La disfatta morale del Partito democratico di Elly Schlein (linkiesta.it)

di

Il gesto dell’ombrello alla Nato

Il capolista Tarquinio propone lo scioglimento dell’Alleanza atlantica, come Trump, i rossobruni e i grillini. Il problema, però, non è lui: è chi guida il partito, e chi non fa niente per fermare la sua rotta immorale

Negli anni Settanta, timidamente, il Partito comunista italiano cominciò a capire che la Nato non era affatto peggio del Patto di Varsavia, nemmeno dal punto di vista dei comunisti italiani, in particolare quando gli avvinazzati compagni russi provarono, come loro uso e costume, a uccidere il segretario Enrico Berlinguer in Bulgaria.

Alla vigilia delle elezioni del 1976, Berlinguer confessò a Giampaolo Pansa del Corriere della Sera che si sentiva più al sicuro sotto l’ombrello della Nato, e da lì è cominciato un percorso non velocissimo, e spesso pieno di ambiguità oscene, compresa la barzelletta dell’eurocomunismo che giustamente Claudio Martelli definiva «neurocomunismo», verso la trasformazione di un partito eteroguidato da Mosca, anti europeo e anticapitalista, nel partito più europeo, atlantico e neoliberale (per usare una definizione insensata, ma cara ai nostalgici dei soviet) della Repubblica italiana.

Quarantotto anni dopo, il capolista alle Europee del partito erede del Pci che si sentiva più protetto dall’ombrello della Nato, il giornalista Marco Tarquinio già direttore dell’Avvenire, inteso come quotidiano non come Sol, ha fatto il gesto dell’ombrello a Berlinguer e a mezzo secolo di storia della sinistra italiana, e ha proposto di sciogliere la Nato, come un grillino, un Trump o un rossobruno qualsiasi.

In mancanza di un Patto di Varsavia vigente, visto che tutti i paesi che erano costretti a farne parte sanno perfettamente che cosa significa vivere sotto il giogo imperialista di Mosca, e quindi sono entrati o aspirano a entrare nella Nato, il superbo Tarquinio che il Pd ha scelto per guidare le liste europee al Centro Italia evidentemente trova riparo sotto l’ombrello di Bianca Berlinguer e della masnada di retequattristi che la circondano, non con Berlinguer senior né con l’Occidente che ha garantito, protetto e ampliato la pace nel nostro continente da quasi ottant’anni.

Una pace vera, peraltro, non la Russkiy mir dei gulag, delle fosse comuni, degli omicidi politici, della carestia pianificata, delle città rase al suolo, della cancellazione culturale, linguistica e identitaria, degli stupri collettivi, delle finte repubbliche ribelli, delle “leggi russe” per azzerare il dissenso e arrestare gli oppositori.

Per Tarquinio è la Nato a minacciare la guerra, la manovratrice occulta dell’Ucraina, un paese fatto di pedine anonime e non di uomini e donne vere e reali. E mai una volta che lui o altri cattolici, compreso il Papa, o altri rossobruni che popolano i talk show, o altri impostori della geopolitica, che individuino le responsabilità della guerra in colui che l’ha scatenata, che continua a farla, che minaccia di estenderla ad altri paesi, anche con armi nucleari, e che apre ulteriori tensioni con i paesi baltici, con la Moldavia, e con la Georgia, dopo aver già sedato nel sangue l’opposizione belarusiana e anche quella interna russa, parlandone da viva, con i gulag in Siberia o con il novichok all’estero.

Tarquinio e la sua enabler Elly Schlein, che con le sue ultime scelte avrà fatto rivoltare nella tomba il nonno antifascista e radicale Agostino Viviani e anche qualche antenato ucraino da parte di padre, non sono pacifisti come dicono di essere, altrimenti sarebbero a Kharkiv dove i russi uccidono i civili che vanno a comprare i sanitari per il bagno, o a Kyjiv a inaugurare il Salone del libro che si apre senza gli autori uccisi dal Cremlino e senza i libri bruciati dai missili russi, o a Tbilisi dove gli ukase di Putin impongono l’incubo russo e la fine del sogno europeo dei georgiani.

Come diceva Christopher Hitchens, uno che avrebbe potuto insegnare a Schlein che essere di sinistra significa essere prima di ogni cosa antitotalitari, quelli come il gruppo dirigente di Schlein e i capilista Pd non vogliono la pace, vogliono la guerra, solo che tifano per gli avversari.

L’imbarazzo delle persone serie del Pd, che nonostante la disfatta morale causata da Schlein, resta il partito che conta il numero più alto di adulti, è comprensibile, ma a questo punto non è più giustificabile. Non basta prendere le distanze dalle corbellerie di Tarquinio con un tweet.

Il punto non è Tarquinio né Cecilia Strada né gli altri sedicenti pacifisti che più o meno a loro insaputa si impegnano come Trump, come i populisti e come i nazi-stalinisti, per realizzare gli obiettivi strategici dell’imperialismo russo, a cominciare dalla caduta dell’Ucraina nelle mani dei torturatori di Bucha fino all’indebolimento dei processi democratici occidentali e delle società europee che fin qui sono riuscite a tenerlo a bada.

Il punto è Elly Schlein con la sua classe dirigente di studenti fuori corso, inadeguati e irresponsabili, che si agitano se qualcuno sbaglia un pronome e abbracciano strategicamente chiunque suggerisca di abbandonare gli ucraini ai russi e ignori la guerra dichiarata da Putin alla democrazia liberale.

Gli adulti del Pd che stanno a guardare, che provano disgusto sottobanco per le scelte della segretaria, ma che tengono al proprio seggio più che alla libertà dei popoli, arrivati al punto in cui il capolista alle Europee, nel periodo più delicato della storia recente del continente, chiede lo scioglimento della Nato, non sono più esenti da colpe: sono volenterosi complici di Schlein e altrettanto responsabili del prossimo cedimento strutturale della democrazia europea.

Che cosa non torna nel videomessaggio di Meloni su La7 (pagellapolitica.it)

di CARLO CANEPA

FACT-CHECKING
Abbiamo verificato le dichiarazioni fatte dalla presidente del Consiglio in un contestato filmato mandato in onda in vista delle elezioni europee
Il 26 maggio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pubblicato sui social network un suo videomessaggio elettorale trasmesso sull’emittente televisiva La7 in vista delle elezioni europee dell’8 e 9 giugno. Il videomessaggio di Meloni è stato criticato, tra gli altri, dal giornalista Corrado Formigli, che su La7 conduce il programma Piazzapulita.
Secondo Formigli, la leader di Fratelli d’Italia ha «sbeffeggiato» e «insultato» i telespettatori di La7. Meloni ha infatti iniziato il suo videomessaggio criticando la copertura che l’emittente ha dato al suo governo: «Cari telespettatori de La7, è da un po’ che non ci si vede, e però spero di trovarvi rincuorati per lo scampato pericolo della deriva autoritaria, del collasso dell’economia, dell’isolamento dell’Italia a livello internazionale».

Nel filmato, la presidente del Consiglio ha poi rivendicato una serie di risultati che, a detta sua, il governo avrebbe raggiunto da quando si è insediato, invertendo la tendenza nell’economia e nel mondo del lavoro. «Oggi, pur in una situazione difficile, l’Italia è finalmente tornata a crescere più della media europea.

È cresciuto l’export, è sceso lo spread e la borsa italiana nel 2023 è stata la migliore in Europa. Ma soprattutto abbiamo toccato il tasso di occupazione più alto di sempre, aumentano i contratti stabili, aumenta l’occupazione femminile, diminuisce il rischio di povertà, e dopo tre anni i salari sono tornati a crescere più dell’inflazione», ha dichiarato Meloni.

Al di là della polemica con La7, abbiamo verificato che cosa c’è di vero e che cosa no nelle parole della leader di Fratelli d’Italia.

La crescita del Pil

Partiamo dell’andamento dell’economia. Secondo Eurostat, nel 2023 il Pil italiano è cresciuto dello 0,9 per cento rispetto all’anno precedente, mentre la crescita media dell’Unione europea è stata pari allo 0,4 per cento. L’anno scorso 12 Paesi Ue sono comunque cresciuti più dell’Italia, tra cui la Spagna (+2,5 per cento), mentre la Francia è cresciuta meno (+0,7 per cento) e in Germania il Pil è lievemente sceso (-0,2 per cento). Ma anche nel 2022 e nel 2021, due anni in cui ha governato perlopiù il governo Draghi, il Pil italiano era cresciuto più della media europea.

Le previsioni per il 2024 sono meno ottimistiche. Secondo le previsioni di primavera della Commissione europea, pubblicate il 15 maggio, quest’anno il Pil italiano cresceràdello 0,9 per cento, poco meno della media europea (+1 per cento). Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), la crescita italiana sarà meno alta, e pari al +0,7 per cento.

L’export resta fermo
Secondo Meloni, grazie al suo governo l’export italiano è cresciuto. I dati più aggiornati le danno torto.

Secondo il Ministero degli Esteri, nel 2023 le esportazioni italiane verso l’estero hanno raggiunto un valore pari 626,2 miliardi di euro, la stessa cifra raggiunta l’anno prima. Come si vede nel Grafico 1, le due barre blu – che indicano il valore dell’export – sono alte uguali.

Grafico 1. Interscambio commerciale dell’Italia con l’estero, valori in milioni di euro – Fonte: Ministero degli Esteri

(Grafico 1. Interscambio commerciale dell’Italia con l’estero, valori in milioni di euro – Fonte: Ministero degli Esteri)
Di recente, anche l’Istat ha evidenziato che lo scorso anno non ci sono stati particolari cambiamenti nel valore delle esportazioni italiane. «Nel 2023, rispetto all’anno precedente, l’export nazionale in valore risulta stazionario ed è sintesi di dinamiche territoriali molto differenziate: l’aumento delle esportazioni è marcato per il Sud (+16,9 per cento) e più contenuto per il Nord-ovest (+2,4 per cento), mentre si registra una flessione per il Nord-est (-0,8 per cento) e il Centro (-3,1 per cento) e una netta contrazione per le Isole (-19,2 per cento)», ha scritto Istat in un report pubblicato ad aprile.
L’andamento dello spread
Nel videomessaggio su La7 la presidente del Consiglio ha detto che con il suo governo il valore dello spread è sceso. Ricordiamo che lo spread indica la differenza tra il rendimento dei Btp, ossia i titoli di Stato italiani con scadenza a dieci anni, e quello dei suoi corrispettivi tedeschi, i Bund. Di norma, un aumento dello spread è interpretato come un peggioramento della fiducia nei titoli di Stato italiani da parte degli investitori, mentre un calo dello spread è letto come un aumento della fiducia.
Il 22 ottobre 2022, quando si è insediato il governo Meloni, lo spread valeva233 punti base: c’era una differenza del 2,33 per cento tra il rendimento dei titoli italiani e quello dei titoli tedeschi. Oggi lo spread vale circa 130 punti base, con una differenza dell’1,3 per cento tra il rendimento dei titoli italiani e quello dei titoli tedeschi. Come mostra il Grafico 2, lo spread ha avuto un andamento altalenante durante il governo Meloni: inizialmente è calato, durante l’autunno del 2023 è tornato a salire, per poi tornare a scendere.
Grafico 2. Andamento dello spread dal 22 ottobre 2022 al 27 maggio 2024 – Fonte: Il Sole 24 Ore

(Grafico 2. Andamento dello spread dal 22 ottobre 2022 al 27 maggio 2024 – Fonte: Il Sole 24 Ore)
Come abbiamo spiegato in un altro articolo, lo spread è calato in altri Paesi europei e un ruolo in questa dinamica lo ha avuto soprattutto il peggioramento delle condizioni economiche della Germania, che hanno fatto aumentare il rendimento dei titoli di Stato tedeschi, restringendo lo spread.
La crescita della borsa
È vero, come dice Meloni, che nel 2023 la borsa italiana «è stata la migliore in Europa». L’anno scorso il FTSE MiB, il principale indice italiano che raggruppa le più grandi società quotate del Paese, è cresciuto di più degli altri indici borsistici europei.
Meloni esagera però nel prendersi i meriti dell’andamento della borsa. I mercati sono infatti influenzati da molti fattori esterni, come gli eventi globali e le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime, su cui si basano le scelte di molti attori, dalle imprese agli investitori internazionali. Se il valore della borsa italiana è aumentato in un anno, questo non è automaticamente merito del governo italiano e delle misure economiche che ha adottato.

Tra l’altro, una parte della crescita della borsa è stata frutto della crescita degli indici bancari. Nel 2023 molte banche italiane hanno registrato utili molto più alti rispetto all’anno precedente, per effetto dell’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Banca Centrale Europea (BCE). La crescita degli utili ha avuto un riflesso anche in borsa, con la crescita appunto dei titoli degli istituti finanziari. La stessa Meloni, però, ha più volte criticato gli utili in più fatti dalle banche, tanto che ad agosto 2023 il suo governo aveva annunciato l’introduzione di una tassa sui cosiddetti “extraprofitti”. Nelle settimane successive, il governo ha fatto marcia indietro, di fatto eliminando l’imposta straordinaria.

Il mercato del lavoro

Meloni ha ragione quando dice che è stato toccato il «tasso di occupazione più alto di sempre», che aumentano i contratti stabili e l’occupazione femminile.

Secondo Istat, in Italia ci sono quasi 23,9 milioni di occupati, 600 mila in più rispetto a quando si è insediato il governo Meloni. Questo è il numero di occupati più alto dal 2004, da quando sono disponibili i dati mensili. Il tasso di occupazione (15-64 anni) è al 62,1 per cento, anche questo un record (sebbene resti la percentuale più bassa tra i Paesi dell’Unione europea). I lavoratori a tempo indeterminato sono circa 16 milioni, 700 mila in più rispetto a quando si è insediata Meloni e da agosto 2023 il numero di occupati donne è superiore ai 10 milioni, risultato mai raggiunto prima.

A differenza di quanto lascia intendere Meloni nel suo videomessaggio, l’aumento del numero degli occupati e del tasso di occupazione non è però iniziato con l’insediamento del suo governo. Il miglioramento dei dati del mercato del lavoro è infatti iniziato nei primi mesi del 2021, durante il governo Draghi.

La povertà scende o sale?

Meloni ha rivendicato anche un altro risultato: secondo lei, in Italia è diminuito il rischio di povertà. Come abbiamo spiegato in un altro fact-checking, a inizio marzo Istat ha pubblicato un report in cui ha stimato che nel 2023 è in effetti calato il rischio di povertà nel nostro Paese. Senza entrare troppo nei dettagli, questo indicatore quantifica la percentuale di persone che vive in famiglie con un reddito inferiore alla soglia di rischio di povertà. Secondo Istat, questa percentuale è calata nel 2023 rispetto all’anno prima, ma grazie a misure che erano state introdotte prima dell’insediamento del governo Meloni (tra cui l’assegno unico universale) e che l’attuale governo ha solo modificato in parte. In più, già nel 2022 – quindi durante il governo Draghi – Istat aveva stimato un calo del rischio di povertà in Italia.

Nel suo videomessaggio Meloni ha omesso un altro dato importante per comprendere l’andamento della povertà nel nostro Paese. Secondo le stime preliminari più aggiornate di Istat, nel 2023 è leggermente aumentata la percentuale di cittadini e di famiglie che vive in povertà assoluta (Grafico 3). È considerato in “povertà assoluta” chi non raggiunge una soglia di spesa mensile ritenuta necessaria per avere uno standard di vita accettabile (questa soglia varia a seconda della zona dove si vive e dal numero di componenti del nucleo familiare).

Grafico 3. Incidenza della povertà assoluta familiare e individuale in Italia, anni 2014-2023 – Fonte: Istat

(Grafico 3. Incidenza della povertà assoluta familiare e individuale in Italia, anni 2014-2023 – Fonte: Istat)

Il rapporto tra salari e inflazione

Infine, la presidente del Consiglio ha detto nel suo videomessaggio su La7 che, grazie al suo governo, «dopo tre anni i salari sono tornati a crescere più dell’inflazione». Con tutta probabilità, Meloni ha fatto riferimento a un dato contenuto nel nuovo “Rapporto annuale” di Istat, pubblicato il 15 maggio, dove però c’è scritta una cosa un po’ diversa.

«Dopo un periodo di quasi tre anni, la dinamica tendenziale delle retribuzioni contrattuali è tornata, a ottobre 2023, a superare quella dei prezzi, grazie alla continua decelerazione dell’inflazione. In media di anno, tuttavia, la crescita salariale è risultata ancora inferiore a quella dell’inflazione», ha sottolineato Istat. «Le retribuzioni contrattuali orarie nel 2023 sono aumentate del 2,9 per cento, in rafforzamento rispetto al 2022 (1,1 per cento). I prezzi al consumo, seppure in decelerazione, hanno comunque segnato nel 2023 una crescita del 5,9 per cento, che ha determinato un ulteriore arretramento in termini reali delle retribuzioni». In parole semplici, negli ultimi mesi del 2023 c’è stato un miglioramento, ma non abbastanza per compensare la crescita dell’inflazione, che è comunque rallentata.

LEGGI ANCHE: Alla fine l’Ocse ha smentito Meloni sulla crescita record del reddito delle famiglie

Il referendum sull’articolo 18. C’è chi è aggrappato al passato (italiaoggi.it)

di Marco Bianchi

Dinosauri

Qualsiasi straniero che all’improvviso piombasse nel nostro Paese senza nulla conoscere, imbattendosi in uno dei tanti sproloqui sul lavoro di Landini (a cui molto spesso si accodano Conte, Schlein e compagni) si chiederebbe di certo se la macchina del tempo lo abbia proiettato all’indietro.

Eh già, perché non c’è niente di più arcaico, inutile, datato, antico dei proclami che si ascoltano dagli esponenti della sinistra italiana.

Bollare come “aumento del precariato” gli oltre nuovi 500mila assunti (quasi tutti a tempo indeterminato) sarebbe errato, se non fosse fatto in malafede. Definire “lavoro povero” quello di chi è regolarmente assunto con applicazione di Ccnl con paga oraria di 8,50 euro, è populista e fa parte della eterna campagna elettorale.

Rimpiangere il Reddito di Cittadinanza, per il quale sono stati dilapidati decine e decine di miliardi, significa non avere come visione del futuro una popolazione giovane proattiva che si cerca il lavoro. Ma il capolavoro è il Referendum per il ripristino dell’art. 18.

Secondo i promotori del quesito referendario questo articolo (abrogato dal Job Act) è la barriera contro i licenziamenti selvaggi. Mentre per chiunque abbia un minino raziocinio è un capolavoro di becera inutilità e di furore ideologico, ma dalla praticamente nulla valenza sostanziale. In un altro mondo, in un’altra Italia, in un’altra epoca ha avuto anche una sua logica, pur irrigidendo (e non poco) il mercato.

Ma il problema attuale dei lavoratori non sono certo i licenziamenti selvaggi, anzi al contrario. Oggi il lavoro c’è, ma mancano i lavoratori. Oggi in Italia abbiamo infatti un esubero di offerta di lavoro, ma non abbiamo i lavoratori con le competenze adatte a occupare quei posti di lavoro.

Nei prossimi mesi UnionCamere prevede la disponibilità di circa 1,6 milioni di posti di lavoro disponibili, ma è già noto che la maggior parte non saranno occupati per mancanza dei profili specialistici richiesti.

Oggi il problema non sono i licenziamenti, ma l’assenza delle necessarie competenze. E davanti a questa palese e oggettiva realtà gli anacronistici sinistri scioperano, protestando contro il JobAct e contro il lavoro precario.

In che mondo vivano non è dato sapere, ma di certo lo sanno i loro ex iscritti che a frotte non rinnovano più la tessera aderendo ad altre organizzazioni sindacali.

D’altronde, come si fa a restare iscritti a un associazione che guarda al futuro con lo sguardo e le idee rivolte al passato?

(italiaoggi)

Il Far West (Wing) della comunicazione (corriere.it)

di Aldo Grasso

Padiglione Italia

Un tempo si diceva «nessuna nuova, buona nuova». Ma oggi, specie in politica, non è più così: ogni giorno c’è bisogno di una notizia qualunque per non spingere i media e l’opinione pubblica a pause di riflessione.

In «The West Wing», una serie che dovrebbe essere adottata come testo in tutte le facoltà di Scienze Politiche, l’addetta stampa della Casa Bianca C.J. si rivolge al vice capo dello staff del Presidente per ricordargli che «No news, is very, very bad news» (dodicesima puntata quinta stagione).

Per stornare l’attenzione, il caso del redditometro è esemplare. Prima il viceministro Maurizio Leo pubblica in Gazzetta Ufficiale un decreto ministeriale. Poi interviene la premier Giorgia Meloni per sospenderlo, sostenendo di essere «sempre stata contraria a meccanismi invasivi di redditometro applicati alla gente comune».

Da Trento, il sottosegretario Federico Freni, leghista, garantisce che nessun Grande Fratello metterà mai le mani in tasca (agli evasori?). Un redditometro alla vigilia delle elezioni? Maurizio Lupi spiega che «a volte oltre alla sostanza va prestata attenzione anche alla forma».

In effetti, c’è una confusione formale e ce n’è una sostanziale. C.J. si chiede se esista una metafora sportiva per descrivere questa strategia di comunicazione.

Noi ce l’abbiamo, è dell’ex allenatore Eugenio Fascetti e si chiama «casino organizzato».