Il “nuovo piano pandemico” (butac.it)

di 

Per dimostrare le sostanziali differenze nel nuovo 
piano pandemico rispetto al vecchio, ci vengono 
riportate citazioni che sono sostanzialmente 
identiche alla vecchia versione...

In tanti ci state segnalando un articolo dietro paywall de La Verità, articolo che porta la firma di Francesco Borgonovo dal titolo:

Ecco il nuovo piano pandemico. Basta con obblighi e lockdown

L’articolo è stato ripreso anche da Panorama dove si può evitare il paywall imposto dal giornale di Belpietro. L’articolo di Borgonovo comincia con un panegirico dove viene incensato Galeazzo Bignami, dove si attacca l’ex Ministro Speranza, ma in cui in realtà viene raccontato poco o nulla della bozza che Borgonovo avrebbe visionato in esclusiva.

Poi finalmente Borgonovo entra nel vivo, sostenendo che il piano pandemico che sta presentando in esclusiva sia diverso dal precedente, e lo dimostra dalle premesse, di cui ci viene riportata una mezza frase. Scrive Borgonovo:

Ora però un nuovo piano c’è, dopo le vergognose lungaggini dei precedenti governi e dopo un brutto passo falso compiuto mesi fa dall’attuale gestione. E che questo documento sia diverso si comprende fin dalle premesse, che sono parecchio dettagliate e fissano alcuni principi fondamentali di cui in futuro si dovrà tenere conto (anche perché i piani vanno applicati più o meno come se fossero leggi). Prendiamo ad esempio uno dei primi paragrafi. Vi si legge che «tra i principi fondamentali del Piano vi è l’efficacia. Gli interventi sono fondati su un solido razionale scientifico e metodologico supportato da dati rappresentativi della popolazione alla quale verranno applicati, in modo da rispettare anche il principio di giustizia e di equità nell’accesso alle risorse. Gli interventi sono, inoltre, motivati da una condizione di necessità. Per tale motivo, ogni intervento è guidato anche dal principio di responsabilità». Non sono frasi di circostanza: l’efficacia dei provvedimenti è esattamente ciò di cui non si è tenuto conto negli anni passati.

Curioso che la frase che Borgonovo ha scelto di citare per prima fosse già presente nella bozza di gennaio, quella a cui fa riferimento parlando di “brutto passo falso”: l’avrà letta? O sa che tanto i suoi lettori quel confronto non lo faranno? Tra la bozza di gennaio e quella attuale però questa frase presenta una differenza, qui potete leggere lo stesso paragrafo come era stato presentato in origine:

Tra i principi fondamentali del Piano vi è l’efficacia. Gli interventi sono fondati su un solido razionale scientifico e metodologico supportato da dati rappresentativi della popolazione alla quale verranno applicati, con particolare attenzione alle minoranze, in modo da rispettare anche il principio di giustizia e di equità nell’accesso alle risorse. Gli interventi sono, inoltre, motivati da una condizione di necessità. Per tale motivo, ogni intervento è guidato anche dal principio di responsabilità.

Nella bozza nuova evidentemente l’attenzione verso le minoranze viene meno. Non che la cosa ci sorprenda. Ma andiamo avanti nelle citazioni riprese da Borgonovo, che ci riporta un altro virgolettato dalla nuova bozza:

“Il conflitto che potrebbe eventualmente insorgere tra la sfera privata e quella collettiva rende necessario operare in ottemperanza al principio di trasparenza. Le informazioni saranno divulgate dalle istituzioni preposte, tanto al personale medico-sanitario quanto ai non addetti ai lavori, in maniera tempestiva e puntuale, attraverso piani comunicativi pubblici e redatti in un linguaggio semplice e chiaro. Ogni persona deve essere informata sulla base di evidenze scientifiche in merito alle misure adottate, in modo da poter comprendere il significato e il valore delle azioni che ciascuno può compiere per la promozione della propria salute e di quella collettiva. Dopo aver debitamente informato la popolazione, si procede alla raccolta del consenso delle persone, in modo che queste possano compiere una scelta autonoma e consapevole“. Informazione, trasparenza, consenso: antidoti alla tirannia sanitaria.

In cosa differisce da quella di gennaio?

“Il conflitto che può sorgere tra la sfera privata e quella collettiva  rende necessario operare in ottemperanza al principio di trasparenza. Le informazioni saranno divulgate dalle istituzioni preposte, tanto al personale medico-sanitario quanto ai non addetti ai lavori, in maniera tempestiva e puntuale, attraverso piani comunicativi pubblici e redatti in un linguaggio semplice. Ogni persona deve essere informata sulla base di evidenze scientifiche in merito alle misure adottate, in modo da poter comprendere il significato e il valore delle azioni che ciascuno può compiere per la promozione della propria salute e di quella collettiva. Dopo aver debitamente informato la popolazione, si procede alla raccolta del consenso delle persone, in modo che queste possano compiere una scelta autonoma e consapevole.“

Come avete visto nella versione di gennaio non si usava il condizionale, ma un presente indicativo: il conflitto può sorgere, e il linguaggio era solo semplice, non semplice e chiaro. Ha proprio ragione Borgonovo, si tratta di modifiche necessarie, che rendono davvero nulla la bozza di gennaio.

Ma arriviamo al finale dell’analisi di Borgonovo:

Poi la chiosa decisiva: “È inoltre opportuno aggiornare o modificare le decisioni o le procedure qualora emergano nuove informazioni rilevanti e fondate su evidenze scientifiche.” Tradotto: se si scopre che le mascherine non servono, che i lockdown sono inutili o che un farmaco causa problemi, si cambia rotta. Perché errare è umano perseverare è totalitario.

Curioso che anche questa frase sia identica a quella della bozza (il brutto passo falso, cit.) di gennaio:

È inoltre opportuno aggiornare o modificare le decisioni o le procedure qualora emergano nuove informazioni rilevanti e fondate su evidenze scientifiche. L’adozione di tali criteri è indispensabile per dare evidenza dell’azione istituzionale contribuendo anche a consolidare il sentimento di fiducia dei cittadini nelle istituzioni sia nei momenti di preparazione che in quelli di risposta.

Quindi, per concludere: quanto ci ha riportato in esclusiva Borgonovo non differisce dalla bozza di gennaio, bozza che evidenziava più volte l’importanza dei vaccini e delle misure di contenimento e controllo della pandemia (lockdown, zone rosse ecc). Se nella nuova bozza questi elementi sono stati modificati o rimossi non è sicuramente l’articolo di Borgonovo, con quelle citazioni che come avete visto differiscono in misura davvero minima dall’originale, a dimostrarlo.

Sperando di avervi aiutato a fare chiarezza.

Ddl Nordio, la verità di Luciano Violante: “L’abuso d’ufficio l’avrei tolto prima”

di Edoardo Sirignano

«È difficile dare un giudizio complessivo su 
tutto il ddl Nordio. 

Bisogna distinguere da norma a norma. Sbagliato, però, criticare l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Chi conosce i tribunali, sa bene, che i correttivi da effettuare sono altri». A dirlo l’ex presidente della Camera Luciano Violante.

Giusto abrogare l’abuso d’ufficio?

«A mio parere, bisognava eliminarlo da tempo. Spesso si commette un errore di impostazione di fondo. L’accertamento di legalità sulla Pubblica Amministrazione spetta alle autorità amministrative, non ai magistrati. Questi, al contrario, dovrebbero solo cercare di chi è la responsabilità, quando hanno una notizia di reato sul tavolo. C’è, poi, un altro aspetto che dimostra come questa scelta del governo vada nella giusta direzione».

Quale?

«Il numero enorme di assoluzioni per tale reato dimostra che, talvolta, è usato come una sorta di leva per entrare all’interno di circuiti privati o pubblici riservati, per acquisire il massimo di informazioni possibili per sostenere che può esserci stata un’infrazione. Il giudice, però, non dovrebbe accertarsi “se per caso è stato commesso un reato”, ma dovrebbe agire una volta che ha la notizia di reato. Questa la ragione per cui, sin dal principio, ho ritenuto giusto abolirlo. Più volte si è cercato di manipolarlo, ma non si è mai riusciti a trovare una soluzione giusta affinché si potesse evitare che l’accusa non impattasse sulla reputazione delle persone. Dopo cinque anni vieni assolto, ma nessuno se ne accorge. E non si tiene conto che in tutti gli altri Paesi l’azione penale è discrezionale e quindi si procede solo in pochi casi, mentre da noi è obbligatoria e si procede sempre».

Quando si affrontano certe tematiche bisognerebbe andare oltre i colori politici?

«Se una persona deve presentarsi davanti a tre giudici che gli spiegheranno perché c’è un provvedimento restrittivo nei suoi confronti, c’è qualcosa che non funziona. Tenga presente che in base a una sentenza della Corte, il giudice intervenuto in una fase del processo non può intervenire in quelle successive. Questa riforma, su alcuni punti, sembra essere stata fatta da chi non conosce un sistema giudiziario, un tribunale».

Che idea si è fatto, invece, sulla stretta relativa alle intercettazioni?

«Non siamo di fronte una legge bavaglio, ma si punta a tutelare i cosiddetti “coinvolti”, quella categoria scoperta da qualche organo di informazione, comprendente coloro che non sono imputati, ne’ indiziati, ma i cui nomi si fanno nel corso del processo. Basta, purtroppo, un titolo su un giornale per renderti partecipe di un reato. Sapere che queste figure possano scomparire presto è solo positivo. Siamo di fronte a un vero e proprio abuso da parte del giornalismo di riporto, quello che prende i pezzi che gli passano le Procure, pubblicandoli come li riceve. Perché trascrivere il contenuto di un’intercettazione, se non serve a dire quello che è successo?».

Per il ministro Nordio tale cambiamento è una mano tesa agli amministratori, che non avranno più timore quando firmeranno un atto. È d’accordo?

«Lo è anche per i funzionari, per chiunque lavora in un ente pubblico. In Italia, purtroppo, basta una denuncia anonima per far scattare un’indagine».

Altra priorità per la politica è la separazione delle carriere. È davvero così urgente?

«È una sciocchezza. Le carriere sono già separate. Stiamo parlando di un problema paleontologico, che si poneva l’avvocatura penalistica trenta anni fa. Oggi non ha ragione di esistere. Tenga presente che circa il 45% delle richieste dei j Pm viene respinta dai giudici. Se ci fosse una subalternità ai Pm non avremmo avuto una percentuale così elevata. C’è, poi, la questione dell’esperienza professionale, che dividendo le carriere verrebbe mortificata. In Francia e in Germania aver fatto prima il Pm e poi il giudice o viceversa, viene considerato elemento positivo. Voglio, infine, aggiungere un altro dato che riguarda i diritti».

Quale?

«Riunire i Pm in un’unica corporazione, autogestita, con tutti i poteri che hanno, è un pericolo per la libertà dei cittadini. Altro che norma garantista».

Che idea si è fatto, invece, rispetto al caso Toti?

«Prima di parlare bisogna conoscere gli atti, i particolari delle singole vicende. Non posso, dunque, dire niente di rilevante. L’unica certezza è che stiamo parlando di un periodo molto lungo per degli arresti domiciliari, a meno che non si voglia indurre Toti a farlo dimettere da presidente della Regione. Non so bene, se è questo l’intento. Se è così, però, dovrebbe essere chiaramente espresso dall’autorità giudiziaria, bisognerebbe spiegarlo. Altrimenti è chiaro che ci sono dubbi».

Quando parliamo di giustizia, controversia all’ordine del giorno è quello sulle correnti della magistratura. Come superarle?

«Esprimere opinioni all’interno di una componente associata non è un problema. Lo è, invece, quando fai carriera solo perché sei iscritto a una corrente. La funzione delle correnti è anomala quando vogliono determinare chi deve fare il procuratore a Roma, a Vicenza o a Taranto. Se contribuiscono al dibattito, al contrario, è cosa buona e giusta».

Berlusconi e gli atterraggi condivisi (corriere.it)

di Gian Antonio Stella

Malpensa e gli altri scali

E se l’aeroporto di Bolzano fosse stato intitolato ad Alcide De Gasperi? Apriti cielo! Silvius Magnago, il padre nobile dell’autonomia sudtirolese lo vedeva col fumo negli occhi.

«L’idea che lo vogliano fare santo mi fa bollire il sangue nelle vene. Uomo integro, per carità. Profondo. Cristiano convinto. Ma sull’Alto Adige ha raccontato un mucchio di bugie. Avrei capito se fosse stato siciliano o calabrese! Ma dico: lui era di Trento, era un tirolese di lingua italiana, era stato deputato a Vienna, conosceva benissimo la storia».

Direte: cosa c’entra questa storia con la rissa sull’aeroporto di Malpensa che Salvini vorrebbe intitolare a Berlusconi?

C’entra. Perché perfino quello che la grande maggioranza degli italiani (compresi coloro che a suo tempo gli diedero battaglia spingendosi a svillaneggiarlo col nomignolo di «Forchettone») considerano la figura più importante del secondo dopoguerra, mai sfiorata da un sospetto sulla dirittura morale, sarebbe in un pezzo d’Italia una figura divisiva.

Che getterebbe sale su ferite di cui restano pesanti cicatrici. Dunque inadatta a raccogliere il consenso di tutti, o almeno quasi tutti, perché di tutti è e deve restare il patrimonio pubblico. Aeroporti compresi.

Come siano stati via via battezzati i nostri scali aeroportuali è presto detto. Alcuni, come quello di Linate intitolato a Enrico Forlanini inventore dell’aliscafo, portano i nomi dei pionieri del volo civile o caduti nelle prime battaglie aeree. Come Ugo Niutta (Napoli Capodichino) abbattuto nel 1916 in Valsugana, Giovan Battista Pastine (Ciampino) precipitato col suo dirigibile esploso con una spaventosa fiammata nel cielo di Gorizia o Mario Mameli (Cagliari Elmas) morto nello schianto del suo Caproni in Abissinia nel ‘36. Guerre «giuste» o no?

Non importa più di tanto.

Perfino il nome dello scalo goriziano di Ronchi dei Legionari, così battezzato nel 1925 in onore della spedizione dannunziana a Fiume e a lungo contestato da pezzi della sinistra (qualcuno propose di chiamarlo Ronchi dei Partigiani perché lì era nata la Brigata Proletaria) ha avuto solo recentemente un restyling anglofilo: Trieste AirPort.

Nessuno ha mai messo in discussione, ovvio, il nome dato agli aeroporti coi grandi protagonisti della nostra storia: Leonardo da Vinci (Fiumicino), Marco Polo (Venezia), Guglielmo Marconi (Bologna), Vincenzo Bellini (Catania), Cristoforo Colombo (Genova), Amerigo Vespucci (Firenze), Galileo Galilei (Pisa), Valerio Catullo (Verona), Antonio Canova (Treviso) e così via.

Tutti nomi vissuti con orgoglio di appartenenza da tutti gli italiani, di destra o sinistra, terroni o polentoni, genoani o juventini, interisti o romanisti. Come sempre, scegliendo il buon senso, dovrebbe essere. Tutti vuol dire tutti.

E se nel 1997 passò senza un fiato di contestazione, come ricordano l’allora sindaco di sinistra Valentino Castellani e l’allora governatore di destra Enzo Ghigo, la scelta di dedicare lo scalo di Torino Caselle a Sandro Pertini, l’amatissimo capo dello Stato che era accorso per Alfredino a Vermicino e aveva giocato a carte con Dino Zoff di ritorno dai mondiali in Spagna, nessuno ebbe a ridire pochi anni dopo (salvo la Cgil di Cerignola che invocò invano il nome di Giuseppe Di Vittorio) sulla dedica di Bari Palese a Giovanni Paolo II, sponsorizzato da una raccolta di firme parrocchiali subito appoggiata da Michele Emiliano e Nichi Vendola.

Men che meno, nel 1993, subito dopo le stragi, aveva sollevato dubbi l’intestazione di Punta Raisi a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: tutti ma proprio tutti (tranne Totò Riina e i mafiosi, si capisce) erano d’accordo. Ci mancherebbe…

Già la scelta del nome di Pio La Torre per ribattezzare l’aeroporto militare ora civile di Comiso, però, nel 2007, aveva arricciato il naso ai locali esponenti di An: d’accordo, era stato ucciso dalla mafia, ma era comunista! E lo scontro andò avanti per anni, con la rimozione del nome da parte del nuovo sindaco aennino (tra le proteste addirittura del berlusconiano Carlo Vizzini: «Grave errore: la lotta alla mafia viene prima») e il successivo ripristino voluto da Rosario Crocetta.

A farla corta: vale la pena, su temi come questo capaci di incendiare il dibattito, non cercare neppure una scelta comune ma al contrario forzare le cose per vedere l’effetto che fa? «Malpensa intitolato a Silvio Berlusconi spappola i fegati pd», gongola un giornale irridendo alle perplessità di chi invoca un nome condiviso.

A parti rovesciate scriverebbero lo stesso? Mah…