? Non pervenuto. Quando si usa il tema della superiorità morale come argomento elettorale, accade questo.

Conte voleva il Superbonus permanente, ma ora lo nega (pagellapolitica.it)

di CARLO CANEPA

MOVIMENTO 5 STELLE

Alle elezioni politiche il Movimento 5 Stelle proponeva di rendere strutturale l’incentivo edilizio, a differenza di quanto dice ora il suo presidente

In questa campagna elettorale, per difendersi dalle critiche contro il Superbonus, il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ripete spesso che questa misura, nelle sue intenzioni, sarebbe dovuta essere solo temporanea e non permanente. «Vorrei chiarirlo: io non ho mai sostenuto che il Superbonus potesse essere una misura da mantenere nel tempo, duratura: è stata una misura per l’emergenza pandemica», ha dichiarato per esempio Conte il 23 maggio, intervistato da Factanza.

È davvero così? In breve, la risposta è no. Abbiamo controllato che cosa prometteva il programma del Movimento 5 stelle per le elezioni politiche del 25 settembre 2022: il partito di Conte proponeva di rendere strutturale, e dunque permanente, il Superbonus.

La nascita del Superbonus

Il Superbonus 110 per cento è stato introdotto con il decreto “Rilancio”, presentato in Parlamento a maggio 2020, nei giorni successivi alla fine del lockdown, dal secondo governo guidato da Giuseppe Conte. Quel governo era supportato dal Movimento 5 Stelle, dal Partito Democratico, da Italia Viva e da Liberi e Uguali.

L’articolo 119 e l’articolo 121 del decreto “Rilancio”, poi convertito in legge a luglio 2020, introducevano rispettivamente il Superbonus 110 per cento e l’estensione del meccanismo della cessione dei crediti d’imposta a quasi tutti i bonus edilizi. Il Superbonus è diventato operativo alcuni mesi dopo e le sue regole sono state modificate e prorogate varie volte.

Con questo bonus lo Stato ha restituito ai beneficiari una somma pari alle spese effettuate, più un 10 per cento, per l’efficientamento energetico o l’adeguamento antisismico di un immobile attraverso un credito d’imposta. In parole semplici, i soldi spesi da chi ha fatto i lavori sono restituiti nell’arco di più anni con uno sconto sulle tasse che il beneficiario deve versare ogni anno allo Stato.

Il decreto “Rilancio” ha introdotto per il Superbonus e per quasi tutti i bonus edilizi in vigore all’epoca, tra cui il bonus “Facciate”, anche altre due possibilità: il cosiddetto “sconto in fattura”, che ha permesso ai beneficiari dei bonus di cedere il credito d’imposta all’azienda edile, non dovendo così pagare i lavori; e la cosiddetta “cessione del credito d’imposta”, per cedere il credito maturato nei confronti dello Stato a una banca o a un istituto finanziario.

Inizialmente, il decreto “Rilancio” prevedeva che il Superbonus 110 per cento rimanesse in vigore solo fino alla fine del 2021. Con la legge di Bilancio per il 2021, approvata alla fine di dicembre 2020, è arrivata però una prima proroga, che ha esteso il bonus al 30 giugno 2022 per alcuni interventi e al 31 dicembre 2022 per altri.

All’epoca era ancora in carica il secondo governo Conte. A febbraio 2021 si è poi insediato il governo di Mario Draghi, supportato anche dal Movimento 5 Stelle, e proprio su spinta del partito di Conte il nuovo governo ha deciso di stanziare nuove risorse per finanziare il Superbonus nel 2023. La proroga del bonus edilizio era comunque supportata da quasi tutti i partiti in Parlamento, da destra a sinistra.

Il programma del Movimento 5 Stelle

Arriviamo così alla campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Per quel voto, il Movimento 5 Stelle presentò due programmi: uno breve, lungo una decina di pagine, e uno più lungo, composto da oltre 250 pagine. In entrambi il partito di Conte chiedeva di rendere «strutturali» il Superbonus e gli altri bonus edilizi. Quando si parla di misure politiche ed economiche, l’aggettivo “strutturale” fa riferimento al fatto che una misura, in questo caso un bonus, è permanente e non resta in vigore con una scadenza nel tempo.

Per esempio, nel programma elettorale più lungo il Movimento 5 Stelle scriveva che il Superbonus «merita di diventare strutturale». «Intendiamo continuare a puntare sui bonus edilizi esistenti, fra cui il Superbonus 110 per cento», sosteneva il partito di Conte.

«Crediamo che la cedibilità dei crediti fiscali sia un formidabile meccanismo di immissione di liquidità a beneficio di famiglie e imprese, una forma di monetizzazione che è in grado di far girare l’economia più velocemente e fluidamente. In altri termini vogliamo rendere strutturale e sistemica la cedibilità dei crediti fiscali, non soltanto confermandola alla base del Superbonus e degli altri bonus edilizi, ma estendendola ad altre forme di investimento agevolato, con particolare riguardo al settore della transizione ecologica».

Non solo: il Movimento 5 Stelle proponeva «l’estensione del Superbonus 110 per cento alle strutture ricettive, il potenziamento e la proroga del credito d’imposta per le strutture ricettive e termali e meccanismi di premialità per gli imprenditori virtuosi che operano in questa direzione».

«Il Superbonus è un simbolo concreto della transizione ecologica che dobbiamo realizzare, al fine di coniugare i vantaggi ambientali con quelli economici e occupazionali: lotteremo dunque per conservarlo e rafforzarlo, con l’obiettivo di continuare a renderlo motore della transizione energetica», continuava il programma del partito di Conte.

Dunque, a differenza di quanto ripete l’ex presidente del Consiglio in questi giorni, in nessun punto il programma del Movimento 5 stelle diceva che il Superbonus andasse interrotto oppure ridotto con percentuali più basse del 110 per cento. Al contrario, Conte e il suo partito volevano rendere strutturale e permanente il bonus edilizio, lasciando intendere che andasse confermato così com’era.