Goebbels: il suicidio della Germania (doppiozero.com)

di Claudio Piersanti

Perché occuparsi di un mostro psicopatico come 
Joseph Goebbels?

Uno squallido narcisone servile che non avendo niente da offrire allo specchio si trasformava in Ombra del Supremo e suo Grande comunicatore all’universo mondo (pronto a essere conquistato dal superuomo coi baffetti di pura razza ariana).

Personalmente, pur comprendendo la sua innegabile modernità diciamo così mediatica, sul piano psicopatologico (l’esplosione del narcisismo di massa) e su quello della comprensione dei meccanismi di coinvolgimento emotivo del popolo o pubblico che lo si voglia definire, faccio fatica a misurarmi con i suoi miseri ragionamenti. Mi interessa molto di più, forse addirittura in modo morboso, il pubblico che lo esalta. Certo, l’evento è stato preparato con cura maniacale, ci saranno state delle prove ma il grido della folla è unanime.

La stessa folla che ha decretato la fine di Weimar, la stessa che a Roma ha inneggiato al Duce che dichiarava guerra qua e là. Cosa c’è di più visto e stravisto di una folla beota? Per dare un minimo di profondità storica del fenomeno farò inevitabilmente il nome di Barabba. Il popolo sceglie sempre Barabba. Getta il Gesù del momento con l’acqua sporca.

Come è possibile che il popolo più colto d’Europa, la Germania, abbia adorato un violento psicopatico come Hitler, circondato da una banda servile di mediocri, morfinomani e pazzi? Invocando scemenze come la razza ariana e simili, e riuscendo a creare nemici inesistenti (esattamente come Putin attualmente, che chiama il popolo a una difesa che non ha attaccanti) e soprattutto occulti.

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Il capitalismo-comunismo-giudaico-massonico. La piazza del Duce è più pecoreccia, e a nessuna persona perbene verrebbe in mente Cicerone sentendolo parlare. Pecoreccio il popolo e pecoreccio il fantasmagorico Duce, campione dell’arte tutta italiana del trasformismo.

Però Berlino tra le due guerre non è terra di sprovveduti. Il popolo che si raduna per ascoltare quello che veniva considerato il portavoce del nazismo, il capo indiscusso della comunicazione, il 18 febbraio 1943 nell’immenso palasport di Berlino, ha letto Goethe e Schiller, ascoltato Bach e Beethoven, apprezza l’arte, è cresciuto tra grandi filosofi, immensi poeti… Se ci sono domande senza risposta questa è la prima: non capiremo mai (esattamente) perché.

Peter Longerich con il suo Goebbels e “la guerra totale” (Einaudi 2024) ha isolato questo momento storico preciso per un ottimo motivo: il 1943 è anno infausto, per il Führer, è l’inizio della fine, e di ogni opera, storica o di fantasia, è importante che la fine sia ben raccontata, perché ognuno (ogni popolo, anche) la vive a modo suo. Nella sua precedente monografia Joseph Goebbels, pubblicata da Einaudi nel 2016 era già ampiamente narrato questo comizio del ’43, ma qui lo pubblica integralmente, commentandolo in ogni passaggio.

Perché è importante questo discorso? Perché avviene quando la sconfitta di Stalingrado annuncia la fine della follia nazi-fascista. Come parlarne? Cosa dire al popolo che si sentiva ormai padrone del mondo? Le interpretazioni prevalenti dell’epoca riguardano l’inadeguatezza degli alleati, italiani in primis. Goebbels arricchisce l’interpretazione aggiungendo il suo inestinguibile antisemitismo: dietro le quinte del mondo occidentale si muovono, diabolici, i potentissimi ebrei che hanno “infettato il mondo”.

Sono loro che controllano le leve del potere negli Stati Uniti e in Inghilterra. Forse soltanto Hitler coglie il motivo reale: l’imprevedibile risposta del popolo russo. Ottusi ma ostinati fino all’inverosimile, li definisce. Il grande scrittore russo Vasilij Grossman, con i suoi romanzi e i suoi reportage, ha dedicato la vita e il suo tormentatissimo lavoro a questa semplice verità: Stalingrado non è una vittoria di Stalin, che peraltro era stato responsabile della catastrofe iniziale dell’invasione tedesca alla quale non credeva, ma di un popolo.

Dopo essersi alleato con Hitler e dopo aver occupato insieme alla Wermacht la Polonia, Stalin si ritrova con i tedeschi in casa e un’Armata Rossa quasi senza ufficiali, finiti in gran parte nei Gulag perché troppo vicini ai rivoluzionari delle origini (Lev Trotsky in primis). Goebbels da tempo cerca di coinvolgere il suo idolatrato Führer in un suo elaborato teorico che si riassume nel concetto di “Guerra totale”.

C’è anche un esplicito ritorno alle origini del NSDAP, il partito nazista. Soprattutto nella scelta del luogo simbolo, teatro di tante manifestazioni vittoriose, spesso filmate dalla famosa Leni Riefenstahl, la documentarista amica di Hitler ma che non condivideva il feroce antisemitismo di Goebbels.

Nel suo documentario dedicato alle olimpiadi di Berlino del ’36 (Olympia) mostra addirittura, e con ammirazione, e a lungo, le imprese medagliate di Jesse Owens, afroamericano atleta di punta della delegazione statunitense. Forse è per questo che del comizio del ’43 non c’è un filmato integrale. Soltanto pochi frammenti dei cinegiornali, in cui Goebbels agita il braccio e mostra una sicumera che il suo misero corpo non sostiene. È zoppo, ha un piede deforme, un’ambizione smisurata pari soltanto alla sua ottusa adorazione del Capo.

Quando decide di lasciare moglie e sei figli non ancora adolescenti per mettersi con un’attrice il Führer lo convince a restare con la famiglia e lui fa sparire l’amante e cancella la sua passione. Decisione fatale per l’intera famiglia, avvelenata poco dopo il suicidio di Hitler, che gli concederà persino il comando della difesa di Berlino, e per poche ore il suo stesso ruolo di comandante totale.

Nello stesso momento in cui Goebbels declama il suo discorso agguerrito e folle, quelli che dovevano essere spazzati via prima dell’inverno, i sovietici con i loro sempiterni suggeritori ebrei, stanno avanzando con le loro truppe verso la Germania. Il fronte orientale è crollato.

Non può nasconderlo. Parlavo di un ritorno alle origini “rivoluzionarie” del nazismo in questo discorso: non tutti i tedeschi hanno contribuito abbastanza alla guerra. I figli delle famiglie altolocate non sono tutti al fronte. Gli uomini, in generale, non sono tutti al fronte. Questa è la guerra totale “oltre ogni immaginazione”.

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Gli uomini in guerra, le donne al lavoro. La folla grida ripetutamente questo slogan. Letteralmente incredibile la faccia tosta di Gobbels quando parla dell’attacco bolscevico alla Sesta armata di Paulus! Nella fiaba che racconta a se stesso e al popolo osannante il lupo sovietico ha aggredito i prodi soldati tedeschi, unici difensori delle civiltà occidentali, purtroppo anch’esse infiltrate dai soliti infidi banchieri ebrei e da capitalisti-comunisti.

Se vincerà l’asse pluto-comunista-ebraico la Germania verrà distrutta, i suoi mirabili campi arati e ben coltivati depredati, gli uomini torturati e costretti a lavorare in schiavitù. Come non sovrapporre a queste parole deliranti quelle di Putin che si dichiara aggredito dai nazisti ucraini? Sono le parole dei dittatori, che non potrebbero vivere senza una radicale falsificazione della storia.

Chi volesse azzerare la storia dovrebbe rendersi conto che anche attualmente il mondo è dominato in buona parte da regimi totalitari. Se è vero che il nazi-fascismo è un fenomeno storico concluso, è altrettanto vero che il nazional-populismo in grande espansione planetaria è e sarà sempre il preambolo necessario ai regimi totalitari e alle guerre. Almeno questo dovremmo averlo imparato.

Cos’altro dice Goebbels agitando hitlerianamente il suo modesto pugno? In fondo tutto il discorso non è altro che una chiamata alle armi e una verifica della fedeltà al Führer e al progetto. Si rivolge al pubblico, stimola le sue risposte, pronte e gridate. “Siete disposti a seguire il Führer nella buona e nella cattiva sorte fino alla vittoria?” Sì! tuona la folla. “Se necessario volete una guerra più totale e radicale di quanto possiamo immaginare?” Sì! urla la folla, nel palasport e davanti alle radio e agli altoparlanti disseminati ovunque.

Parla chiaro, promette una vittoria del tutto immaginaria ma annuncia che il prezzo da pagare sarà alto. Del resto, oltre il nazismo, lo scrive nei suoi diari (che nella loro ampiezza sono diventati essenziali per gli storici del nazismo), non c’è più vita che abbia un qualsiasi senso.

Può addirittura accettare ridacchiando uno squallido lapsus: comincia a dire “Stermin…” prima di correggersi ridacchiando con un più sobrio “estirpare gli ebrei finché si è in tempo.” Grida eccitate, applauso fortissimo, risate: queste le parole che descrivono la reazione del pubblico al lapsus, e su queste bisogna riflettere. Soprattutto sulle risate di scherno. Che dicono la verità più tremenda: il popolo sa perfettamente cosa sta succedendo agli ebrei nei campi di sterminio. Lo sa e lo condivide.

La ferocia antisemita è il cuore palpitante di tutto il suo disgustoso discorso, ed è l’essenza stessa del nazifascismo. Condivide anche le sferzate del viceführer: “Oggi non si tratta più di mantenere uno standard di vita elevato a spese della nostra capacità di difesa (sic!) contro l’Est, quanto di rafforzare la nostra capacità di difesa a spese di uno standard di vita interno ormai non più conforme ai tempi.

La guerra totale è quindi imperativo del momento! (grida, applausi…) Dobbiamo metter fine all’atteggiamento borghese che abbiamo visto anche in questa guerra: voler fare la frittata senza rompere le uova! (Applausi crescenti e grida di approvazione) Il pericolo che abbiamo di fronte è enorme. Gli sforzi da fare per affrontarlo devono esserlo altrettanto. È venuto il momento di toglierci i guanti di velluto (grida! invocazioni a Hitler) e di usare i pugni! (Grida: Sììì! Applausi).” Spero che questa lunga citazione renda a sufficienza il succo del suo intervento.

Confesso che ho fatto fatica a leggere per intero questo discorso, che ammanterei di aggettivi insultanti. Quando torno su queste pagine di storia – e di storia contemporanea, si chiama così: i miei nonni hanno combattuto la Prima guerra mondiale, mio padre e i miei zii la Seconda, grazie al cielo concludendola combattendo contro i fascisti e i nazisti – provo emozioni fortissime che mettono in crisi convinzioni maturate in decenni.

Per esempio il mio pacifismo e il mio antimilitarismo, che pure considero autentici e profondi. Mi sono tornate in mente le recenti affermazioni di persone che sono state giovani con me, che della Seconda guerra mondiale, alla fine, lamentavano i “crudeli bombardamenti” delle città italiane da parte di inglesi e americani.

Devo ammettere che dentro di me la penso diversamente: quelle bombe, meritatissime, sono state troppo poche. E questa Repubblica, una e indivisibile, non doveva proprio nascere. Riflessioni dolorose e inutili, le accenno soltanto per dimostrare che leggere questo discorso, con l’utile e profondo commento di Longerich, non lascerà nessuno indifferente.

L’onda d’urto annunciata da Goebbels arriverà e sarà tremenda, e devo aggiungere l’avverbio: giustamente. I tedeschi non verranno affatto ridotti in schiavitù ma con i loro sette milioni di morti e le città distrutte inizieranno un lungo percorso che gli italiani non hanno mai conosciuto. Chi come me è nato e cresciuto nell’immediato dopoguerra non sapeva nulla di storia. Fascismo, democrazia, soltanto parole senza contenuto e senza memoria. I miei compagni di scuola erano convinti che l’Italia avesse vinto la seconda guerra mondiale, e c’era infatti una festa che lo lasciava credere.

Molti dei loro genitori erano passati da Mussolini a Togliatti senza battere ciglio, e per loro “democrazia” significava soltanto pagnotta e soldi americani. I pochi pensatori liberal-democratici erano stati uccisi o non erano altro che incomprensibili minoranze in via di rapida estinzione. Oggi ci sono ragazzi convinti (lo scrivono nei temi) che Aldo Moro fosse il capo delle Brigate Rosse, quindi la Seconda guerra mondiale si confonde nelle loro menti con le guerre puniche.

Le rimozioni creano il sintomo, come è noto, e oggi questo sintomo si chiama nazional-populismo. Aggiungiamo un pizzico di antisemitismo e avremo la fotografia del nostro presente. Forse confessare un’altra domanda che mi sono fatto ossessivamente leggendo questo libro ha un senso, a questo punto: di cosa parliamo quando parliamo di democrazia?

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11 settembre e il complotto dei cinque «israeliani danzanti» (open.online)

di Juanne Pili

FACT-CHECKING

Quali sono le origini della leggenda dei cinque israeliani danzanti e perché si tratta di una narrazione antisemita

Per commemorare i 20 anni dagli attentati dell’11 settembre 2001 pubblicammo una Guida utile alle teorie del complotto in merito alla strage. Spesso in questo genere di pensiero cospirativo si trovano anche influenze antisemite, come la falsa storia degli ebrei che avvisati in tempo dal Mossad si sarebbero tenuti lontani dalle Torri Gemelle.

Si tratta di una narrazione di pura fantasia, che in parte si basa sullo stravolgimento di alcune fonti giornalistiche. Tra i principali sostenitori troviamo David Duke (gran maestro del Ku Klux Klan) e Alex Jones (conduttore radiofonico, noto cospirazionista e ritenuto vicino al movimento QAnon).

Ma recenti condivisioni Facebook (per esempio qui qui) ci ricordano i contributi di un altro “grande” esponente della narrativa cospirazionista, ovvero David Icke, noto per sostenere – dopo aver consultato una medium – che i potenti della terra sarebbero in realtà alieni rettiliani. Nella condivisione in oggetto, Icke sostiene che una signora del New Jersey avrebbe sorpreso dalla finestra di casa cinque persone del Mossad mentre festeggiavano l’abbattimento delle Torri Gemelle. Parliamo del complotto dei «cinque israeliani danzanti».

Analisi

Vediamo come si presentano generalmente le condivisioni Facebook della narrazione sui cinque israeliani danzanti:

Sapevano si , perché i 3000 Mila ebrei che lavoravano nelle torri quel giorno sono rimasti a casa avvisati dal Mossad
Non credo che in Italia le loro facce siano mai state mostrate dai media italiani. Sono i 5 israeliani che danzano felici di fronte al crollo delle Torri Gemelle. Sono i 5 agenti del Mossad che sapevano perfettamente cosa stava per accadere quel giorno. La verità sull’11 settembre non è mai stata sepolta in qualche remota grotta dell’Afghanistan. La verità sull’11 settembre si trova in Israele.

Altrimenti viene solo condivisa una clip con l’intervista a David Icke:

L’antisemitismo nel complottismo sull’11 settembre

Prima di approfondire il caso dei presunti israeliani danzanti torniamo brevemente a parlare delle origini delle narrazioni antisemite legate ai fatti dell’11 settembre. Una di queste è il cosiddetto «caso Odigo».

«Si tratta di una società di messaggistica israeliana – spiegavamo nella nostra Guida -, che ricevette proprio nella filiale delle Twin Towers (secondo i cospirazionisti) l’avviso di attentati non meglio precisati. Quindi l’azienda avrebbe avvertito il personale, facendolo evacuare in tempo».

Come accennato, tutto nasce dallo stravolgimento di articoli della stampa israeliana. Un messaggio minatorio arrivò sul serio, ma nella sede di Israele dell’azienda. «Nel Paese gli attentati terroristici non sono mai stati eventi eccezionali-, così come i falsi allarmi».

Per altro, proprio per queste ragioni Odigo non diede alcun l’allarme. Non sapremo mai se l’autore delle minacce fosse stato qualcuno vicino agli attentatori, del resto non si faceva riferimento a New York.

Tra i bersagli di queste allusioni finirono presto tutti gli ebrei “rei” di abitare a New York, i quali non si sarebbero presentati al lavoro proprio l’11 settembre. Secondo le fonti dell’epoca erano circa quattromila quelli presenti a New York, di questi 119 morirono negli attentati, 400 rimasero feriti.

Ci passò pure l’allora premier israeliano Ariel Sharon, il quale – secondo queste narrazioni – avrebbe disdetto la sua visita ufficiale in America prevista l’11 settembre. Ma il Premier doveva essere lì il 23 settembre; solo dopo gli attentati dovette disdire, comprensibilmente.

Il complotto degli «israeliani danzanti»

Questa leggenda della signora del New Jersey che spia col binocolo i cinque israeliani danzanti è talmente campata per aria, che troviamo persino una interessante analisi del sociologo Massimo Introvigne sul sito del CESNUR (Centro studi nuove religioni). Insomma, sembra più un tema legato alla voglia di crederci, come potremmo dire anche della credenza nel complotto dei Rettiliani.

Di tangibile non c’è niente, a parte alcune foto. Abbiamo quelle dei presunti cinque uomini “incriminati”: Sivan Kurzberg, Paul Kurzberg, Oded Ellner, Yaron Shimuel and Omar Marmari.

(I presunti cinque israeliani danzanti: Sivan Kurzberg, Paul Kurzberg, Oded Ellner, Yaron Shimuel e Omar Marmari)

Vi sono anche le immagini che li ritrarrebbero durante il crollo della prima Torre, rilasciate all’interno di un documento dall’FBI a seguito di una apposita richiesta di accesso agli atti (FOIA). Queste però non dimostrano alcun comportamento sospetto.

(Quattro dei cinque presunti israeliani danzanti)

Anche in questo caso tutto parte dal travisamento di alcune fonti giornalistiche diffuse all’indomani degli attentati, quando per via del terrore generale circolava di tutto. Introvigne cita un servizio della CNN del 12 settembre 2001, dove l’emittente riferisce di un furgoncino pieno di esplosivi. La fonte sarebbe la polizia di Unione City, nel New Jersey.

Quel giorno, David Johnston e James Risen riportano l’aneddoto nel loro resoconto generale sul New York Times delle prime piste di indagine, aperte subito dopo gli attacchi. I colleghi stavano solo elencando tutto quel che era emerso dalle fonti più autorevoli, senza avere la possibilità di verificare tutte le ipotesi, dopo appena 24 ore dagli attacchi terroristici.

«Gli agenti hanno detto che un gruppo di circa cinque uomini è ora sotto inchiesta – spiegano Johnston e Risen -, sospettati di assistere i dirottatori. Inoltre, i funzionari hanno detto che gli uomini avevano apparentemente installato delle telecamere vicino al fiume Hudson e le avevano fissate verso il World Trade Center. Hanno fotografato gli attacchi e si dice che si siano congratulati a vicenda in seguito, secondo gli agenti».

Ma ecco che parte il gioco del telefono senza fili sui media più sensazionalisti, come Fox News, che il 14 settembre ingigantisce quello che doveva essere un aneddoto privo di fondamento. La pagina non è più online, ma siamo riusciti a recuperarne la copia cache:

«Il New York Times ha riferito giovedì che un gruppo di cinque uomini aveva piazzato delle videocamere puntate sulle Torri Gemelle prima dell’attacco di martedì – continua Fox News -, e in seguito sono stati visti congratularsi a vicenda».

In realtà il New York Times non aveva affatto riportato che quei sospetti avessero piazzato delle apparecchiature prima degli attentati, lasciando passare l’idea che non si trovassero lì per caso.

La leggenda della signora Maria contro le spie del Mossad

Arriviamo quindi a un servizio della ABC dove si introduce per la prima volta la donna del New Jersey, che da allora sarà conosciuta da tutti con lo pseudonimo «signora Maria», la quale avrebbe allertato gli agenti portando all’arresto di quelli che saranno ricordati come i cinque israeliani danzanti.

«La puntata si apre con una teste che l’11 settembre chiama la polizia – continua Introvigne -, nascosta sotto lo pseudonimo di “Maria”. […] Allertata da una condomina, va alla finestra del suo appartamento nel New Jersey e vede prima fumo provenire dalle Torri Gemelle e dopo […] l’arrivo in un parcheggio sottostante di un furgoncino, con “alcuni che salgono sul tetto del furgoncino e sembrano girare un film”. Quello che colpisce “Maria” è che “sembrano contenti” mentre si fotografano a vicenda con le Torri Gemelle sullo sfondo».

«A questo punto “Maria” prende il numero di targa del veicolo e chiama la polizia, che intorno alle quattro del pomeriggio ferma il furgoncino nei pressi dello stadio di football americano dei Giants e arresta cinque cittadini israeliani fra i 22 e i 27 anni di età: Sivan Kurzberg, Paul Kurzberg, Yaron Shmuel, Oded Ellner e Omer Marmari. La polizia – un agente della quale è intervistato da 20/20 – ritiene di trovare una conferma del fatto che si tratta di persone sospette nel fatto che uno degli arrestati “ha 4.700 dollari nascosti in un calzino” e un altro “ha due passaporti stranieri”. Nel furgoncino non ci sono esplosivi ma c’è “un coltello per tagliare scatole”, il che non è sorprendente visto che si tratta del furgone di una ditta di traslochi».

La società di traslochi in questione è la Urban Moving Systems. L’FBI ne perquisì la sede – come era normale che fosse in quei giorni -, senza trovare niente di incriminante. Intanto i cinque israeliani danzanti saranno condannati e rimpatriati, perché essendo il loro visto turistico scaduto erano tecnicamente dei clandestini.

Ma la ABC narra di agenti del Mossad che cercavano di infiltrarsi nei gruppi di Hamas negli Stati Uniti. Tutto questo però è nella sola fantasia degli autori della trasmissione.

L’origine del soprannome «Dancing Israeli»

Del resto basta vedere come tutto questo si trasformerà nella leggenda definitiva dei cinque israeliani danzanti, in quanto gli ebrei sarebbero i veri responsabili del complotto dell’11 settembre. Come spiega nella sua analisi il collega Josh Kaplan per The Jewish Chronicle, una prima traccia viene riportata in una edizione di USA Today del 28 settembre 2001, dove si elencano le prime accuse da parte di esponenti vicini al fondamentalismo islamico volte a scagionare Al Qaeda, a sostegno di un piano che coinvolgerebbe anche il Mossad.

Si parla anche dei cinque israeliani fermati dalla polizia americana. Alla fine del testo si riportano anche le affermazioni del padre di Mohammed Atta all’agenzia di stampa egizia MENA. Il figlio era uno degli uomini di Al Qaeda che commisero gli attentati per conto di Osama Bin Laden:

«L’FBI ha arrestato un certo numero di ebrei mentre ballavano per festeggiare gli incidenti».

Conclusioni

Come accennavamo nell’introduzione quella dei cinque israeliani danzanti è una delle tante leggende nate in seno agli ambienti antisemiti, messe in circolazione prima negli ambienti vicini al fondamentalismo islamico e proliferate poi tra i complottisti americani, fino a raggiungere attraverso il Web il resto del mondo.

No del sindaco alla festa musulmana: interviene il Tar (ildubbio.news)

di Simona Musco

Diritti

Nuovo scontro a Turbigo, Milano, tra il primo cittadino meloniano Allevi e la comunità “Moschea essa”

È ancora scontro tra la comunità musulmana “Moschea Essa” di Turbigo e il sindaco meloniano Fabrizio Allevi. Al centro la nuova richiesta di uno spazio per celebrare la festività “Eid al-Adha”, alla presenza stimata di non più di 200 persone, spazio negato, come già accaduto ad aprile in occasione della festa di fine Ramadan, con una delibera votata dal Consiglio.

E ancora una volta i legali della comunità – Luca Bauccio e Aldo Russo – si sono rivolti al Tar di Milano, che ritenendo di privilegiare «le libertà garantite a livello costituzionale (di riunione e di culto), anche se nel rispetto delle altrettanto prioritarie esigenze di incolumità e sicurezza pubblica», ha ordinato all’amministrazione di sospendere la delibera, «onerando il Prefetto – si legge nel provvedimento – di valutare e coordinare le azioni necessarie a garantire le esigenze di sicurezza e incolumità pubblica».

Richiamandosi anche alla precedente concessione del campo sportivo per il Ramadan, il Tar ha delegato al Prefetto il compito di trovare una soluzione affinché i fedeli possano raccogliersi. Ad aprile, dopo una serie di polemiche e ricorsi, il sindaco si era determinato a concedere l’utilizzo del campo sportivo, grazie alla mediazione del Prefetto.

«Siamo soddisfatti della veloce decisione del Tar di accogliere il nostro ricorso contro il Comune di Turbigo – ha commentato Bauccio -. Ancora una volta è stato negato un diritto fondamentale. Sembra che a Turbigo le persone di fede musulmana non siano considerati né cittadini né esseri umani. Alla nostra richiesta di uno spazio addirittura si è attivato il Consiglio comunale: è evidente che negare i diritti costituzionali ai musulmani sia una questione politica. I problemi logistici sono solo un pretesto. Questa è una forma di razzismo istituzionale che non si può accettare e che denunceremo in tutte le sedi. La Costituzione deve essere applicata senza distinzioni di credo religioso. Ci si augura che l’intervento del Prefetto di Milano possa ancora una volta permettere una soluzione rapida come è già accaduto in passato».