Meloni e la campagna elettorale a Borgo Egnazia grazie alle radici pugliesi: Aborto “ripetitivo” e l’avviso a Ursula (ilriformista.it)

di Ciro Cuozzo

La premier scopre la Puglia

Tutto bello. Tutto fantastico. Tutto riuscito bene. Brava Italia.

Bravo governo Meloni che ha valorizzato, come se ve ne fosse ulteriormente bisogno, una terra e una regione, la Puglia, che da anni godono di turisti provenienti da tutto il mondo. Ma questo fa parte della propaganda Meloni che porta a casa il G7 di Borgo Egnazia, un evento politico internazionale che sicuramente non passerà alla storia e dove non si è deciso granché.

Ma tant’è. Per Giorgia tutto fa brodo, soprattutto provare a mettere radici in una Puglia a trazione dem, nonostante le inchieste giudiziarie e il tentativo di gogna contro il sindaco di Bari Antonio Decaro, eletto la scorsa settimana parlamentare europeo con percentuali bulgare nella sua Puglia.

Meloni ha riproposto ai grandi del mondo le radici pugliesi. Ma la sua è mera propaganda soprattutto perché tutto il mondo conosce la Puglia non da giovedì scorso (13 giugno, giorno d’inizio del G7 a guida italiana) ma da anni. Ieri “ho voluto che fosse tutta una serata tradizionale pugliese, c’erano i panzerotti, gli artigiani, le signore che facevano le orecchiette a mano, c’era la taranta, le luminarie delle feste religiose, c’era la Puglia come la conoscono gli italiani. Io sono stata fiera di vedere i leader del G7 a bocca aperta, a volte anche meno, per i sapori, i gusti, l’identità, le signore che regalavano braccialetti con nocciolo d’ulivo, io ne ho uno, gli artigiani che lavoravano il legno di ulivi che abbiamo dovuto eradicare per la Xylella, i tavoli che abbiamo fatto con quel legno perché qui siamo sempre capaci di reinventarci”.

Meloni e la parola aborto: “Evitare ripetizioni…”

Per Meloni l’Italia c’è e si fa rispettare a livello internazionale, con la premier che spiega anche perché il termine aborto non è stato inserito nel documento finale del summit, nella parte relativa ai diritti civili. “Noi abbiamo richiamato le dichiarazioni di Hiroshima dove era molto chiaro questo passaggio sulla necessità di garantire l’accesso all’aborto libero e sicuro e di solito in questi documenti, per evitare di renderli inutilmente ripetitivi, quando una cosa si ripete si richiamano i documenti precedenti”. In effetti le sei lettere della parola aborto rischiavano di allungare il brodo…

Ma su questo Meloni ottiene il via libera anche da parte degli altri leader del G7 presenti al tavolo e, nella conferenza stampa conclusiva, ribadisce: “Ho detto mille volte che non intendo modificare la legge 194 ma intendo applicarla”. Quanto alla polemica con la Francia, con Macron che nelle scorse settimane ha inserito l’aborto nella Costituzione transalpina. Meloni è netta: “La polemica non è mai esistita nel vertice, è artefatta, è stato un tema alimentato dai media ma non abbiamo litigato. Ma capisco perché queste polemiche nascano e perché da alcuni vengano alimentate”.

Meloni avvisa Ursula: “Il messaggio arrivato dai cittadini è chiaro”

Sull’Europa e il vento che cambia e vira verso (l’estrema) destra, Meloni è decisamente chiara sulla linea politica che adotterà già in vista dell’elezione della presidente della Commissione europea (il nome caldo è sempre quello di Ursula von der Leyen).

Per la premier, che con Fdi è nei conservatori (mentre Forza Italia è con il Ppe mentre Salvini è con gli estremisti di destra di Identità e democrazia), l’Italia “farà le sue valutazioni” ma “tendenzialmente la proposta sulla presidenza della Commissione Ue spetta al Partito popolare europeo, che ha il maggior numero di deputati. Quando la proposta arriverà nel suo complesso la vedremo e valuteremo anche su altri ruoli di vertice”.

Meloni ha inoltre rivendicato il ruolo del’Italia: “Come governo italiano, sentiti anche gli altri partiti di maggioranza, teniamo a che venga riconosciuto all’Italia il ruolo che le spetta per competenze e per ciò di cui ci dovremo occupare”. Per la presidente del Consiglio, “è importante che l’Europa comprenda il messaggio arrivato dai cittadini con il voto” dello scorso weekend.

Meloni ha concluso, sempre rispetto alle consultazioni del 6-9 giugno: “Se vogliamo cogliere che va tutto bene sarebbe una lettura diversa; i cittadini vogliono pragmatismo e non un approccio ideologico su grandi questioni, chiedono che l’Europa si occupi di priorità che sono state messe in secondo piano negli ultimi anni. Le nostre valutazione, dunque, le facciamo a valle di questi ragionamenti e non a monte. La politica deve rispondere soprattutto delle indicazioni arrivate dai cittadini” sottolinea.

Rissa Senato: “Opposizione provoca…”

Sulla bagarre in Senato dei giorni scorsi, Meloni bacchetta entrambe le fazioni: “Trovo molto grave che ci siano esponenti della maggioranza che cadono nelle provocazioni delle opposizioni. Provocazioni che credo aumenteranno”. La ‘provocazione’ del grillino Donno è stata quella di sventolare la bandiera dell’Italia e consegnarla al ministro Roberto Calderoli in riferimento alla riforma dell’autonomia differenziata.

IA, Papa storico: “Dibattito va fatto con sviluppatori”

Meloni definisce “storica” la presenza di Papa Francesco al G7. “Non lo ringrazierò mai abbastanza” spiega la premier che sottolinea il rispetto del Pontefice nell’ascoltare per tre ore tutti gli interventi sull’intelligenza artificiale.

“Come dice il Papa nessuna macchina può decidere autonomamente se togliere vita a essere umano”. Quello dell’IA “penso sia uno dei casi nei quali non bisogna trattare questa materia come se fosse tutta bianca o tutta nera. Gli strumenti sono neutrali, il punto è come si riesce a indirizzarli. L’IA è un moltiplicatore, noi dobbiamo chiederci ‘cosa vogliamo moltiplicare’. Siamo abituati – aggiunge – a un progresso che ottimizza competenze umane ma la sostituzione lavoro alla quale progresso e tecnologia ci hanno abituati era soltanto fisica. Quando è l’intelletto che rischia di essere sostituito – sottolinea Meloni – l’impatto sul mercato del lavoro può essere molto importante. Dobbiamo fare i conti su un futuro dove le persone potrebbero non essere più utili. Ma se pensiamo di sostituire medici con applicazioni di case farmaceutiche quello no. Non ci rendiamo conto che certe volte barattiamo nostra libertà con comodità. E’ un dibattito” quello sull’intelligenza artificiale “che va fatto con chi la sviluppa”.

Sala, ‘querela Barbacetto a difesa dei dipendenti comunali’ L’odg della Lombardia, ‘rispetti il diritto di cronaca’ (ansa.it)

Regione Lombardia

L’odg della Lombardia, ‘rispetti il diritto di cronaca’

Dopo la causa civile con risarcimento danni intentata dal Comune di Milano a Gianni Barbacetto per i post che ha pubblicato dopo l’apertura dell’inchiesta sull’urbanistica che ha investito Palazzo Marino, arriva la presa di posizione dell’ordine dei giornalisti della Lombardia: che chiede di “rispettare la libertà di espressione e il diritto all’informazione e e di critica”.

A cui il sindaco Giuseppe Sala replica che si è trattato di una “decisione della giunta” presa “a tutela prima di tutto dei dipendenti del Comune di Milano”.
“Non è che uno può dare dei presunti ladri a dei funzionari amministrativi – osserva – e pensare che non succeda nulla”.

Secondo l’odg, “querele per diffamazione, per quanto legittime sono uno strumento odioso quando proposte dal settore pubblico; e ancora più odiosa è la richiesta civile di danni, uno strumento abnorme introdotto per via giurisprudenziale nel nostro ordinamento”.

“A disposizione della Pubblica amministrazione c’è, nei casi in cui si temano davvero abusi del diritto di informare e del dovere di farlo correttamente, il Consiglio di disciplina territoriale, che lavora a pieno ritmo e ha soltanto bisogno, per poter davvero essere efficace, di un quadro giuridico che permetta la piena pubblicità delle proprie decisioni – conclude l’Ordine dei giornalisti della Lombardia -.

Su questo tema ci piacerebbe che le pubbliche amministrazioni e il mondo politico della Lombardia si impegnino al nostro fianco, così come sul problema delle querele e citazioni temerarie”.

“Capisco che faccia comodo dare una lettura politica” della querela “ma noi nella discussione di giunta abbiamo sottolineato il fatto che era nostra responsabilità difendere i funzionari e i dirigenti del Comune – conclude Sala -, a cui è stato dato dei presunti ladri, e questo non va bene”.

Davigo si affida a Franco Coppi, l’ex avvocato di Berlusconi (affaritaliani.it)

L'ex pm fa proprio come il Cavaliere, 

che però ha sempre criticato, prima attacca i giudici e poi sceglie esattamente il suo stesso legale

Giustizia, Davigo si “trasforma” in Berlusconi. Stesse mosse del Cavaliere

Piercamillo Davigo, l’ex pm condannato a Brescia per rivelazione del segreto d’ufficio in merito al caso dei verbali segreti di Piero Amara relativi alla presunta Loggia Ungheria, ha fatto una scelta clamorosa: si farà difendere dall’avvocato di Silvio Berlusconi, Franco Coppi. Lo scrive Il Foglio. La scelta dello stesso avvocato dell’ex premier, secondo qualcuno, è una nemesi storica.

Dopo la condanna in primo grado a un anno e tre mesi, l’ex pm simbolo di Mani pulite aveva attaccato pubblicamente, al podcast di Fedez, il tribunale di Brescia che lo aveva giudicato (“Sono stato condannato perché a Brescia non sempre le cose le capiscono“). Tutto ciò – sostiene Il Foglio – alla faccia dell’indipendenza della magistratura.

Secondo Il Foglio Davigo, con questa mossa, si sarebbe addirittura trasformato nel Cavaliere. La Corte d’appello di Brescia di recente ha confermato la condanna.

Durissime le motivazioni depositate agli inizi di giugno, in cui si accusa Davigo di aver contribuito a “una fuga di notizie senza eguali precedenti“. Di fronte all’ennesima sberla giudiziaria, Davigo non si è dato per vinto e ha annunciato un altro ricorso, stavolta in Cassazione.

Scelta assolutamente legittima. E pazienza se lo stesso è stato fatto più volte da Berlusconi, che – in base a quanto sostiene Il Foglio – per Davigo ha rappresentato la sintesi dei vizi di una classe politica, senza senso etico, che cerca di “farla franca”. Ora l’ultima mossa, si farà difendere dallo storico avvocato di Berlusconi: Franco Coppi.

Leggi anche: Caso Amara, Corte su Davigo: “Ha gettato ombre su Procura di Milano e Csm”

Meloni ha gettato la maschera, senza doverla neanche indossare (linkiesta.it)

di

La difesa dei picchiatori

La premier non si è scusata per l’aggressione in Parlamento contro il deputato Leonardo Donno e se l’è presa addirittura con gli avversari per le loro «provocazioni».

È un ulteriore dimostrazione che Fratelli d’Italia non è e non ha alcuna intenzione di diventare nulla di diverso dai suoi presenti e futuri alleati dell’estrema destra europea, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”.

Le parole con cui sabato, dalla conferenza stampa del G7, Giorgia Meloni ha commentato l’aggressione di un deputato dell’opposizione da parte di numerosi esponenti della maggioranza e del suo stesso partito, nel bel mezzo dell’aula, avrebbero meritato maggiore attenzione.

Si tratta di quarantacinque secondi che vi invito ad ascoltare per intero (qui il video). Per chi se li fosse persi o avesse letto solo le sintesi dei giornali, cominciano così:

«Io trovo molto grave che ci siano esponenti della maggioranza che cadono nelle provocazioni. Prevedo che le provocazioni aumenteranno. Penso che i cittadini italiani si debbano interrogare su quale sia l’amore che hanno per la loro nazione esponenti politici che cercano di provocare per ottenere un risultato come quello che hanno ottenuto dileggiando membri del governo, cercando di occupare i banchi del governo, proprio mentre gli occhi del mondo sono puntati su di noi».

Come si vede, Meloni non solo non si sogna neanche lontanamente di scusarsi, e nemmeno di criticare i parlamentari che hanno fisicamente aggredito un rappresentante dell’opposizione, ma se la prende addirittura con gli avversari, cioè anzitutto con l’aggredito, per le loro «provocazioni».

Certo, non ha domandato quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito e non ha aggiunto che assume lei sola la responsabilità politica, morale, storica, di tutto quanto è avvenuto – come fece uno dei primi manager da lei nominati alla guida di una società pubblica, citando Mussolini, in un’email al cda che gli costò il posto – ma è comunque un modo molto efficace di celebrare i cento anni dall’omicidio Matteotti.

Direi anche filologicamente impeccabile. Non meno grave è però il fatto che, per malafede o per colpevole sciatteria, fior di giornalisti continuino a definire «rissa» quella che è stata un’aggressione in dieci contro uno.

Basta guardare il video per verificare come nel modo in cui il deputato Leonardo Donno si avvicina al ministro Roberto Calderoli stendendo un tricolore non vi sia nulla di minaccioso. Tra l’altro, Donno è immediatamente bloccato dai commessi.

Gli esponenti di Lega e Fratelli d’Italia che lo aggrediscono non intervengono dunque per fermarlo – perché quando arrivano il deputato del Movimento 5 stelle è stato già fermato – ma per picchiarlo. Dover ripetere queste banalità è piuttosto penoso, ma il dibattito orwelliano attorno alla «rissa» e l’indifferenza dinanzi alle parole della presidente del Consiglio lo rendono obbligatorio. E costringono a fare i conti anche con alcuni errori di valutazione purtroppo molto diffusi.

In pochi infatti sembrano avere capito che Fratelli d’Italia non è l’erede di Alleanza nazionale e della svolta di Fiuggi, ma del Movimento sociale. Sarei tentato di dire, facendo un parallelo con le vicende della sinistra, che non è l’equivalente del Pds, ma di Rifondazione.

Sarebbe però un errore anche questo. Dai manifesti contro «l’usuraio» Soros di qualche anno fa ai francobolli celebrativi dedicati agli squadristi oggi, dai nostalgici nominati a frotte nelle società pubbliche fino ai legami mai recisi con ambienti, simboli e personaggi legati al terrorismo nero che rispuntano di continuo, tutto, ma proprio tutto, dimostra che il parallelo con l’evoluzione della sinistra post-comunista è completamente infondato e pericolosamente fuorviante.

Al contrario, il paragone dimostra semmai, ex post, quanto fossero diversi i partiti di provenienza. E non solo perché, sin dalle origini, gli uni stavano con il regime e l’occupante nazista, gli altri con la resistenza e i liberatori. Ma anche per il rapporto ben diverso che ebbero con i rispettivi estremisti dalla Liberazione in poi, e specialmente negli anni settanta.

La differenza delle radici è dimostrata dai frutti: anche nel momento della svolta a sinistra, o della deriva populista (peraltro cominciata già qualche tempo fa), il Partito democratico di Elly Schlein rimane, dal punto di vista dell’affidabilità costituzionale, un partito paragonabile in tutto e per tutto all’ala sinistra di qualunque partito democratico o socialdemocratico occidentale.

Il partito di Meloni, al contrario, non è e non ha alcuna intenzione di diventare nulla di diverso dai suoi presenti e futuri alleati dell’estrema destra europea, a cominciare dai fautori della «democrazia illiberale» ungheresi e polacchi, che solo una stampa pronta a negare il significato stesso delle parole può accostare alla «destra liberale» di qualsiasi paese occidentale.

(Ludovic Marin AFP)

Perché gli ebrei Lgbtq+ rinunciano al Pride: «Traditi e abbandonati dalla nostra stessa comunità» (open.online)

di Ugo Milano

ANTISEMITISMO

A Bergamo il comune toglie il patrocinio alla manifestazione, a Torino alcune associazioni si sfilano per solidarietà

Non ci saranno associazioni ebraiche tra i partecipanti del Pride nelle principali città italiane. Sabato 15 giugno, per le strade della Capitale – e non solo – si è tenuta l’annuale parata simbolo della comunità Lgbtq+. Ma Keshet Italia, la principale organizzazione ebraica queer, ha annunciato che non parteciperà alle manifestazioni per l’orgoglio dell’identità sessuale.

«Abbiamo tentato di tutto per capire anche con gli organizzatori se si potesse partecipare in sicurezza, ma alla fine abbiamo dovuto arrenderci e non ci saremo», spiega a Repubblica Raffaele Sabbadini, tra i fondatori dell’associazione. Il motivo dell’assenza?

«I crescenti timori di aggressioni dovuti al clima d’odio attorno alla nostra partecipazione», spiega il fondatore di Keshet Italia. Mario Colamarino, portavoce del Roma Pride, solidarizza con la comunità ebraica Lgbtq+ e risponde: «È una sconfitta per tutti quando succedono queste cose. Abbiamo sempre aperto le porte a tutti».

Il caso di Bergamo

A Bergamo, gli organizzatori hanno diramato una nota per far sapere che «non saranno gradite bandiere israeliane o inneggianti alla simbologia connessa allo Stato di Israele». Una decisione che Raffaele Sabbadini definisce «una vera e propria discriminazione».

A contestare la linea degli organizzatori è anche lo stesso Comune di Bergamo, con il sindaco Giorgio Gori – neoeletto europarlamentare con il Pd – che ha tolto il patrocinio alla manifestazione. «Ci sentiamo abbandonati e traditi dalla comunità di cui facciamo parte», scrive Keshet Italia nella nota in cui annuncia che non parteciperà alle parate dei Pride.

E quello di Torino

La partecipazione della comunità ebraica al Pride ha fatto litigare non solo i partecipanti della parata di Bergamo, ma anche quelli di Torino. Nel capoluogo piemontese, i Radicali dell’associazione Aglietta hanno deciso che per la prima volta non parteciperanno al Torino Pride. Una decisione presa per «supportare il grido d’allarme» dell’associazione Keshet Italia e denunciare «l’atteggiamento escludente dei Pride nei confronti delle persone ebree».

Fra le altre sigle che non saranno presenti alla parata torinese, per gli stessi motivi denunciati dai Radicali, ci sono anche +Europa Torino, Radicali Italiani, Italia Viva Torino, Associazione Marco Pannella di Torino, Associazione Italia Israele, e Gruppo Sionistico Piemontese.