Putin, e la dissociazione cognitiva dell’Occidente (linkiesta.it)

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Gli utili idioti

Esattamente cinque anni fa, in un’intervista al Financial Times del 27 giugno 2019, il dittatore russo aveva delineato il suo manifesto strategico contro la democrazia liberale.

Non abbiamo voluto credergli e continuiamo a non capire, nemmeno due anni dopo l’invasione dell’Ucraina

Il 27 giugno 2019, esattamente cinque anni fa, apparentemente vivevamo in un altro mondo rispetto a quello attuale, perché non era ancora scoppiata l’epidemia globale di Covid, la Russia non aveva invaso l’intero territorio dell’Ucraina e gli ayatollah iraniani non avevano usato Hamas per scatenare una caccia agli ebrei che non si vedeva dai tempi della Germania nazista.

In realtà, il mondo era già a soqquadro per gli stessi motivi per cui ora è dominato dal caos generato dalle forze del male. Non era necessario essere raffinati studiosi di geopolitica per accorgersi del sommovimento in corso, anzi non aver mai sfogliato un numero di Limes avrebbe aiutato molto più facilmente a capire che la Russia stava affilando le armi del suo fanatico imperialismo millenarista, che l’Iran aveva ulteriormente radicalizzato la sua rivoluzione sciita sanguinaria e che l’America per effetto degli errori strategici di Barack Obama e dell’elezione di Donald Trump aveva smesso di fare l’America, ovvero aveva rinunciato al ruolo di garante e protettore del mondo libero e democratico.

Eppure, in quel preciso giorno di giugno di cinque anni fa, ci saremmo comunque dovuti svegliare tutti leggendo il Financial Times, la cui prima pagina ospitava un’intervista a Vladimir Putin il cui titolo, parole sue, era «Il liberalismo è diventato obsoleto».

Nell’intervista, il dittatore russo spiegava al pubblico occidentale ciò che da tempo aveva promesso ai sudditi russi: la rivincita dell’umiliazione subita a causa del dissolvimento dell’Unione Sovietica, il riscatto del tradizionalismo oscurantista ai danni del multiculturalismo globale, e l’ascesa del nazionalismo populista.

In pochi, allora, commentarono che di obsoleto semmai c’era la dittatura, il culto della personalità e il regime corrotto degli oligarchi, cioè il modello autoritario russo, ma quell’intervista di Putin, pur molto citata in seguito, fu sottovalutata e trattata come una qualunque dichiarazione di un politico italiano in un talk show.

E invece Putin aveva spavaldamente dichiarato guerra al sistema liberale, delineando la sua strategia per sostituire i sistemi democratici con quelli autoritari, questa volta senza nascondersi, senza freni, anzi raccontandolo al giornale della finanza globale, e rivendicando l’ispirazione ideologica russa dei movimenti populisti che in Occidente criticano il modello di società fondata sullo stato di diritto.

Quell’intervista era un manifesto programmatico che avrebbe dovuto farci allacciare le cinture di sicurezza, e adeguare le difese comuni alla minaccia palese. Invece abbiamo fatto finta di niente, “mica Putin fa sul serio”, e c’è voluta l’invasione dell’Ucraina del 2022 per renderci (solo parzialmente) conto che quelle parole consegnate al Financial Times erano l’annuncio di un piano militare contro le ex colonie che si erano liberate, e un progetto politico contro l’Europa e l’America.

Putin aveva capito che l’arretrata, corrotta e marcia Russia non sarebbe mai potuta diventare una società fondata sui diritti sul modello occidentale, quindi ha pensato fosse meglio provare a russificare l’Occidente, infiltrando e manipolando le opinioni pubbliche e approfittando delle difficoltà interne al mondo libero.

E così sono partiti i missili sui civili in Ucraina, le pressioni sulla Moldavia, le leggi russe contro la libertà di espressione in Georgia, le campagne contro i diritti civili in Ungheria e Polonia, e la diffusione del caos, l’ingegnerizzazione di fake newsgli aiuti ai partiti bipopulisti e rossobruni in Occidente.

Un piano strategico che ancora oggi molti faticano a vedere o a capire, non solo i portavoce consapevoli o no della propaganda del Cremlino, ma anche l’area liberal-democratica italiana che non ha messo al centro della proposta elettorale europea la più rilevante delle questioni del nostro tempo, ovvero l’attacco militare e politico al sistema liberal-democratico che, con tutti i difetti, tutte le ingiustizie e tutte le diseguaglianze che può aver creato, ha comunque garantito pace, libertà e prosperità per ottanta anni, confermando di essere la peggior forma di governo a eccezione fatta di tutte le altre sperimentate.

Se sei liberale, democratico e progressista di che altro devi parlare se non di questo, mentre qualcuno sta provando dall’esterno e dall’interno a demolire la società dei diritti e a smontare il sistema delle libertà individuali? Mistero.

Tornando ai volenterosi complici dello sfascio occidentale, c’è questa cosa dei saltimbanchi televisivi e dei propalatori di cartine buone per i muri della Lubjanka che ripetono la fregnaccia secondo cui l’origine dell’aggressione russa all’Ucraina sarebbe l’espansione molesta della Nato e la guerra per procura degli americani, dimenticandosi naturalmente del memorandum di Budapest del 1994 che, al contrario, impegnava la Russia a non violare l’integrità territoriale ucraina in cambio dell’arsenale atomico di Kyjiv.

Digiuni di storia, di relazioni internazionali e di decenza, costoro potrebero almeno fermarsi alla cronaca e leggersi l’intervista al Financial Times, nella quale Putin non parla mai di Nato né di minacce espansionistiche dell’Occidente, anzi con aria baldanzosa registra la mollezza delle società liberali e ricorda come la sua prima invasione illegale dell’Ucraina orientale e della Crimea sia stata un grande successo politico, così come si vanta dell’intervento militare a sostegno del macellaio di Damasco Bashar Assad, che ha temprato il morale delle truppe russe e provocato la morte di mezzo milione di arabi siriani, oltre a cinque milioni di rifugiati, nella totale indifferenza dei ProPal che oggi urlano in piazza gli slogan islamo-nazisti di Hamas a favore della pulizia etnica e geografica degli ebrei israeliani, «dal fiume al mare».

Hamas, inoltre, è teleguidato dai pasdaran iraniani che, in virtù della medesima difesa dei valori tradizionali protetti dai russi, uccidono e torturano donne, omosessuali e dissidenti e poi forniscono i droni killer al collega tradizionalista e assassino Putin, il quale li usa, assieme ai proiettili di quell’altro fanatico nordcoreano, per uccidere i civili ucraini, colpevoli di non aver avuto bisogno di quell’intervista al Financial Times per sapere quale fosse il progetto coloniale russo, e di preferirgli un futuro pacifico, libero e indipendente in Europa.

Gli ucraini hanno resistito, hanno cacciato l’invasore arrivato a pochi chilometri da Kyjiv e sono pronti a combattere fino a sconfiggerlo sul campo di battaglia una volta per tutte, se soltanto gli utili idioti di Putin che infestano le società libere non ostacolassero in tutti i modi il loro desiderio di libertà e di vivere come noi.

Non c’è altra battaglia di idee più importante di questa, e da qui deve partire una proposta alternativa al bipopulismo e alle forze autoritarie che vogliono abolire libertà, democrazia e stato di diritto. Servono poche cose, essenziali, ma decisive: armi all’Ucraina, sanzioni alla Russia e all’Iran, allargamento dell’Europa ai popoli che vogliono liberarsi dalla minaccia di Mosca, leadership credibili e forti in Europa (da Mario Draghi a Kaja Kallas a Donald Tusk), in attesa che il settimo cavalleggeri del popolo americano torni a salvarsi, e a salvarci, una seconda e definitiva volta dal nostro nemico interno, nonché migliore alleato di Putin, Donald Trump.

Libera spiaggia in libero Stato (rivistastudio.com)

di Lorenzo Camerini

Polemiche

Intervista ad Agostino Biondo di Mare Libero, “comitato di liberazione balneare” che sta portando avanti la protesta contro gli stabilimenti che continuano a occupare le spiagge nonostante concessioni ormai scadute da tempo.

L’Italia è una penisola che si allunga nel Mediterraneo. La sua costa si estende per circa 8000 chilometri. È difficile ricavare dati precisi, ma secondo le stime più attendibili gli stabilimenti balneari gestiti da privati occupano poco meno della metà della litoranea italiana.

È un’anomalia? Sì, basta farsi un giro oltre Chiasso per accorgersene. In Francia, almeno l’80 per cento della riva deve rimanere libera da strutture, equipaggiamenti o installazioni. In Portogallo, le licenze durano al massimo dieci anni. In Grecia, la normativa nazionale prevede procedure di selezione che garantiscono imparzialità e trasparenza. Nell’ordinamento spagnolo le spiagge sono libere, e quindi non possono essere oggetto di concessione. Insomma, gli esempi virtuosi da imitare sarebbero dietro l’angolo.

E qui da noi, invece? Pigre gestioni familiari a regime monopolistico governano i beni comuni. La tutela delle spiagge si passa di padre in figlio, con modalità nordcoreane. In teoria i proprietari degli stabilimenti balneari sono illegittimi, le loro concessioni sono scadute e dovrebbero essere messe a gara.

In pratica è difficilissimo adeguare la realtà alle nuove leggi, e i governi prorogano. Risultato? Toast a sette euro, bottiglie di prosecco con rincari folli, ombrelloni e lettini affittati a prezzi insostenibili. Perché? Si è sempre fatto così, se non ti va bene te ne puoi andare nella piccolissima striscia di spiaggia libera, in fondo a destra.

È l’italian way. Secondo le direttive europee, da più di dieci anni il bagnasciuga è libero per tutti. I titolari delle concessioni devono «consentire il libero e gratuito accesso e transito per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione» nei cinque metri che separano la spiaggia dal mare.

Chiunque abbia provato a stendere un asciugamano al Lido di Venezia o a Forte dei Marmi sa che non è esattamente così. La legislazione italiana continua a tutelare, attraverso proroghe e rinvii, lo status quo.

Insomma, le spiagge sono ostaggio. L’Unione europea ci fa notare che le concessioni sono scadute, e che forse non è giustissimo permettere a un gruppo ristretto di imprenditori, che agiscono senza rivali, di arricchirsi sfruttando le consuetudini. Inascoltata. C’è chi però ha scelto di ribellarsi. Un gagliardo drappello di cittadini lotta per i nostri diritti.

Sono i militanti di Mare Libero, un gruppo di volenterosi che va negli stabilimenti balneari, si porta da casa un asciugamano e un ombrellone, si piazza in spiaggia senza passare dalla cassa, gioca a carte in costume da bagno e a chi cerca di obiettare risponde così: “Che cosa volete? È un nostro diritto”.

Sui social diffondono i video delle loro scorribande, rarissimo esempio contemporaneo di militanza vanitosa ma sensata. Abbiamo chiamato Agostino Biondo, coordinatore territoriale di Mare Libero, per conoscerli meglio.

ⓢ Ciao, Agostino. Ci parli di questo progetto? Chi siete, da dove venite?

Noi siamo Mare Libero, e siamo nati nel 2019 a Firenze, dall’iniziativa di qualche gruppo locale che si è messo insieme per affrontare la questione delle concessioni balneari a livello nazionale. I primissimi comitati si sono formati a Roma, Napoli, nella Versilia e a Rimini.

ⓢ Come mai proprio a Firenze?

Perché era a meta strada fra tutti noi, il punto più facile da raggiungere. Con la direttiva Bolkenstein e la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2016 la questione delle concessioni, che era stata appaltata ai comuni fino a quel momento, è diventata ufficialmente una faccenda nazionale, quindi c’era bisogno di un progetto collettivo per coordinarci. Con il tempo abbiamo creato una serie di eventi, tipo la presa della battigia, manifestazione che si svolge tutti gli anni il 14 di luglio dove ci riprendiamo una spiaggia, e la nostra conferenza nazionale a Viareggio di dicembre.

ⓢ Che cosa fate a Viareggio a dicembre?

Un convegno sul tema della liberazione delle spiagge. Negli anni stiamo crescendo, ormai siamo presenti in tutte le regioni costiere italiane a eccezione di Calabria, Basilicata e Molise. In realtà in Abruzzo non c’è un coordinamento costituito formalmente, però ci sono attivisti che lavorano in autonomia, quindi direi che ci siamo anche in Abruzzo. 

ⓢ Quanti siete in tutto?

Il numero esatto non esiste, perché alla nostra associazione aderiscono molti comitati locali, che sono a loro volta costituiti da un numero indefinito di persone. Ti direi che abbiamo più o meno circa duecento associati.

ⓢ E come si fa ad associarsi?

Si inoltra una richiesta tramite il sito web. Il direttivo vaglia la candidatura, e manda la lettera di ammissione.

ⓢ Quindi avete una struttura gerarchica.

Sì, ovvio, noi rispettiamo il codice civile, c’è un direttivo composto da persone scelte dall’assemblea degli associati. 

ⓢ Avete avuto problemi legali?

No, non abbiamo mai avuto nessun tipo di diffida, querela o denuncia.

ⓢ Come scegliete le spiagge da liberare?

Le spiagge non sono da liberare, sono già libere. Noi ci limitiamo a esercitare un diritto che dovrebbe essere di tutti i cittadini. Non c’è una scelta, ci sono i nostri enti locali che se decidono un giorno di andarsene al mare in una spiaggia del proprio territorio semplicemente lo fanno, e documentano la gita con materiale video. Non c’è una scelta dall’alto, è tutto lasciato all’iniziativa dei gruppi territoriali.

ⓢ Che accoglienza ricevete di solito?

Ehm… allora… in realtà, dipende. Violenta fortunatamente no, per ora. A volte siamo stati lasciati perdere, altre volte ci è stato chiesto di allontanarci da qualche dipendente che non era aggiornato sulla situazione, però tendenzialmente non abbiamo mai avuto grandi problemi.

ⓢ Episodi grotteschi? Il proprietario di uno stabilimento vi ha mai inseguito per tirarvi le ciabatte?

No, no.

ⓢ E invece i clienti paganti come reagiscono?

A parte quella volta che siamo andati al Twiga [stabilimento balneare di tendenza, legatissimo al ministro del turismo Santanché, che paga circa mille euro al mese di concessione allo stato, nda] e un cliente ha inscenato un siparietto per invitarci a tornarcene nella spiaggia libera, per il resto i bagnanti sono sempre stati tendenzialmente dalla nostra parte, qualche volta vengono a supportarci. Male che vada, sono indifferenti.

ⓢ Avete qualche aggancio con la politica?

Abbiamo contatti con tutte le forze politiche. Inutile nascondere che l’attuale maggioranza è insensibile alle nostre posizioni. Comunque noi parliamo con tutti e cerchiamo collaborazioni esterne con i soggetti politici, perché vogliamo che le nostre istanze diventino leggi dello Stato.

ⓢ Qual è, ipotizzando uno scenario plausibile, il vostro obiettivo? Che il governo renda tutte le spiagge libere? Espropriare gli esercenti?

Le spiagge avrebbero dovuto essere libere già dal dicembre dell’anno scorso. Oggi le concessioni stanno operando in un regime di illegittimità.

ⓢ Com’è possibile?

C’è un conflitto fra le ordinanze statali italiane, che considerano le concessioni vigenti valide fino al 31 dicembre 2024, e il diritto comunitario, che stabilendo il divieto di proroga automatico ha dichiarato illegittime tutte le concessioni già dal 2010. Fra la norma e l’attuazione della norma c’è di mezzo un giudice, e quello deputato a decidere in materia è il Consiglio di Stato, che ha elasticamente derogato la scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2023. E questo, attenzione, per dare il tempo ai comuni di decidere il destino delle proprie spiagge. Già nel novembre 2021 il Consiglio di Stato ha detto va bene, mi rendo conto che questa materia è contraddittoria, che c’è della nebbia, quindi facciamo una cosa: io vi concedo due anni e quasi due mesi per mettere a posto la situazione. Però sappiate che dopo il 31 dicembre del 2023 le concessioni devono essere considerate, parole testuali, come se non esistessero. E quindi noi trattiamo le concessioni come se non esistessero.

ⓢ Anche Mattarella ha invitato il governo a adeguarsi. Ma perché in Italia abbiamo tutte queste strutture orribili che deturpano la costa mentre in Francia, Grecia, e mille altri esempi tipo, che ne so, la California, no?

Il modello italiano è diventato così per colpa del modo in cui sono strutturate le nostre comunità locali. In Italia le città che hanno un sistema economico portuale non hanno indotto turistico. Pensiamo alle grandi città di mare europee, per esempio Barcellona, sono spesso città portuali e città da spiaggia. In Italia il turismo balneare si è sviluppato in piccole comunità, Rimini, Riccione, Ostia, Jesolo, Gallipoli, Lignano Sabbiadoro, tutti questi posti hanno creato intorno all’industria balneare la propria fortuna. La classe politica locale è stata soggiogata. In città come Rimini l’imprenditoria balneare ha un potere pressoché assoluto. Sposta voti, finanzia la politica e anche attività culturali che non c’entrano nulla con le spiagge, quindi sostanzialmente controlla il territorio. Questa dinamica ha creato un blocco forte, che muovendosi in maniera compatta esercita un potere autorevole. Insomma, solito discorso, garantiscono un bel pacchetto di voti.

ⓢ Quali saranno le vostre prossime mosse?

Noi continueremo a andare al mare per tutta l’estate, perché è quello che fa la maggior parte degli italiani. Non diciamo dove perché noi non andiamo a manifestare, andiamo a trascorrere giornate in spiaggia, non ci interessa pubblicizzare le nostre iniziative. Chiaramente ci teniamo a documentarle perché vogliamo che in tanti usufruiscano di questo diritto, però non le annunciamo, non facciamo i cartelloni. Dopodiché, un domani ci sarà la sfida più grande: il governo prima o poi dovrà indire gare per regolamentare finalmente la gestione delle spiagge, e noi saremo lì a controllare come questi bandi verranno fatti.

ⓢ Sì agli stabilimenti balneari, se gestiti virtuosamente?

Chiarisco: per noi il fatto che esista un’area di arenile dove non puoi stare senza pagare è una distorsione assurda. Un po’ come se tu vai in un parco e su alcune panchine non ti ci puoi sedere gratis. È concettualmente insensata una cosa del genere. Vuol dire che tu limiti uno spazio pubblico per eccellenza, e ne contingenti l’utilizzo. È un’anomalia praticamente solo italiana, all’estero esiste ma in percentuali irrisorie. Noi siamo per la libera fruizione, secondo noi le spiagge in concessione dovrebbero essere limitate al minimo. Si può ricorrere all’utilizzo della spiaggia libera con servizi, anche perché i turisti oggi vogliono un modello simile alla Costa Azzurra, alla Spagna: c’è il chiosco, certo, ma ti puoi sedere in spiaggia liberamente. Se ci deve essere un bando per l’assegnazione allora dovrà essere un bando trasparente, che non privilegi in nessun modo i concessionari uscenti, anche perché questo è già escluso dal Consiglio di Stato, quindi adesso se cominceremo a vedere bandi in cui c’è scritto “l’uscente ha 8 punti o 10 punti perché ha esperienza acquisita” noi li impugneremo, perché sarebbero illegittimi. Oltre a questo, saremo molto attenti al rispetto dei criteri di sostenibilità ambientale e ai diritti dei lavoratori.

No vax, no green pass ed ora… no Fascicolo sanitario elettronico. La nuova ‘crociata’ si diffonde sui social (con sponde in parlamento) (quotidianosanita.it)

di G.R.

Follie

Per incrementare l’alimentazione del Fse, l’articolo 11 del decreto legge 34/2020 aveva previsto che, a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto (19 maggio 2020), il caricamento dei dati avvenisse in maniera automatica, eliminando il ‘consenso all’alimentazione’ previsto dalla normativa precedente. L’assistito ha in ogni caso la facoltà di esercitare il diritto di opporsi. Un gruppo con oltre 32mila membri sta in questi giorni rilanciando tutte le procedure. E il leghista Borghi ha già annunciato un emendamento sul tema

Durante la pandemia Covid tutto iniziò con il no ai tamponi. Da lì si passo ai no vax. Il passaggio successivo fu quello del no green pass per tutelare la propria privacy e libertà individuale. Quella che potremmo definire ‘l’evoluzione della specie’ ci ha oggi portato al popolo dei no Fse.

Ebbene sì, sui social sta crescendo il numero di persone che chiede di non aderire al Fascicolo sanitario elettronico. A fine settimana, il 30 giugno, scadrà il termine per opporsi al caricamento dei propri dati e dei documenti clinici precedenti il 19 maggio 2020 nel Fascicolo sanitario elettronico, la cartella digitale che dovrebbe rilanciare il Servizio sanitario nazionale rendendo più efficiente e omogeneo l’accesso da parte dei medici alle informazioni durante le visite diagnostiche, gli esami specialistici o situazioni di emergenza.

Il popolo dei no vax, come dicevamo, anche in questo caso è in subbuglio per la questione riguardante la privacy ed il trattamento dei loro dati personali. Un gruppo con oltre 32mila membri sta in questi giorni rilanciando tutte le procedure idonee ad aderire alle opposizioni.

Per incrementare l’alimentazione del Fse, l’articolo 11 del decreto legge 34/2020 aveva previsto che, a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto (19 maggio 2020), il caricamento dei dati avvenisse in maniera automatica, eliminando il ‘consenso all’alimentazione’ previsto dalla normativa precedente.

L’assistito ha in ogni caso la facoltà di esercitare il diritto di opporsi all’alimentazione del Fse, attraverso il servizio on line ‘Fse – Opposizione al pregresso’, spiega il ministero della Salute, che ha promosso una campagna per far conoscere la scadenza e spiegare la procedura.

Tra i paladini di questa battaglia ritroviamo gli stessi che già si erano spesi negli anni scorsi contro i vaccini e il green pass, da ex membri del parlamento come Bianca Laura Granato, all’attuale senatore leghista, Claudio Borghi che su X ha già annunciato la presentazione di un emendamento sul tema al decreto liste d’attesa: “Non è sbagliato consentire a chi lo desideri di non avere un fascicolo sanitario. La qual cosa ovviamente potrebbe essere pericolosa in caso di cure di urgenza ma se uno non vuole e lo fa a suo rischio… presenterò emendamento in tal senso a decreto liste d’attesa”.

(Robert Gunnarsson)