Perché le elezioni francesi spaventano i mercati (lavoce.info)

di

Le due coalizioni che potrebbero vincere le 
elezioni francesi hanno programmi economici 
populisti, in una situazione difficile dei 
conti pubblici. 

È il motivo che ha portato alla caduta delle borse europee dopo lo scioglimento anticipato del parlamento.

Il sistema elettorale francese

Immediatamente dopo l’annuncio dello scioglimento anticipato dell’Assemblea nazionale francese, le borse europee, e in particolare quelle d’Oltralpe, hanno subito una drastica caduta. Analogamente, gli spread sui rendimenti delle obbligazioni degli Stati membri dell’Unione si sono enormemente allargati.

A spiegare il diffuso nervosismo concorrono quattro diversi fattori: il sistema elettorale, il quadro politico, i programmi dei principali partiti e la situazione economica francese.

Per lunga tradizione storica, in Francia vige un sistema uninominale maggioritario a doppio turno. Il territorio è diviso in 577 collegi uninominali. Per vincere al primo turno, i candidati devono ottenere la maggioranza assoluta dei voti e tali voti devono essere pari ad almeno il 25 per cento degli elettori iscritti. Il secondo criterio diventa rilevante solo nel caso in cui l’astensionismo risulti superiore al 50 per cento.

L’esperienza sinora ha mostrato che il numero di candidati che passa al primo turno è molto basso: solo cinque alle ultime elezioni, del 2022, tutti appartenenti ai partiti più grandi e con una forte concentrazione geografica.

Al secondo turno vengono ammessi i candidati che abbiano conseguito nel primo un numero di voti almeno pari al 12,5 per cento del numero degli elettori iscritti, non a quello dei voti espressi. Pertanto, se la partecipazione al voto fosse pari al 50 per cento, la soglia sarebbe del 25 per cento. Questo fa sì che la competizione sia generalmente bipolare, ma il tripolarismo non è escluso.

Nelle ultime due elezioni, i partiti di centro sono riusciti a battere quelli di destra al secondo turno, convogliando su di sé gli elettori che avevano votato per i partiti di sinistra eliminati al primo. È la scommessa che ha indotto Emmanuel Macron a sciogliere il parlamento e indire elezioni anticipate.

Oggi, tuttavia, il quadro politico appare mutato per due ragioni. La prima è che il Rassemblement National (Rn) di Marine Le Pen, pur non essendo riuscito a creare una alleanza di centro-destra, si presenta alle urne con una maggioranza relativa di consensi superiore al 30 per cento.

La seconda ragione è che i partiti di sinistra, intimoriti dalla forte avanzata delle destre, sono riusciti a coalizzarsi attorno al Nuovo Fronte popolare (Nfp), di antica memoria, poiché nel 1936 aveva vinto le elezioni con Leon Blum. I quattro principali partiti che formano la coalizione (il Partito socialista, La France InsoumiseLes Écologistes e il Partito comunista) hanno anch’essi raccolto circa un terzo dei voti alle elezioni europee.

In questo contesto, è probabile che i partiti centristi, legati alla figura di Macron, non passino il primo turno o si trovino in una situazione di tripolarismo, in cui è difficile possano vincere le elezioni giocando il ruolo di magnete dei voti di centro-sinistra, come avvenuto nel passato. Anzi l’elettorato sembra polarizzarsi verso il Rn e il Nfp. In altre parole, è probabile che il prossimo governo francese sia guidato, o comunque fortemente condizionato, dalla destra o dalla sinistra.

I programmi economici di Rn e Nfp

E qui veniamo al terzo elemento che impensierisce i mercati: i programmi economici fortemente espansionistici e populisti che caratterizzano sia il Rassemblement National che il Nuovo Fronte popolare.

Il primo prevede l’abbassamento dell’età della pensione, che era stata portata dalla riforma Macron da 60 a 64 anni, il taglio del cuneo fiscale e delle tasse alle imprese, così come dell’Iva sulla benzina e sull’elettricità. Promette anche grandi investimenti nella sanità per un totale di extra-deficit di circa 100 miliardi di euro all’anno (+3,9 per cento).

Il Nfp propone, invece, una maggiore progressività fiscale, il blocco dei prezzi sui beni di prima necessità, la riforma delle pensionil’aumento del salario minimo e l’ampliamento del settore pubblico con la nazionalizzazione delle principali infrastrutture.

Questi programmi si inseriscono in una situazione dei conti pubblici francesi già molto deteriorata. Nel 2024 il deficit pubblico della Francia sarà superiore al 5 per cento del Pil, uno dei valori più alti dell’Eurozona, mentre si prevede che il debito, vicino alla soglia del 110 per cento, continui ad aumentare nei prossimi anni.

Certo, è probabile che, una volta entrati nella stanza dei bottoni, i partiti di destra e di sinistra assumano atteggiamenti più responsabili e che le loro correnti o alleati più populisti vengano messi in minoranza, come avvenuto in Italia. Tuttavia, il rischio di trovarsi di fronte a una crisi finanziaria nel cuore dell’Europa non può essere del tutto escluso.

“Nessun uomo ragionevole vuole danzare” scriveva Lord Byron, ma credo che questa volta ci toccherà farlo, almeno per qualche tempo.

(Figura 1 – Il debito pubblico in percentuale del Pil delle principali economie dell’Eurozona)

«Il caldo, il puzzo di orina e la voglia di farla finita». Lettera dall’inferno carcere (ildubbio.news)

CARCERE

Quanto scrivono i detenuti di Brescia restituisce in tutta la sua drammaticità le condizioni ai limiti dell’umano in cui si vive nella maggior parte dei penitenziari italiani. «La rieducazione ormai è soltanto un miraggio»

La lettera dei detenuti del carcere di Brescia-Canton Monbello, che riportiamo di seguito, restituisce in tutta la sua drammaticità le condizioni ai limiti dell’umano in cui si vive nella maggior parte dei penitenziari italiani. I numeri sono spietati: a metà 2024 siamo già a 45 suicidi. Un macabro record assoluto, se confrontato con lo stesso periodo degli anni precedenti. Il sovraffollamento comincia ad avvicinarsi ai livelli della sentenza Torreggiani della Cedu. In Italia, secondo il Dap, al 31 maggio ci sono 61.547 reclusi, 1.381 in più rispetto a inizio anno (+2,3%). Lunedì prossimo a Montecitorio è calendarizzata la proposta di legge sulla liberazione anticipata speciale di Roberto Giachetti (Italia Viva) e Nessuno Tocchi Caino. Una soluzione che può ridurre il sovraffollamento, allentare la tensione, dare respiro agli stessi agenti, ormai allo stremo. Proprio da lunedì Rita Bernardini ha annunciato lo sciopero totale della fame e della sete.

Fa caldo, il sudore scivola sulla pelle, e si appiccica con i vestiti addosso, sono madido, e si sono ormai impregnati lenzuola e materasso, anch’essi di sudore come i miei panni e le nostre membra. Si boccheggia, in cella, e l’acqua che ci trasciniamo dietro, dopo la tanto sofferta e agognata doccia, evaporando riempie d’umidità l’angusto luogo.

L’aria satura d’umidità, sudore, miasmi, la puoi tagliare con un coltello, in verità, farlo è impossibile, i coltelli sono di plastica riciclata, e si rompono anche solo a guardarli. Devo andare in bagno, ma è occupato, altri 15 sono in fila davanti a me. Un anziano di circa 74 anni ha il mio stesso problema, purtroppo per lui, e per noi, non fa in tempo a dire che gli occorre con urgenza il bagno.

Ha una scarica di dissenteria, mentre dimenandosi cerca di alzarsi a fatica dalla branda con il materasso vecchissimo in gomma piuma. In un attimo, lenzuola e materasso s’impregnano di liquame e urina, lui non sa come comportarsi, indifeso, imbarazzato, umiliato, impietrito, attonito.

Piange, un uomo di settantaquattro anni, i capelli radi e canuti, piange e si scusa, geme, si lamenta, impreca, bestemmia, chiede a Dio di morire. La sua colpa è quella d’aver commesso un grave reato: bancarotta fraudolenta.

I suoi carnefici sono fuori, si sono approfittati di lui, di un vecchio che a stento sa leggere e scrivere. L’hanno circuito, e lui, e qui, in questo piccolo inferno, devastato nel corpo nella mente e nell’anima, ma in fondo questo non è un nostro problema. II nostro problema sono gli odori. Il problema è suo, infatti, uno della cella si sta alzando irritato, gridando qualcosa d’incomprensibile nella sua lingua.

Probabilmente vuole mettergli le mani addosso, non lo fa per mera cattiveria, e lo stress, il caldo, gli odori insopportabili, il fatto che non parla la nostra stessa lingua e che non riesce a sentire la sua famiglia se non per dieci minuti a settimana. È stanco, arrabbiato, sofferente, lo siamo tutti. Qualcuno si alza per ragionarci, per calmarlo, ma subito Faria s’infiamma, cominciano a volare parole grosse e i primi spintoni, per fortuna altri intervengono e si riesce a placare gli animi.

Questa volta è andata bene, ma la situazione è sempre questa, e purtroppo, non tutte le volte termina cosi. 15 e un solo bagno, un vero e proprio stabilimento balneare per germi e batteri, per loro e la condizione migliore, una festa, per noi, forse un po’ meno.

Questa combinazione è il cocktail perfetto per far insorgere discussioni, litigi e tutto quanto di brutto può conseguirne. Oltretutto il cesso è una vecchia turca fatiscente con sopra un tubo dell’acqua per farsi la doccia, che d’estate scotta dannatamente, e d’inverno, e maledettamente fredda. A pochi centimetri, sempre nel bagno, cuciniamo i nostri pasti, e se è vero che quando tiri lo sciacquone, le feci nebulizzate schizzano fino a due metri, allora cosa stiamo mangiando da anni?

In fondo pero, è notevolmente migliore della sbobba che ci servono dal carrello. In quindici è pressoché impossibile permanere in piedi in cella, figuriamoci seduti tutti al piccolo tavolino per mangiare, quindi facciamo a turno. Nei turni con noi, si accodano cimici, scarafaggi e altre bestiacce, che non ne vogliono sapere di rispettare la fila.

Ben pensandoci pero, più che mancanza d’intimità, non stiamo forse parlando di una vera e propria violenza? Violentati, intimamente, mentalmente, moralmente, proprio in linea con l’articolo 27 della Costituzione. Di persone non auto sufficienti in questo Istituto ce ne sono parecchie, si può spaziare dalle malattie psichiatriche più accentuate sino alla tossicodipendenza, e come visto sopra, a malattie senili.

Il sovraffollamento in un carcere causa tutto questo, o meglio, in tutte le carceri di questo paese, non puoi aspettarti altro. E cosi, come soffriamo noi allo stesso modo, soffrono gli operatori che ci devono assistere, dagli Agenti per la sicurezza al personale sanitario, e che dire di quelle migliaia che in carcere sono finite, ma nulla avevano fatto per meritarlo?

Tutte persone incrinate, inevitabilmente, irreparabilmente, una tristezza desolante e sconfinata, per i rei e non. Elevati sono i suicidi in carcere, 45 in soli cinque mesi e mezzo dall’inizio dell’anno, un gesto troppo estremo? Forse, ma e quello che viviamo qui che porta queste persone a compiere certi gesti, e qui di persone ce ne sono sicuramente troppe. I gesti estremi accadono sempre vicino a noi, ti svegli una mattina e forse mestamente ti accorgi che nel bagno un tuo cancellino ha reso l’anima, oppure accade al vicino o al dirimpettaio. È aberrante.

Siamo sovraffollati, in condizioni che rasentano la disumanità, definite di tortura dall’Unione Europea, sopra, lo abbiamo ben spiegato. La domanda giusta da porsi è: come può funzionare il reinserimento? La cosi chiamata rieducazione? Come si possono svolgere i corsi organizzati?

Non solo manca personale, sono concretamente assenti gli spazi. Sappiamo che alcuni di voi sono già venuti a vedere le nostre celle, ma viverci è molto diverso. Voi ci dovete credere, queste non sono lamentele, non vogliamo né impietosire né mendicare, né invocare clemenza, ma solo riportare quanto è vero è ahinoi terribile.

Sì certo, alcuni di noi meritano di stare in carcere, hanno commesso reati, e altresì verosimile che, questa mancanza pressoché totale, di umanità nei confronti dei carcerati non è forse pari a commettere dei reati?

È giusto pagare per chi ha sbagliato, perché occorre rieducazione; è altresì vero che oggi, con questo sovraffollamento, le persone detenute vengono poco alla volta, giorno dopo giorno, defraudate della loro umanità, e questa cosa deve fare paura, e fa concretamente spavento.

La violenza fatta a quell’anziano prima citato, non è simile a compiere un reato, è uno dei tanti, è vero, ma quanti ce ne sono come lui, non sono dei veri e propri reati, trattare le persone in questo modo, e non è forse vero che le condizioni in cui ci troviamo in carcere sono un costante incitamento al suicidio?

Pensiamo sia non edificante, ma umanamente avvilente per un agente di turno dover sciogliere un nodo che un detenuto esanime si è messo al collo ponendo fine alla propria esistenza. Tutti possono sbagliare, ma il carcere deve essere impostato per rieducare, non per toglierci di mezzo, non pensiamo che lo Stato attuale sia uno Stato non improntato al dialogo, anzi! Proprio per questo possono nascere dal dialogo vere e proprie soluzioni.

Signorie Vostre, voi ci rappresentate, indifferentemente dall’appartenenza politica, voi ci rappresentate come persone, come abitanti di questo Bel Paese, l’Italia. Il problema carceri in Italia è grande, non è di sicuro il nostro fiore all’occhiello.

In Europa ci rimproverano (2006-2013) per il nostro sistema carcerario: perché quindi, non provare ad ascoltare chi in carcere ci vive per immaginare possibili soluzioni? Questo non vuol dire scendere a patti con nessuno, ma semplicemente sarebbe un atto di democrazia, un modo per riuscire a sistemare questo problema carceri, o perlomeno un punto da cui cominciare.

Da questo punto potrebbero nascere idee, e qui a Canton Monbello, il problema del sovraffollamento è eclatante, quindi perché non cominciare da qui? Sarebbe bello che compiendo un atto di umanità il nostro Paese venisse visto in maniera diversa, in maniera positiva anche per il sistema carcerario, oltre a tutto quello che di bello in Italia già c’è.

Leggendo i giornali abbiamo letto che alcuni, considererebbero la concessione dei giorni in più di liberazione anticipata come un fallimento dello Stato. Noi ci chiediamo: perché concedere dei giorni in più di liberazione anticipata a persone “meritevoli” sarebbe un fallimento?

Abbiamo visto che non è facile essere meritevoli, sappiamo che solo chi ha fornito prova di partecipazione a un percorso rieducativo e riabilitativo può beneficiare di detti giorni, abbiamo osservato come non sia semplice rientrare nelle maglie di questa rete. Quindi, davvero sarebbe un fallimento?

Personalmente crediamo che non si tratti per nulla di un fallimento, al contrario sarebbe la concreta dimostrazione che lo Stato c’è, e ha vera volontà di cambiare le cose, di migliorare la vita a tutti i suoi cittadini, anche a quelli che hanno sbagliato, ma che comunque non sono esclusi.

Ad oggi, causa il sovraffollamento, il carcere non mette in condizioni nessuno di essere rieducato, e fa vivere pesanti condizioni anche ai suoi operatori. Come può un sistema che mette in avaria il suo stesso personale, passando da quello sanitario, dell’area educativa sino agli Agenti che con un giuramento si prodigano tutti i giorni in questo lavoro, funzionare?

Così come i detenuti vivono quotidianamente con il sovraffollamento, gli stessi operatori sono costretti a conviverci e a fare i conti con i problemi che causa. Tutti quanti sono messi a dura prova ogni giorno, e alla nostra sofferenza si somma la loro. Chi vuole, cerca e si prodiga per la rieducazione, conscio dei propri errori, si ritrova a lottare per frequentare corsi, che non possono esserci per tutti, poiché siamo davvero tanti.

Qui nessuno chiede alcuna misura di grazia, desideriamo solamente poter avere un percorso corretto, giusto, che ci consenta di migliorarci come persone. E a cosa servirebbero i giorni aggiunti di liberazione anticipata, se non a migliorare questo sistema?

Con la concessione di questi giorni, non solo si allevierebbe la sofferenza dei detenuti e degli operatori del carcere diminuendo sensibilmente il problema del sovraffollamento, ma s’incentiverebbe un sistema virtuoso che dà una speranza ai meritevoli.

I detenuti della Casa circondariale “Nerio Fischione” di Canton Monbello, Brescia

Ci attende un futuro di tagli inevitabili (italiaoggi.it)

di Valter Vecellio

Filo di nota

Passata la festa, gabbato per l’ennesima volta lo Santo?

A fronte delle mille, mirabolanti promesse elettorali, che cosa rimane? Le elezioni che ci siamo lasciati alle spalle registrano un enorme numero di astensioni: un elettore su due rinuncia al diritto di voto. In particolare dovrebbe far riflettere l’apparente apatia, o disincanto, giovanile. La generazione nata tra il 1980 e il 1995 ormai diserta in massa le urne con soglie di circa il 40%.

Eppure, proprio loro, i meno garantiti, i più penalizzati, dovrebbero essere i maggiormente interessati. Non è un destino roseo, quello che li aspetta. L’Inps stima che nel 2050, praticamente domani, i cittadini over 65 rappresenteranno fino al 35% della popolazione. Significa uno squilibrio tra lavoro e pensioni con un “rosso” di 20 miliardi già nel 2032. Un invecchiamento della popolazione che inevitabilmente comporterà il dover ripensare il sistema del welfare.

La manovra di bilancio incombe. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti non lascia spazio a sogni: la priorità anche per il 2025 il taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro. Per il resto si valuterà: “Bisogna essere molto selettivi, privilegiare gli interventi più utili”.

Tanti saluti dunque a “Quota 41”, la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età. Stesso discorso per la proroga degli incentivi per pmi che scelgono di quotarsi in Borsa. Improbabile che si riduca a due le aliquote Irpef, se va bene si confermerà la riduzione già in vigore da quattro a tre.

Probabilmente resterà una promessa la detassazione delle tredicesime.In parallelo all’orizzonte il decreto ministeriale di Mef e Interno per stabilire i tagli alla spesa per 250 mln l’anno richiesti a Comuni e province, da sommare alla lista della spending review chiesta ai ministeri.Per molti si annuncia una stagione di sangue, sudore, lacrime.

Altro che la “pizzica” di Giorgia Meloni a Borgo Egnazia, o il Mon Amour di Elly Schlein sul carro allegorico del Gay Pride.

Pride, il patrocinio negato dalla Regione Lombardia e la prova difficile della libertà (ilriformista.it)

di Mario Alberto Marchi

Ambrogio

Questa settimana vogliamo dedicare l’intera pagina al Pride. 

Esattamente una settimana prima di quello milanese. Lo facciamo considerandolo un paradigma del modo in cui la politica, la società, la cultura intendono il concetto di libertà, anzi di come e quanto ancora fatichino a farlo proprio nella sua interezza, a ben vedere decisamente impegnativa.

Gli scudi, dietro i quali ci si protegge con le proprie consolidate convinzioni, sono tanti: la legge, la natura, la tradizione, la religione. Il fatto è che a nascondersi ci si abitua, ma per fortuna viviamo nell’era della comunicazione, dove la più potente, utile è quella spontanea, fuori controllo. Quella dei social.

Il parametro

E da lì arriva, violenta, la verità. Il giudizio morale, il disprezzo civile, l’avversione politica, la negazione dei diritti, la costruzione di diversità come portatrice di male, non sono pulsioni di pochi, ma principi di troppi, affermati con la protervia di chi si autodefinisce maggioranza e ne rivendica il primato.

La storia ci insegna che quando queste sono le condizioni, la scelta è tra credere nella libertà fino in fondo o farsi strumento di chi la avversa. Nessuno scudo, nascondiglio, nessuna via di mezzo è ammessa.

Ed è così che il Pride ci chiede di essere vissuto, offrendosi come parametro assoluto per mettere alla prova la nostra capacità di ripudiare qualsiasi distinguo.

Il patrocinio negato

Di resistenze ve ne sarebbero già fin troppe, ben alimentate da certa politica che coltiva le paure, ma altre se ne creano perfino dall’interno, cercando di piegare il Pride alle ideologie con manifesti che vorrebbero tracciare altri confini, come descritto in questa stessa pagina.

La sua forza, sfacciata, senza mezzi termini è invece nell’inclusività assoluta, offerta e richiesta. “Il Pride è divisivo” è stato detto alcuni giorni fa nel Consiglio Regionale della Lombardia, dove la maggioranza ha negato il patrocinio. E sarebbe da dar ragione: da sempre la libertà divide, tra chi la pratica e chi la teme.