Parenzo: “Europee? Gli euroscettici sono spariti. Il mondo al contrario ha rotto le balle” (ilfoglio.it)

FESTA DELL'INNOVAZIONE

Il conduttore televisivo all’evento del Foglio: “La cosa che mi fa più paura è la nazificazione di Israele”

Quelli che 5 anni fa volevano distruggere l’Europa per fortuna non li abbiamo visti più. Europee? Non cambierà niente“. Così il giornalista David Parenzo ha commentato la campagna elettorale per le europee, nel corso dell’intervento alla Festa dell’Innovazione.

“Lo scenario meno cupo di cinque anni fa”, ha detto il conduttore dell’Aria che tira. “Chi ha fatto peggio? I leader che si sono candidati e che non vanno. Do loro un giudizio pessimo. Solo in 2-3 paesi ci sono i leader che si candidano e poi non ci vanno. Pessimo esempio scrivere Giorgia Elly e poi non ci vai“. Essere politicamente scorretti è ancora un’innovazione? “Penso che anche alla Zanzara bisognerebbe parlare come si parla alla Treccani. 12 anni La Zanzara era una cosa innovativa, la sfida è cambiare tono. Il mondo al contrario mi ha rotto le balle”, ha proseguito Parenzo.

Con il giornalista è stata l’occasione anche per parlare del clima di odio che si respira nei confronti degli ebrei. E’ pericoloso essere ebreo oggi? “Nella mia infanzia non ho mai vissuto nessun episodio di antisemitismo. oggi, invece l’aver dovuto togliere dalla divisa della scuola dei miei figli un simbolo ebraico è stato difficile, pesante”, ha testimoniato Parenzo. Qual è il confine tra critica e intolleranza? La violenza. Adoro la dialettica, la contestazione, mi dispiace che nessuno mi stia contestando adesso. Questo è un po’ il segno dei tempi. Quel che mi fa più paura è la nazificazione di Israele. Di solito mi sento fuori luogo ma qui, a casa del Foglio, che è fuori luogo per definizione, mi sento a casa”.

Mentana replica al Fatto (infosannio.com)

Meloni “Nessuna ‘impar condicio’: 

Il mio Tg ha solo rispettato le regole

Caro Marco, mi chiedi “Enrico, perché?”.

Ma dal resto dell’articolo sembra solo una domanda retorica. E invece esige una risposta molto lontana dalle certezze degli haters. D’intesa con la direzione di rete e l’editore abbiamo ospitato la premier Meloni perché nella stessa ultima settimana di campagna elettorale i programmi della 7, di cui ho la responsabilità di legge, hanno intervistato, e a lungo, per 5 volte Conte e per 4 la Schlein, e nessuna Meloni o altri esponenti del suo partito.

Eravamo corsi ai ripari invitando i leader di tutte le liste in prima serata tra giovedì e venerdì con quest’ultima serata dedicata alle sei formazioni maggiori, stando all’ultimo sondaggio. Ma martedì ci è stata notificata l’impossibilità di Meloni a esserci perché impegnata con Mattarella a presenziare alla contemporanea celebrazione all’Arena di Verona.

Siamo stati allora noi di La7 a attivarci per averla mercoledì, proponendo lo spazio nel Tg. L’impar condicio si sarebbe verificata se non l’avessimo potuta ospitare, e con essa sarebbe arrivata inevitabile la sanzione dell’Agcom.

Quanto al giudizio sferzante sulla qualità dell’intervista, non spetta a me metterlo in discussione. Sono però sicuro di aver speso lo stesso numero di minuti e adottato la stessa modalità di confronto di tutte le altre successive, con Schlein, Conte, Salvini, Tajani, Fratoianni, Renzi, Calenda, Santoro, De Luca e Bandecchi, perché penso che nelle interviste alla fine della campagna elettorale sia giusto permettere ai candidati di esporre senza confronti muscolari col conduttore le loro posizioni.

Può piacere o non piacere ma è la modalità che ho scelto anche nel finale delle altre campagne elettorali, come chiunque può agevolmente verificare sul sito Rivedila7.

Ti faccio solo notare che nessun esponente di nessuna forza politica ha mosso alcun rilievo per l’invito o i contenuti dell’intervista a Meloni. Eppure secondo la vostra narrazione i primi danneggiati sarebbero stati loro…

Quanto al paragone con l’allora premier Conte, sei stato tradito dalla tua memoria.

Non si trattava di una conferenza stampa ma di un discorso agli italiani a reti unificate sulle misure anti Covid, in cui la risposta a attacchi dell’opposizione era fuori luogo, come scrisse anche Cacciari sul tuo giornale.
Buon lavoro

Ingiustizia minorile, il decreto Caivano è la risposta sbagliata e solo repressiva del Governo (ilriformista.it)

di Gian Domenico Caiazza

L'editoriale di PQM

Con la solita grancassa mediatica che accompagna i provvedimenti securitari il Parlamento ha, qualche mese fa, convertito il cosiddetto decreto Caivano (legge 159/2023). Il provvedimento governativo era stato licenziato con il significativo titolo “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”.

Quattro le direttrici, tutte repressive, della riforma: daspo urbano esteso al minore degli anni 18, che dunque può essere allontanato dal territorio del Comune con provvedimento del Questore; misure di prevenzione applicate ai minori per reati commessi attraverso i social network; ampliamento delle ipotesi per le quali è possibile la custodia cautelare nei confronti dell’indagato minorenne; nuovi limiti e ostatività per il percorso di messa alla prova.

L’iniziativa legislativa era nata sull’onda di una reazione emotiva a gravi fatti di cronaca che all’epoca coinvolsero minori, autori e vittime di reato.

Quegli accadimenti hanno perso la loro centralità mediatica lasciando il posto ai pesanti effetti dell’applicazione dell’ennesima normativa emergenziale: sensibile aumento dei giovanissimi detenuti nei 17 IPM al punto che anche quel circuito carcerario oggi presenta il fenomeno del sovraffollamento di cui prima non aveva sofferto con il suo carico di tensioni e di dinamiche violente; la nuova legge, poi, consente l’immissione dei giovani detenuti, una volta raggiunta la maggiore età, nel circuito carcerario ordinario incidendo così in modo spesso irreparabile sulle loro giovani vite.

Altra conseguenza dell’applicazione delle nuove norme è la maggiore difficoltà alla ammissione ai percorsi alternativi che nel processo minorile servono a evitare l’impatto della pena sui giovani imputati, così da realizzare attraverso di essi la finalità rieducativa della sanzione. Ai danni arrecati da questo approccio legislativo hanno reagito associazioni come Antigone, da sempre impegnate nella difesa dei diritti anche dei giovani detenuti.

L’Unione delle Camere Penali Italiane ha costituito uno specifico Osservatorio per garantire un focus continuo sulla giustizia minorile. La stessa giurisdizione dei minorenni ha evidenziato tutte le criticità delle nuove norme. L’Accademia ha sottolineato la contraddizione e l’inversione di rotta delle misure del decreto Caivano, cogliendone i profili di incompatibilità con le garanzie e gli obbiettivi costituzionali.

Non disperdere il peculiare patrimonio di esperienza della giustizia minorile e affermare una cultura giuridica che sappia al contempo misurarsi con il crescente disagio giovanile non rinunciando a regole e princìpi nel momento dell’accertamento penale, è ciò che si deve contrapporre ad una società non dialogante che mostra di saper esprimere solo risposte repressive.

PQM di questo si occupa in questo numero. Buona lettura.

Ci sono conflitti senza indignazione (italiaoggi.it)

di Valter Vecellio

Filo di nota

Un giorno è il sindaco di Bologna che espone la bandiera palestinese sulla facciata del Comune; il giorno dopo la stessa bandiera viene issata sul Duomo di Milano…

per non dire delle manifestazioni, delle occupazioni di aule universitarie. Commuove e indigna quello che accade a Gaza e patisce la popolazione palestinese.

È giusto. Meno giusto non aver esposto i manifesti con i volti degli ebrei rapiti, torturati, uccisi da Hamas. Lo ha detto una volta Paolo Mieli: se si tratta di ebrei commozione e indignazione durano tre giorni (quando va bene).

Su ordine di Putin sono stati rapiti circa ventimila bambini ucraini, letteralmente deportati, vittime di una brutale e sistematica opera di “rieducazione”. Se ne occupa solo la diplomazia vaticana, con cautela e discrezione; magri i risultati: ne sono tornati per ora solo poche centinaia. Sono oltre un milione i minori in fuga dalle bombe russe in Ucraina. Per loro nessuna commozione, indignazione.

Sono 200 milioni i minori che vivono in zone dove si combattono guerre e si affrontano livelli di fame senza precedenti: dal 2020 il loro numero è aumentato di quasi il 20 per cento. Conflitti a causa dei quali milioni di persone muoiono, e nessuno si commuove, indigna. Non si parla più di Afghanistan dove i talebani hanno riconquistato il potere dopo il ritiro degli Stati Uniti. Si uccide e si muore in Nigeria. Si uccide e si muore in Myanmar: l’hanno definita “la guerra più sconosciuta del mondo”, un conflitto “a bassa intensità.

In Siria la guerra è cominciata con le proteste nel 2011 contro il regime di Bashar al-Assad; migliaia di civili massacrati e non se ne vede la fine. In Etiopia si combatte e si muore dal novembre 2020. In Yemen la guerra tra sciiti e sunniti secondo l’Onu, ha provocato almeno 400mila morti. Un elenco sterminato di guerre dimenticate.

Se ne può ricavare amarissima lezione: per questi conflitti non ci si può scagliare contro gli Stati Uniti e/o Israele. Dunque, non hanno diritto alla nostra commozione, alla nostra indignazione.

La politica che si specchia nella politica (corriere.it)

di Aldo Grasso

Padiglione Italia

La verità ormai è simile a una fake news, quasi un delirio

Il problema è Trump o siamo noi? Donald Trump è stato condannato da un tribunale di New York per avere falsificato documenti allo scopo di nascondere una relazione con una pornostar.

È ancora sotto processo per il tentativo di falsare l’esito del voto, da cui è uscito sconfitto, e per aver istigato l’assalto dei suoi sostenitori a Capitol Hill (in cui sono morte cinque persone). Eppure, poche ore dopo la sentenza di colpevolezza, il sito utilizzato dalla sua campagna per le donazioni è andato in tilt per eccesso di traffico.

I suoi sostenitori hanno inondato il web con appelli a rivolte e ritorsioni violente. Uno scenario da «Civil War», l’elezione del presidente è un salto nel buio.

La verità ormai è equiparata a una fake news, da corredo etico della democrazia si è trasformata in un pregiudizio irrazionale. Così, la politica è diventata una sorta di simulazione necessaria per la conquista del potere. Da tempo, ha abbandonato i processi razionali e il bene comune: il fine della politica resta la politica stessa. La verità si ammanta dell’aggettivo «indiscussa» per farsi delirio impalpabile di onnipotenza o di martirio, arte del millantare.

Anche noi abbiamo i nostri piccoli Trump e li voteremo nonostante le parole non abbiano più nulla a che fare con la verità, ma con la suggestione, gli slogan, le imposture.

Servivano le chat di Diabolik per scoprire che i fascisti sono fascisti? (linkiesta.it)

di

La voce degli ultrà

Dalle conversazioni del capo ufficio stampa di Lollobrigida, Paolo Signorelli, sono venute fuori le relazioni tra la destra istituzionale e quella eversiva.

Perché purtroppo in questo Paese il guardonismo è l’unico innesco dell’allarme democratico

Uno degli effetti perversi di quell’etica della spiata, che è il prodotto morale dop della stampa giudiziaria italiana, è di abituare i lettori a vedere solo le cose che possono guardare dal buco della serratura di un’inchiesta e dalle carte trafugate o miracolosamente semoventi, come quelle che «Repubblica ha potuto leggere» – recita umilmente il quotidiano Gedi – e che riportano le conversazioni tra Diabolik e il capo ufficio stampa del ministro Francesco Lollobrigida, Paolo Signorelli.

Ne vengono fuori, come è ovvio, due fascisti uniti dalla passione calcistica e da un superfascistico odio ultrà per gli ebrei e per qualunque nemico, in divisa o togato, degli onorevolissimi camerati in galera.

In un Paese normale, che l’Italia non è, dovrebbe stupire il fatto che serva una spiata pre-elettorale per “scoprire” le relazioni pericolose tra la destra istituzionale e quella eversiva e la provenienza di entrambe dal quel coté criminale e affaristico che rappresenta da decenni il cuore nero della Capitale, che è sotto gli occhi di tutti e di cui si possono ricostruire con precisione millimetrica genealogie familiari e ideologiche, anche in modo meno grossier di Repubblica, che mette ancora in un unico fascio tutti gli ex protagonisti dell’eversione anni Ottanta e che non vede, ad esempio, la differenza tra la parabola di Valerio Fioravanti e quella di Massimo Carminati, giacché non solo a destra, ma pure a sinistra un fascista è per sempre.

Visto però che il guardonismo è l’unico possibile innesco dell’indignazione civile e dell’allarme democratico, si continua a pensare che dalla velina giusta possa arrivare l’innesco di una miracolosa remuntada.

D’altra parte, la necessità di scoprire quello che è del tutto manifesto risponde all’esigenza di giustificare la spiegazione sbagliata che si continua a dare del successo politico-elettorale della nuova e vecchia fascisteria italiana: che vinca, per così dire, per errore altrui; perché dissimula nei doppiopetti e nei tailleur presidenziali e ministeriali la propria anima impresentabile; perché – insomma – fa finta di non essere quello che è.

Purtroppo, la spiegazione giusta di tutto questo successo è quella peggiore ed è che i fascisti vincono proprio perché sono fascisti e perché nell’Italia debilitata dalla pestilenza populista si è tornati coerentemente alla matrice della storia nazionale post-democratica.

Si pensi a come Giorgia Meloni si dissocia provocatoriamente dal paradigma anti-fascista del discorso politico democratico, badando bene a non sposare il ripudio finiano del “fascismo come male assoluto” e a costruire, al contrario, una sorta di “contro-Fiuggi”.

Si guardi a come nel vero campo largo della politica italiana, che affascia trasversalmente i nemici della società aperta e dell’Occidente, ci si batte in queste ultime ore prima del voto per raschiare il fondo del barile di quel voto naturaliter fascista, che è il “voto contro”.

Questo dovrebbe ampiamente dimostrare quanto vana sia l’illusione di strappare ai fascisti il voto della brava gente, essendo la stessa brava gente un’ipostasi fascista quant’altre mai, anche quando ha finito per coincidere con l’immagine del progressista collettivo in estasi davanti alla rivoluzione delle manette e ai formicai politici grillin-casaleggiani.

Mentre ieri Signorelli si autosospendeva dall’incarico ministeriale – passate le elezioni vedremo che succederà – Roberto Vannacci galvanizzava il proprio pubblico tornando a inneggiare alla Decima Mas, proprio per contendere alla destra quei voti fascisti delusi dall’istituzionalismo obbligato di Meloni.

L’Italia, oggi, è questa cosa qui e il successo dei nuovi e vecchi fascisti è il risultato di una degenerazione politica di cui i fascisti e post-fascisti di più originale ceppo, come il Ministro cognato, non sono i primi, né i soli responsabili.