L’Europa respinge i migranti ma ne ha bisogno (valigiablu.it)

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“La destra avanza”. “Il Partito Popolare 
Europeo stravince”. 

“La vera onda nera deve ancora arrivare”.

Sono alcuni dei titoli dei giornali che raccontano l’esito delle elezioni europee di sabato 8 e domenica 9 giugno. I risultati erano attesi: la destra e l’estrema destra hanno incrementato i consensi, ma non hanno ottenuto la maggioranza assoluta al Parlamento Europeo.

I tre principali partiti di destra (il più moderato Partito Popolare Europeo, i Conservatori e Riformisti, di cui fa parte Fratelli d’Italia, e Identità e Democrazia, in cui rientra la Lega) hanno posizioni diverse su tante questioni ma sono tutti concordi su un punto: la necessità di dare una stretta alla migrazione in Europa, spingendo verso una politica sempre più restrittiva nei confronti delle persone in arrivo sul territorio dell’Unione. “Vogliamo fermare la migrazione incontrollata”, era lo slogan stampato in caratteri cubitali sui manifesti elettorali del Partito Popolare Europeo.

Già lo scorso 10 aprile il Parlamento Europeo ha votato l’adozione del nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, che sancisce una politica ancora più securitaria in tema di accoglienza. A poco più di un mese di distanza, il 15 maggio, ben 15 governi europei – tra cui l’Italia – hanno mandato una lettera congiunta alla Commissione Europea e alla sua responsabile per gli Affari interni, Ylva Johansson, per chiedere di sviluppare “nuove soluzioni per affrontare la migrazione irregolare in Europa”.

Nella lettera si legge che “le attuali sfide relative al sistema di asilo e migrazione dell’Ue, compreso il forte aumento degli arrivi irregolari, sono insostenibili” e che questo “ostacola la nostra capacità di fornire una migliore protezione e mezzi di sussistenza a un maggior numero di rifugiati”. Per questo, i governi firmatari chiedono alla Commissione di “identificare, elaborare e proporre nuovi modi e soluzioni per prevenire la migrazione irregolare in Europa”.

Viste queste premesse, è interessante porsi delle domande: di che numeri stiamo parlando? L’Europa è davvero in cima alla lista delle destinazioni preferite dai migranti? E in futuro l’Unione Europea sarà ancora impegnata a tenere fuori le persone, o dovrà forse occuparsi di come attrarle?

Un’Europa sempre più marginale nei flussi migratori globali

Quando parliamo di migrazioni, le traiettorie che immaginiamo hanno molti punti di partenza – l’Africa subsahariana, il Medio Oriente, il subcontinente indiano – ma un solo punto di arrivo: l’Europa. Raramente pensiamo invece a tutte quelle persone che, in cerca di una vita migliore, lasciano il loro paese per andare in posti che non sono l’Europa. Ma i dati ce lo dicono chiaramente: l’Unione Europea non è più la meta privilegiata da chi emigra.

Attualmente, a livello globale, secondo il World Migration Report 2024 dell’Organizzazione Mondiale per le Immigrazioni (OIM), appena un migrante su tre vive in Europa. La Banca Mondiale, nel World development report 2023, mette in evidenza quali sono i principali flussi migratori oggi: dal Messico verso gli Stati Uniti, dall’India agli Emirati Arabi Uniti e all’Arabia Saudita, dall’India e dalla Cina agli Stati Uniti, dal Kazakistan alla Russia (e viceversa), dal Bangladesh all’India, dalle Filippine agli Stati Uniti.

L’Europa non è nemmeno citata. Altri massicci spostamenti di persone sono legati a gravi situazioni di sfollamento forzato, per via di guerre e carestie: ci sono i movimenti dalla Siria alla Turchia, dal Venezuela alla Colombia, e dall’Ucraina alla Polonia.

Insomma, quello che emerge è che molti migranti e rifugiati non scelgono necessariamente l’Unione Europea come meta né si spostano in paesi ricchi: ad oggi solo il 40% emigra verso un paese dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione Economica e Sviluppo), mentre il 43% va verso paesi a basso e medio reddito e il 17% opta per uno dei paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC).

La mappa dello studio della Banca Mondiale sui flussi migratori mostra che i migranti si spostano più nei paesi a basso reddito. In rosso scuro gli Stati con più migranti fino a un giallo sbiadito per i paesi con meno migranti.

Queste traiettorie sono confermate anche dall’Atlante delle migrazioni, realizzato dalla stessa Commissione Europea. Alcuni dati emblematici: nel 2020 dal continente africano sono emigrate 40,6 milioni persone, di queste solo il 23% è venuto in Europa. I numeri sono ancora più impressionanti quando si analizza l’Asia: su 111 milioni di persone emigrate nel 2020, appena l’8% ha scelto l’Europa come destinazione.

“Non esiste una distinzione netta tra paesi di origine e paesi di destinazione dei migranti”, si legge nel report della Banca Mondiale. “La maggior parte dei paesi è entrambe le cose, allo stesso tempo”. Ad esempio, il Regno Unito ospita circa 3,5 milioni di immigrati, ma è anche l’origine di 4,7 milioni di emigranti.

La Nigeria ospita quasi 1,3 milioni di immigrati ed è il luogo di partenza di 1,7 milioni di emigranti. La Turchia ha una grande diaspora di migranti economici in Europa, ma ospita anche 3,5 milioni di rifugiati siriani e oltre 2 milioni di migranti interni. “Ogni società ha bisogno di una combinazione di politiche per affrontare al meglio la situazione sia delle persone che entrano sia di quelle che escono”, conclude il rapporto.

Le dimensioni della migrazione irregolare in Europa

Durante questa campagna elettorale per le elezioni europee, abbiamo spesso sentito parlare di ingressi illegali, lotta ai trafficanti, scafisti e organizzazioni criminali. Proviamo a dare una dimensione al fenomeno: quanti sono i migranti irregolari in Europa?

“Sebbene l’immigrazione irregolare sia spesso al centro dell’attenzione, in realtà gli ingressi irregolari rappresentano soltanto una piccola parte dell’immigrazione nell’UE”, scrive la Commissione Europea in un’analisi dei dati Eurostat sui migranti in Europa. Nel 2021, su un totale di 1 milione 133 mila persone immigrate nell’Unione Europea, solo 200mila erano irregolari, poco più del 6%. La percentuale era del 5% nel 2020 e del 4% nel 2019. Interessante è anche analizzare il numero dei rimpatri: nel 2022, a 431mila persone è stato ingiunto di lasciare l’Unione. Un aumento del 27% rispetto al 2021.

(Fonte: elaborazione dati Eurostat)

Per quanto riguarda i rifugiati, la Commissione scrive che “alla fine del 2021, meno del 10% di tutti i profughi e solo una piccola parte degli sfollati interni vivevano nell’UE”. Il numero aumenta in maniera cospicua nel 2022, a causa della guerra in Ucraina: alla fine dell’anno la percentuale dei richiedenti asilo nell’Unione superava il 20%. Il gruppo più numeroso è quello dei siriani, seguito dagli afghani e dai turchi. Una percentuale significativa dei richiedenti proviene da paesi esenti dall’obbligo del visto: l’Ucraina, ma anche il Venezuela, la Colombia, la Georgia e l’Albania.

Dai dati emerge che non tutti i paesi accolgono allo stesso modo: la maggior parte delle prime domande di asilo è presentata in Germania, che da sola è arrivata a contarne quasi 218mila nel 2022. Segue la Francia (137mila) la Spagna (116mila) e l’Austria (110mila). L’Italia invece ne ha ricevute a malapena 77mila.

Numeri piccoli, se si pensa che nel mondo sono 110 milioni le persone che sono state costrette a lasciare la propria casa a causa di guerre, persecuzioni, violenze o violazioni dei diritti umani. Il dato è riportato dall’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, e risale al 2023: di questi, più di 43 milioni sono bambini. E 62 milioni sono sfollati interni, ossia persone che hanno scelto di emigrare all’interno dello stesso paese. Anche qui emerge che il 75% dei rifugiati è ospitato in paesi a basso e medio reddito.

Un’Europa sempre più vecchia

Attenzione, però: è nei paesi ad alto reddito che le migrazioni potrebbero giocare un ruolo ancora più importante nel contrastare un declino demografico che sembra inesorabile. L’Unione Europea sta mettendo in atto una stretta sulle politiche di accoglienza, ma paradossalmente potrebbe trovarsi presto ad aver bisogno di migranti, per vari motivi.

Grazie al miglioramento delle condizioni di vita e al conseguente allungamento dell’aspettativa, infatti, il numero di anziani è in costante aumento. In parallelo, si registra un calo delle nascite: ecco perché in Europa, così come in altre regioni del nord del mondo, la popolazione sta sempre più invecchiando.

Come emerge dalle rilevazioni demografiche di Eurostat, all’inizio degli anni 2000 nell’Unione Europea la percentuale di persone con almeno 65 anni di età sul totale si aggirava intorno al 16%. Vent’anni dopo il valore risulta incrementato di 5 punti percentuali: nel 2023 gli anziani sono il 21,3%, più di 90 milioni di persone. Questa quota varia ampiamente da paese a paese: Italia e Portogallo sono al primo posto, entrambe con il 24% della popolazione anziana, seguiti da Bulgaria, Finlandia e Grecia, con quote superiori al 23%.

Una delle conseguenze più impattanti è l’aumento della spesa pubblica, in particolare i costi dei sistemi sanitari, ma anche dei servizi specifici per la terza età. Le spese per gli anziani oggi equivalgono a oltre il 10% del PIL europeo: come riporta Open Polis, l’Italia è il primo paese, con più di 266 miliardi di euro e un rapporto spesa per anziani-PIL che arriva al 13,7%. Nel frattempo, sono sempre meno le persone in età lavorativa: a rischio è la tenuta dell’intero sistema pensionistico.

(Fonte: elaborazione Openpolis su dati Eurostat)

Per questo, l’immigrazione di persone giovani e spesso con una maggiore propensione ad avere figli può in parte mitigare il declino della popolazione. Secondo sempre il World migration report 2024 dell’OIM, il contributo della migrazione internazionale nei paesi ad alto reddito ha portato a una crescita della popolazione di 80,5 milioni di persone tra il 2000 e il 2020, superando di fatto il saldo negativo tra nascite e decessi (meno 66,2 milioni di persone). “Nei prossimi decenni, la migrazione sarà l’unico motore della crescita demografica nei paesi ad alto reddito”, conclude il rapporto.

Respingere o attrarre migranti?

Il problema è sempre più urgente, anche perché non saremo più i soli ad avere bisogno di persone giovani e pronte a lavorare, che ci permettano di tenere in equilibrio i bilanci statali e il sistema pensionistico. Pensiamo alla Cina, un gigante che, dopo decenni di politiche del figlio unico, sembra avviato a un irreversibile inverno demografico: i dati dell’Ufficio nazionale statistico cinese mostrano che tra il 2022 e il 2023 la popolazione è calata di 2 milioni di persone, e secondo stime delle Nazioni Unite la popolazione cinese diminuirà di 109 milioni entro il 2050.

Lo stesso discorso vale per gli Stati Uniti, dove il Census Bureau ha registrato un aumento di oltre un terzo degli over 65 nell’ultimo decennio, la velocità maggiore degli ultimi 130 anni: gli anziani sono oggi il 16,8% della popolazione, e la loro quota continuerà ad aumentare con l’invecchiamento della generazione dei baby boomer. Eppure lo scorso 4 giugno il presidente Joe Biden ha firmato un decreto per restringere gli arrivi al confine con il Messico.

Il World migration report dell’OIM mostra che l’Europa e l’Asia sono i continenti che attualmente ospitano più migranti internazionali nel mondo, con rispettivamente circa 87 e 86 milioni di persone (dati 2020), pari al 61% del totale. Segue il Nord America, con quasi 59 milioni di migranti. Tuttavia, l’Asia ha registrato la crescita più significativa dal 2000 al 2020, pari al 74%.

Se confrontate con le dimensioni della popolazione di ciascuna regione, le quote di migranti internazionali nel 2020 erano più alte in Oceania, Nord America ed Europa, dove rappresentavano rispettivamente il 22%, il 16% e il 12% della popolazione totale: è qui che il fenomeno ha l’impatto maggiore.

“Nel 2050 Cina e India guideranno per distacco la classifica dei paesi più ricchi del mondo, davanti agli Stati Uniti e all’Unione Europea”, scrive il giornalista Gabriele Del Grande nel suo saggio Il secolo mobile, dove analizza la storia della migrazione in Europa negli ultimi cent’anni. “Indonesia, Brasile e Messico siederanno con loro al G7 e l’Unione africana festeggerà il suo terzo decennio ininterrotto di boom economico. Nel frattempo gli abitanti della Terra dagli 8 miliardi di oggi saranno arrivati a sfiorare i 10, per metà grazie all’esplosione demografica dei paesi a sud del Sahara nei quali, nel frattempo, saranno nati 1 miliardo di africani in più.

La Nigeria da sola avrà 400 milioni di cittadini, tanti quanti l’intera Ue. D’altronde la popolazione europea, sempre più anziana e in declino, continuerà a diminuire fino a non rappresentare che il 5% di quella mondiale. L’umanità del futuro, infatti, vivrà per metà in Asia e per un quarto in Africa”.

Nel mondo di domani, insomma, il peso demografico, economico e politico dell’Europa sarà decisamente ridimensionato. E così in futuro l’Unione Europea si potrebbe trovare non più con il problema di come tenere fuori i migranti, bensì di come attirarne abbastanza.

Il rabbino, gli ebrei e i canarini (corriere.it)

di Gian Antonio Stella

Tuttifrutti

«La triste involuzione della lotta per i diritti si vede tutta nelle contraddizioni di chi come i movimenti femminili o per il libero orientamento sessuale ignorano le violenze subite dalle donne ebree o rendono impossibile la presenza ebraica nelle loro manifestazioni», scrive in una breve lettera al Foglio Riccardo Di Segni, raccontando la solitudine degli ebrei in questi mesi in cui s’è «scoperchiato il vaso di Pandora di un antisemitismo strisciante solo a stento trattenuto finora dal politically correct» al punto che «ostentare un segno di appartenenza ebraica può essere pericoloso per un passante in una strada europea; i luoghi di aggregazione ebraica come scuole e sinagoghe sono oggetto di attenzione speciale; a giornalisti e docenti ebrei viene impedito di parlare».

Il tutto con una ostilità che va oltre «la critica, sempre legittima, alle scelte d’un governo; c’è piuttosto una divisione manichea tra cattivi e buoni in cui a essere cattivo è uno stato che ha il peccato originale di esistere, e insieme allo stato tutti coloro, come gli ebrei del mondo, che lo appoggiano in un periodo di crisi epocale e decisiva».

Come dare torto al Rabbino capo di Roma se perfino David Grossman, che da decenni rappresenta come scrive su Repubblica Luigi Manconi «una delle voci più autorevoli —sotto il profilo morale, culturale e politico — della società israeliana» ha subito in una piazza bolognese in teoria «antifascista» l’onta dei fischi di chi ha perso ogni capacità di distinguere?

E se segnali così arrivano «dalle file progressiste, che si dicono di sinistra, dalla parte opposta restano i nostalgici coi loro riti non tanto folkloristici, che sembrano tollerati. E non solo restano, ma raccolgono consensi crescenti».

Una fiammella nel buio, scrive Di Segni, è la consegna ad Aquisgrana del premio Charlemagne al rabbino Pinchas Goldschmidt, a capo della Conferenza rabbinica europea e già rabbino capo di Mosca prima d’essere costretto da Putin all’esilio.

E conclude con «la famosa immagine del canarino portato in miniera dai minatori, primo a soccombere per la presenza di gas velenosi, che lancia l’allarme. E’ questa la posizione in cui si sentono gli ebrei europei. E dargli un po’ di attenzione, come è stato fatto ad Aquisgrana, sarebbe utile per tutti».

Risposta del Foglio: «Siamo tutti canarini. Grazie». O almeno così dovremmo essere.

La luce della piccola Nalina nel buio della tragedia dei migranti a Roccella (ildubbio.news)

di Vincenzo Imperitura

NUOVA STRAGE

La bimba è tra gli 11 superstiti del naufragio dello Jonio. Recuperati 81 corpi, bilancio destinato a salire. In Calabria accorrono, da tutta Europa, parenti dei migranti coinvolti

Un corpo alla volta. Vanno avanti per piccoli passi le operazioni di ricerca dei cadaveri dei migranti inghiottiti dal Mediterraneo al confine tra le acque di competenza Sar dell’Italia e quelle della Grecia. L’ultimo corpo rinvenuto in mare a circa 120 miglia dalla costa calabrese è stato issato a bordo della motonave “Dattilo” nel pomeriggio di mercoledì: si aggiunge alle sette vittime ufficiali del naufragio già trasportate nel porto di Roccella e trasferite alla morgue dell’ospedale di Locri.

Ma il bilancio è destinato purtroppo a salire, visto che gli undici sopravvissuti tratti in salvo dalla Capitaneria di porto hanno raccontato di almeno altre 60 persone imbarcate di cui non si ha più traccia. Quasi nulle, a tre giorni dal Sos lanciato da un diportista francese che ha raccolto i primi naufraghi, le speranze di trovare qualcuno ancora in vita.

E con il passare delle ore, a causa delle correnti che potrebbero averli spostati anche a decine di chilometri dalle zone di ricerca, si riducono anche le speranze di trovare anche solo i corpi dell’ennesimo disastro del mare avvenuto sulla “rotta turca” attraverso cui, da più di venti anni, i flussi migratori in arrivo via mare dal Medio Oriente raggiungono l’Europa.

E mentre le operazioni di ricerca continuano in mare aperto, a Roccella stanno arrivando i parenti dei migranti imbarcati su quel piccolo veliero stipato come un uovo e andato a picco dopo essere rimasto per giorni in avaria e in balia delle onde.

Un ragazzo arrivato dalla Germania e uno in arrivo dall’Inghilterra sono già presenti sulle banchine del porto: sapevano della partenza di alcuni loro parenti dalla spiaggia di Bodrum in Turchia e da giorni non avevano più ricevuto notizie. Sono qui nella speranza che i loro cari possano essere tra gli undici scampati al naufragio.

E nel pomeriggio di mercoledì, anche la piccola Nalina – la bambina di 10 anni di origine irachena ricoverata nell’ospedale di Locri assieme al migrante ventiduenne che le ha salvato la vita tenendola stretta a se per ore tra le onde – ha potuto riabbracciare la zia.

Rintracciata nelle scorse ore, la donna è arrivata in Calabria dalla Svezia mercoledì ed è stata subito accompagnata in ospedale dove ha potuto riabbracciare la bimba che durante la traversata ha perso il resto della sua famiglia. Una piccola luce nell’oscurità di questa ennesima tragedia migrante.

La notizia dell’ennesimo naufragio nel cuore del Mediterraneo, passata presto in secondo piano sui sempre più distratti media italiani, continua a rimbalzare invece sui social iraniani, iracheni e siriani che da giorni rilanciano gli appelli di parenti e amici dei dispersi alla continua ricerca di informazioni.

Un tam tam ininterrotto di richieste di informazioni che si è riversato, nelle ore immediatamente successive al naufragio, sui centralini della Croce Rossa e che preannuncia la triste processione che, da tutta Europa, convergerà verso

Roccella per riabbracciare i pochissimi sopravvissuti e per le operazioni di riconoscimento dei cadaveri. Lo stesso tremendo copione che poco più di un anno fa aveva visto Crotone – un centinaio di chilometri più a nord di Roccella – invasa dai migranti già residenti in Europa arrivati in Calabria a seguito del disastro di Steccato di Cutro.

Un’immagine che non avrebbe più dovuto ripetersi e che invece, a distanza di poco più di un anno dalla più grande tragedia migrante del mare calabrese, si è riproposta praticamente identica. Gli undici sopravvissuti del naufragio sono ricoverati negli ospedali del reggino e sono tutti in via di miglioramento seppure ancora piuttosto provati.

Hanno chiesto un telefono per contattare i loro familiari, alcuni dei quali sono già in viaggio verso la Calabria. Da Roma invece sono arrivate le squadre di psicologi che forniranno supporto psicologico ai parenti di vittime e dispersi.

Ancora da definire le cause del disastro. Dalle prime ricostruzioni raccolte dagli inquirenti, il veliero monoalbero di 15 metri su cui erano state ammassate circa 70 persone ( tra cui almeno una ventina di bambini, alcuni poco più che infanti) sarebbe rimasto in avaria dopo tre giorni di navigazione, restando in balia del mare agitato.

I migranti avrebbero poi raccontato di diverse barche passate nelle vicinanze del piccolo veliero che hanno ignorato le loro richieste di aiuto. Una mostruosità che, soprattutto in acque greche, sta diventando quasi un’abitudine. Solo un’altra barca a vela, con a bordo turisti francesi in crociera attraverso il Mediterraneo, si è fermata per prestare soccorso lanciando l’allarme quando ormai molti dei migranti a bordo del natante in difficoltà erano stati scaraventati in acqua.

A complicare ancora le cose poi ci sarebbe stata una manovra avventata, dettata probabilmente dal panico, che ha provocato un deflagrazione sotto coperta. Alcuni dei sopravvissuti – finiti tutti in ospedale con ferite da traumi esplosivi e ustioni – hanno raccontato che, quando l’acqua aveva già iniziato a invadere il veliero, qualcuno dei passeggeri avrebbe provato ad aprire un gommone di salvataggio quando ancora si trovava sotto coperta.

Potrebbe essere stata la deflagrazione del meccanismo automatico di apertura della scialuppa a provocare lo scoppio che ha scaraventato in mare parte dei migranti.

Se tutti gridano al “fascismo” e nessuno cambia il codice fascista (ildubbio.news)

di Chiara Lalli

Passano ormai inosservate cose come il reato di 
aiuto al suicidio, vero lascito del ventennio: 
Alfredo rocco, 1930...

Se tutto è fascismo niente lo è.

Una risposta mancata o tardiva, un programma spostato, una parola sbagliata, stamattina non mi hai salutato, il cane non ha il guinzaglio, le pesche non sanno più di niente, non ti è piaciuto quel film necessario, non ti sei dichiarato antifascista, non stavi in piazza con la bandiera giusta, hai messo un cuoricino a quel fascista (per fortuna ora sono anonimi, troveremo un modo per rimediare a questa ennesima censura ovviamente fascista).

È tutto fascismo. Niente lo è. Ci ho pensato tutta la mattina, mercoledì, durante l’udienza della Corte costituzionale sull’articolo 580 del codice penale (o meglio su uno dei requisiti decisi dalla sentenza 242 della Corte nel 2019; tra poco ci torno). Codice Rocco, una delle cose per cui sarebbe lecito e giusto usare quella parola lì.

È un articolo che ha quasi cento anni e che punisce l’aiuto e l’istigazione al suicidio, e che mi riguarda perché rischio di essere condannata per aver accompagnato Massimiliano in Svizzera – insieme a Marco Cappato e a Felicetta Maltese.

Ma non è questo il punto, ora. Non che mi faccia piacere rischiare da 5 a 12 anni di carcere, ma ho scelto di accompagnare Massimiliano, ho scelto di fare quel poco che potevo fare per esaudire il suo desiderio semplice e difficilissimo (“voglio morire a casa mia senza soffrire”) e sapevo quali erano le conseguenze.

Il punto è: possibile che quando inciampiamo in qualcosa di fascista manco ce ne accorgiamo?

Siamo così distratti? Siamo così ipnotizzati da non capirlo?

E com’è possibile che quell’articolo sia rimasto lì per tutti questi anni? Cioè fino al 2019 e alla sentenza 242 della Corte costituzionale che lo ha in parte dichiarato incostituzionale, stabilendo dei requisiti di non punibilità tra cui il cosiddetto trattamento di sostegno vitale, che è un criterio non chiaro e che rischia di essere discriminatorio? E perché nessuno lo ha riformato prima?

Se ricordo bene Carlo Nordio aveva promesso di riformare il codice fascista – e questo articolo è fascista e sarebbe facile da riformare. E sarebbe anche doveroso, perché lì dentro c’è ancora una idea della nostra vita come un bene indisponibile, e una visione della nostra libertà molto angusta.

Non basterebbe, ovviamente, perché non è il solo residuo fascista e perché la giustizia, il carcere, le intercettazioni, la procedura penale, la separazione delle carriere sono tutte cose complicate e importanti. Però magari si potrebbe cominciare dalle cose semplici. E ci si potrebbe ricordare che non solo la procedura ma pure il codice penale avrebbe bisogno di qualche aggiustamento.

Poi c’è la convinzione che urlare dal divano “fascista!” o “vergogna!” serva a qualcosa. E certamente serve a non sudare e a sembrare buoni, ma dubito che possa avere altri effetti. Ma sul 580 non ho nemmeno sentito tanto strepitare, e nemmeno qualcuno strillare da un loggione “viva la Costituzione, abbasso il codice Rocco”. Oppure forse ero distratta io.

E c’è la dissoluzione delle gerarchie (non fasciste): se il saluto romano è grave quanto il bracciante morto, qualcosa non va. Quando “fascista” ha lo stesso significato della sciarpa della Roma, qualcosa non va. Quando si accusa qualcuno di avere il padre fascista, qualcosa non va.

Poi c’è forse un’altra questione: non abbiamo altre parole per condannare qualcosa? Perché evocare il fascismo sembra essere rimasta l’unica accusa possibile, pigra e sciatta. E, per carità, non voglio mica dire che sia una bella cosa il fascismo (dobbiamo davvero dirlo?), ma che si rischia l’effetto assuefazione e distrazione. Se tutto è fascismo niente lo è.

I dieci comandamenti esposti in ogni classe, per legge (linkiesta.it)

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Oggi in Louisiana, domani chissà

Quello che sta accadendo negli Stati Uniti è anche un monito rispetto alle conseguenze di un sistema in cui al vincitore delle elezioni è consentito di “catturare” in un sol colpo anche le principali istituzioni di garanzia, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”.

Lo stato della Louisiana ha varato ieri una legge che impone a tutte le scuole e università pubbliche di esporre in ogni aula i dieci comandamenti. Con un puntiglio che ha paradossalmente qualcosa di sovietico – ma è ancora davvero un paradosso, nell’epoca della destra putiniana? – la legge, fortemente voluta dai repubblicani, prescrive che il formato dei cartelli non sia inferiore a 11 x 14 pollici (circa 28 x 35 centimetri), che i comandamenti occupino «il punto centrale del cartello» e che siano stampati «in un carattere grande e facilmente leggibile».

Accanto sarà affissa anche una breve dichiarazione per spiegare che i dieci comandamenti sono stati «una parte importante dell’istruzione pubblica americana per quasi tre secoli».

A dare conto della notizia è un articolo del New York Times in cui si aggiunge, come utile elemento di contesto, che i parlamentari della Louisiana sono anche i primi negli Stati Uniti a promuovere provvedimenti per rendere il possesso di pillole abortive senza prescrizione un crimine punibile con il carcere e per consentire ai giudici di ordinare la castrazione chirurgica di chi abbia commesso reati sessuali su minori.

Naturalmente non mancano associazioni per la difesa delle libertà civili già pronte a presentare ricorso contro la legge sui dieci comandamenti. «Ma è una battaglia – prosegue l’articolo del New York Times – che i sostenitori sono preparati e, per molti versi, ansiosi di intraprendere». E qui viene la parte secondo me più interessante.

Perché la legge della Louisiana «fa parte di una campagna più ampia condotta da gruppi cristiani conservatori per amplificare le manifestazioni pubbliche della propria fede e provocare cause legali che potrebbero raggiungere la Corte Suprema, dove si aspettano un’accoglienza più amichevole rispetto agli anni passati». Aspettativa più che ragionevole, visto come Donald Trump, durante il suo mandato presidenziale, è riuscito a riempirla di estremisti e fanatici (cioè di suoi sodali).

Quello che sta accadendo negli Stati Uniti è insomma anche un monito rispetto alle conseguenze di un sistema in cui al vincitore delle elezioni è consentito di “catturare” in un sol colpo anche le principali istituzioni di garanzia, che dovrebbero assicurare l’equilibrio dei poteri e la difesa dello stato di diritto.

Sono sicuro pertanto che all’attento lettore non sfuggirà la ragione per cui mi sono tanto dilungato su un fatto apparentemente lontano, proprio nei giorni in cui Giorgia Meloni tenta di promuovere a tappe forzate le sue riforme costituzionali.

A cominciare da quel premierato che non prevede solo l’elezione diretta del capo del governo, accompagnata da una sostanziale sterilizzazione dei poteri del capo dello stato e dello stesso parlamento, ma include anche una clausola relativa alla legge elettorale, per assicurare al premier una consistente maggioranza (a prescindere, per dir così) con tutte le conseguenze immaginabili per quanto riguarda la nomina delle autorità di garanzia e degli stessi giudici costituzionali.

Dopo quello che abbiamo già visto accadere nel 2018 (e anche in seguito, per la verità), con la saldatura tra populisti al governo e populisti all’opposizione, per escludere i democratici da ogni ruolo di controllo, consiglierei a tutti di tenere gli occhi bene aperti.