Orbán, il messaggero di Trump contro l’Unione Europea (valigiablu.it)

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“Alcuni in Europa giocano da soli. 

Due settimane fa, un primo ministro dell’Unione Europea si è recato a Mosca. Questa cosiddetta missione di pace, però, non era altro che una missione di appeasement”. 

Queste le parole della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, dopo essere stata rieletta per il suo secondo mandato durante la plenaria del Parlamento europeo lo scorso 19 luglio a Strasburgo. Il riferimento è alla recente visita del primo ministro ungherese Viktor Orbán a Mosca.

Von der Leyen non ha nemmeno pronunciato il nome di Orbán, né tantomeno lo ha identificato nel suo nuovo ruolo presso le istituzioni dell’Unione Europea: presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea, l’organo collettivo che definisce priorità e indirizzi politici dell’UE.

Cominciata ufficialmente lo scorso primo luglio, la presidenza ungherese durerà fino alla fine del 2024. Poi sarà il turno di un altro paese dell’Europa centro-orientale, la cui strategia e visione sull’invasione russa dell’Ucraina è diametralmente opposta all’Ungheria: la Polonia di Donald Tusk.

Sebbene la maggioranza degli esecutivi dell’Unione condivida il messaggio di fondo della neoeletta presidente, la critica aperta e ufficiale di Von Der Leyen ha suscitato dei malumori presso alcune cancellerie europee, che avrebbero preferito vedere la Commissione (che ha anche cancellato il viaggio di rito a Budapest) mantenere una posizione neutrale e imparziale sulla questione.

In poche settimane, la presidenza di turno di Budapest ha già sollevato un polverone senza precedenti nella storia dell’Unione Europea. Alcuni suggeriscono addirittura di ritirare la presidenza a Orbán (sarebbe la prima volta), dopo che già prima del suo inizio si era ipotizzato un suo posticipo per via delle violazioni dello Stato di diritto in Ungheria. Nessuna delle due opzioni sul tavolo appare però realistica: la prima in particolare rappresenterebbe un’aperta violazione dei meccanismi dell’UE.

Un gruppo trasversale di 63 europarlamentari (dai conservatori ai socialisti, fino ai verdi) ha però proposto di togliere il diritto di voto ungherese in seno all’Unione – di nuovo per le comprovate violazioni dello Stato di diritto del governo magiaro.

Soprattutto, i capigruppo del Parlamento Europeo hanno fatto in modo che il rituale discorso inaugurale della presidenza del Consiglio dell’UE non trovasse spazio nell’agenda alla vigilia della plenaria. Il Make Europe Great Again – ovviamente mutuato dal celebre slogan trumpiano – che Orbán avrebbe dovuto pronunciare davanti ai 720 parlamentari riunitisi dopo le recenti elezioni è dunque per ora rimandato.

Alla radice di tutto non c’è solo l’Ucraina, ma l’assetto geopolitico di Bruxelles

Kyiv, Mosca, Pechino e un incontro bilaterale proprio con l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump durante l’ultimo summit della NATO a Washington. Un inizio di presidenza inusuale per i soliti ritmi dell’Unione, ovviamente preparato da Orbán con largo anticipo. Il premier ungherese “vuole essere l’uomo di Trump in Europa, colui che aprirà le porte alla Casa Bianca nell’UE in caso di rielezione di Trump”, ha raccontato un funzionario UE al Guardian in forma anonima.

In un recente articolo sull’incontro fra i due a Mar-a-lago, il New York Times ha definito il premier ungherese il “messaggero di Trump nell’Unione Europea”.

L’oggetto dell’incontro fra i due sarebbero state le “possibilità di pace” in Ucraina, nella pratica un rapporto di Orbán sulle sue visite a Kyiv (una visita a sorpresa lo scorso 2 luglio), Mosca (5 luglio) e Pechino (8 luglio) al candidato repubblicano nelle prossime presidenziali statunitensi.

“Trump ha un piano dettagliato e strutturato per raggiungere la pace fra Russia e Ucraina”, ha scritto Orbán in una lettera indirizzata a Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, il 12 luglio, giorno successivo all’incontro con Trump.

“Non dobbiamo aspettarci alcuna iniziativa di pace da lui fino alle elezioni. Posso però affermare con certezza che, subito dopo la sua vittoria elettorale, non aspetterà il suo insediamento, ma sarà pronto ad agire immediatamente come mediatore di pace”, scrive Orbán nella lettera divulgata in esclusiva dal Financial Times.

Il succo del messaggio del premier ungherese a Michel è una sublimazione della posizione trumpiana, in cui cambia solamente il soggetto (dagli USA all’UE): l’Unione Europea deve raggiungere la pace con la Russia ad ogni costo, non importa quali siano le conseguenze – territoriali e non – per l’Ucraina. Il retroterra di questa prospettiva è l’opinione del leader ungherese per cui quella russo-ucraina non sia una guerra d’invasione, ma una guerra civile foraggiata dagli Stati Uniti.

Gli incontri ravvicinati del premier ungherese si inseriscono in un contesto in cui le trattative tra Russia e Ucraina, lungi dall’essere probabili, appaiono per la prima volta possibili, anche in seguito alle dichiarazioni del presidente ucraino Volodymyr Zelensky dello scorso 15 luglio, per cui il Cremlino sarà “rappresentato” durante il prossimo summit della pace a novembre.

Oltre a Putin e Zelensky, il leader ungherese ha pure incontrato l’attore spesso considerato, in maniera più o meno velleitaria, come un possibile risolutore del conflitto: la Cina di Xi Jinping.

“La Cina non solo ama la pace, ma ha anche proposto una serie di iniziative costruttive e importanti [per risolvere la guerra]”, ha dichiarato Orbán secondo i media statali cinesi. In generale, la posizione dell’Ungheria verso Pechino potrebbe minare gli interessi strategici e la posizione già definita e concordata da Bruxelles nei confronti della Cina.

In appendice all’asse Kyiv-Mosca-Pechino-Washington, Orbán ha pure incontrato il presidente azero Ilham Aliyev a Baku: un altro schiaffo a Bruxelles, le cui relazioni con l’Azerbaijan sono ai minimi storici dopo la pulizia etnica degli armeni in Nagorno-Karabakh. Al contrario quelle dell’Ungheria si sono rafforzate a livello di dialogo strategico.

La regione del Caucaso e dell’Asia Centrale è una delle direttrici meno conosciute del nazionalismo orbaniano: il cosiddetto turanismo ungherese associa la storia e l’identità magiara con quella turca, centroasiatica e mongola, nella più ampia cornice ideologica pan-turanica concepita nel XIX secolo da alcuni intellettuali ungheresi e turchi.

A chi conviene?

Durante il summit atlantico, Orbán ha incontrato pure il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e ha lodato la Turchia per essere stato “l’unico paese che ha agito con successo come mediatore tra le parti in conflitto nella guerra russo-ucraina”.

Appare molto probabile che il ruolo che tenta di ritagliarsi il premier magiaro di fronte a Trump, ma anche verso alcuni malumori che serpeggiano a Bruxelles, sia analogo a quello esercitato dal presidente turco durante i tanto discussi colloqui di pace di Istanbul del 2022. Orbán si inserisce in un vuoto diplomatico, autoproclamandosi l’unico leader dell’Unione Europea che lavora per la pace in Ucraina.

Parlando dell’isolamento internazionale della Federazione russa, infatti, Orbán ha recentemente sottolineato come “l’Ungheria stia lentamente diventando l’unico paese europeo capace di parlare a entrambe le parti”. Una pretesa che però appare lontana dalla realtà: nonostante le sanzioni europee, Budapest e Mosca hanno rafforzato ancor di più le loro solide relazioni. Al contrario, le già tese relazioni fra governo ungherese e ucraino in merito alla minoranza magiara in Transcarpazia, si sono solo acuite in seguito al 24 febbraio 2022.

Dopo le parlamentari in Ungheria nella primavera del 2022, pochi mesi dopo l’invasione dell’Ucraina, Orbán aveva inserito Zelensky in una lista dei “cospirazionisti” che avevano complottato contro la sua rielezione. Anche recentemente, l’Ungheria ha risposto alla decisione di Kyiv di interrompere il transito di gas e petrolio russo sul proprio territorio, bloccando per l’ennesima volta i fondi di aiuto economico e militare dell’UE a Kyiv.

Sebbene pochi possano trovarsi in disaccordo con il suo argomento di fondo (la ricerca della pace, al di là dei legami ungheresi con la Russia), la retorica orbaniana cade di fronte a un dato di fatto: Orbán è un messaggero di pace senza piani di pace.

A differenza di Zelensky, Cina e Brasile, Trump stesso, l’ungherese non ha mai proposto un piano concreto per la risoluzione del conflitto, al di là della realizzabilità (e desiderabilità) di esso da parte delle due parti in causa.

Per di più, pur abusando la retorica sulla pace, lo stesso Orbán sta accrescendo le spese militari in Ungheria: una tendenza preoccupante alla luce del neo-irredentismo magiaro nei confronti delle minoranze ungheresi in Romania, Slovacchia e Ucraina, nella già citata Transcarpazia dove il governo ungherese ha pure finanziato direttamente due partiti della minoranza magiarofona.

Secondo alcuni analisti, infatti, le mosse di Orbán potrebbero infatti essere indirizzate per lo più a un pubblico interno, un elettorato di cui – nonostante il 45% e la vittoria nelle ultime europee – ha perso più di 700 mila voti (un quarto dei totali) rispetto alle ultime elezioni parlamentari, con un’opposizione tutt’altro che atomizzata come da pronostici iniziali.

Una serie di viaggi intercontinentali e l’accresciuta rilevanza, se non geopolitica per lo meno mediatica, per un piccolo paese dell’Europa centrale gioca sicuramente a rafforzare ancor di più la sua immagine per la propaganda interna, dopo oltre dieci anni di governo ininterrotto.

Un altro obiettivo è quello di armonizzare la politica estera del nuovo gruppo europarlamentare Patrioti per l’Europa, fondato da alcuni deputati di Fidesz in seguito alla fuoriuscita dal Partito Popolare Europeo 2021, e al quale si sono uniti fra gli altri la Lega di Matteo Salvini, Rassemblement National (RN) di Bardella e Le Pen e il Partito della libertà olandese di Geert Wilders (ma non l’estrema destra tedesca di AfD, maggioranza nel neonato gruppo Europa delle Nazioni Sovrane).

In ogni caso, la presidenza del Consiglio dell’UE – come ovvio – non garantisce carta bianca per plasmare le politiche dell’UE, frutto di compromessi e accordi sedimentati nel tempo. In risposta alla lettera dopo l’incontro con Trump, Charles Michel ha infatti rimproverato Orbán, affermando che il leader ungherese non ha nessun mandato per impegnarsi in colloqui internazionali per conto dell’Unione Europea.

Alla fine, gli incontri di Orbán hanno prodotto qualche risultato?

Al di là delle opinioni sul leader ungherese e sulla convergenza dei suoi interessi con quelli del Cremlino, è presto per avere una risposta. Ciò che è certo, è che la percezione di neutralità di Orbán è di gran lunga inferiore rispetto a quella dello stesso Erdoğan, i cui tentativi sono ugualmente falliti nel 2022.

Ovviamente, dopo due anni di guerra totale la posizione ucraina è decisamente più logora rispetto all’apice della resistenza a inizio conflitto, non ultimo per le difficoltà militari di Kyiv che non si fermano. Allo stesso tempo, l’irreversibile rancore generato dai crimini di guerra russi e dalla prolungata occupazione dei territori sud-orientali rende ancora più difficile accettare qualsiasi forma di compromesso per la popolazione ucraina.

L’incontro di Mosca sembra di certo aver riscosso successo presso le autorità russe: nonostante lo scetticismo proclamato alla vigilia, il portavoce di Putin Dmitry Peskov ha definito il vertice tra il presidente russo e il premier ungherese “molto utile. La nostra reazione è molto, molto positiva”.

Al contrario, durante una recente visita nel Regno Unito Zelensky ha accusato Orbán lavorare per spaccare l’Europa. “Abbiamo mantenuto l’unità in Europa agendo insieme, facendo in modo che Putin mancasse i suoi obiettivi principali. Questo è il nostro vantaggio, ma lo rimane solo finché siamo uniti”, ha dichiarato il presidente ucraino.

Ancor più del governo ucraino, in qualche modo abituatosi ai vari boicottaggi ungheresi, le mosse di Orbán hanno fatto infuriare i leader dell’Unione Europea; vale la pena ricordarlo, un’alleanza costruita sul consenso reciproco, in cui l’eccezionalismo ungherese è dannoso al di là delle contingenze politiche in merito all’Ucraina.

L’articolo 24.3 dei Trattati comunitari stabilisce infatti che tutti gli Stati Membri devono sostenere “attivamente e senza riserve la politica estera dell’Unione in uno spirito di lealtà e solidarietà reciproca”.

Soprattutto, i leader UE hanno fatto intendere di non essere stati informati, come da protocollo, delle intenzioni del premier magiaro. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Josep Borrell ha definito l’iniziativa di Orbán “vergognosa” e anticipato che la riunione informale dei ministri degli Esteri europei (Gymnich) è stata spostata da Budapest a Bruxelles.

“Ogni Stato membro è sovrano nella propria politica estera, certo, ma essere contrari a quella condivisa dell’Unione Europea e squalificarla come ‘partito della guerra’ deve avere delle conseguenze” ha proseguito Borrell, precisando però che i vertici ufficiali continueranno a tenersi in Ungheria.

Come sottolinea il think tank indipendente Chatham House “Orbán sta usando la presidenza ungherese del Consiglio dell’UE per calpestare le norme UE”. Al di là della decisione di spostare il Gymnich dalla capitale ungherese a Bruxelles, in effetti, non sono stati presi provvedimenti nei confronti di Orbán.

La sensazione di impunità provata dal premier ungherese in seguito alle sue azioni di anarchia geopolitica non potrà fare altro che acuire lo scontro con Bruxelles.

La profezia di Renzi sul voto anticipato sonnecchia nella mente di Meloni (ilfoglio.it)

di ADRIANO SOFRI

PICCOLA POSTA

Il leader di Italia viva sa avere opinioni lucide sugli sviluppi di palazzo, salvo quando riguardino lui. Ha detto che sarà la stessa premier ad anticipare sul voto per evitare di perdere il referendum costituzionale

Giovedì, dopo che Giorgia Meloni aveva deciso che i suoi votassero contro Ursula von der Leyen, ho pensato che la tentazione di anticipare le elezioni politiche stia rosicchiando i pensieri della presidente del Consiglio. Ma seguo malamente la politica italiana e non mi spingerei a condividere una mia previsione.

Il giorno dopo, ieri, Matteo Renzi, intervistato dal Corriere che voleva battere sull’abbraccio caldo con Schlein per un gol segnato in fuorigioco – risorsa che nello sregolato campo largo andrebbe considerata – alla domanda: “Il governo potrebbe cadere prima della fine della legislatura?”, ha risposto: “Sì. Sarà la stessa Meloni ad anticipare per evitare di perdere il referendum costituzionale e perché, se anche trova i soldi della legge di Bilancio 2025, sull’anno successivo è strangolata dai vincoli”.

Allora ci ho pensato su, perché Renzi sa avere opinioni lucide sugli sviluppi di palazzo, salvo che quando riguardino lui, e allora punta contro il muro, accelera più che può, e va a sbattere. Così appunto quando il referendum costituzionale riguardò lui (e Meloni, capita l’antifona, si è premurata di avvertire che non se ne andrebbe se lo perdesse, ma non è una garanzia sufficiente) o da ultimo quando è riuscito a tenere fuori sé e famiglia dal quorum per il Parlamento europeo.

Però la previsione di Renzi riguarda tempi lunghi, il ’25 e anzi il ’26, mentre la mia impressione è che Meloni possa rimuginare di rompere e andare al voto molto presto. Forse subisco l’influenza della voga di elezioni anticipate, in particolare quelle spagnole e quelle francesi, che hanno premiato l’azzardo di Pedro Sánchez e di Emmanuel Macron.

In ambedue le circostanze si trattava di sbarrare la strada in extremis all’avanzata dell’estrema destra. Dunque, a prima vista, il contrario che nell’ipotesi italiana. Solo a prima vista, però. Nel medio-lungo periodo l’avversario di Meloni è un rianimato centrosinistra. Nel breve è la sua alleanza.

Giorgia Meloni non ha abbastanza – scegliete: coraggio? lucidità? – non ne ha abbastanza per fare il passo che la trasformi in una leader liberal-conservatrice e, più difficile ancora, trasformi con lei la sua aspirante classe dirigente. Più che governare, fa l’opposizione all’opposizione.

Sa che il suo Grande Balzo avvenne grazie alla scelta di tenersi fuori dalla maggioranza del governo Draghi, intestandosi intera la rendita di astensioni deluse e arrabbiate e di voti spostati su un’ultima eventualità di cambiamento. L’eredità, in particolare, del rigonfiamento della Lega di Salvini, dilapidato in una sbornia.

E anche una buona quota della campagna qualunquista e demagogica condotta contro Draghi da un po’ di 5 stelle, che pure ci stavano accomodati, per il livore di Giuseppe Conte, defraudato dalla quaterna al lotto che l’aveva portato a presiederlo lui, il governo, anzi due. Scherzi da preti.

Ma i toni dell’underdog e la pretesa di combattere e procombere sola contro tutti anche quando si è tutti o quasi, hanno pressoché quotidianamente avvertito Meloni che il governo logora chi ce l’ha. Che al centro una Forza Italia del quieto vivere addirittura cresceva per inerzia.

Che il precipizio di Salvini, compreso il cerotto di Vannacci (tuttavia: il secondo per preferenze dopo di lei, italiani, A noi!) mette la Lega sull’orlo di mosse disperate e comunque esasperate – basta vedere come il magro bottino delle europee ha eccitato il rincaro di Salvini: corsa ai Patrioti, ripudio impudico dell’Ucraina, serenate a Trump.

E che mosse analoghe tentano Conte, il cui punteggio nei confronti di Schlein non fa che peggiorare, l’unica cosa che gli interessi; e del resto c’è un’inveterata simmetria fra i due, Conte e Salvini.

Perduta la possibilità di incarnare nitidamente l’opposizione in Italia, perché la recita mostra la corda, le restava l’Europa: là, mettersi teatralmente (all’ultimo minuto, eh!) fuori, e mettere fuori l’Italia, le dà l’illusione di poter riscuotere almeno una metà della rendita del governo Draghi.

L’illusione di rivendicarsi sola, se non altro perché tutti gli altri che hanno votato contro, estrema destra ed estrema sinistra e vanitosi obiettori di coscienza, sono tutti contro l’Ucraina. Forse funziona di nuovo. Ma la scelta (tormentata? è un’aggravante) di votare contro von der Leyen, ritenuta magari machiavellicamente capace di salvare capra e cavoli – Fitto la capra, i Patrioti i cavoli – fa ricordare, in luoghi e tempi di pace, la fermata di Prigozhin sulla via di Mosca.

La differenza fra Napoleone e uno sbruffone (Napoleone sì che doveva fermarsi sulla via di Mosca). E soprattutto sul futuro prossimo di Meloni sta l’orizzonte, così clamorosamente ravvicinato, della rielezione di Trump. Può darsi che Meloni non meriti un’accusa di imprudenza, e che fu Biden ad approfittare della differenza di statura per metterle una mano sulla testa come un re taumaturgo, e lei non poteva che fare buon viso a cattivo gioco. (E’ un caso in cui si sente una solidarietà: provate voi ad affrontare la fotografia ufficiale con Edi Rama).

Ma con Vox era stata lei, e così stentorea: era casa sua, aveva detto, e con che velocità hanno traslocato. In Francia, era stata lei, per smarcarsi da Salvini, o perché il dio acceca chi vuole perdere, ad associarsi con Zemmour, che dal fondo del barile in cui è caduto le rinfaccia di aver tradito i blocchi navali.

Con l’Europa aveva da far pesare la posizione sull’Ucraina: non le è sembrato abbastanza per entrare nella partita comune. Non era abbastanza? Il tempo non lavora per lei, anzi le si stringe addosso. Il discredito del suo governo e del suo entourage ha un’aria piuttosto inesorabile. 

Le resta la personale popolarità. 

Per quanto? Così a occhio, penso che l’idea di andare al voto prima che sia tardi passi, se non nei pensieri diurni di Meloni, e nemmeno nei sonni, ma almeno nel beccheggio che separa la veglia dal sonno, e il sonno dal risveglio.

I serbatoi di questi aerei non dimostrano la leggenda delle Scie chimiche (open.online)

di Juanne Pili

FACT-CHECKING

La leggenda dei serbatoi usati per irrorare le Scie chimiche è stata smontata già da 20 anni. Ecco a cosa servono realmente

Ogni tanto vengono riproposti dei grandi classici delle teorie del complotto. Recentemente ci eravamo occupati della leggenda dei cinque israeliani danzanti, nata in seno al cospirazionismo sull’11 Settembre. Stavolta è il turno delle immagini dell’interno di un aereo civile contenente i serbatoi per irrorare le fantomatiche Scie chimiche.

Ormai è noto che si tratta di una storia priva di fondamento, che gli stessi teorici della cospirazione evitano di riproporre per evitare figuracce. Ma ci sono sempre utenti “naif” che ripropongono questa narrazione, convinti che si tratti di prove sconvolgenti e inedite. Vediamo di cosa si tratta.

Analisi

Se non altro siamo d’accordo con quanto viene riportato nella didascalia delle condivisioni in oggetto sui presunti serbatoi contenenti chissà quale sostanza da irrorare: «le Scie chimiche non esistono»; anche se noi non lo intendiamo in senso ironico.

Si tratta di una breve clip dove vengono riproposte vecchie immagini dell’interno di un aereo civile, contenente numerosi contenitori “misteriosi”. Effettivamente non si tratta certo di foto realizzate con l’Intelligenza artificiale. Dovremmo allora chiederci a cosa servono, senza farci guidare dai preconcetti.

A cosa servono quei serbatoi?

Quei serbatoi sono reali. Ma le Scie chimiche non c’entrano niente, nemmeno se le intendiamo per quel che sono realmente, ovvero scie di condensazione.

La prima immagine all’origine di questa narrazione risale agli anni 2000. Tra i primi a divulgare la foto in Italia troviamo Rosario Marciano col suo blog Tanker Enemy. Il decando dei debunker italiani Paolo Attivissimo analizzò l’immagine nel 2008, assieme a diverse altre, svelando il corretto contesto.

«Specificamente – spiega Attivissimo -, si tratta dei collaudi del modello 777 della Boeing, nella versione 777-200LR Worldliner, come mostrato dalle fotografie presentate qui sotto, tratte nel maggio del 2008 dal sito della Boeing (qui). Oggi l’indirizzo non è più attivo, ma la pagina corrispondente è archiviata, senza foto, presso Archive.org sin dal 2006; sempre su Archive.org si trovano archiviate le versioni piccole di queste immagini, datate 2005».

Nonostante le spiegazioni fossero ormai note, continuarono a circolare foto analoghe negli anni ’10 (alcuni esempi qui qui). Ma la leggenda continua a circolare, come dimostra anche un recente fact-checking dei colleghi di Facta risalente al 2022.

«La foto mostra una normalissima configurazione di prova per un Boeing 747 – spiega Valentina Spotti per Giornalettismo -, probabilmente della serie 800. Quelli che ad occhi inesperti o confusi possono sembrare “serbatoi per metalli pesanti o polimeri blablabla” sono in realta taniche riempite di semplice acqua. Servono per testare le varie configurazioni di carico di passeggeri e merci a bordo del velivolo. In base alle esigenze, l’ acqua viene trasferita da una tanica all’ altra per distribuire il peso».

Lo stesso discorso vale per le immagini della clip in oggetto. Ne illustriamo giusto alcune, ma sono tutte facilmente reperibili nel contesto originale tramite delle ricerche per immagini con Google Images e TinEye. Quella col signore in camicia e cravatta è stata pubblicata per la prima volta dalla BBC nel 2009. Mostra lo stesso tipo di test per la stabilità all’interno di un Airbus A380.

«Dentro l’aereo gli ingegneri testano come performerà – riporta la BBC – qui, il test pilot Harry Nelson cammina attraverso l’equipaggiamento che viene utilizzato».

Almeno una foto presente nel filmato è stata sicuramente ritoccata, inserendo il simbolo che contraddistingue le sostanze velenose in uno dei serbatoi, il quale originariamente non compare. Per altro si tratta sempre di un contenuto precedentemente reso pubblico dalla BBC:

Anche Donald Trump sarebbe coinvolto nel complotto delle Scie chimiche?

Curiosamente tra gli ospiti eccellenti che sono andati a visitare i “misteriosi” serbatoi della Boeing troviamo anche l’allora presidente americano Donald Trump, come si sono divertiti a far notare anche i colleghi del forum MetaBunk in un thread del 2017:

Il presidente Trump ha recentemente assistito all’inaugurazione del nuovo Boeing 787 Dreamliner ed è stato fotografato mentre ispezionava l’interno – spiega un utente di MetaBunk commentando un tweet di Dan Scavino Jr., collaboratore di Trump -, completo di barili di zavorra.

Conclusioni

Abbiamo visto che i “misteriosi” serbatoi che i credenti nella teoria delle Scie chimiche mostrano da almeno 20 anni nel Web, sono immagini già pubblicate senza alcuna censura dalle compagnie aeree, come la Boeing, in quanto mostrano dei banali test di stabilità. Inoltre tali contenitori sono riempiti di acqua, non certo da chissà quali sostanze velenose.

Per altro c’è anche chi si diverte a ritoccare alcune foto – come abbiamo visto – beandosi della creduloneria del pubblico bersaglio.