La lezione del riformismo laburista di Starmer, esiste un’alternativa a Schlein che rincorre Conte, Landini e Pagliarulo (ilriformista.it)

di Vittorio Ferla

Il confronto

“La luce del sole della speranza”. Keir Starmer ha salutato così il ritorno alla vittoria del Labour Party dopo 14 anni all’inferno dell’opposizione.

Alfiere del pragmatismo che concilia welfare e crescita, nemico del populismo rosso e nero, del radicalismo estremista, del dispotismo putiniano e dell’antisemitismo pro-pal, Keir Starmer apre una nuova stagione della politica britannica e può dare il là a un nuovo ciclo della politica europea.

La Gran Bretagna, dopo anni di nazionalismo isolazionista, diventa un’isola ‘depopulistizzata’, riabbraccia l’eredità di Tony Blair e diventa un modello di riferimento per gli altri paesi europei. È vero: il totale tracollo dell’élite conservatrice, al potere da 14 anni, percepita come corrotta, incompetente e pasticciona dalla popolazione, ha pesato moltissimo.

Ma stavolta a raccogliere il desiderio di novità non c’era l’ottuso e regressivo populismo di un vecchio archibugio del marxismo novecentesco come Jeremy Corbyn, bensì il pragmatismo dolce di un leader riformista.

Si è imposta la perenne regola aurea: quando la sinistra impugna la spada del massimalismo e mobilita solo il suo elettorato più fedele ottiene al massimo delle belle sconfitte, viceversa vince (e governa) quando esprime una visione e una leadership liberaldemocratica capace di raccogliere la fiducia di un elettorato trasversale.

Il Labour ha cambiato format archiviando il veterosocialismo populista di Corbyn, fondato su certezze radicali: la diffidenza nei confronti del mercato, la superfetazione della burocrazia statale, l’espansione della tassazione ai limiti della vessazione, la moltiplicazione della spesa pubblica con il rischio di esplosione del debito, l’assistenzialismo generalizzato e insostenibile.

Keir Starmer è stato abile nel ricordare la sua provenienza da una umile famiglia di lavoratori (padre operaio e madre infermiera): “Non avevamo molto quando eravamo piccoli. Come milioni di bambini della classe operaia di oggi, sono cresciuto in una crisi del costo della vita. So cosa si prova a essere imbarazzati nel portare a casa i propri amici perché la moquette è logora e le finestre sono rotte”, ha detto nei suoi comizi elettorali.

Altrettanto abile è stato nel denunciare il “soffitto di classe” presente nella società britannica, smontando l’immagine elitaria di certo progressismo europeo: la sua sensibilità contro le divaricazioni sociali e la sua vicinanza ai lavoratori britannici sono apparse autentiche e inedite, lontane dai tic elitari della sinistra intellettuale.

L’attenzione per i diritti sociali – in primis, l’accesso alla formazione e alle cure – a scapito delle “guerre culturali” tipiche dell’intellighenzia progressista, ha aiutato Starmer a riconquistare quegli elettori che negli altri paesi europei si sono spostati verso i partiti populisti.

A differenza del caso italiano – dove Fratelli d’Italia è diventato il partito più votato dagli operai e il Pd quello più votato dai pensionati e dai dipendenti pubblici – il partito laburista è in testa tra gli elettori della classe operaia con il 38-42% della quota dei voti, raccoglie il consenso generalizzato di chi è attivo nel mondo della produzione, lascia la rappresentanza dei pensionati ai Tory.

Tra i cittadini britannici meno istruiti, il partito laburista è in testa in ogni fascia di età, eccetto che per gli over 50. Per venire incontro alla generazione dei Millennials, il blocco di voto oggi più vasto nel Regno Unito, il partito laburista si propone di costruire nuove abitazioni, di migliorare la mobilità (specie per chi non possiede un’auto) e di adottare misure a favore della famiglia. Inoltre, puntando sullo sviluppo delle attività economiche, sull’apertura dei mercati e sull’innovazione tecnologica, Starmer è riuscito a fare del Labour il partito degli imprenditori.

“La sinistra deve iniziare a preoccuparsi molto di più della crescita, della creazione di ricchezza, dell’attrazione di investimenti interni e dell’avvio di uno spirito imprenditoriale. È l’unica strada per coloro che sognano un futuro più luminoso”, ha scritto Keir Starmer nel luglio dell’anno scorso sul periodico The Observer.

Sempre nel 2023, in una conversazione pubblica con il suo predecessore (e sostenitore) Tony Blair, Starmer ha affermato: “Abbiamo bisogno di tre cose: crescita, crescita, crescita”. In una recente intervista al Times, il leader laburista ha chiarito: “È una buona cosa che le persone siano ambiziose. Quando dico che la nostra missione numero uno è la crescita economica intendo dire che la nostra missione numero uno è la creazione di ricchezza”.

Durante una visita elettorale nella sede della Rolls Royce, Rachel Reeves, parlamentare laburista e Cancelliere ombra dello Scacchiere (tradotto: ministro ombra dell’economia e delle finanze) ha dichiarato: “Il partito laburista è oggi il partito naturale dell’imprenditoria britannica”.

Qualcuno in Italia ha mai sentito pronunciare simili frasi da un esponente dell’attuale segreteria del Partito Democratico? Il Pd ha ben poco da festeggiare per la vittoria della socialdemocrazia nel Regno Unito. Prima, con Nicola Zingaretti ed Enrico Letta, ha progressivamente isolato ed espunto quel filone riformista e blairiano che Matteo Renzi aveva cercato di importare e stabilizzare in Italia.

Oggi, con Elly Schlein, i dem continuano a rincorrere le sconclusionate mattane di Giuseppe Conte, Maurizio Landini e Gianfranco Pagliarulo, la trimurti del corbynismo italiano. Ma la lezione del riformismo laburista – conciliare eguaglianza e libertà, welfare e mercato, diritti sociali e innovazione economica – sfida i partiti di centrosinistra europei, specie in Francia e in Italia, a guardare al futuro, chiudendo i ponti con l’utopismo radicale e conservatore del populismo rosso.

Come la Francia è caduta nell’estrema destra (foreignaffairs.com)

di 

Alla fine, Le Pen non ha dovuto fare i moderati 
per prendere il potere

Il 9 giugno, Emmanuel Macron si è messo in gioco la sua risicata maggioranza parlamentare convocando elezioni anticipate.

Il presidente lo ha fatto pochi minuti dopo che è diventato chiaro che l’estrema destra francese aveva ottenuto il 40 per cento dei voti francesi nella competizione parlamentare dell’Unione europea. Questo risultato, pensava Macron, avrebbe spaventato e mobilitato la sua base per partecipare in massa alle nuove elezioni nazionali.

Sperava che il risultato gli avrebbe dato una maggioranza più comoda all’Assemblea Nazionale e fermato l’ascesa del Rassemblement National, il principale partito di estrema destra francese. Macron, che a volte sembra mirare a essere una sorta di dio (una volta ha detto che aspirava a essere “gioviano”), potrebbe anche essersi divertito a flettere i suoi poteri costituzionali in un momento in cui stava perdendo la presa sul paese.

Il risultato fu la campagna elettorale più breve in Francia dal 1958. I partiti e i candidati hanno avuto solo tre settimane per organizzarsi e gli elettori hanno dovuto darsi da fare per dare un senso al nuovo panorama politico.

Per Macron, il piano si è ritorto contro in modo spettacolare. L’alleanza centrista del presidente ha ottenuto solo il 21 per cento dei voti al primo turno, arrivando terza. Si prevede che perderà tra i 155 e i 210 dei suoi attuali seggi. Ma la sconfitta non è solo di Macron.

Il più grande vincitore delle elezioni non è un altro partito politico tradizionale, ma il Rassemblement National, che è arrivato primo. Dopo i ballottaggi, potrebbe controllare la maggioranza. Macron, quindi, ha messo in pericolo le forze democratiche e gli ideali repubblicani della Francia.

Il Rassemblement National vorrebbe che gli elettori la pensassero diversamente. Il partito, guidato da Marine Le Pen, è stato fondato nel 1972 da suo padre, Jean-Marie Le Pen. L’anziano Le Pen era noto per i suoi insulti antisemiti e per la sua piattaforma razzista: suggeriva che i nazisti non avrebbero usato le camere a gas e facevano causa comune con ex ufficiali delle Waffen-SS e gruppi di estrema destra.

Ma da quando ha assunto la carica nel 2011, la giovane Le Pen ha lavorato costantemente per rendere il suo partito più appetibile. Ha promesso di essere democratica, ha ritrattato i suoi elogi passati al presidente russo Vladimir Putin e, più recentemente, si è trasformata in una strenua difensore di Israele. Ha ribattezzato il partito (che in precedenza si chiamava Fronte Nazionale) e, nel 2015, ha persino cacciato suo padre dopo che aveva ripetuto una famigerata dichiarazione del 1987 in cui definiva l’Olocausto un “dettaglio” della storia.

Ma nessuno deve lasciarsi ingannare: il Rassemblement National rimane più radicale che mai. Nonostante il suo ammorbidimento estetico, il partito è ancora affezionato a Mosca e ostile all’Unione Europea.

Rimane una discriminazione, decisa a togliere diritti agli immigrati e ai loro figli. Indipendentemente dal suo margine finale nei ballottaggi di lunedì, farà tutto ciò che è in suo potere per rendere la Francia meno globale, meno democratica e più ostile a qualsiasi residente che non abbia antenati francesi.

ALL’ESTREMO

Per i non addetti ai lavori, la quota di voti parlamentari del Rassemblement National – il 33 per cento – può sembrare deludente. Ma in confronto, è notevolmente alto. Il partito non ha mai ricevuto più del 18,7 per cento in un’elezione parlamentare. Il suo successo in queste elezioni è arrivato in un contesto di affluenza insolitamente alta: quasi il 70 per cento degli elettori francesi ha partecipato.

La coalizione di sinistra, il Nuovo Fronte Popolare, è arrivata seconda con il 28 per cento dei voti. Ma non ha alcuna possibilità di superare l’estrema destra nel secondo turno della contesa. Quando tutto sarà stato detto e fatto, l’estrema destra probabilmente invierà tra i 220 e i 290 rappresentanti all’Assemblea nazionale di 577 seggi e potrebbe governare il paese per i prossimi tre anni.

Ciò significa che il prossimo primo ministro francese sarà probabilmente Jordan Bardella, il 28enne capo della fazione parlamentare del Rassemblement National e il protetto di Le Pen. Contrariamente al suo mentore, Bardella ha una tabula rasa. E’ riuscito a presentarsi come un rispettabile chiacchierone, che alcuni elettori ora vedono come meno minaccioso dei suoi rivali di sinistra.

Attira enormi folle di giovani fan su TikTok e ai suoi raduni. La notte delle elezioni, ha invocato l’unità nazionale, presentandosi come “rispettoso di tutti, aperto al dialogo, protettore dei vostri diritti, delle vostre libertà e del motto repubblicano ‘Liberté, égalité, fraternité'”.

Ma Bardella non è nessuna di queste cose. Non ha mai ricoperto alcun incarico o incarico esecutivo a livello locale o regionale e raramente ha partecipato alle sessioni del Parlamento europeo, secondo i suoi colleghi. È, invece, un contenitore per le idee draconiane del suo partito.

Bardella ha una scarsa conoscenza delle questioni economiche, istituzionali, geopolitiche e ambientali della Francia, ma è impegnato nella piattaforma del Rassemblement National di smantellare lo stato di diritto e porre fine alla parità di trattamento di tutti i cittadini e residenti.

Una delle misure di punta di Bardella, denominata “preferenza nazionale”, destinerebbe tutti i posti di lavoro, i sussidi sociali, le case popolari e altri servizi finanziati dallo Stato ai cittadini francesi, escludendo tutti gli altri residenti legali, alcuni dei quali potrebbero aver vissuto come residenti rispettosi della legge e paganti le tasse per decenni.

Un’altra proposta impedirebbe ai cittadini francesi in possesso di più di un passaporto di accettare posti di lavoro nel settore pubblico o altre posizioni finanziate dallo Stato, compresi gli ospedali. Ha anche chiesto di limitare la cittadinanza francese ai discendenti di cittadini francesi, cancellando secoli di precedenti costituzionali in base ai quali si può diventare francesi nascendo e risiedendo in Francia. (Non è chiaro se ci sia bisogno dei nonni francesi, o solo dei genitori francesi, per diventare cittadini).

L’estrema destra ha guidato la Francia in passato.

In teoria, un parlamento controllato dal Rassemblement National avrebbe più difficoltà a cambiare la politica estera della Francia. Secondo la Costituzione francese, gli affari internazionali sono di esclusiva competenza del presidente. Ma Le Pen ha recentemente detto che considera il titolo di comandante in capo “solo come un titolo onorifico” per il presidente.

Secondo il sistema politico francese, il parlamento deve approvare il bilancio militare del paese e qualsiasi pacchetto aggiuntivo di denaro per gli affari internazionali. Il primo ministro conferisce anche con gli alleati della Francia, nomina i suoi ambasciatori e rappresentanti dell’Unione europea e negozia i trattati. Di conseguenza, se quel primo ministro è Bardella, le alleanze geopolitiche della Francia potrebbero essere rimescolate.

Le Pen hanno legami finanziari e ideologici con il presidente russo Vladimir Putin che risalgono a decenni fa. Dopo che Mosca ha attaccato l’Ucraina nel febbraio 2022, Le Pen ha preso le distanze dal Cremlino e ha criticato l’invasione, ma il presunto sostegno del suo partito a Kiev rimane timido nella migliore delle ipotesi.

Il Rassemblement National sostiene ancora le rivendicazioni della Russia sulla Crimea ed è stato riluttante ad accettare la decisione della Francia di allentare i dazi sulle importazioni ucraine. Vuole inoltre limitare il sostegno materiale all’Ucraina alle armi difensive.

Si potrebbe pensare che una volta che il partito sarà al potere, ammorbidirà la sua posizione. Giorgia Meloni, il primo ministro italiano di estrema destra, era scettica sull’aiuto all’Ucraina e critica dell’UE quando si è candidata alle elezioni del 2022, per poi trasformarsi una volta al potere. Ma la Meloni non ha mai avuto i legami di Le Pen con la Russia o la sua storia di attacchi all’Europa.

Quando si è candidata alle presidenziali del 2017, Le Pen ha promesso di ritirare la Francia dall’UE; questa volta, ha promesso di uscire dai trattati economici internazionali e di riconsiderare la partecipazione alla NATO. Il suo partito non chiede più una “Frexit”, ma dice che la Francia dovrebbe ignorare le regole e i trattati europei quando sono in conflitto con le politiche del suo partito.

RITORNO AL FUTURO

Date tutte queste minacce all’identità centrale della Francia, gli altri partiti del paese hanno iniziato a cooperare per il ballottaggio. I contendenti del primo turno che ricevono più del 12,5 per cento dei voti possono competere nei ballottaggi, e chi riceve il maggior numero di voti la notte delle elezioni vincerà il distretto, indipendentemente dal fatto che il candidato riceva più del 50 per cento dei voti.

La coalizione di sinistra, il Nuovo Fronte Popolare, ha ordinato a tutti i suoi candidati di ritirarsi se la loro presenza al ballottaggio renderebbe più facile la vittoria del candidato del Rassemblement National. Anche il primo ministro francese Gabriel Attal, leader del blocco centrista, ha dichiarato che i candidati tra le sue fila dovrebbero fare tutto ciò che è in loro potere per sconfiggere il Rassemblement National, anche se non si sono impegnati uniformemente a dimettersi se seguono la sinistra.

Al contrario, quando Jean-Marie Le Pen ha colto tutti di sorpresa ed è arrivato secondo alle elezioni presidenziali del 2002, ogni singolo partito politico e sindacato ha invocato un massiccio “fronte repubblicano” contro di lui, e fino a 1,2 milioni di cittadini sono scesi in piazza per protestare contro il fascismo. Di conseguenza, il suo avversario, Jacques Chirac, è stato eletto con l’82% dei voti.

Un rinvigorito fronte repubblicano potrebbe impedire al National Rally di ottenere la maggioranza assoluta. Ma l’estrema destra sarà comunque la forza trainante in parlamento, e potrebbe ancora portare avanti alcune delle sue politiche. Anche se il National Rally non può passare molto, ha già fatto grandi danni.

Durante la campagna elettorale, i sostenitori del Rassemblement National hanno scatenato assalti razzisti e omofobi, a volte in bella vista e con un chiaro riferimento alla loro imminente ascesa al potere. Ad esempio, a Montargis, una città a sud di Parigi, una coppia che vantava le insegne del Rassemblement National sulla loro casa ha insultato la loro vicina nera, un’infermiera, e le ha urlato davanti alle telecamere dei giornalisti di tornare “à la niche” (alla cuccia).

I leader del Rassemblement National hanno respinto le accuse secondo cui la loro retorica anti-immigrati potrebbe aver alimentato questo tipo di fanatismo. Al contrario, affermano di rappresentare un nuovo inizio. Bardella corre con lo slogan: “Non ci avete mai provato”. Ma questo non è vero.

L’estrema destra ha guidato la Francia in passato, più recentemente durante il regime di Vichy, che controllava gran parte del paese dopo che i nazisti lo avevano sconfitto nella seconda guerra mondiale. Quel governo promulgò leggi razziali che spogliarono gli ebrei francesi dei loro diritti, abolirono le naturalizzazioni e la cittadinanza per luogo di nascita e classificarono i cittadini in base al sangue che scorreva nelle loro vene.

Bardella potrebbe definire se stesso e il Rassemblement National come il futuro della Francia, ma odorano distintamente di un passato più oscuro.

Le Pen, il caso delle «pecore nere» (e arriva l’appoggio di Mosca) (corriere.it)

di Stefano Montefiori

Bardella ammette: poco tempo per la selezione. 

Macron: mai al governo con Mélenchon

Sono i giorni delle pecore nere. Quei candidati che mettono in imbarazzo il Rassemblement national e la France insoumise perché impresentabili, antidemocratici tra il ridicolo e il tragico, dalla lepenista con il cappello della Luftwaffe in testa al melenchonista fan di Hamas coinvolto nell’aggressione a un 15enne, picchiato perché ebreo.

Sono casi che hanno un significato diverso, e infatti generano reazioni diverse, nei due partiti. Nei dirigenti del Rassemblement provocano un enorme fastidio perché rischiano di vanificare decenni di normalizzazione e di tentativo di diventare un partito rispettabile, per esempio con un comportamento ligio alle regole in Parlamento; per la France insoumise sono eccessi deprecabili, ovviamente, ma che si inseriscono in una cultura di partito che privilegia il movimentismo e la piazza, «il rumore e il furore» anche all’Assemblea nazionale teorizzati da Jean-Luc Mélenchon.

Che non solo lascia correre, ma si presenta volutamente in tv, la sera del primo turno, accanto alla franco-palestinese Rima Hassan propagatrice di false notizie e di propaganda islamista.

«Le pecore nere vengono cercate sempre tra le nostre fila — dice Marine Le Pen —. Ma bisogna valutare come si comporta poi il partito. Ogni volta abbiamo cominciato procedure disciplinari che di solito hanno portato alla loro esclusione. A sinistra invece tutto fila liscio».

Ma in ogni caso la questione dei candidati inadeguati, per usare un eufemismo, sta diventando un problema centrale per il primo partito di Francia, che porterà all’Assemblea nazionale almeno 200 deputati e che punta alla guida del Paese.

La sensazione che hanno molti, e che potrebbe frenare qualche elettore al secondo turno, è che il Rassemblement si sia dotato in questi anni di un gruppo di una decina di personalità di vertice che appaiono, almeno in superficie, in grado di difendere la loro proposta politica; ma le elezioni anticipate, indette in sole tre settimane, rischiano di fare venire alla luce l’impreparazione e l’inadeguatezza di molti altri, di decine di futuri deputati che «non c’è stato il tempo di selezionare con maggiore cura», ammette il presidente del partito Jordan Bardella.

Il Rn ha poi incassato ieri un sostegno probabilmente non molto gradito, quello del ministero degli Esteri della Russia, che su X ha osservato: «Il popolo francese è in cerca di una politica estera sovrana che serva i suoi interessi e rompa con le imposizioni di Washington e Bruxelles», accompagnando la frase con una bella foto di Marine Le Pen raggiante che saluta i militanti dopo la vittoria al primo turno.

Una specie di «bacio della morte» per la leader del Rn, che fa ogni sforzo per cercare di fare dimenticare la sua passata politica filo-Russia, il famoso prestito di 9 milioni di euro ottenuto da una banca vicina al Cremlino, e gli incontri con Putin trattato da modello e ispiratore.

Se il Rassemblement national affronta le ultime 48 ore di campagna elettorale con qualche difficoltà imprevista e una riduzione delle aspettative di vittoria totale domenica sera, il presidente Emmanuel Macron spera in una coalizione alternativa che però non comprenda la France Insoumise di Mélenchon, perché «un conto è fare un accordo di desistenza, un altro è governare».

A poche ore dal secondo turno, il «chiarimento» cercato da Macron con le elezioni anticipate sembra sempre più lontano.

 (EPA/Gonzalo Fuentes)