Il nuovo test: su 18 acque minerali solo 4 senza tracce di pesticidi (ilsalvagente.it)

di Lorenzo Misuraca

Il Salvagente per il test del numero in edicola 
ha portato in laboratorio 18 bottiglie di 
acque minerali tra le più popolari, 

trovandone solo 4 senza tracce di pesticidi. Segno che dall’inquinamento da chimica ormai non si salva quasi nessuno

Gli italiani non rinunciano alle acque minerali: ne consumiamo 252 litri all’anno a testa, e siamo il secondo paese al mondo, dopo il Messico, e il primo in Europa nella classifica dei maggiori consumatori. Anche per questo, in Italia, i marchi di acque minerali attivi sono centinaia: nel 2023 sono stati imbottigliati circa 16 miliardi e mezzo di litri di acqua, l’8% in più rispetto all’anno precedente.

E tutti i produttori, sui media e in qualsiasi spazio pubblicitario a disposizione, puntano su immaginari simili: acqua cristallina, leggera, pura, imbottigliata presso sorgenti incontaminate. Al di là del marketing, quanto sono “trasparenti” le nostre minerali?

Per scoprirlo, il Salvagente ha portato in laboratorio 18 campioni di altrettanti marchi: Panna, Levissima, Sant’Anna, Rocchetta, Saguaro (Lidl), Ferrarelle, San Benedetto, Lete, Guizza, Uliveto, Eva, Vitasnella, Brioblu, Fiuggi, San Pellegrino, Fonte Essenziale, Lauretana e Evian.

14 su 18 acque minerali contengono pesticidi

Il dato più sorprendente e per certi versi anche preoccupante è che in ben 14 campioni,

(La copertina del numero in uscita il venerdì 26 luglio. Prenotatelo in edicola o cercatelo in edizione digitale nel nostro shop)

pari al 77,7% del totale, abbiamo trovato residui di pesticidi. Specifichiamo subito che dal punto di vista legale non vi è alcun motivo di allarme: le norme stabiliscono come soglia limite 0,1 microgrammi al litro per singolo pesticida, e 0,5 per la somma di tutti gli antiparassitari presenti.

Nel caso dei nostri campioni, né singolarmente né sommate, le sostanze hanno raggiunto o superato il limite. Ma questo comunque non basta a tranquillizzarci del tutto. In alcuni casi, come per San Pellegrino, Levissima e Guizza, abbiamo trovato addirittura 4 diversi principi attivi, tra cui alcuni considerati interferenti endocrini come il Propiconazole e il Cypermethrins, tossici per la fertilità, o che possono degradare in composti cancerogeni, come il Biphenyl. Ma complessivamente sono 8 i campioni con almeno 3 tipi di fitofarmaci rilevati.

Le 4 acque minerali senza pesticidi

Come anticipato a mostrarsi senza alcuna traccia di fitofarmaci solo 4 acque minerali analizzate dal Salvagente: l’acqua Panna naturale, la San Benedetto Ecogreen naturale, la Evian naturale in vetro e la Fonte essenziale naturale (considerata nel test non adatta a tutti per la quantità di minerali).

A completare le analisi riportate nel numero del Salvagente di agosto, le caratteristiche di ergonomicità delle bottiglie (a volte talmente scomode da risultare poco pratiche), quelle di sostenibilità del packaging, oltre al contenuto di minerali e di nitrati.

La chimica non risparmia le fonti

È lecito domandarsi come sia possibile che anche le sorgenti da cui i produttori captano le acque minerali da imbottigliare siano raggiunte da pesticidi. Gli stabilimenti potrebbero essere messi maggiormente a riparo da contaminazioni?

Come anticipato nell’articolo pubblicato ieri, abbiamo scoperto che non sempre i produttori sono coscienti delle contaminazioni, visto che l’elenco (ridotto) delle sostanze da cercare viene fornito loro dalle Agenzie regionali di protezione ambientale che non prevedono il monitoraggio di tutti i pesticidi ma solo di quelli considerati più probabili e pericolosi.

Nelle pagine del lungo servizio di copertina, abbiamo provato a far chiarezza ma per gli amanti della sintesi il messaggio è chiaro: continuando a utilizzare così tanta chimica in campo non si può immaginare che esistano isole incontaminate, neppure nelle sorgenti delle minerali.

Nitrati: la situazione migliora

Fortunatamente, almeno per quanto riguarda l’altra sostanza potenzialmente dannosa che abbiamo valutato per i giudizi complessivi, i nitrati, le cose sono migliorate rispetto all’analogo test pubblicato dal Salvagente nell’agosto del 2020 (in quel caso indagammo solo acque con bollicine): allora, diverse confezioni si avvicinarono alla soglia di 10 ml/l considerata adatta all’infanzia, e in un caso, l’Egeria effervescente, il limite fu superato.

Questa volta, i campioni hanno tutti superato l’esame nitrati senza particolari problemi. Un sollievo che non basta, viste le tante criticità che tra inquinamento, contaminazioni, e interessi dei privati straripanti rispetto all’interesse pubblico, costringono il consumatore a tenere gli occhi sempre aperti.

“Celle minuscole, senz’acqua e infestate dai topi”. Con Antigone nelle carceri che esplodono (ildubbio.news)

CARCERE

Dal nuovo dossier realizzato dall’Osservatorio emerge un quadro allarmante, mentre il caldo rende gli istituti sempre più invivibile:

circa 10mila i ricorsi per condizioni di vita degradanti

«Oltre che per l’aumento delle temperature, l’estate è da sempre uno dei momenti più critici e delicati per le persone detenute, perché rallentano le attività, e con esse spesso anche le procedure burocratiche, i volontari entrano meno di frequente e via discorrendo».

Dal dossier di Antigone presentato oggi emerge «un quadro desolante rispetto alle condizioni di detenzione di alcuni istituti, le quali peggiorano in maniera esponenziale a causa del caldo afoso».

Dalle 88 visite svolte dall’Osservatorio di Antigone negli ultimi 12 mesi risulta che nel 27,3% degli istituti visitati c’erano celle in cui non erano garantiti 3mq a testa di spazio calpestabile. Il dossier di Antigone che fa il punto sulla situazione del sistema penitenziario nei primi sei mesi del 2024 mette in rilievo che lo scorso anno sono stati presentati circa 10mila ricorsi per condizioni di vita degradanti e più della metà sono stati accolti.

Nel carcere di Avellino – spiega Antigone nel dossier presentato oggi -, al momento della visita, l’acqua corrente non era disponibile dalle 22 alle 6 del mattino. Le celle presentavano infiltrazioni e muffa, oltre a non essere dotate di doccia.

Presso la sezione femminile, le finestre erano corredate da schermature in plexiglass, impedendo così il passaggio d’aria (anche in giornate come quella in cui si è svolta la visita in cui il termometro segnava 41 gradi). Condizioni simili sono quelle osservate presso la Casa di Reclusione di Asti. Nella settima sezione dell’istituto di Regina Coeli le celle sono piccolissime ed ospitano 2 o 3 persone su un unico letto a castello; il wc ed il lavandino si trovano in una piccola stanza adiacente senza intimità.

Le finestre sono più piccole che in altre sezioni e dotate di celosie, il che non consente all’aria di circolare e riduce l’ingresso della luce naturale. In questi spazi così ristretti, le persone trascorrono circa 23 ore al giorno. In alcune sezioni dell’istituto, inoltre, manca l’acqua.

SENZA ACQUA NELLE CELLE INFUOCATE E INFESTATE DAI TOPI E BLATTE

«Siamo tre detenute in cella – scrivono ad Antigone alcune donne detenute -. Il bidet viene usato sia per lavarci che per pulire le stoviglie. Le docce sono in comune e ne funziona solo una su due per 15 detenute in sezione. Siamo invase da blatte e formiche.

Dal bidet fuoriescono i topi. I materassi sono pieni di muffa. Spesso e volentieri siamo senza acqua e luce. I ventilatori li abbiamo comprati a nostre spese. Non abbiamo mai accesso alla biblioteca. Non ci sono corsi da frequentare. Non c’è nessuna attività. Noi donne non siamo considerate da nessuno, siamo all’abbandono».

Anche la prima sezione della Casa Circondariale di Rimini è caratterizzata da celle di anguste dimensioni, con le finestre schermate, il pavimento e i muri scrostati, senza areazione all’interno del bagno. Le docce sono comuni e si presentano in pessime condizioni, causate in particolare da seri problemi di muffa.

Al momento della visita dell’Osservatorio la Casa di Reclusione di Carinola era priva di allaccio alla rete idrica, dovendo usufruire di pozzi artesiani e di un sistema ad hoc di depurazione dell’acqua; inoltre in quasi tutti i reparti vi sono celle senza doccia e con bagno a vista.

A Busto Arsizio, invece, per ovviare alla scarsità di luce naturale delle sezioni detentive sono state installate in tutte le celle plafoniere a led con il ventilatore integrato. La presenza di scarafaggi e di cimici da letto è stata rilevata rispettivamente presso le Case Circondariali di Bologna e di Pavia.

In particolare, presso la sezione di isolamento e l’area psichiatrica di quest’ultimo istituto, gli Osservatori di Antigone hanno constatato condizioni igienico-sanitarie inaccettabili, aggravate dal caldo e dal sovraffollamento.

Nel padiglione dei detenuti comuni, a causa dell’aumento delle presenze, durante la notte viene aperta la terza branda e poi richiusa la mattina, al fine di avere un minimo di spazio vitale all’interno della cella durante la giornata.

SOVRAFFOLLAMENTO OLTRE IL 130 PER CENTO

Le carceri italiane scoppiano, con un tasso di affollamento al 130,6% e circa 14mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari. Al 30 giugno 2024 erano presenti nelle nostre carceri 61.480 detenuti in 51.234 posti detentivi regolamentari. Le donne erano 2.682, il 4,4% dei presenti, mentre gli stranieri erano 19.213, il 31,3%. Il tasso di affollamento ufficiale medio del 120%.

Come sappiamo però la capienza regolamentare, su cui è calcolato il tasso di affollamento ufficiale, non tiene conto dei posti non disponibili, che al 17 giugno 2024 erano in totale 4.123 e di conseguenza il tasso di affollamento reale del nostro sistema penitenziario è ormai del 130,6%.

Sono i dati che emergono dal dossier presentato oggi da Antigone sulla situazione del sistema penitenziario nei primi sei mesi del 2024. Se si guarda ai posti effettivamente disponibili sono ormai 56 gli istituti in cui il tasso di affollamento è superiore al 150% e ben 8 quelli in cui è superiore al 190%.

Si tratta di Milano San Vittore maschile (227,3%), Brescia Canton Monbello (207,1%), Foggia (199,7%), Taranto (194,4%), Potenza (192,3%), Busto Arsizio (192,1%), Como (191,6%) e Milano San Vittore femminile (190,7%). Sono ormai solo 38 gli istituti non sovraffollati.

LA STRAGE DEI SUICIDI IN CELLA

Sono 58 i suicidi avvenuti in carcere dall’inizio dell’anno. Nove solo nel mese di luglio. «Se il ritmo dovesse continuare di questo passo, a fine anno rischieremo di superare il tragico record del 2022 che, con 85 casi, è passato alla storia come l’anno con più suicidi di sempre». Delle 58 persone, due erano donne. Le persone di origine straniera erano 25 (43%). I più giovani erano due ragazzi di appena 20 anni, deceduti nel carcere di Novara e Pavia. Il più anziano era un uomo di 81 anni, deceduto a Potenza.

Dai dati a disposizione, sembrerebbe, che almeno 9 delle 58 persone decedute soffrissero di qualche forma di disagio psichico. Emergono almeno 3 persone con un passato di tossicodipendenza. Erano invece almeno 2 le persone senza fissa dimora. 26 persone erano state coinvolte in altri eventi critici, tra queste 14 avevano già provato a togliersi la vita in altre occasioni.

Gli Istituti dove sono avvenuti il maggior numero di suicidi da inizio anno sono le Case Circondariali di Napoli Poggioreale, Pavia, Teramo e Verona. In ognuno dei quattro Istituti si sono verificati 3 suicidi. In almeno 8 casi le persone si trovavano in una sezione ex art. 32 O.P., ossia dove vengono generalmente detenute le persone più difficili da gestire.

In almeno altri 8 casi, le persone si trovavano in una cella d’isolamento. In almeno 7 casi nel reparto nuovi giunti. Una persona si trovava all’interno di un’Articolazione per la tutela della salute mentale e un’altra nel Servizio di assistenza integrata.

RICORSI E RICHIESTE DI RIPARAZIONE

Nel 2023 sono sopravvenute 1.271 richieste di riparazione per ingiusta detenzione in relazione alla custodia cautelare subita, sostanzialmente in linea con gli anni precedenti. Il 48,5% dei procedimenti definiti nell’anno è stato accolto. Sempre nel 2023, ultimo anno per il quale il dato è disponibile, sono arrivate agli uffici di sorveglianza italiani 9.574 istanze per sconti di pena.

Ne sono state decise 8.234 e di queste 4.731, il 57,5%, sono state accolte. Gli accoglimenti erano stati 3.115 nel 2018, 4.347 nel 2019, 3.382 nel 2020, 4.212 nel 2021 e 4.514 nel 2022.

Gli attacchi sessisti e razzisti contro Kamala Harris (wired.it)

di

Gli ambienti dell'estrema destra online avevano 
iniziato a demonizzare la vicepresidente ancor 
prima che la sua candidatura fosse ufficializzata, 

con Trump in testa

Questo articolo contiene espressioni misogine e razziste espresse online da diversi utenti, riportate per dare conto del clima negli ambienti dell’estrema destra americana contro Kamala Harris, ma che potrebbero offendere la sensibilità di qualcuno

***

Domenica Kamala Harris ha ricevuto ufficialmente l’endorsement di Joe Biden nella corsa per diventare la candidata del Partito Democratico alle prossime elezioni presidenziali americane, qualche minuto dopo l’annuncio del ritiro dalla corsa del presidente in carica.

La vicepresidente sembra destinata a ricevere la nomination dei Democratici alla Convention di Chicago: nelle ore successive all’investitura, i principali esponenti del partito hanno espresso il loro appoggio per la sua candidatura, mentre le donazioni al comitato elettorale ereditato dall’ex procuratrice hanno raggiunto 81 milioni di dollari in un giorno, un record.

Nel frattempo le community online dell’estrema destra americana avevano già messo nel mirino Harris, iniziando a demonizzarla fin da quando le voci sul suo probabile subentro si erano fatte più insistenti.

Ma invece che concentrarsi sulle sue idee politiche, sulla sua esperienza o sulle sua capacità di ricoprire il ruolo di presidente, gli attacchi più violenti si sono da subito concentrati sulla vita sessuale di Harris, sulla sua etnia e su vecchie teorie del complotto.

La gogna è stata promossa e rilanciata anche dall’ex presidente Donald Trump: “Ha appena abbandonato, sapete, sta abbandonando la corsa“, aveva detto Trump di Biden all’inizio del mese, in un video riportato per la prima volta da Daily Beast e poi ripreso dal candidato Repubblicano sul suo social Truth.

Questo significa che ora abbiamo Kamala – ha aggiunto Trump –. È davvero pessima. È patetica“. Quando poi la notizia del ritiro di Biden è diventata ufficiale, Trump ha rincarato la dose, spiegando a Cnn che ora vincere per lui sarà “più semplice”.

Gli attacchi misogini e razzisti contro Harris

Già il 4 luglio Trump aveva pubblicato su Truth un messaggio che parlava di Harris: “Le è andata male alla primarie dei Democratici [del 2020]: partiva come numero due, ma è stata finita sconfitta e ha mollato ancora prima di arrivare in Iowa, ma questo non significa che non sia una politica «di grande talento»! Basta chiedere al suo mentore, il grande Willie Brown di San Francisco“.

Trump si riferiva alla relazione tra Harris e l’ex sindaco di San Francisco, risalente alla metà degli anni Novanta. In passato i critici della destra americana avevano accusato la neo-candidata per il fatto che all’epoca Brown fosse sposato, ma un fact check di Reuters del 2020 ha sottolineato come in realtà il politico fosse già separato dalla moglie da un decennio quando ha iniziato a frequentare Harris.

(Jon Tyson)

La Casa Bianca ha respinto gli attacchi di Trump: “Penso che sia disgustoso, e anche inquietante — ha detto il 5 luglio scorso ai giornalisti Karine Jean-Pierre, portavoce della presidenza —. Dovrebbe essere rispettata nel suo ruolo di vicepresidente. Dovrebbe essere rispettata come ogni altro vicepresidente che l’ha preceduta. È spaventoso, per non dir di peggio, che un ex presidente dica queste cose di un attuale vicepresidente. E dovremmo sottolinearlo: non è normale“.

Ma dopo i commenti di Trump, i sostenitori dell’ex presidente e le personalità afferenti alla galassia dell’estrema destra americana hanno subito iniziato a scagliarsi contro Harris.

Da decenni Harris ricopre cariche elettive negli Stati Uniti, tra cui procuratrice distrettuale, procuratrice generale della California, senatrice e vicepresidente. Ciononostante la maggior parte degli strali sono razzisti e sessisti, con allusioni a inesistenti atti sessuali che le avrebbero permesso di fare carriera.

Kamala è cerebrolesa quanto Biden – ha scritto in quei giorni su X la troll di estrema destra Laura Loomer –Finge di essere nera, è documentato che abbia fatto p*****i a Willie Brown per fare carriera e che ha l’ossessione di uccidere i bambini“.

La bambola gonfiabile di Willie Brown fa strada”, ha scritto un utente del forum estremista The Donald in risposta a un post su quella che al tempo era solo un’ipotetica candidatura di Harris.

I post dell’estrema destra hanno anche insinuato che l’affermazione di Harris sia in parte dovuta anche alla sua identità etnica. “Questo è il motivo per cui la Dei [Diversity, Equity and Inclusion, le politiche messe in atto da soggetti pubblici e privati per aumentare la rappresentazione delle minoranze sul posto di lavoro, Ndrè particolarmente pericolosa: gli idioti come lei vengono innalzati al di sopra di persone molto più intelligenti, così inizia a credere di essere la più sveglia di tutti“, ha scritto un frequentatore di The Donald.

Un altro iscritto al forum ha commentato: “È stupida, scura e farà di tutto per arrivare il potere, come una Hillary marrone e ritardata“. “Ricordiamo che è nera al 20%. La pelle scura che ha deriva da sua madre indiana, mentre suo padre è un giamaicano mulatto“, ha aggiunto un altro. Un utente di Gab, il social network popolare tra i suprematisti bianchi, ha scritto: È nera. È indiana? Chi lo sa! È parte del gioco scoprirlo“.

Ma gli insulti di questo genere non si sono limitati ai forum online. In un programma su Fox News, la conduttrice Julie Banderas ha detto che le figlie di Harris “hanno un eloquio migliore” del suo, prima di aggiungere: “Mi dispiace, il solo fatto di essere parte di una minoranza non ti rende adatta alla presidenza“. E qualche settimana fa il New York Post aveva pubblicato un articolo di opinione intitolato L’America potrebbe presto dover avere a che fare col primo presidente Dei del Paese: Kamala Harris.

Il complotto della non eleggibilità

Harris, è bene ricordarlo, è nata negli Stati Uniti e può quindi ricoprire a tutti gli effetti l’incarico di presidente. Nonostante ciò, alcuni utenti che frequentano canali Telegram estremisti hanno messo online un sito web che sostiene il contrario: “Non è una CITTADINA AMERICANA DI NASCITA“, ha scritto un utente di Telegram. Online sono proliferate anche tesi cospirazioniste sull’origine dei suoi genitori, in modo non dissimile dalla teoria del complotto che ha preso di mira per anni l’ex presidente Barack Obama.

Donald Harris, padre di Kamala Harris, è nato in Giamaica e si è poi trasferito negli Stati Uniti dove ha lavorato come economista e professore all’Università di Stanford. La madre, Shyamala Gopalan, è invece nata in India e una volta arrivata negli Stati Uniti ha lavorato come scienziata biomedica presso il Lawrence Berkeley National Laboratory.

La teoria del complotto ha preso piede su X nei primi giorni di luglio, con diversi post di account con la spunta blu che hanno raccolto centinaia di migliaia di visualizzazioni sostenendo che Harris fosse una “anchor baby”, in quanto i suoi genitori non erano cittadini statunitensi al momento della nascita, e per questo non eleggibile alla presidenza. La maggior parte di questi post non era nemmeno corredata dalle note della collettività, il programma in crowdsourcing di X che serve a correggere le informazioni false o fuorvianti pubblicate dagli utenti.

I complotti e le menzogne su Harris aveva già superato i confini americani prima ancora della sua candidatura ufficiale. “Kamala Harris diventerà presidente se Biden verrà rimosso, ma è un’incompetente e una sospetta un’alcolizzata, nota […] per l’incapacità di costruire una frase coerente“, si legge in un articolo pubblicato prima del ritiro di Biden sul sito della tv iraniana di regime Press TV.

Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.

(Colin Lloyd)

Il confronto che attende l’America fra la democrazia liberale e il golpe distillato (ilfoglio.it)

di ADRIANO SOFRI

PICCOLA POSTA

Fra le degenerazioni della democrazia, fino a poco fa negli Stati Uniti mancava la risorsa caratteristica dei nemici della democrazia: il colpo di stato.

Dopo il 6 gennaio del Campidoglio non più (e comunque si pronuncia Kòmala)

La giustizia, si dice, è lenta, ma arriva. Correggerei: in linea di massima, la giustizia è lentissima, e non arriva. Preferisco attribuire la lentezza, svantaggio e pregio, alla democrazia.

Ieri ne ho trovato una prova, leggendo e guardando un servizio (sul Post) che insegnava come si pronuncia il nome di Kamala Harris. Né Kàmala, né Kamàla, ma Kòmala. Kòmala Harris. 

Io stesso, che sono un maniaco e approfitto senza riserve dei siti specializzati per imparare “come si pronuncia” qualunque cosa – e come la pronuncia una scozzese, un ucraino, un gallese, una russa di Rostov, uno di Londra e una di Manila, una meraviglia – non avevo ancora imparato. Così ho scoperto che Kamala (pron.: Kòmala) Harris si era impegnata a spiegarlo anche ai connazionali, l’aveva scritto in un suo libro, aveva organizzato video di bambine e bambini che in coro insegnano come NON si pronuncia e come si pronuncia.

La democrazia è lenta, e quando si tratta di una donna rinvia: rinvia quando lei diventa procuratrice, rinvia quando diventa vicepresidente degli Stati Uniti per quasi un intero mandato, rinvia ancora per qualche giorno dopo che è diventata la candidata democratica alla Presidenza (la prima donna “nera”) e finalmente arriva.

Cioè, no: nei nostri telegiornali non ancora, e vediamo stasera nel talk in cui ormai si dice, con l’attenuante di un sorriso, “è stata endorsata”, “Obama non l’endorsa ancora” (come si pronuncia Obama?).

Bene. Della democrazia in America, intitolava Tocqueville, che ci era stato mandato per studiare le galere, e poi da quell’eccellente punto di partenza allargò il tiro. Nel suo saggio lungimirante (scriveva con lo schiavismo in vigore, prevedendone la fine) mise in guardia dai rischi, che non hanno fatto che crescere.

Però, salvo che io mi sbagli di grosso – non so niente dell’America, non lo so come fa quella gente che va fin là – fra le degenerazioni della democrazia, la maggioranza dispotica, la plutocrazia e l’invadenza dei tycoon, mancava fino a poco fa la risorsa caratteristica dei nemici della democrazia, il colpo di stato, il vanto d’origine della reazione europea, e dall’Europa esportato nei paesi ex coloniali. Gli Stati Uniti ne erano stati buoni discepoli ma fuori, a Santiago…

Era inevitabile che una volta introdotto nella scena americana (Usa), e non a Hollywood, ma al Campidoglio in marmo e ossa, il 6 gennaio 2021, il colpo di stato, la sua dinamica, la sua “tecnica”, avrebbero dovuto adattarsi alle caratteristiche senza precedenti del suo laboratorio. E se i suoi fautori lo chiamano insurrezione e, meglio, “Marcia (citazione: siamo noi) per salvare l’America”, per lo più anche gli avversari preferiscono chiamarlo rivolta, sedizione, terrorismo interno.

Io inclino al tentato colpo di stato, pur sapendo che il manuale dei colpi di stato prevede l’impiego delle forze armate dello stato (polizie, esercito) o di una loro parte. Direi che il punto vada però adeguato a una società come quella americana in cui una massa colossale di cittadini è armata, e la distinzione fra il monopolio legale della forza e il suo abuso non passa dal monopolio (con deroghe limitate) delle armi.

Che paradossi ne derivino è sotto gli occhi di tutti: Trump che ostenta il suo cerotto proclamando di aver preso una pallottola per la democrazia.

Tuttavia il 6 gennaio del Campidoglio, che costò morti e feriti e l’umiliazione dell’immagine stessa della democrazia nel suo dichiarato santuario, non poteva prevalere, così che lo si sarebbe considerato, e qualcuno lo fece, un incidente gravissimo ma passeggero.

Ma il ritorno in forze di Donald Trump, condannato e processato e perdonato, induce a correggere un connotato ritenuto decisivo del colpo di stato, cioè il suo carattere improvviso, fulmineo, e il suo esito fatale, o la va o la spacca, e a immaginare invece un colpo di stato lento – rateizzato.

La possibile vittoria elettorale di Trump quattro anni dopo non sarebbe che uno sviluppo e un coronamento della prima tappa, quell’assalto al Campidoglio. La cosa ha un’aria piuttosto da America latina, con tutto il rispetto, ma non direi che sia il segno di una latinizzazione del potere degli Stati Uniti, ché al contrario ha un connotato bianchissimo e dei peggiori.

A far propendere per questo aggiornamento del colpo di stato e della sua tecnica sta infine, e ora soprattutto, l’avvertimento delle falangi trumpiste che l’eventuale mancato riconoscimento della vittoria di Trump nelle urne duplicherebbe la rapina di allora e scatenerebbe la guerra civile. 

L’ho già detto, un adattamento dello slogan di Lenin sul “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”, trasformare la sconfitta elettorale in guerra civile. Il colpo di stato tentato, dilazionato, adattato sub condicione al verdetto delle urne, e infine attuato senza più remore. Questa è la versione della democrazia in (mezza, più o meno – più, o meno?) America.

Che trasforma l’elezione presidenziale di novembre in un confronto fra la democrazia liberale e il colpo di stato – il golpe distillato, “a pezzi”. Il decrepito (molto brutto) Donald Trump, e la democratica (gran bel viso, mi pare) Kamala (pron. Kòmala) Harris.

(Colin Lloyd)

La Russa non è in Casa (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Essendo un po’ tardo di comprendonio, ho impiegato due giorni per cogliere il senso profondo delle parole con cui la seconda carica esplosiva dello Stato ha commentato il pestaggio di un giornalista della Stampa da parte di alcuni esponenti di CasaPound.

Come ricorderete, La Russa aveva condannato l’aggressione di Andrea Joly, deprecando però che il cronista torinese non si fosse dichiarato ai suoi interlocutori, spiegando chi era, che mestiere faceva e quali casi della vita lo avevano condotto, proprio quella sera, a passare per una strada frequentata da tante personcine ammodo che sparavano fumogeni inneggiando al Duce e ad altri loro cari.

Lo confesso: inizialmente avevo interpretato le riflessioni del principe del Senato come un tentativo di ridimensionare la pericolosità di CasaPound, con l’aggiunta dell’immancabile corollario «e allora il Pd?», declinabile adesso anche in versione più spregiudicata: «E allora la Salis?».

Invece La Russa voleva dire tutt’altro.

Voleva dire che solo se il giornalista avesse specificato di essere un giornalista, il pestaggio sarebbe stato archiviabile alla voce «attacco alla libera informazione». Ma non avendo egli declinato le sue generalità ai picchiatori, costoro lo avevano menato senza sapere chi fosse e dunque il suo pestaggio andrebbe ridotto a semplice messa in riga di un ficcanaso qualsiasi.

La libertà di stampa, insomma, è salva. Per tutte le altre valuterà La Russa caso per caso, anzi Casa per Casa.