La fase adulta del Pd di Schlein è già finita? (linkiesta.it)

di

Scampagnata larga

La segretaria dem rilancia la malsana idea di fare un Noveau Front Populaire in Italia, non capendo che ciò che sta accadendo in Francia non è un progetto politico a lungo termine, ma un’amara medicina da prendere per evitare un governo lepenista

Finita la scuola con un bell’esame di maturità sull’Europa, Firenze, Bari e Perugia, Elly è tornata a fare bisboccia con la comitiva di compagni. Si balla, si canta, tutti insieme, la fase adulta, quella di un’ottima campagna elettorale, è già alle spalle: e ora ci si diverte!

Poco importa che s’avanzino i fascisti da tutte le parti, l’Europa stantuffi, Joe Biden collassi e le guerre non cessino. Non si tratta di fare i seriosi. Ma di essere seri.

Tralasciamo qui gli indiavolati balletti al Pride milanese, Elly Schlein li ha sempre fatti e sempre lì farà (oddio, magari qui c’era un pregiudizio antiebraico che avrebbe meritato qualche replica se non la diserzione dell’evento), ma quello che più lascia stupefatti è l’infantilismo politico di «voler fare come in Francia», il Fronte popolare – wow! –, senza capire che la democrazia francese sta vivendo il dramma politico più acuto da settant’anni in qua e che il Noveau Front Populaire non è la Woodstock della sinistra ma un agglomerato improvvisato reso necessario dal fantasma dell’estrema destra: non è una festa, è l’ultima medicina a disposizione.

Non è un modello quel raggruppamento pieno di gente equivoca, a partire da Jean-Luc Mélenchon, che ha un programma che dire demagogico è poco (pensione a sessant’anni, parziale disarmo dell’esercito), buono per qualche assemblea di studenti universitari, qualche comizio col megafono al mercato radical chic. Emmanuel Macron è costretto ad allearsi con questi qua per disperazione, non per scelta libera. Non confondiamo le cose.

Schlein deve costruire un Partito democratico competitivo, guardando all’Italia di domani più che ai nostalgici degli anni Settanta. Ma chi se ne frega se viene sdoganato il Jean-Luc Mélenchon dei poveri, tal Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista, un partito fuori tempo tre decenni fa (chiedere a Romano Prodi), figuriamoci oggi: si va tutti a fare festa in quel di Bologna, una volta città riformista, da Gianfranco Pagliarulo, il presidente dell’Associazione nazionale partigiani italiani (Anpi) contro la Resistenza (ucraina), che con tutto il rispetto sembra il segretario di una sezione del Partito comunista del 1952.

C’era pure Giuseppe Conte che ormai scodinzola dietro Elly, l’unica che può salvarlo dalla costante decrescita infelice (sul palco ha detto, testuale, che «nel 2026 qui a Bologna ci fu l’attentato a Matteotti». Cosa avrà bevuto?).

E infine c’erano Angelo Bonelli & Nicola Fratoianni, redivivi salisiani, e il sempre giovane Riccardo Magi che dove c’è un po’ di casino lui ci va. La comitiva ha cantato Bella ciao e tutti battevano le mani, e la gente era contentissima della scampagnata antifassista – peccato che non ci fosse Maurizio Landini – e poi il capo dei partigiani contro l’Ucraina ha raccontato di aver chiamato anche Carlo Calenda («non è potuto venire») e Matteo Renzi che non si è fatto trovare.

E ti credo. Giusto Elly si diverte con Acerbo e Pagliarulo.

Pasquino: «Sbagliati certi toni anti Ue di Giorgia Meloni» (ildubbio.news)

di Giacomo Puletti

Europa

Per il professor Gianfranco Pasquino in vista della partita sui commissari «se i nomi che Meloni propone sono competenti e qualificati, difficilmente saranno bocciati»

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’università di Bologna, «non c’è nessuna conventio ad excludendum» contro la presidente del Consiglio ma semplicemente «non c’era la necessità di integrarla in maggioranza». E tuttavia, in vista della partita sui commissari, dice che «se i nomi che Meloni propone sono competenti e qualificati, difficilmente saranno bocciati».

Professor Pasquino, si aspettava la contrarietà di Meloni a Costa e Kallas e l’astensione su von der Leyen?

Meloni ha commesso un errore in partenza, pensando che si potesse cambiare la maggioranza nel momento in cui i numeri dicevano che quella maggioranza c’era ed era assoluta, quindi in grado di sostenere, appoggiare e approvare le scelte fatte dai capi di Stato e di governo nel Consiglio europeo. Non basta avere buoni numeri per entrare in maggioranza. Quindi Meloni non poteva vincere, poteva magari ottenere qualcosa di diverso ma non c’è stata la volontà di “tenerla fuori”. Semplicemente non era necessario “tenerla dentro”. Quindi nessuna conventio ad excludendum ma semplici numeri, gli stessi che hanno portato l’Europa a essere quella che è nel bene, che è molto, e nel male, che certamente c’è.

Le scelte di Meloni saranno un problema per il nostro Paese?

Possono essere un problema sia per il paese Italia che per il governo dell’Europa. Ma anche qui bisogna fare attenzione perché il disaccordo è sulle nomine, cioè sulle persone, che però poi dovranno fare delle cose e Meloni può ancora influenzare le prossime decisioni. Al Consiglio europeo ha comunque potere di veto e quindi detiene ancora un peso. E in più potrà utilizzare, se saprà farlo, la forza numerica del partito di cui è presidente, cioè i Conservatori. Insomma, la battaglia non è ancora finita.

Lo scontro è di nuovo con la Francia, visto che sia Roma che Parigi vorrebbero la vicepresidenza esecutiva della Commissione: chi la spunterà?

I ruoli in ballo sono ancora molti, devono essere nominati i commissari, tra cui un italiano, e i vicepresidenti. Se i nomi che Meloni propone sono competenti e qualificati, difficilmente saranno bocciati. Ma lo scontro non è tra Italia e Francia bensì tra Meloni e Macron, il quale ritiene di essere il migliore ma sappiamo che non lo è. Tuttavia in Francia ci sono le elezioni e bisognerà vedere anche che tipo di rapporto Meloni avrà con Le Pen, data per favorita. Si aprirà una fase nuova ma se Fitto viene ritenuto, come probabile, dotato delle capacità necessarie ad avere un buon portafoglio come commissario sicuramente lo avrà. Sono contro l’idea del vittimismo e di un’Europa cattiva contro Meloni. E sono contro anche la sinistra che dice che Meloni è il male.

Insomma l’Ue non applicherà delle “ritorsioni” come si è augurata la stessa Meloni.

Non lo penso, anche se certo alcuni errori sono stati fatti, si veda la questione aborto al G7, e i commentatori italiani fanno male a pensare che chi vive negli altri paesi non abbia queste informazioni. Vedono quello che succede in Italia e sono preoccupati su alcune tematiche. Come si può avere in una maggioranza europea un gruppo piuttosto consistente che in qualche modo non prende in piena considerazione l’idea di abortire? È un fatto che a molti nell’attuale maggioranza dà estremo fastidio.

Ci sono poi le questioni interne, a partire dalle inchieste di Fanpage: fino a che punto costituiscono un problema per la leader di FdI?

Abbiamo pensato giustamente che i successi di Giorgia Meloni e l’accoglienza che le veniva riservata a livello internazionale avessero un effetto positivo sul suo ruolo politico in Italia e questo era in parte vero. Ma il fascismo, se si vuole anche stupido, da parte di un’organizzazione giovanile che rappresenta la classe dirigente del futuro influisce negativamente sull’immagine dell’Italia all’estero. Vedo che alcuni suoi collaboratori, a cominciare da Donzelli, sottovalutano questi fatti ma fanno molto male.

Pensa che i disaccordi in Ue derivino anche dal fatto che Meloni deve barcamenarsi tra l’europeismo di Fi e l’euroscetticismo della Lega?

Non credo che debba barcamenarsi perché lei è più forte sia di Tajani che di Salvini. Ma deve cercare di capire quanto Salvini stia tirando la corda, visto che alcune uscite come quella sul colpo di Stato le uscite di Salvini sono inaccettabili. La posizione di Tajani è certamente delicata, perché fa parte di un governo guidato da una donna sicuramente di destra ma a livello europeo sta con i Popolari che quelle destre le evitano.

Crede che Meloni voterà per von der Leyen al Parlamento europeo?

Dal momento che Meloni è intelligente dipenderà molto dal discorso che von der Leyen farà. La scelta coerente è quella di astenersi. Che è come votare contro ma il segnale sarebbe diverso. A meno che von der Leyen faccia aperture straordinarie sia in termini di politiche che di persone. Ma dopo quello che è emerso dal Consiglio non è compito della Meloni garantire che von der Leyen abbia la maggioranza.

Oltreoceano il dibattito tra Trump e Biden ha mostrato tutte le difficoltà del presidente in carica: quali prospettive da un’eventuale elezione di Trump?

Per come stanno le cose oggi Trump ha già vinto. Ha dimostrato che l’altro è sostanzialmente un uomo anziano che non riesce ad argomentare per due minuti di seguito. Spero in un colpo di coda o di vita dei democratici che cambino il candidato, altrimenti hanno perso. Difficile dire che rapporti si possono stabilire con Trump, che è un uomo umorale e che sa poco. Questo complica la vita a chiunque tratti con lui, non solo a Giorgia Meloni. Certo da alcuni punti di vista lui può pensare che lei gli sia relativamente vicina, ma figuriamoci quanto gliene importa dell’Italia. Trump sarà preoccupato dalla Cina e da altre cose, di certo saranno tempi difficili perché imprevedibili.

Cacciari: «Sinistra senza idee. Sa soltanto essere contro: tanto vale votare Le Pen» (ildubbio.news)

di Giacomo Puletti

Il voto in Francia? 

Per il filosofo a Parigi come a Roma «non si può andare avanti in eterno soltanto resistendo all’affermazione altrui»

«Il fronte popolare è una cosa vista e rivista. Sono anni che l’unica politica che il centrosinistra, chiamiamolo così, riesce a mettere in campo è andare contro la Le Pen, così come contro la Meloni, o una volta contro Berlusconi». Parola di Massimo Cacciari, secondo il quale «bisogna proporre una strategia autonoma che permetta l’affermazione elettorale e la capacità di governo» perché «questi raffazzonamenti dell’ultimo momento, come in Francia, nel breve possono anche essere vincenti ma alla fine continueranno a rafforzare le varie Le Pen».

Professor Cacciari, stiamo assistendo a un ritorno dei sovranismi con Le Pen molto forte in Francia e Trump favorito per la vittoria in America?

È una tendenza di lungo periodo, chiamiamoli sovranismi o come vogliamo ma di certo è un qualcosa che viene da molto lontano, un fenomeno di crescita delle destre più o meno radicali in tutta Europa. Questo si spiega con tanti motivi, in primis la crisi sociale ma soprattutto l’assenza di qualsiasi politica sociale da parte dell’Ue. Con la conseguenza che crescono gli interessi nazionali, l’Europa non riesce più a fare sintesi e lo spazio per le destre di vario tipo aumenta. Parliamo tuttavia di destre moto divise che esercitano una formidabile pressione sulla politica europea ma che ancora non arrivano ai vertici dell’Ue e forse nemmeno dei grandi paesi, visto che anche in Francia non è affatto detto che Le Pen possa avere la maggioranza assoluta. Insomma, è una situazione di grande stallo e incertezza.

Dall’altra parte si va verso un consolidamento di un blocco di sinistra opposto a quello della destra, con il fronte popolare in Francia e il campo largo in Italia: sono espressioni che la convincono?

Il fronte popolare è una cosa vista e rivista. Sono anni che l’unica politica che il centrosinistra, chiamiamolo così, riesce a mettere in campo è andare contro la Le Pen, così come contro la Meloni, o una volta contro Berlusconi. Non c’è unità all’interno, se non quella raffazzonata giusto per sopravvivere, ma non si può andare avanti in eterno soltanto resistendo all’affermazione altrui… Insomma, se la principale strategia è quella di opporsi e basta, a questo punto molto meglio mettere alla prova la stessa Le Pen. E vedere come va, costruendo dall’altra parte una vera coalizione di centrosinistra.

Blocco di destra, blocco di sinistra: stiamo assistendo a un ritorno del bipolarismo?

Ma quale bipolarismo…sono frammenti che si mettono insieme. In Italia sono decenni che riescono a mettersi insieme laddove si gioca il potere e il governo, mentre in Francia lo fanno soltanto in vista delle elezioni per evitare che vinca la Le Pen. Ma che poli sono? In Francia c’è solo la le Pen e in Italia sono tre forze in dissonanza su tutto, dalle questioni strategiche alla politica estera, dai temi social all’Autonomia.

Crede che il paragone tra Fronte popolare e campo largo regga?

Non regge assolutamente primo perché in Francia il fronte avrebbe un senso soltanto se ci fosse un minimo comune denominatore tra Macron e la sinistra e non c’è assolutamente, tanto che Melenchon ha detto che non darà vita ad alcun governo con Macron. Secondo perché in Italia siamo soltanto alle prime avvisaglie di accordi tra Pd, 5 stelle e altri per combinare qualcosa di più serio che in passato.

Visto il risultato delle Europee, è Schlein la persona giusta per federare questo campo?

Di certo per sopravvivere devono mettersi insieme, primum vivere deinde filosofari. Se vogliono vivere devono coalizzarsi, ma se fanno una coalizione semplicemente elettorale alla fine i risultati saranno scarsissimi o nulli, se invece ragionano cercando di tirare uno straccio di linea compatibile in materia fiscale, sociale, economica e internazionale, che al momento non c’è, allora il discorso sarebbe diverso. Ad oggi sono agli antipodi. Con la precisa strategia può che essere che il campo largo prenda forma, altrimenti, come in Francia, sarà tutto un tentativo di mandare a casa la Meloni ed evitare le Pen.

Quanto conta la prossima elezione Usa, con Trump favorito su Biden?

Conta tantissimo, come del resto contano le elezioni britanniche con l’elettorato conservatore che sta facendo pagare ai suoi eletti il disastro della Brexit. Trump dovrebbero ammazzarlo perché non vinca. Perché i democratici o rimangono su Biden ma onestamente non si comprende come si possa votare una persona così i difficoltà, oppure cambiano il cavallo in corsa ma finirebbero comunque per fasciarsi. Mi pare che ormai il percorso sia segnato, a meno che non esca dal cilindro qualcosa di assolutamente clamoroso.

E se vincesse Trump?

Bisognerà vedere come si comporterà rispetto all’Europa e quale atteggiamento assumerà in campo internazionale. È questa la più grande incognita.

(Peter Herrmann)

Il Conte di Sangiuliano (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Se esistesse un governo ombra, il ministro della Cultura non potrebbe che essere Giuseppe Conte.

L’altra sera si è lasciato andare a rivelazioni importanti. «Nel 2026, a Bologna, c’è stato l’attentato a Matteotti». L’unica parola giusta di tutta la frase era «Matteotti».

Un passo avanti rispetto all’anno scorso, quando durante un dibattito parlamentare lo confuse con Andreotti, ma ancora troppo poco per superare l’esame di terza media: Matteotti non subì un attentato, ma un sequestro, nel corso del quale venne ucciso. A Roma, non a Bologna. E non nel 2026, e neanche nel 1926, ma nel 1924 (infatti quest’anno, all’insaputa di Conte, si commemora il centenario).

Il timore è che si inneschi una dotta disputa con Sangiuliano, il quale potrebbe spostare il delitto Matteotti in Cambogia e attribuirlo ai khmer rossi. Ma nemmeno il ministro con delega alle gaffe riuscirà mai a competere con quella che Conte rimediò da presidente del Consiglio, inaugurando con un discorso scritto (!) la Fiera del Levante a Bari: «Con l’8 Settembre inizia un periodo di ricostruzione». Confuse l’armistizio (e l’inizio della guerra civile) con la Liberazione, l’8 settembre del 1943 con il 25 aprile del 1945. O del 2026.

Posso solo immaginare l’invidia che avrà provato Sangiuliano, ascoltandolo.

Specie quando Conte aggiunse che il miracolo economico ci «ha balzati» al settimo posto delle potenze mondiali. Perché quel grande innovatore non si accontenta di riscrivere la storia. Vuole mettere mano anche alla grammatica.