In Europa hanno paura di Vannacci. Qualcuno gli spieghi che è solo una burla (ildubbio.news)

di Daniele Zaccaria

Arriva il veto di Marine Le Pen sul generale per 
la vicepresidenza del gruppo Patrioti. 

Ma più che un pericolo fascista rappresenta le deriva della politica spettacolo

Se gli eurodeputati avessero frequentato la commedia all’italiana e letto meno gli articoli di Repubblica, riuscirebbero a inquadrare meglio il fenomeno Vannacci. E a dargli la giusta importanza, a capire il contesto antropologico. Più Sordi che Farinacci, più Gassman che Galeazzo Ciano, più Tognazzi che il principe Borghese.

Invece, lo stralunato generale sovranista, lo xenofobo, omofobo, machista, amante del gladio e nostalgico del ventennio, perfetto villain del racconto politico contemporaneo, incombe nell’emiciclo di Strasburgo neanche fosse la reincarnazione di Joseph Goebbels. Al punto da mettere in imbarazzo i suoi stessi compagni di banco, che prendono le distanze, arricciano il naso, si smarcano.

In Francia da un po’ di tempo il leghista viene citato nei talk show per mettere in difficoltà i lepenisti: «Lo sapete che in Europa siete alleati con il generale Vannacci, un ammiratore di Mussolini?» ha ricordato un giornalista a un esponente del Rassemblement national (Rn).

La replica sincera ma goffa: «Non lo conoscevo, posso solo dire che non sono affatto d’accordo con quel che dice». Succede poi che dalle parti di rue Michel-Ange devono essersi informati meglio sulle prodezze mediatiche dell’autore de “Il mondo al contrario”, inoltre rendendosi conto che il generale è stato nominato per acclamazione vicepresidente del gruppo Patrioti europei, così hanno provato a correre ai ripari.

«Le idee di Vannacci sono lontane dai valori del nostro partito, chiederemo alla Lega che la sua carica venga affidata a qualcun altro», ha lanciato Jean-Philippe Tanguy, eurodeputato del Rn molto vicino a Marine Le Pen.

Che l’elefante in salotto dell’estrema destra continentale, rappresentata a Strasburgo da personaggi con un passato ben più inquietante, debba essere il pittoresco generale, recordman di preferenze alle elezioni europee e di presenze televisive, fa capire quanto la società dello spettacolo riduca la politica è un effetto di superficie, a un casting che deforma la realtà a suo piacimento.

Basterebbe leggere alcune sublimi pagine de “Il mondo al contrario” per rendersi conto di avere a che fare con un uomo confuso e d’altri tempi, spaventato dall’omosessualità, dalle femministe «nuove fattucchiere» e, con spirito pre-coloniale, anche dall’esotico mondo delle genti di origine africana.

Come quando raccontò di voler provare se è vero che le persone di colore hanno la pelle più ruvida, carezzando le mani di un ignaro passeggero nel metrò di Parigi. O quando provò ad abbordare una ragazza di nome Valentina in una discoteca, scoprendo, con grande sconcerto, che si trattava di un transessuale.

Come nella commedia all’italiana, che ha saputo fotografare e raccontare i vizi, le piccole mostruosità e le grandi contraddizioni del maschio italico meglio di qualsiasi trattato, l’effetto comico delle sortite di Vannacci è incontestabile.

E come non notare le movenze delicate, la timidezza davanti al microfono, la mitica vestaglia-kimono esibita sulla spiaggia di Viareggio che ricorda quella di Manuel Fantoni in Borotalco, insomma tutti quelle civetterie che paradossalmente ne hanno fatto un icona gay?

Se l’Europa ha paura di costui vuol dire che sta davvero messa male.

 

Il complotto del morbillo (butac.it)

di 

I casi di morbillo stanno crescendo perché il 
vaccino non funziona? 

Abbiamo fatto qualche ricerca

Un  nostro affezionato lettore ci ha inviato una segnalazione sotto forma di screenshot, un post che mostra quello che è il pensiero di numerosi antivaccinisti, o forse sarebbe più esatto dire una delle post-verità che nelle ultime settimane ha avuto particolare successo tra quelle diffuse da chi campa con la disinformazione antivaccinista.

(Lo screenshot mostra un post con cui un utente condivide l’articolo dell’HuffPost sulla crescita dei casi di morbillo, l’utente scrive: “Loro lo scrivono per farci credere che la proposta della Lega di abolire l’obbligo vaccinale sia sbagliata e invece ci fa capire che il vaccino contro il morbillo è di fatto inutile…”)

Siamo di fronte a un classico caso di manipolazione della realtà per adattarla a quello che ci dice il nostro cervello.

Innanzitutto quel “loro ci dicono” serve a contrapporre un antagonista, loro i cattivi giornalisti, loro che ci governano, loro gli scienziati. Ma l’HuffPost, testata che non stimo particolarmente, si sta limitando a riportare un fatto, un fatto che non riguarda solo il nostro Paese bensì tutta Europa (e non solo) post pandemia.

Spiegava ad esempio il New York Times a inizio 2024 (ovvero ben prima della proposta della Lega):

Routine childhood vaccinations, including the two-dose vaccine that protects against measles, mumps and rubella, stalled once the pandemic started. At the same time, vaccine hesitancy has become more commonplace, said Dr. Paul Offit, a vaccine expert at the Children’s Hospital of Philadelphia. Generally, a community is protected against measles if more than 95 percent of people in it are vaccinated. But state-required vaccinations among kindergartners in the United States fell from around 95 percent in the 2019-20 school year to roughly 93 percent in the 2022-23 school year.

Ovvero, le vaccinazioni pediatriche con la pandemia si sono praticamente fermate, e al tempo stesso l’esitanza vaccinale è diventata più comune. Quindi il tasso dei vaccinati contro il morbillo negli States è calato dal 95%, che è la soglia che garantisce l’immunità di gregge, al 93%, che non la garantisce più.

L’OMS ci racconta che:

In 2022, 74% of children received both doses of the measles vaccine, and about 83% of the world’s children received one dose of measles vaccine by their first birthday. Two doses of the vaccine are recommended to ensure immunity and prevent outbreaks, as not all children develop immunity from the first dose.

Approximately 22 million infants missed at least one dose of measles vaccine through routine immunization in 2022.

Ovvero solo l’83% degli aventi diritto ha ricevuto il vaccino e di questi solo il 74% ha fatto entrambe le dosi. Questo da solo dovrebbe farvi capire che il problema non è il vaccino che è “di fatto inutile” (il fenomeno per il quale il successo dei vaccini porta a pensare che non servano, perché comunemente non vediamo manifestarsi la malattia proprio grazie ai vaccini, è ben noto), ma i genitori che – per vari motivi, tra cui chi li ha spaventati durante la pandemia – sono titubanti a vaccinare i propri figli.

Questo è la perfetta dimostrazione di come, facendo leva sulle paure delle persone e sfruttando il cattivo lavoro portato avanti dai giornalisti durante l’emergenza sanitaria – sì, quelli che davano parola a chiunque pensasse di avere qualcosa da dire – si riesca a manipolare un qualcosa di così delicato come la salute a livello globale.

La leadership di Trump nasce dall’odio e non dal consenso, la retorica del difensore del popolo che appartiene all’élite (ilriformista.it)

di Paolo Guzzanti

L'ascensore politico della popolarità

La sua era del comando è nata con il mestiere ereditato dal padre di grande costruttore passando poi alla tv.

Ha imparato a farsi riconoscere dai suoi simili presentandosi come il loro messia. E c’è riuscito. Vi ricorda qualcuno?

Il discorso da leggere alla convention di Milwaukee era pronto, ma dopo l’attentato per farlo fuori, è tutto da buttare. E ce ne vuole uno radicalmente diverso. I consiglieri come Chris LaCivita e Danielle Alvarez hanno passato la domenica a discutere di Trump senza incontrare resistenza: “Dovevo cambiare il mio discorso e riscriverlo”, ha detto il candidato repubblicano, “non posso permettere che un attentatore detti la linea ai repubblicani”. In breve: il testo già pronto prima della sparatoria, era molto aggressivo.

La leadership si misura dall’odio

Ora il clima è cambiato, il Presidente Joe Biden viene a portare la sua solidarietà al campo e al leader nemico e anche il messaggio politico cambia perché dobbiamo tutti ragionare sul significato dell’attentato, che muterà la storia degli Stati Uniti e del mondo.

Il Grand Old Party ha reagito in modo unitario e dunque non è più tempo di divisioni. È tempo non di battaglia, ma di raccolta. Tutta l’America riconosce sui media che questo è un comportamento da leader. La leadership si misura più dall’odio che suscita, che dal consenso: Donald Trump è stato odiato per la sua retorica e la sua spavalda odiosità.

Il suo modello di base, come strumento di comunicazione, è quello di un capo che si ribella contro le forze oscure sempre impegnatissime a sottomettere la volontà del popolo. Fra il popolo – ammantato di candore – e la satanica setta dei complottisti, chi si erge come protettore degli onesti, se non Donald J. Trump?

Il difensore del popolo che appartiene all’élite

La prima volta che lo vidi fu all’interno della Trump Tower di New York, più o meno trent’anni fa. Mostrava ad alcuni amici un’opera di architettura inebriante per la sua follia. Ma ciò che colpiva il mio perbenismo europeo era una statua. Fra cascate su marmo sanguigno e turisti incantati al bistrò fin de siècle deliziato da un quartetto d’archi, dominava una gigantesca statua policroma come quelle cretesi di Knosso.

Ma niente minotauri: la statua nella Trump Tower era quel personaggio che in Italia si chiama Paperon de’ Paperoni, ma che nel mondo americano era ed è il terribile mister Scrooge, dei racconti di Natale di Charles Dickens, benché in forma papera. Ci si specchiava e aveva senso: Trump ha creato la versione politica del difensore del popolo benché appartenente all’élite dei ricchissimi.

Trump e Berlusconi, l’ascensore politico della popolarità

La leadership di Donald Trump è nata con il mestiere ereditato dal padre di grande costruttore edile e venditore di appartamenti di lusso per diventare poi l’anchorman della sua personale televisione. Ha imparato a farsi riconoscere dai suoi affini presentandosi come il loro messia. E c’è riuscito.

Un percorso non troppo diverso da quello di Silvio Berlusconi costruttore edile e poi inventore della televisione di condominio che diventerà Canale 5. Gli stessi strumenti per raggiungere il popolo attraverso la popolarità e poi come un ascensore politico.

In Europa ci sentiamo in dovere di dare forti segnali di nausea soltanto a sentire il suo nome. E pensare che sia il più perfetto farabutto opportunista di destra, nonché stupratore, evasore fiscale, mentitore.

Leader carismatico e leader normale

Un automatismo. Non soltanto in Italia in Europa perché anche in America si è formato il partito della reazione immediata contro il personaggio Trump. Due partiti: uno che lo odia e se può gli spara, che si è strutturato anche nella opposta fazione nel popolo Maga – Make America Great Again – di Trump.

Vederlo in azione permette di percepire la differenza fra un leader carismatico che qualsiasi cosa faccia e dica suscita un’impennata congiunta di odio e di amore, è un politico normale, di laboriosa fattura col suo elettorato che non funziona come il nostro perché in America, come in Inghilterra, ogni rappresentante si rivolge alla sua constituency come un Lord protettore ai cittadini che non sanno di essere continuamente derubati dai cospiratori che vivono nel Deep State, fra le ruote dentate della burocrazia ladra della politica in affitto e di tutte le altre piaghe di cui in ogni paese il popolo si lamenta perché si sarebbe lamentato in ogni caso.

Un giorno uno dei miei figli che vivono in Florida e che ogni tanto vanno a giocare a calcio nel castello incantato di Mar-A-Lago, mi mandò una clip in cui con un paio di amici giocava con un pallone da calcio. E poi arriva mister Trump come una gigantesca soubrette scendendo i gradini di una scala mobile. Non chiese che diavolo ci facessero quei ragazzi in casa sua e cominciò a prendere a calci il pallone perché percepiva una collettività, per piccola che fosse, che richiedeva calci al pallone, sorriso sulla bocca, indulgenza e autorità.

Il pugno chiuso

Otto anni fa pensavo che se non fossi stato un europeo abituato ad una paura fottuta dei russi e dei loro carri armati, e fossi stato un americano fiero e ingenuo come l’America rurale (quella in cui le mamme insegnano ai figli come si smonta e si pulisce una pistola) non mi sarebbe dispiaciuto quel tizio tanto prepotente quanto gentile ma sempre concentrato su di sé e sul tema del popolo tradito dagli interessi più sudici.

La scena che avrete già visto mille volte dopo l’attentato perpetrato da un ragazzo di vent’anni sdraiato sul tetto di un capannone insieme agli sniper del secret service, è un manifesto identitario come la celebre foto dei soldati di Iwo Jima che innalzano la bandiera a Stelle e strisce nel titanico sforzo della battaglia vinta.

Trump ha lottato a mani nude con gli uomini della sicurezza perché si doveva infilare le scarpe perse nella caduta, trasformando sé stesso in un’immagine iconica. Sono stati i minuti e secondi durante i quali il leader repubblicano ha giocato d’istinto come un sottomarino in emersione, con il suo volto rigato dal sangue, gli occhi della sofferenza tisica e il pugno chiuso che da sabato sera non è più un saluto di sinistra o delle Black Panthers, ma il pugno chiuso del popolo di Trump.

Un comportamento di estrema destra? Difficile esserne sicuri perché l’estrema destra repubblicana conservatrice e gelosa dei suoi privilegi non è più proprietaria del Grand Old Party creato da Abraham Lincoln per mettere in un angolo gli schiavisti del partito democratico, cosa che non sempre ricordiamo.

“Ho cambiato idea – ha detto al New York Post – e ho buttato nel cestino il discorso preparato per la convenzione di Milwaukee, perché dopo l’attentato tutto è cambiato. Il mio era un vecchio modello di discorso su truffati e truffatori. Ora dirò che cosa significa sentire la morte che fischia a un millimetro dal tuo cranio. E dirò anche chi sarà il mio candidato vicepresidente”. Tre mesi e mezzo per capire se la sua leadership catturerà l’America, cosa tutt’altro che scontata perché la memoria è più corta della famosa coperta.

Il governo Meloni ha spento il “Comitato media e minori” (giornalettismo.com)

La notizia - che non era stata annunciata - è 
passata completamente sotto traccia

Una notizia passata sottotraccia, senza alcun annuncio da parte della politica e delle istituzioni. Il governo Meloni, infatti, ha deciso di cancellare il Comitato Media e Minori, quell’organo nato nel 2002 e che aveva come compito quello di controllo e monitoraggio delle violazioni del “Codice di autoregolamentazione TV e minori”, entrato nel tessuto normativo italiano all’interno della cosiddetta legge Gasparri nel 2004.

Nessun comunicato stampa, nessuna conferenza da parte del MIMIT. E, infatti, lo scioglimento di questo Comitato è passato totalmente inosservato. Inserito in un decreto legislativo che prevede la sostituzione con un nuovo organo di controllo, il “Comitato consultivo interistituzionale”, che ancora non esiste e di cui ancora non si sa nulla.

Comitato Media e Minori cancellato dal governo Meloni

Eppure quella legge approvata nel marzo scorso è entrata in vigore il 2 maggio, quindi sono passati oltre due mesi. Settimane in cui non è possibile inviare segnalazioni in caso di trasmissioni non in linea con i vincoli della cosiddetta “fascia protetta”, quella in cui le emittenti non possono trasmettere programmi e pubblicità non adatte a un pubblico di minori. Insomma, ci troviamo di fronte a un vuoto in attesa di un decreto ministeriale, del MIMIT, che ancora non vede la luce.

Eppure il Comitato Media e Minori è stato importantissimo per regolamentare le trasmissioni televisive in Italia. All’inizio, nel novembre 2002, le principali emittenti italiane avevano siglato questo “patto” di autoregolamentazione talmente dettagliato da ispirare una legge ad hoc.

Ora, nonostante la recente modernizzazione del testo, quell’organismo che doveva controllare sull’attuazione di questo Codice non esiste più. Al suo posto, almeno per ora, il nulla. E sappiamo che, andando incontro ad agosto, i lavori del legislatore sono rallentati.

Il rischio è che non si veda la luce prima della fine dell’anno, lasciando un pericoloso vuoto che non può essere colmato dalla sola presenza di Agcom.

Il caso del ceco “Philipp Siman” non dimostra che la strage di Bucha sia opera degli ucraini (open.online)

di David Puente

FACT-CHECKING

La citazione “prova” attribuita al combattente ceco non fa riferimento alla strage di Bucha, ma a un caso di violenza sessuale ad opera dei russi

Circolano diversi post social dove si sostiene che un combattente della Repubblica Ceca di nome Philipp Siman (o Filip Siman) avrebbe servito in un battaglione ucraino colpevole della strage di Bucha. La narrazione viene supportata dal fatto che l’uomo è sotto processo nel suo Paese e che avrebbe ammesso tale crimine. La fonte utilizzata è un articolo del 3 luglio 2024 del sito ceco Ceskenoviny.cz, ma dove non si parla affatto della strage di Bucha e di ammissioni a riguardo.

Analisi

Ecco un post con il testo che circola online:

La verità sul massacro di Bucha è uscita da dove nessuno aspettava.

Il 27enne Philipp Siman della Repubblica Ceca, mercenario delle forze armate ucraine, ha ammesso in tribunale di aver preso gioielli d’oro dai morti perché “questo è quello che hanno fatto tutti” gli ucraini del battaglione “Carpathian Sich”.

Ha anche detto che hanno sparato ai civili a Bucha:
“Eravamo la polizia, eravamo il tribunale, eravamo il plotone di esecuzione.”

Ancora una volta, la fonte copia incollata è un post del 5 luglio 2024 del canale Telegram del filorusso Nicolai Lilin, noto per la diffusione di notizie false sul conflitto in Ucraina (tra le più recenti, la bufala della Bugatti acquistata da Olena Zelenska) e non solo.

La citazione

Lilin non riporta il link all’articolo della Repubblica Ceca, negando una verifica diretta agli utenti. Infatti, questi avrebbero potuto notare che da nessuna parte è presente la citazione riportata nel post («Eravamo la polizia, eravamo il tribunale, eravamo il plotone di esecuzione»).

La citazione la troviamo in un altro sito della Repubblica Ceca, precisamente nell’articolo del 3 luglio 2024 di Seznamzpravy.cz. Nonostante ci sia la presenza della frase, non viene fatto alcun riferimento all’uccisione di civili ucraini da parte dell’imputato.

La testimonianza e il contesto della citazione

Il sito della Repubblica Ceca Novinky.cz riporta, in un articolo del 3 luglio 2024, sia la citazione diffusa online che quella che la precedeva.

Siman aveva descritto il suo operato e gli orrori che aveva visto in Ucraina. Uno di questi, raccontato durante il processo, riguardava un video contenuto in un telefono dei soldati russi detenuti. La scena filmata era lo stupro di una donna davanti ai suoi figli, questi ultimi costretti ad osservare dagli altri soldati russi.

Il giudice, a quel punto, domandò a Siman se avevano sparato ai detenuti russi ottenendo come risposta che il loro destino sarebbe stato lo stesso delle loro vittime, per poi richiedere il diritto di rimanere in silenzio e dire: «Eravamo la polizia, eravamo il tribunale, eravamo il plotone di esecuzione quando si arrivava al dunque». Risulta evidente la citazione era riferita ai detenuti russi, non ai civili ucraini.

Di cosa è accusato Siman

Il volontario ceco non risulta sotto processo per aver compiuto una strage di ucraini a Bucha e non ha dichiarato ciò in tribunale. L’uomo è accusato di aver prestato servizio in Ucraina senza l’autorizzazione della Repubblica Ceca e per saccheggio. La sua storia era ben nota già nel 2022, riportata in un articolo di aprile e uno del mese di giugno di Seznamzpravy.cz.

Nell’articolo del 7 aprile 2022, Seznamzpravy.cz riporta un’intervista esclusiva a Siman e Daniel, un altro suo collega ceco, nella quale entrambi raccontavano la propria versione a seguito del loro arresto in Ucraina per l’accusa di saccheggio.

Il racconto dei reporter cechi

Zpráv Ray Baseley e Roman Havelka, entrambi reporter della testata ceca Seznamzpravy, nei giorni precedenti all’arresto avevano seguito il battaglione Carpathian Sich nelle zone di Hostomel, Irpin e Bucha. Da quanto riportano i due giornalisti, i due combattenti loro connazionali erano stati accusati di aver saccheggiato saccheggiato le proprietà dei civili a Irpin (non a Bucha) e per furto ai danni degli altri membri del battaglione.

Nell’articolo vengono riportate le dichiarazioni del portavoce del battaglione: «La situazione è tale che la polizia e i nostri soldati hanno scoperto che i vostri ragazzi della Repubblica Ceca avevano con sé cose che avevano rubato nelle case a Irpin. Non sappiamo dove hanno rubato le cose, ma hanno combattuto a Irpin, il che significa che queste cose provenivano da civili. Avevano con sé anche gli averi rubati dei ragazzi del nostro battaglione che combattevano lì».

La polizia, come riportato nell’articolo di Seznamzpravy, aveva poi rilasciato i due combattenti per mancanza di prove. Secondo l’accusa in Repubblica Ceca, rimangono in piedi le accuse di saccheggio.

Le ammissioni del blogger russo

Maksim Fomin, il blogger nazionalista conosciuto con il nome di Vladlen Tatarsky morto nel 2023, aveva ammesso alla televisione russa che dietro la strage di Bucha c’era proprio Mosca. L’intervento era rivolto ai tedeschi sotto forma di velata “minaccia”: «Immaginate un tedesco che guarda le immagini di Bucha, con lo schermo inondato di sangue, la sua memoria genetica sarà risvegliata, gli ricorderà i racconti dei nonni. Sì, questo è quello che siamo, dovete aver paura di noi. Volete vederci così? VI mostreremo che siamo capaci di molto altro».

Conclusioni

Il caso del combattente ceco è stato rielaborato e decontestualizzato per addossare le colpe della strage di Bucha all’Ucraina, e non alla Russia come ampiamente dimostrato dalle inchieste giornalistiche internazionali (premiate con il Pulitzer) e non solo.

Caporalanghe (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

E così tra i filari delle Langhe, uno dei luoghi più civili e aggraziati del mondo, i braccianti clandestini vengono presi a bastonate dai caporali perché osano ribellarsi alla loro condizione di schiavi (orari e alloggi da bestie, paghe da fame).

Il tempo dell’ipocrisia è definitivamente scaduto. Avete visto le immagini diffuse dalla polizia?

Una spremuta di disumanità che chiama in causa tutti, produttori e consumatori: in nome delle loro maestà il Guadagno (per i primi) e il Prezzo (per i secondi) abbiamo smesso di farci troppe domande. Ma quelle scene immonde, che speravamo relegate a secoli lontani della nostra storia, interrogano anche i formatori dell’opinione pubblica, in particolare gli ambienti di sinistra giustamente sensibili al destino dei migranti, ma solo finché rischiano la pelle in mare.

Appena toccano terra, su quei disgraziati cala il sipario del disinteresse. Chi ha urlato a squarciagola per strapparli alla morte li consegna in silenzio a una vita di sopraffazioni e di stenti.

C’è voluto il sacrificio del bracciante amputato di Latina per accendere la luce su un fenomeno che non sembra ispirare artisti e intellettuali, come se lo sfruttamento fosse materia meno letteraria rispetto al naufragio. Dickens e Victor Hugo la pensavano diversamente e forse oggi ci inviterebbero a essere un po’ meno ipocriti: per sentirsi umani non basta salvare altri esseri umani. Poi bisogna dar loro qualcosa che assomigli a un’esistenza umana.