L’attentato a Trump e la seconda guerra civile americana (linkiesta.it)

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E ora?

Il tentato assassinio del candidato repubblicano è solo l’ultimo episodio, ma non quello finale, di una crisi politica senza precedenti, cominciata il 6 gennaio 2021

Il tentato omicidio di Donald Trump, l’assassinio di un suo elettore e il ferimento di altre due persone, eseguiti dal ventenne della Pennsylvania Thomas Matthew Crooks, non sono un episodio isolato in un dibattito pubblico meritevole di essere considerato democratico e ammodo.

In America c’è in corso da tempo una guerra civile a bassa intensità, cominciata con la ribellione populista dei Tea Party contro l’establishment repubblicano negli anni di George W. Bush e quella radicale di Occupy Wall Street contro il mondo democratico negli anni di Barack Obama.  Il movimento trumpiano Maga, i picchiatelli del complotto QAnon, la radicalizzazione antifa degli ultimi tempi sono figli naturali di quella stagione.

Ci sono diversi libri che raccontano bene tutto ciò, ma segnalo soprattutto “La tempesta è qui” di Luke Molgelson, edito in Italia da Orville Press, e “Insurrezione” di Robert Kagan che uscirà dopo l’estate per Linkiesta Books.

Le manifestazioni di odio reciproco e di ribellione populista contro il potere costituito non si contano: Trump è sempre al centro della scena, con la delegittimazione di Obama da parte del movimento dei “birther” che falsamente sosteneva che fosse nato in Kenya, con l’incitazione a sbattere in galera l’avversaria Hillary Clinton («Lock her up») e con la richiesta esplicita a una potenza straniera, la Russia, a intromettersi nei server di Hillary per diffondere il contenuto delle sue e-mail personali.

La seconda guerra civile americana è cominciata sul serio il 6 gennaio 2021 con l’assalto trumpiano al parlamento di Washington riunito quel giorno per ratificare l’elezione di Joe Biden, dopo che Trump aveva tentato in tutti i modi di corrompere il processo di validazione del voto degli americani.

Il 6 gennaio ci furono cinque morti, centosettantaquattro guardie ferite, e successivamente quattro suicidi di poliziotti che avevano provato a difendere le istituzioni democratiche.

Quel giorno, numerosi deputati democratici si dovettero nascondere dalla folla che voleva linciarli, mentre il vicepresidente repubblicano Mike Pence, considerato il traditore massimo di Trump per il solo fatto di aver accettato l’esito del voto, fu messo in salvo da chi voleva impiccarlo. Ci furono centinaia di arresti, e poi decine di condanne penali, una procedura di impeachment contro Trump, salvato dal voto partisan dei repubblicani al Senato, e un paio di processi penali ancora in corso contro l’ex presidente, ma recentemente depotenziati da un’incredibile sentenza della Corte Suprema infarcita da Trump di giudici militanti politici. Il tentato omicidio di Donald Trump è l’ultimo episodio di questa guerra, difficilmente quello finale.

Lo sgomento per l’attentato e la vicinanza nei confronti di Trump sono stati unanimi, con Biden e i democratici in prima fila a condannare la degenerazione violenta della campagna elettorale. Una solidarietà che dal fronte Trump non è mai stata espressa né in occasione dell’assalto al Congresso del 6 gennaio da parte dei “ragazzi orgogliosi” da lui descritti come patrioti né quando, a fine del 2022, la leader democratica Nancy Pelosi fu l’obiettivo di una spedizione punitiva per ucciderla in casa sua e il marito fu colpito a sangue con un martello ed è vivo per miracolo (Trump anzi ne ha fatto oggetto di campagna elettorale, prendendo in giro la debolezza di Pelosi, insicura perfino a casa sua).

Anche Trump è vivo per miracolo: a guardare bene le immagini del suo tentato assassinio lo si vede inclinare di un centimetro il capo, esattamente una frazione di secondo prima che il proiettile colpisca il suo orecchio destro. La prontezza di riflessi successiva allo sparo è stata altrettanto straordinaria, e l’immagine di Trump alla Rocky Balboa con la faccia insanguinata, il pugno chiuso mentre incita gli elettori a «fight, fight, fight» è l’happy ending che lo catapulta al numero 1600 di Pennsylvania Avenue.

Difficile prevedere come Biden e i democratici, già in difficoltà nei sondaggi e nella forma fisica del presidente, possano recuperare terreno in questa situazione, resa ulteriormente paradossale dal fatto che l’economia va benissimo, la Borsa vola, la disoccupazione è stata azzerata e l‘inflazione contenuta.

Il tentato assassinio di Trump potrebbe accelerare il processo di sostituzione del candidato democratico, per provare a cambiare del tutto la dinamica elettorale ormai compromessa – ma chi? ma come?

Il Wall Street Journal invita entrambi i fronti ad abbassare i toni, a cambiare retorica e comportamenti, a non usare toni apocalittici per descrivere la possibile vittoria degli avversari.

A meno di un’improbabile resa dei democratici è pressoché impossibile cambiare registro, anche perché il tentato omicidio di Trump ha neutralizzato il principale argomento liberal contro il suo ritorno alla Casa Bianca: come si potrà adesso sostenere che la vittoria di Trump è un pericolo per la democrazia se qualcuno ha provato ad ammazzarlo durante un comizio elettorale?

Il dramma è che l’America è sul serio sull’orlo di diventare un regime autoritario in caso di vittoria di Trump, come dimostrano il programma radicale Project 2025 preparato dall’Heritage Foundation per assistere Trump nel ridisegnare l’America e le minacce trumpiane di perseguitare gli avversari politici, certamente non attenuate dal fatto che qualcuno ha provato a ucciderlo.

Trump potrebbe anche perdere le elezioni del 5 novembre, ma in questo caso, dopo quanto successo ieri in Pennsylvania, chi potrebbe giurare che il 6 gennaio 2021 non si ripeta in modo ancora più deciso, diffuso e violento?

Oggi la metà inferiore della prima pagina del New York Times, ricollocata in secondo piano per dare il doveroso spazio all’attentato a Trump, ospitava un lungo articolo dal titolo «Indifferenti alle accuse del 6 gennaio, i Repubblicani portano avanti i piani per contestare una sconfitta nel 2024», che racconta come a livello locale i trumpiani si siano già organizzati per ribaltare un eventuale risultato elettorale negativo e per impedire con decisioni amministrative di funzionari politici appositamente nominati la vittoria dei democratici.

Lunedì, a Milwaukee, comincia la convention repubblicana, dove Trump sarà accolto da eroe sopravvissuto, come l’unico in grado di ridare l’onore all’America.

Dal 19 al 22 agosto, a Chicago, ci sarà l’analoga convention dei democratici impauriti e pieni di dubbi, condivisi dal resto del mondo.

L’insegnante irlandese per 400 giorni in carcere… (butac.it)

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...per aver chiamato "lui" una ragazza gransgender?

Approfondiamo i fatti

Ci è stato segnalato un articolo che viene condiviso e ripreso partendo da un pezzo di Michele Crudelini su ByoBlu.

Titolo dell’articolo del 9 luglio 2024:

AVEVA CHIAMATO “LUI” UN TRANSGENDER: SCARCERATO DOPO 400 GIORNI

L’articolo comincia con queste parole:

L’estate 2024 potrà essere ricordata come il mese delle scarcerazioni di chi era ingiustamente detenuto per motivi legati alla libertà di opinione e informazione. Dopo la liberazione di Julian Assange è arrivata anche quella di Enoch Burke, docente di storia e lingua tedesca della Wilson’s Hospital School, nella località di Multyfarnham in Irlanda.

Il parallelo tra Assange e Burke ha del ridicolo, visto che il secondo non era affatto “ingiustamente detenuto”: aveva disatteso, più volte, una specifica ordinanza.

Crudelini racconta i fatti così:

…è il maggio 2022 e il professor Enoch Burke viene sospeso a tempo indeterminato dal collegio della Chiesa d’Irlanda. Il motivo? Il docente ha usato il pronome sbagliato nei confronti di una sua alunna, anzi di un suo alunno che era nella fase di cosiddetta transizione sessuale. Invece di usare il neutro “they”, che corrisponde all’italiano “voi”, ha usato il maschile “he” che corrisponde a “lui”.

Tanto è bastato per far scattare la segnalazione alla scuola da parte del ragazzo o ragazza che dir si voglia e dei genitori. E l’istituto ha deciso così di adeguarsi all’ideologia dell’alunno, non solo sospendendo Burke, ma vietandogli l’accesso all’interno dell’edificio scolastico, come se fosse un molestatore qualsiasi.

Il docente ha però deciso di disattendere l’ordinanza, recandosi dentro l’edificio e venendo così arrestato: “Sono un insegnante e non voglio andare in prigione. Oggi volevo stare nella mia aula, e questo è il motivo per cui sono stato arrestato”, aveva detto Burke in quell’occasione.

Cerchiamo di analizzare i fatti. Le fonti che abbiamo rintracciato sono la BBC e l’Irish Times.

Partiamo con Irish Times che spiega l’antefatto, che risale al 2022:

La scuola lo ha (aveva) messo in congedo amministrativo retribuito a settembre in attesa di un procedimento disciplinare derivante dal suo comportamento durante un evento scolastico lo scorso giugno, dove aveva pubblicamente interrogato l’allora preside in merito a una precedente disposizione data agli insegnanti che prevedeva di rivolgersi a un alunno in transizione con il nome scelto e usando il pronome “they” (loro).

Quindi abbiamo un insegnante che ha scelto di attaccare pubblicamente il proprio preside e la struttura in cui lavora, e che per questo è stato sospeso dall’insegnamento in quella scuola in attesa di un procedimento disciplinare che decida se sia il caso licenziarlo o meno.

L’insegnante però decide di ignorare la sospensione e continua a recarsi a scuola, scuola che a quel punto lo denuncia alla magistratura per avviare un processo. Non è una questione di “trattarlo come un molestatore”, ma se un’azienda – la scuola, di fatto, in questi casi funziona come un’azienda, e gli insegnanti sono i dipendenti della stessa – decide per la sospensione dal lavoro di un dipendente e lui continua a recarsi al lavoro è abbastanza normale che l’azienda intervenga in maniera più diretta, anche coinvolgendo le forze dell’ordine.

In questo caso l’insegnante, sostenendo che la sospensione violasse il suo credo religioso e la sua coscienza, ha continuato ad andare a scuola nelle ore previste dal suo contratto. La scuola pertanto ha avviato una denuncia nei suoi confronti, denuncia che è stata presa in carico da un tribunale.

 La denuncia quindi non ha nulla a che vedere con la scelta di non usare il pronome “they”, bensì col fatto che l’insegnante ha continuato a presentarsi in un luogo da cui era stato allontanato.

Non è una questione di lana caprina, si tratta materialmente di questioni diverse. L’insegnante è stato sospeso dall’insegnamento in quella struttura perché ha deciso di schierarsi contro una direttiva del proprio datore di lavoro, poco conta quale fosse la direttiva, probabilmente sarebbe stato uguale se il preside avesse chiesto di indossare un completo al lavoro e Burke avesse detto che lui continuava ad andare in tuta da ginnastica.

Sul luogo di lavoro le regole sono regole dettate da chi quel luogo lo dirige, un dipendente può non essere d’accordo, ma se decide di non rispettarle si sta ponendo in una posizione che può portare a sospensione e successivamente licenziamento.

La cosa però più interessante viene nelle parole della magistratura irlandese, che spiegava molto bene i fatti già a dicembre 2022 quando Burke fu rilasciato una prima volta dopo circa tre mesi di carcere, era difatti stato incarcerato il 5 settembre dello stesso anno.

A dicembre 2022 il giudice O’Moore, nel firmare l’ordinanza di rilascio, aveva spiegato che tenere Burke in carcere era sbagliato perché la sua permanenza in galera costava denaro dei contribuenti e che lo stesso Burke stesse sfruttando la prigionia per trasformare il caso in qualcosa di famoso: stava utilizzando la sua incarcerazione per portare avanti una battaglia religiosa e poilitica che in realtà non aveva nulla a che fare con le ragioni del suo esser stato incarcerato.

E guarda caso ByoBlu parla del caso seguendo esattamente la narrazione (sbagliata) prospettata dal giudice O’Moore.

Da Irish Times di dicembre 2022 che riportava le parole del giudice O’Moore:

Several key decisions by Mr Burke during the litigation were “illogical”, he found, including his view the court orders require him to act in a manner inconsistent with his religious belief.

He said Mr Burke had wrongly claimed he faces jail because of his religious convictions and was acting in a way likely to prolong his imprisonment. It was difficult to avoid the conclusion Mr Burke “is exploiting his imprisonment for his own ends,” the judge said. “The court will not enable someone found to be in contempt of court to garner some advantage from that defiance.”

There was no useful purpose to be served by having Mr Burke imprisoned now and certainly not over Christmas, he said.

Quindi, a dicembre 2022 la Corte ha scelto di sospendere la prigionia di Burke per evitare che lo stesso potesse sfruttare la sua permanenza in carcere a vantaggio della propria falsa narrazione. Oltretutto le scuole sotto Natale erano chiuse, quindi Burke non rischiava di disattendere l’ordinanza che prevedeva l’allontanamento dall’istituto da cui era stato sospeso.

Ma sempre in quell’articolo viene riportato che il giudice ha spiegato chiaramente che la sospensione non è definitiva e che se Burke fosse tornato a disattendere quanto previsto dalla sentenza sarebbe tornato in carcere. Cosa che è successa a settembre 2023, con l’inizio del nuovo anno scolastico.

Ma, ancora, non è finito in carcere perché abbia chiamato col pronome sbagliato uno studente che era in transizione, questo deve essere chiaro e ripetuto più volte. È finito in carcere perché non ha accettato di essere sospeso dalla sua posizione, sospensione comminata per non aver accettato una direttiva della sua dirigenza. Dare a intendere diversamente è disinformare.

Qui, per chi volesse ulteriormente approfondire gli articoli della BBC sul caso:

Sperando di avervi aiutato a chiarire le idee su come e quanto certi siti di “controinformazione” italiana seguano specifiche manipolazioni dei fatti per raccontare la loro verità…

Il putinismo dilaga, l’allarme in Occidente e in Italia: Salvini putiniano e Meloni atlantista, due posture incompatibili al governo (ilriformista.it)

di Biagio Marzo

La premier al bivio

L’Europa e gli Stati Uniti devono prendere atto del pericolo, facendosi trovare pronti per vincere la sfida contro chi fa l’occhiolino allo Zar: spiccano Vannacci, Le Pen, Abascal di Vox e Orbán

Meloni è al bivio: lei sceglie Nato e Ue, mentre Salvini mette in pericolo l’euroatlantismo italiano

Parlare di destra e di sinistra, di fascismo e antifascismo? Sono categorie sulle quali stenderemo un velo pietoso. Piuttosto parliamo di putiniani e anti-putiniani, dato che lo scontro si sta giocando su questa diade. In quanto gli occidentali hanno capito che il nemico sta in Oriente, come ai tempi della guerra fredda. Morta Yalta, che si è trascinata dietro l’Urss, oggi mena le danze Vladimir Putin, l’ex colonnello del KGB.

Da Putin al putinismo, che oramai è un’ideologia che sta conducendo una campagna di penetrazione nei gangli vitali dell’Occidente. Insomma, è un’ideologia  che delinea la filosofia e la strategia politica di Vladimir Putin, entrato nel linguaggio popolare durante il periodo della sua ascesa ai vertici della Federazione Russa.

Il termine putinismo risale per la prima volta sulla Sovetskaya Rossiya, pubblicato sul sito internet del partito Yabloko che lo definiva come “la fase più alta e finale del capitalismo in Russia”. L’obiettivo primario è il consolidamento del concetto di nazione-nazionalismo portatore di odio contro alcune etnie, attacco alle libertà di parola e politica e sottopone i russi a un lavaggio del cervello tramite l’informazione. Inoltre si muove sull’isolazionismo della popolazione, ossia alcun contatto col mondo esterno e – infine – rientra in questa ideologia il degrado economico.

L’ideologo che sussurra le teorie più strampalate a Putin è Aleksandr Dugin, che trova i suoi estimatori in molti leghisti della razza di Salvini. Spicca tra questi Gianluca Savoini, legato a doppio filo al putinismo. Sennonché Dugin si contraddistingue per l’anti-occidentalismo e per essere un ultranazionalista.

La minaccia per l’Occidente è Putin, il putinismo e i putiniani. In Italia sono i Salvini e i Vannacci i putiniani, come in Francia la Le Pen, in Spagna Abascal di Vox, Orbán in Ungheria, e così via. Cosa farà la Meloni con il suo vicepresidente del Consiglio, avendo lei scelto il Patto Atlantico, Nato e Ue? A ben vedere, il problema riguarda il suo governo e giocoforza la civiltà occidentale.

Consapevoli del pericolo, “non chiedere mai per chi suona la campana, essa suona per te”. Suona per gli Usa e per l’Europa, che non sono in buona salute e dovranno trovare – qui e ora – l’antidoto per accettare la sfida con Putin. Ragion per cui l’Ucraina è una questione di vita e di morte. Negli States si sfoglia la margherita: Biden sì o Biden no candidato contro Trump, amico di Putin, pronto a fare la qualunque, come al solito.

Ben altro bisogna pensare, dal momento in cui sono in corso due violenti e tragici conflitti, le cui conseguenze hanno portato a degli sconvolgimenti sul piano geopolitico e su quello dell’ecosistema. Da una parte c’è la Russia che ha invaso l’Ucraina; dall’altra il conflitto tra Israele e Hamas dopo che l’organizzazione terroristica palestinese islamista ha attaccato il territorio israeliano il 7 ottobre (un massacro di vecchi, donne e bambini) e ha rapito allora circa 150 ostaggi.

Meglio non addentrarci in altri teatri di guerra regionali, altrimenti entreremmo in un buco nero perdendo di vista ciò che ci interessa di più: lo scontro di Putin in Occidente e, di conseguenza, in Italia.

Tre campagne elettorali hanno caratterizzato l’Ue: il Regno Unito e la Francia. Il 9 giugno si sono svolte le elezioni europee, il cui risultato ha mantenuto l’alleanza tra le tre famiglie più importanti: quella dei popolari, la socialista e la liberal-democratica. Stiamo a vedere cosa succederà a Strasburgo: von der Leyen o no alla presidenza. Un voto incerto per la presenza di franchi tiratori. Nel Regno Unito ha vinto il Labour Party, premier Keir Starmer, dopo 14 anni di disastri di governo dei Tory.

I peggiori premier: David Cameron e Boris Johnson. Comeron indisse il referendum per confermare il Regno Unito nell’Ue e, viceversa, gli elettori scelsero la Brexit. Ancora. Si fece coinvolgere da Sarkozy per non far venir fuori gli scheletri dall’armadio, nella guerra contro il rais libico Gheddafi. Il cui finanziamento dato al presidente francese, per la campagna elettorale, l’ha pagato a caro prezzo: ucciso, barbaramente, da killer al soldo di una “potenza straniera”.

Guerra che ha destabilizzato il Mediterraneo e il Nord Africa, e la Libia soprattutto divisa in due in cui fanno da padroni i russi, i turchi e i francesi. Esclusi gli italiani grazie agli sciagurati governi Conte. L’Italia, che aveva un rapporto privilegiato con Gheddafi, fu costretta a combattere contro per via del diktat su Berlusconi (amico del rais di Giorgio Napolitano e del ministro della Difesa, Ignazio La Russa) al carro degli USA di Obama, pessimo presidente, del Regno Unito e della Francia. Senza dimenticare Boris Johnson che ha spinto, in modo spregiudicato, Zelensky per non trattare con Putin per trovare la pace.

Dopo i cattivi risultati elettorali europei, con l’avanzata di Rassemblement National – RN – di Marine Le Pen e di Jordan Bardella, Macron ha sciolto l’Assemblea nazionale e ha convocato le elezioni anticipate: 30 giugno primo turno e 7 luglio il ballottaggio. Né Le Pen con RN né Mélenchon con Fronte Popolare hanno preso la maggioranza e la Francia è divisa in tre schieramenti (compreso quello di Macron).

Un’abilità con cui Macron ha sbarrato la strada alla destra-destra di Le Pen che non ha conquistato la maggioranza, il che avrebbe sconvolto il mondo occidentale per via della sua alleanza con Vladimir Putin. E il medesimo impegno dovrebbe metterlo per formare un governo di larghe intese con la presenza dei socialisti di Holland e Glucksmann. Detto questo, la Germania di Scholz non è un’isola felice. Anzi, tutt’altro: vive una crisi mai riscontrata prima di oggi.

Intanto Meloni voterà von der Leyen? Si isolerà o rientrerà nel gioco contribuendo all’elezione? E poi riuscirà a liberarsi della sindrome nessuno nemico a destra, inseguendo Salvini e rischiando di fare la fine di Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra 1908?

Grande è la crisi in Occidente e in Italia.

Salvini putiniano e Meloni occidentale, due posture incompatibili tra loro, ballano sul Titanic. Elly Schlein balla da sola nei Gay Pride. I riformisti, se ci fossero, battessero un colpo. Con il metodo maieutico, Romano Prodi – Corriere della Sera – tira fuori che “c’è una forza riformista notevole e io vorrei che questo riformismo diventasse abbastanza grande da avere un ruolo di governo”.

All’orizzonte, non c’è alcun fil di fumo.