Questo video non mostra un uomo arrestato perché aveva ripreso l’arrivo del missile dell’ospedale pediatrico di Kiev (open.online)

di David Puente

FACT-CHECKING

Si sostiene che sia accusato di aver fornito il video virale usato dai russi per accusare Kiev, ma la vicenda risulta diversa e la narrazione non regge

Circola il video di un uomo arrestato dopo il bombardamento russo dell’ospedale pediatrico di Kiev. Secondo la narrazione, si tratterebbe dell’autore del noto video che riprende il missile mentre scende e colpisce la struttura. Per quale motivo sarebbe stato arrestato?

Secondo i diversi post social, l’aver realizzato il video che avrebbe consentito ai russi di identificare un missile ucraino abbattersi contro l’ospedale pediatrico. La storia risulta ben diversa, anche per quanto riguarda il video del missile.

Analisi

Ecco il testo che circola con le riprese del presunto arresto dell’autore del video:

La Gestapo di Zelensky ha arrestato il ragazzo che ha girato il video dove si vede, senza ombra di dubbio, che il missile che cade sull’ospedale a Kiev è un missile antiaereo AIM-120 in dotazione al sistema di difesa aerea NASAMS dei naziukraini ! Ciò ha vanificato tutti gli sforzi della sporca propaganda nazista e ripresa dai corrottissimi media occidentali che avevano parlato, ovviamente, di un missile russo…

Nel video leggiamo il seguente testo in italiano:

Una notizia dal campo di concentramento di Zelenskij: il ragazzo ucraino di Kiev che dal balcone di casa sua ha girato il video nel quale si vede che l’ospedale pediatrico è stato colpito da un missile statunitense dell’antiaerea ucraina, oggi pomeriggio è stato arrestato dalla polizia e dall’SBU, servizi segreti ucraini.

Grazie a questo ragazzo l’intera operazione di propaganda occidentale ha fallito. Adesso gli ucronazisti si vendicheranno con lui.

La fonte del video

Il video è stato scaricato dal profilo TikTok @liberta.di.parola2.0. Risulta pubblicato «2 giorni fa» (come riportato nello screenshot qui sotto, realizzato in data 11 luglio 2024 alle ore 19:30), pertanto si potrebbe presumere intorno al 9 luglio o al massimo la sera di lunedì 8 luglio 2024.

Nel video è presente un watermark, quello del canale Telegram ucraino “РЕАЛЬНИЙ Київ” (@kievreal1). Lo stesso canale pubblica il video del missile, e in buona risoluzione, in un post di lunedì 8 luglio 2024 alle ore 22:07. Il video dell’arresto viene pubblicato molte ore prima (alle 14:56) con una descrizione che non combacia con quella della narrazione filorussa diffusa sui social.

Secondo il post del canale Telegram, un uomo straniero è stato arrestato vicino all’ospedale. Si sostiene qualcuno lo abbia sentito parlare in russo e che non abbia risposto ad alcuna domanda.

La vicenda è ripresa dai media ucraini

Secondo Rbc.ua sarebbe stato fermato perché parlava in inglese e filmava tutto nei pressi dell’ospedale appena bombardato. Korrespondent.net riporta che l’uomo è stato arrestato in quanto ritenuto sospetto e che l’avrebbero sentito parlare in inglese e in russo.

Un secondo video dell’arresto

Un secondo video, pubblicato lunedì 8 luglio alle 15:08 dal canale Telegram “УКРАЇНА СЕЙЧАС” (@u_now), mostra il volto della persona arrestata. Secondo il canale, i testimoni avrebbero sospettato di lui in quanto parlava in russo. Una volta fermato, avrebbe smesso di parlare in russo per parlare in inglese.

Perché la narrazione non regge

Il video del missile circolava da ben prima dell’arresto. Ci sono diverse pubblicazioni sui canali Telegram ucraini, alle ore 13:31 e 14:23. Uno di questi riporta la clip in alta risoluzione (sotto riportata nello screen), ossia quella che si era rivelata utile per identificare il missile russo sia da Open che da Bellingcat.

Il canale Telegram della propaganda russa “War on Fakes” aveva usato uno dei video, quello a bassa risoluzione (sotto riportato nello screen), per sostenere la teoria del missile ucraino.

Il post dove “War on Fakes” riporta la clip e l’analisi fuorviante risale a lunedì 8 luglio 2024 alle ore 15:39, ossia dopo l’arresto dell’uomo «straniero» a Kiev.

Conclusioni

L’uomo ripreso mentre viene arrestato a seguito del bombardamento dell’ospedale pediatrico di Kiev non viene indicato come l’autore del video del missile. La clip proviene da un canale ucraino dove si sostiene che l’uomo fosse uno straniero sospettato di parlare russo mentre filmava la zona del bombardamento.

Secondo ulteriori post dei canali e media ucraini, al momento del fermo avrebbe iniziato a parlare solo in inglese. La narrazione del principale canale sostenitore della teoria del missile ucraino è iniziata a circolare dopo l’arresto.

Il video, quello ad alta risoluzione, ha in realtà confermato la presenza del missile russo.

L’esclusione delle voci ebraiche dagli spazi progressisti (linkiesta.it)

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Queer o giudeo?

Kacper Max Lubiewski, attivista cresciuto in Polonia, racconta la sua storia come una testimonianza delle sfide che è costretto ad affrontare chi naviga tra identità multiple, sottolineando l’importanza della solidarietà, della comunità e della lotta continua contro i pregiudizi e l’oppressione

Essere ebrei oggi rappresenta una sfida che spesso passa inosservata, soprattutto all’interno degli spazi dedicati all’attivismo ambientale e queer. Ce lo racconta Kacper Max Lubiewski. Cresciuto in Polonia dove la chiesa cattolica è stata il fulcro di opposizione al regime comunista e la rete che regge la società odierna, Lubiewski ha scoperto solo all’età di dieci anni di essere ebreo.

La madre – nata a ridosso della Guerra dei Sei Giorni e del conseguente risentimento antisemita, e della campagna di pulizia etnica del 1968 che il governo comunista promosse per distrarre gli studenti polacchi in protesta – crebbe con il precetto di celare la sua identità ebraica al mondo, incluso a suo figlio. La rivelazione arrivò con monito severo: «Sei ebreo, ma nessuno deve saperlo».

Frequentando una scuola cattolica dove gli ebrei erano etichettati come “assassini di Cristo”, e il termine “żydzić” (comportarsi da ebreo) significava “imbrogliare”, il giovane Lubiewski tenne per sé la nuova scoperta.

A quattordici anni, quando ogni adolescente cerca di definirsi e di dare un senso alla propria esperienza, Lubiewski iniziò il suo attivismo, consolidò la sua identità queer e riscoprì le sue radici ebraiche. Non avendo nessuno con cui condividere il suo percorso nella cittadina di Opole, si iscrisse al Centro Comunitario Ebraico di Cracovia (Jcc), dove sua madre lo accompagnava ogni venerdì per le cene di Shabbat.

(Sofia Tranchina)

In quella piccola comunità, decimata da anni di repressione e purghe, i membri condividono tra loro quel che si ricordano dei riti e delle tradizioni ebraiche, uniti dall’esperienza condivisa di doversi nascondere e dal desiderio di invertire il corso dell’assimilazione imposta dall’alto.

«Credo che le storie ebraiche siano altamente rilevanti oggi, e in qualche modo sembrano sempre risuonare con ciò che accade nella mia vita. Non sono sicuro della mia fede in Dio, ma mi sento profondamente legato alla cultura ebraica laica e allo Stato di Israele», racconta Lubiewski.

Nel contesto oppressivo della società polacca, la solidarietà tra gruppi minoritari è esemplificata dalla presenza di una bandiera Lgbtq+, una bandiera ucraina e una bandiera israeliana fuori dall’edificio del Jcc. Tuttavia, nei circoli dell’attivismo sociale e queer, l’accoglienza non è stata la stessa. L’identità ebraica di Lubiewski ha affrontato ostilità quotidiane, aggravate dagli eventi che hanno seguito il 7 ottobre. Questo ha portato alla graduale erosione delle amicizie e alla fine della sua relazione.

«I non ebrei hanno il privilegio di disconnettersi dal dibattito su Israele, ma per noi è una questione di esistenza e sopravvivenza. Quando le persone sono a disagio con l’esistenza di Israele, sono, per estensione, a disagio con la mia stessa esistenza», dice Max Kacper Lubiewski.

Spinto dal desiderio di riconnettersi con le sue origini, Lubiewski ha intrapreso un pellegrinaggio solitario a Łomazy, il villaggio d’origine di suo nonno Jankiel – figura resiliente, che sopravvisse alle purghe antisemite, in particolare al massacro del 1942, e all’internamento ad Auschwitz. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Łomazy fu occupata dai sovietici e i suoi residenti, incluso Jankiel, furono espulsi e costretti a migrare verso ovest, nei nuovi territori sottratti alla Germania.

(Sofia Tranchina)

Determinato a difendere la sua identità sfaccettata, Lubiewski ha partecipato al programma Taglit Birthright e successivamente si è trasferito in Israele. Lì, cercando una comunità che condividesse la sua passione per l’attivismo e la giustizia sociale, si è unito alla Solidarity House – un punto di incontro per una nuova generazione di attivisti di sinistra. Gestito da volontari di associazioni no-profit, il centro ospita il cineclub “Resistance Cinema”, che proietta film e documentari offrendo prospettive alternative sui conflitti in corso e le questioni sociali.

«Trovo essenziale confrontarmi con diverse narrazioni – dice Lubiewski –, mettendo in discussione le mie stesse opinioni e ampliando la mia comprensione delle questioni critiche. Mi considero sia pro-palestinese che pro-israeliano, sostenendo il diritto all’autodeterminazione per entrambi i popoli in stati indipendenti e sovrani.

In questo momento storico, credo che spetti alla leadership palestinese muoversi verso la deradicalizzazione della loro società e accettare una convivenza pacifica. Tuttavia, riconosco anche che Israele deve smantellare i suoi sentimenti sciovinisti affinché il conflitto possa terminare».

Per mantenere viva la memoria delle sue radici e della sua identità, Lubiewski ha iniziato a decorare il suo corpo con tatuaggi. Lasciando la Polonia, ha tatuato un poema di Miłosz Biedrzycki sul petto: «Ti prometto, ovunque io sia, ricorderò sempre Akslop».

Akslop – Polska, cioè Polonia, scritto al contrario – evoca un luogo immaginario e idilliaco, intriso di profonde connessioni umane e malinconia nostalgica: «Nonostante le notevoli sfide affrontate in Polonia, dall’omofobia pervasiva all’antisemitismo, dalla brutalità della polizia all’erosione delle norme democratiche, rimango fermamente legato alle mie radici. La complessità di essere ebreo nella sinistra polacca mi ha insegnato resilienza e coraggio», aggiunge Lubiewski.

(Sofia Tranchina)

Un altro tatuaggio sullo stomaco rende omaggio alla Kabbalah, raffigurando tre lettere ebraiche che simboleggiano elementi naturali. «Serve a ricordare – racconta – la nostra interconnessione all’interno di questo vasto ecosistema». Continuando a esplorare e celebrare la sua identità ebraica e queer, Lubiewski mantiene viva la memoria dei suoi antenati e delle loro lotte.

Dal primo incontro al Jcc, al viaggio spirituale a Łomazy, fino al trasferimento in Israele, sono tutti passi su un percorso coerente verso la riconquista dell’identità una volta negata alla sua famiglia. «Di recente, mi sono chiesto: il mio taglio di capelli è abbastanza ebraico? Il mio nome è abbastanza ebraico? Poi mi sono risposto: sono ebreo, quindi tutto ciò che faccio è ebraico. Sono queer, quindi tutto ciò che faccio è queer».

La storia di Lubiewski è una testimonianza delle sfide durature affrontate dalle comunità ebraiche e della resilienza necessaria per navigare tra identità multiple in un mondo che spesso richiede conformità e polarizzazione. Il suo percorso sottolinea l’importanza della solidarietà, della comunità e della lotta continua contro i pregiudizi e l’oppressione.