Sabino Cassese: “La riforma Nordio? Importante ma non epocale. Non vedo ostacoli all’approvazione. E basta con le toghe combattenti” (ilriformista.it)

di Aldo Torchiaro

L'intervista

Il giurista, candidato al Quirinale per un giorno, dà una valutazione positiva delle misure del Guardasigilli. Sui tempi dell’iter di approvazione è possibilista: «Una maggioranza in Parlamento ci sarebbe». Ed è urgente «contrastare la trasformazione dei magistrati delle procure in giudici della virtù e della morale» e della moralità: ora va sciolto il grumo di potere costituito dal sistema correntizio»

Il tentativo di riformare tramite annunci elettorali a presa rapida quel ginepraio di poteri che è il sistema-giustizia suscita qualche legittima perplessità, Mettere mano alla giustizia in modo serio e profondo richiede passaggi che, avendo la magistratura associata già preannunciato battaglia, si prevedono lunghi. Abbiamo chiesto il parere del professor Sabino Cassese, il giurista che fu Ministro della Pubblica Amministrazione nel governo Ciampi e poi giudice della Corte Costituzionale.

Professore, è davvero “una riforma epocale”, il pacchetto delle tre riforme Nordio?

«Una riforma importante, ma non epocale. Adegua l’assetto della magistratura alla riforma Vassalli, ponendo le condizioni per assicurare la terzietà del magistrato giudicante rispetto alle altre due parti, l’accusato e l’accusatore. È quindi importante per perché rende coerente l’assetto organizzativo con quello funzionale, ma non epocale perché il problema più importante è quello dei tempi della giustizia e quindi dell’enorme arretrato, al quale bisogna provvedere, innanzitutto da parte degli attuali circa 10 mila magistrati, assicurando che facciano davvero i magistrati e non gli amministratori, e aumentandone il tasso di produttività».

L’iter in Parlamento non è scontato, i tempi saranno lunghi. Le incertezze tante. Sarà solo un annuncio o ne vedremo l’approvazione?

«Lei mi chiede di fare l’indovino, un mestiere per il quale non sono preparato. Posso solo dirle che non vedo ostacoli gravi all’approvazione e che auspico non solo che venga approvato, ma che venga approvato con una maggioranza di 2/3 del Parlamento, in modo da non avere i tempi supplementari del referendum».

La separazione delle carriere è un caposaldo di civiltà giuridica. Perché qualcuno, come Anm, parla di “scopo punitivo” e fa muro contro la riforma?

«Ripercorriamone brevemente i capisaldi. Previsione di due Consigli superiori della magistratura con lo stesso tasso di indipendenza. Previsione di un’Alta Corte disciplinare nella quale prevalgono nettamente i 9 rappresentanti dei magistrati. Possibilità di impugnare le decisioni dell’Alta Corte disciplinare alla stessa Corte, evitando così il Consiglio di Stato e aumentando la giurisdizione domestica. Introduzione del sorteggio per scegliere i 2/3 dei magistrati che fanno parte dei due Consigli superiori della magistratura e i 9 magistrati che faranno parte dell’Alta Corte disciplinare. Il vero effetto di questa riforma è quello riassunto a pagina 4 di un libro di una studiosa dell’Università di Roma, Astrid Zei, intitolato “Il diritto e il caso. Una riflessione sull’uso del sorteggio nel diritto pubblico” (Jovene 2023), che esamina i motivi dell’introduzione del sorteggio nel diritto pubblico in generale, concludendo che questo “lungi dal rappresentare una rinuncia alla razionalità, esprime una peculiare razionalità che si contrappone alla forza del numero al fine di scongiurare l’occupazione delle cariche da parte di maggioranze precostituite”. Questo libro illustra molto chiaramente l’uso del sorteggio che è stato fatto nell’antica Grecia, il dibattito che nell’Atene di Pericle si è svolto su questo tema, le riflessioni di Aristotele, fino a illustrare il modo in cui il sorteggio è stato adoperato in epoca più recente, moderna, per la scelta dei coscritti o per l’accesso alle facoltà a numero chiuso. Il sorteggio è ancora oggi adoperato ampiamente in molte circostanze, specialmente nell’ordinamento universitario, ed ha una sua spiegazione proprio quando si vuole evitare che maggioranze precostituite possano fare blocco ed esercitare la forza del numero».

Sarebbe auspicabile un ruolo costruttivo da parte dei magistrati, non è venuto il momento per deporre l’ascia di guerra, da parte di Anm, ogni qualvolta si mette mano a un riordino della giurisdizione?

«Purtroppo siamo abituati da tempo a questa guerriglia interna allo Stato, di corpi dello Stato che si comportano come gruppi di interesse nei confronti di quello stesso Stato di cui debbono attuare le leggi. Tutto questo avviene non solo per l’aggressività dei magistrati combattenti, raccolti al vertice delle correnti, ma anche perché altri corpi dello Stato non hanno esercitato tutti i loro poteri, applicando il principio del mercato, il “laisser faire”, anche allo Stato».

I due CSM, uno per ciascuna delle due magistrature, sono una conseguenza logica della separazione delle carriere?

«Certamente due Consigli superiori della magistratura, ambedue con lo stesso tasso di indipendenza, tengono conto della preoccupazione, che non è solo dei magistrati, di assicurare la più completa indipendenza dei magistrati. Aggiungo che questa stessa indipendenza è purtroppo messa in dubbio dai troppi magistrati che lavorano al servizio del governo, nel ministero della giustizia e in quasi tutte le strutture pubbliche, nonché in organi rappresentativi».

L’Alta corte che giudica i magistrati, sostituendo la sezione disciplinare del CSM, può servire a dare del loro operato un giudizio terzo?

«L’Alta Corte rappresenta un grosso progresso perché, composta di una maggioranza di magistrati, sei giudicanti e tre requirenti, estratti a sorte, è un organo che può svolgere anche la funzione di appello e quindi rafforza il carattere domestico della giustizia disciplinare, così mettendo nelle mani degli stessi magistrati ordinari un compito che oggi è svolto dal Consiglio di Stato. Questo, come è noto, è più volte intervenuto modificando decisioni prese dal Consiglio superiore della magistratura. Mi sembra un passaggio importante, forse non sufficientemente apprezzato dai magistrati combattenti».

Certo ci sarebbe poi da mettere mano al fascicolo di valutazione dei magistrati …

«È un capitolo importante, nel quale le prassi seguite dal Consiglio superiore della magistratura non sono purtroppo molto diverse dalle prassi seguite in tutto il settore pubblico: non c’è una valutazione. Se quasi il 100 per cento ottiene una valutazione positiva, è come se un professore promuovesse tutti i suoi allievi, per di più dando quasi sempre il massimo dei voti».

Il ministro Nordio questa volta fa sul serio, la politica secondo lei coglierà l’occasione?

«Mi chiede una seconda volta di fare l’indovino. Posso auspicarlo, non affermarlo, anche perché la situazione che si è venuta a creare in questi decenni, prodotta dalla riduzione delle immunità previste dalla Costituzione, dalla creazione del circuito mediatico e dalla trasformazione dei magistrati delle procure in giudici della virtù e della moralità farà sorgere molti dubbi nello stesso corpo politico che si trova davanti al compito di sciogliere il grumo di potere costituito dal sistema correntizio, togliendo ad esso il peso che oggi ha, compreso quello di parlare a nome di tutti i magistrati».

La sinistra britannica si è liberata di Corbyn, e ora può tornare a vincere (linkiesta.it)

di

Keir Starmer ha abbandonato molte delle 
politiche massimaliste del suo predecessore, 

adottando un insieme di proposte che combinano principi progressisti con elementi della tradizione del New Labour di Tony Blair

Jeremy Corbyn ha confermato che si presenterà come candidato indipendente per il collegio di Islington North alle elezioni nazionali previste per il 4 luglio. Con una lunga carriera politica che lo ha visto mantenere il seggio per ben quaranta anni consecutivi, l’ex leader del Labour ha dichiarato che non è più in linea con le posizioni del suo ex partito, ormai solo un ricordo lontano, segnato da divisioni interne e controversie.

Negli anni, infatti, Corbyn è emerso come una figura contraddittoria, un personaggio con molti chiaroscuri, caratterizzato da una combinazione di ideali autentici e altruisti, ma anche da un comportamento eccentrico e imprevedibile.

Sono però state le elezioni del 2019 a dare il colpo di grazia a Corbyn e il suo progetto politico. Nonostante il suo appello a una visione di sinistra trasformativa, il Labour, incapace di capitalizzare il crescente malcontento verso il governo conservatore, subì una sconfitta devastante contro Boris Johnson.

Pochi giorni dopo, Jeremy Corbyn annunciò le sue dimissioni, innescando la successione del suo ministro per la Brexit, Keir Starmer. «Condurrò questo grande partito in una nuova era, con fiducia e speranza, così che quando arriverà il momento, potremo servire di nuovo il nostro Paese al governo», dichiarò Starmer il giorno dell’elezione.

Da leader di un partito condannato all’opposizione per le sue politiche massimaliste, Starmer ha messo in pratica una radicale svolta riformista del Labour con l’obiettivo di ricalibrare la linea politica del partito per intercettare il più ampio numero di cittadini e costruire una valida alternativa ai Tories.

La rivoluzione gentile di Starmer è partita dalla rinuncia a molte politiche del passato e a Corbyn stesso, che nei giorni scorsi è stato ufficialmente espulso dal partito dopo l’iniziale sospensione nel 2020. Tale decisione ha inviato il chiaro segnale agli elettori che il Labour non è più la casa di Corbyn, portando significativi vantaggi politici per Starmer.

Ma concretamente, la decorbynizzazione del partito è avvenuta nelle politiche e nelle tematiche portate avanti in questi anni. L’approccio politico del Labour guidato da Keir Starmer si basa infatti su un insieme di proposte che abbracciano sia principi progressisti sia elementi di continuità con la tradizione del New Labour di Tony Blair.

Queste proposte includono un aumento del cinque per cento dell’aliquota fiscale per i redditi più alti, un rafforzamento del servizio sanitario pubblico, l’abolizione di leggi restrittive sugli scioperi, la tolleranza zero nei confronti dei crimini e l’istituzione di un nuovo comando per la sicurezza delle frontiere.

A differenza di Corbyn, che ha adottato una posizione più ostile verso le imprese e il settore finanziario, Starmer ha messo al centro delle sue policy la ripresa economica, presentandosi come un alleato delle imprese. Ha promosso politiche per sostenere le piccole aziende, per creare posti di lavoro ben retribuiti e per investire nell’innovazione e nelle tecnologie verdi.

Mentre Corbyn aveva portato avanti una visione più socialista dell’economia, con una maggiore interferenza dello Stato e un’agenda di redistribuzione della ricchezza più aggressiva, Starmer ha abbracciato un approccio più pragmatico, cercando di bilanciare la necessità di una maggiore equità sociale con la promozione della crescita economica e la sostenibilità fiscale del Paese.

Sul fronte della politica estera, Starmer ha enfatizzato il ruolo del Regno Unito come attore globale impegnato nella promozione della pace, dei diritti umani e della cooperazione internazionale. Ad esempio, il leader dell’opposizione britannica ha adottato un approccio più tradizionale e allineato con la politica estera occidentale riguardo l’invasione della Russia in Ucraina.

Starmer si è impegnato infatti a sostenere l’integrità territoriale dell’Ucraina, sostenendo un approccio basato sulla diplomazia e sulla cooperazione internazionale per risolvere il conflitto, evitando così il tipo di retorica anti-Nato e pro-Russia che caratterizzava la posizione di Corbyn. Basta pensare che, solo un paio di settimane fa, Corbyn ribadiva la sua convinzione che l’Occidente non dovrebbe armare l’Ucraina perché potrebbe aprire la strada all’invasione territoriale della Russia.

Anche per quanto riguarda il conflitto Israele-Palestina, Starmer ha adottato un approccio più soft rispetto alla linea di Corbyn, che era notoriamente critico nei confronti di Israele e favorevole ai diritti dei palestinesi. Dall’inizio del conflitto, Starmer si è impegnato a mantenere una solida relazione con Israele, difendendo il diritto dello Stato a difendersi.

Tuttavia, soprattutto dopo le critiche ricevute dai suoi stessi parlamentari, ha criticato le azioni israeliane che violano il diritto internazionale o minano il processo di pace, proclamandosi a favore di un immediato cessate il fuoco e del riconoscimento dello Stato di Palestina come parte del processo di pace.

Secondo i sondaggi, solo il diciassette per cento degli inglesi ritiene che la difesa e la sicurezza nazionale siano uno dei maggiori problemi che il Paese deve affrontare (dietro ad altre tematiche chiave come l’economia, la salute e l’immigrazione), ma le guerre in Ucraina e Gaza, e una più ampia preoccupazione per la situazione in Medio Oriente e le minacce della Cina, saranno citate ripetutamente durante la campagna per enfatizzare l’attuale momento di instabilità globale.

Oltre alle proposte politiche, Keir Starmer sta promuovendo una nuova narrazione, facendo del cambiamento la parola chiave del suo programma. Essere riconosciuto come il candidato del cambiamento è la mossa predefinita per i leader dell’opposizione che ambiscono a sfidare i loro avversari.

Ma per Starmer questo slogan è un’istanza sintetica e incisiva, che rispecchia non solo il diffuso senso di frustrazione del pubblico riguardo allo stato attuale del Paese, ma anche il lavoro svolto internamente nel Labour negli ultimi quattro anni.

Questo suo approccio, questo suo riposizionamento fuori e dentro il Labour, sembra funzionare. È infatti dalla fine del 2021 che il partito d’opposizione è avanti nei sondaggi rispetto al partito al governo; con gli ultimi dati, a sei settimane dal voto, che mostrano il sostegno al Labour al quarantacinque per cento, contro il ventitré per cento dei conservatori.

Sanatoria sulle mini-case: così la Lega vuole rendere abitabili cantine, seminterrati e lavatoi (open.online)

CONDONI

Gli emendamenti del Carroccio al Decreto 
Salva Casa

La Lega vuole presentare un emendamento al decreto Salva Casa appena licenziato dal consiglio dei ministri.

Che sarà una specie di sanatoria sulle mini-case. E renderà “abitabili” seminterrati e lavatoi. L’occasione per presentarlo sarà proprio la conversione in legge del decreto. Lì i parlamentari del Carroccio, su input del segretario Matteo Salvini, modificheranno la soglia minima dei requisiti necessari per il rilascio dell’abitabilità.

Ovvero l’altezza e la superficie. La prima misura è fissata a 2,70 metri e a 2,40 per corridoi, bagni e ripostigli. La seconda deve essere attualmente pari a 28 metri quadri per un monolocale e potrebbe scendere a 20.

Le norme risalgono al 1975, ovvero al decreto ministeriale “Sanità” che contiene le istruzioni sull’altezza minima e i requisiti igienico-sanitari. Norme «vetuste», secondo l’Ance. E, spiega oggi Repubblica, fonti vicine al ministro delle Infrastrutture sostengono che bisogna superare la logica «estremamente prescrittiva».

Che è distante da quella di altri paesi come Germania e Inghilterra. Dove le altezze minime sono assai inferiori e non esiste un limite di superficie per l’abitabilità. I testi degli emendamenti saranno scritti nei prossimi giorni. E nel pacchetto rientrerà anche la norma Salva-Milano che era stata espunta dal decreto.

Caso verbali, i giudici: Davigo violò le regole e gettò «una sinistra luce» su Milano (ildubbio.news)

di Simona Musco

GIUSTIZIA

Secondo la Corte d’Appello, l’ex pm «si è determinato ad una sovraesposizione personale del tutto singolare»

L’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo, «senza necessità alcuna, ha sapientemente portato a conoscenza di una selezionata platea di destinatari notizie coperte da segreto investigativo attraverso una serie di incontri informali, pur consapevole di gettare una sinistra luce sull’operato della procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano e sui due colleghi del Csm, dottori Mancinetti e Ardita».

Sono parole durissime quelle della Corte d’Appello di Brescia, che il 7 marzo scorso ha confermato la condanna ad un anno e tre mesi inflitta all’ex pm di Mani pulite per rivelazione di segreto.

Colpa dell’ex toga diffondere il contenuto dei verbali sulla presunta e inesistente Loggia Ungheria, ricevuti in maniera indebita dal pm Paolo Storari, che si era rivolto a lui per «sbloccare le indagini», denunciando una presunta inerzia da parte dei vertici della procura di Milano. Davigo, anziché suggerire al collega di seguire le vie formali, invitò diversi consiglieri del Csm a prendere le distanze dall’ex amico Sebastiano Ardita, inserito in maniera falsa in quella lista.

I giudici d’appello non hanno dubbi sulla colpevolezza di Davigo e anche sulla sua consapevolezza di agire violando le regole. Tant’è che avrebbe operato in modo tale «da insinuare, quantomeno, il dubbio nella maggior parte dei destinatari delle sue confidenze circa l’appartenenza ad una loggia massonica del dottor Ardita, così andando a lederne l’onore e il prestigio».

Ed è indubitabile, afffermano i giudici, «che attribuire ad un magistrato la possibile appartenenza ad una loggia massonica equivale a consegnargli la patente di soggetto inaffidabile e infedele (…). Si tratta di un’accusa gravissima, tenuto conto del ruolo e della qualifica professionale rivestiti dal destinatario di questa e che, per ciò stesso, è in grado di minarne la sua credibilità, per come di fatto è avvenuto».

I colleghi del Csm, infatti, ad eccezione di Nino Di Matteo, presero le distanze da Ardita, su suggerimento di Davigo, che aveva consigliato loro cautela. E la scelta dell’ex pm di diffondere i verbali, secondo i giudici non era dettata, come affermato, dalla volontà «di rimettere la vicenda sui binari della legalità»: se così fosse stato, secondo la sentenza, «egli avrebbe ben dovuto acquietarsi, una volta compulsato il vicepresidente del Csm e il procuratore generale della Corte di Cassazione.

Il fatto che, viceversa, l’imputato abbia avvertito l’esigenza di continuare a ledere l’onore della parte civile – e non solo – è comprensibile solo nella mirata strategia volta ad isolare la parte civile nei suoi rapporti istituzionali».

Davigo, d’altronde, sarebbe stato pienamente consapevole «dei limiti delle proprie attribuzioni», in quanto magistrato esperto e per giunta componente della Commissione regolamento del Csm, fatto che porta ad escludere, «radicalmente, che egli possa poi avere ritenuto di adempiere un dovere, che in alcun modo l’ordinamento gli attribuiva».

Ed appare difficile sostenere «che egli non abbia avuto il tempo di comprendere appieno quanto riferitogli (da Storari, ndr), di valutarlo, di riflettere sul da farsi e di determinarsi conseguentemente. Le stesse differenti modalità di rapportarsi diversamente con i membri del Comitato di Presidenza appaiono indicative di una scelta ben ponderata e tutt’altro che casuale». Se, infatti, Davigo ha informato in maniera dettagliata l’allora vicepresidente David Ermini sui fatti e sul contenuto dei verbali, di cui gli lasciò anche copia, ben più vago è stato con il pg Giovanni Salvi e con il primo presidente della Cassazione Pietro Curzio. Oltretutto, i tre sono stati informati separatamente e mai Davigo avrebbe fatto cenno alle prerogative spettanti al Comitato di presidenza.

Ma al di là di ciò, se davvero Davigo avesse voluto riportare la situazione sui binari della legalità, scrivono i giudici, «sarebbe stato sufficiente» indirizzare Storari alla procura generale presso la Corte di Appello di Milano «e, se tale strada nell’ottica personale del dottor Davigo non fosse stata percorribile in ragione della ritenuta incapacità del suo reggente, che lui stesso avesse compulsato il Comitato di Presidenza nella sua collegialità, rimettendo a tale organo se e in che modo dovesse avvenire la formalizzazione della vicenda e i conseguenti comportamenti da adottare, sia per smuovere l’eventuale stallo all’indagine meneghina sia per tutelare i soggetti, che ne erano coinvolti, ivi compresa la figura del dottor Ardita.

Viceversa l’imputato si è determinato ad una sovraesposizione personale del tutto singolare, non necessitata e che, per quanto ponderata, si è risolta di fatto in una serie di irrituali e illecite confidenze, che poi hanno sortito quell’effetto finale di una fuga di notizie “senza eguali precedenti”, già stigmatizzata dall’Autorità giudiziaria umbra», a cui poi è passato il fascicolo sulla loggia per competenza.

I giudici evidenziano inoltre come Davigo abbia «effettivamente indotto il dottor Storari a rivelargli le propalazioni dell’avvocato Piero Amara» in ragione della prospettazione «tutt’altro che fondata» che il segreto investigativo non fosse opponibile non solo al Csm, ma anche al singolo consigliere.

Tale affermazione, scrivono i giudici, si basa su «una forzatura interpretativa» delle circolari del Csm, che, «per quanto suggestiva, è da ritenersi erronea». Nemmeno il Csm, infatti, ha accesso incondizionato e immediato agli atti d’indagine: le procure possono omettere, opporsi o ritardare la trasmissione delle informative per esigenze investigative.

E spetta al pm procedente consentire la trasmissione degli atti, cosa che nel caso specifico, data la coassegnazione, mancava, non essendoci il consenso del procuratore aggiunto Laura Pedio. Davigo, dunque, «non era in alcun modo autorizzato a ricevere atti e notizie coperti dal segreto investigativo».

Ma anche a volersi richiamare alle circolari, la migrazione di atti coperti «giammai può avvenire attraverso quelle comunicazioni riservate e confidenziali, di cui tutti i testi hanno parlato, per come espressamente riportato nella sentenza impugnata».

Ma non solo: Davigo ha comunicato tali atti non solo a membri del Csm, ma anche alle sue segretarie, messe a conoscenza non solo della presunta loggia, ma anche dei presunti «meccanismi di condizionamento che questa avrebbe posto in essere per favorire la nomina di alcune cariche istituzionali di particolare rilievo, così da arrivare, addirittura, a convincersi che la mancata conferma del dottor Davigo nell’incarico di consigliere del Csm, al raggiungimento dell’età pensionabile, fosse stata determinata, giustappunto, dalla trame di detta associazione segreta».

Senza dimenticare il fatto che l’ex pm aveva mostrato i verbali anche al senatore Nicola Morra e al collega di “corrente” Alessandro Pepe, entrambi estranei al Csm.

«A ciò si aggiunga – scrivono i giudici – che è la stessa cronistoria delle attività investigative sorte a seguito delle rivelazioni dell’avvocato Amara (…) a smentire l’assunto dell’appellante e a far ritenere che l’iscrizione nel registro degli indagati di Amara, Calafiore e Ferraro, sia stata decisa a prescindere dall’intervento del dottor Davigo presso il procuratore generale della Corte di Cassazione»: le indagini erano state avviate, infatti, prima che Salvi contattasse il procuratore di Milano Francesco Greco. L’intervento di “legalità”, dunque, non era servito a niente.