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Difendere l’estremismo di destra (butac.it)

di 

In Germania inneggiare all'odio razziale e ai 
colpi di Stato sono reati. 

Qui da noi c’è chi li difende a spada tratta – ma comunque senza mai dare tutte le informazioni utili alla comprensione dei fatti

Su alcuni dei soliti canali che ci segnalate spesso, nei giorni scorsi sono apparsi video e articoli che prendevano posizione su quanto successo in Germania, nell’ultima settimana, quando il Ministero federale degli Interni ha di fatto imposto la chiusura dell’emittente televisiva Compact TV (che però è ancora presente su YouTube e ovviamente accessibile dal territorio tedesco).

Ad esempio titola Radio Radio:

GERMANIA, CHIUSA L’EMITTENTE CHE AVEVA INTERVISTATO LA PORTAVOCE RUSSA ▷ “PORTATE VIA PURE LE SEDIE”

Che riporta:

Zittire le voci ormai è diventato un fatto proprio ufficiale da parte delle grandi elite di potere. Zittire le voci, non si vergognano più neanche a scriverlo a metterlo come programma…

A seguire oltre dieci minuti di intervista a Alberto Contri e Renate Holzeisen. Ma a noi interessa la notizia, e non stare dietro alle tante parole spese in quei dieci minuti.

È vero che in Germania è stata chiusa una televisione? La risposta è semplice: sì!
È la dimostrazione della voglia di censura da parte del Ministero Federale tedesco? No.

Vediamo di capirci, perché non ne ha parlato solo Radio Radio, ma ci sono fior di testate giornalistiche internazionali che hanno trattato la notizia, dal Guardian a Reuters, da Associated Press all’Independent. In Italia gli unici che sembrano essersene occupati online ad oggi (21 luglio 2024) sono i giornalisti della redazione de Il Domani, e questo la dice lunga sulla differenza tra le redazioni italiane e quelle internazionali.

Oggi noi vogliamo solo limitarci a fare chiarezza sui fatti, perché non ci troviamo di fronte a élite che vogliono zittire voci discordanti, ma di un Paese (e relativo governo) che fin da dopo la Seconda guerra mondiale, a differenza nostra, ha emanato specifiche leggi sull’estremismo di destra.

Come spiegato su Tagesschau:

Rechtsgrundlage für das Verbot ist das Vereinsrecht, wonach auch Unternehmen, die sich gegen die freiheitlich-demokratische Grundordnung richten, vom Bundesinnenministerium verboten werden können. Begründet wird das Verbot mithilfe einer umfangreichen Materialsammlung des Bundesamts für Verfassungsschutz, an der auch der brandenburgische Verfassungsschutz beteiligt war.

Che tradotto:

La base giuridica per il divieto è il diritto associativo, secondo il quale anche le aziende che si oppongono all’ordine democratico liberale possono essere vietate dal Ministero degli Interni federale. Il divieto è giustificato grazie a una vasta raccolta di materiali dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione, a cui ha contribuito anche l’Ufficio per la protezione della Costituzione del Brandeburgo.

La testata ha diffuso odio e disinformazione contro gli ebrei, inoltre negli ultimi anni il caporedattore Jürgen Elsässer ha più volte invocato un colpo di stato:

Wir wollen einfach das Regime stürzen

Vogliamo semplicemente rovesciare il regime

Diciamo che non sono così lontani dai contenuti che vediamo produrre anche nel nostro Paese da alcuni editori, ed evidentemente a qualcuno questa presa di posizione tedesca fa paura, paura che possa succedere qualcosa del genere anche da noi e rompere le uova nel paniere a chi, da anni, diffonde disinformazione e populismo in Italia.

Ma siamo sicuri che possano dormire tranquilli, la nostra legislazione prevede sì il divieto all’apologia di fascismo, ma è finita lì: come ben sappiamo, quando si è provato a inasprire altre leggi, come quelle sull’odio razziale, le iniziative sono sempre finite in caciara.

Quello che però ci tenevamo a evidenziare è che in Italia ci sono persone che si lamentano che in Germania un canale di estrema destra che ha violato la legge – inneggiando al colpo di stato e all’odio razziale – sia stato chiuso. Chi difende questi soggetti è affine al loro pensiero.

Carceri, continua la strage: a Prato il suicidio numero 60 (ildubbio.news)

Emergenza suicidi

Un 27enne italiano si è impiccato ieri sera nella sua cella: l’uomo è deceduto in ospedale. De Fazio (Uilpa): «Basta chiacchiere, s’intervenga»

«Solo 27 anni, italiano, alcune condanne definitive con fine pena nel 2032, si è impiccato ieri sera nella sua cella della casa circondariale di Prato. Subito soccorso e condotto in ospedale, è spirato poco dopo. Si tratta del 60esimo suicidio di un detenuto nel corso dell’anno, cui vanno aggiunti 6 appartenenti alla Polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. Una carneficina mai vista in precedenza».

A dirlo in una nota è Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria. «Così, mentre per il sottosegretario al ministero della Giustizia, con delega ai detenuti, Andrea Ostellari, le carceri sono regolamentari e non c’è sovraffollamento, il Guardasigilli, Carlo Nordio, parla di problema del sovraffollamento da affrontare con raziocinio.

Esattamente quel raziocinio che non si rinviene nelle loro affermazioni contrastanti e nelle farneticazioni del sottosegretario, spintosi, evidentemente, fino a smentire il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che solo qualche giorno fa aveva definito la situazione penitenziaria indecorosa per un paese civile», aggiunge il segretario della Uilpa.

«Sono 14.500 i detenuti in più rispetto ai posti disponibili e, nel solo 2023, sono stati ben 4.731 i reclusi nei confronti dei quali la magistratura di sorveglianza ha dovuto riconoscere rimedi risarcitori per trattamento inumano e degradante. Risarcimenti, peraltro, la cui procedura viene attivata solo da chi è nelle condizioni di pagarsi un avvocato.

Ciò a fronte di oltre 18mila unità mancanti al fabbisogno organico della Polizia penitenziaria, carenze di ogni genere e disorganizzazione imperante. Prova ne siano le tensioni, le proteste fino ai disordini collettivi che stanno interessando quotidianamente una vastità di carceri, dal nord al sud, isole comprese. Proprio a Prato una delle ultime proteste collettive, solo 36 ore fa», spiega il dirigente sindacale nel suo durissimo intervento.

«Siamo stanchi delle stomachevoli chiacchiere del governo, servono immediati provvedimenti o l’estate sarà tragica con il rischio di avere in autunno macerie al costo di vite umane rispetto alle quali non possono non esserci responsabilità e, di certo, non possono rinvenirsi in capo a coloro che con diuturno sacrificio, sottoposti a turnazioni massacranti, fanno ciò che possono nelle trincee carcerarie per conto di uno Stato che non è in grado, o forse non vuole, rispettare le regole che si è dato.

Servono provvedimenti efficaci e ad effetto immediato che non si rinvengono minimamente né nel decreto-legge n. 92, meglio noto come “carcere sicuro” (sic!), né tantomeno nella legge di conversione per come sta emergendo dalla Commissione Giustizia del Senato.

La presidente del Consiglio batta un colpo, non foss’altro, per mettere ordine nelle libere e creative interpretazione degli inquilini di Via Arenula», conclude De Fazio.

Le parole vuote di Meloni a Pechino e la marginalità dell’Italia nella politica mondiale (linkiesta.it)

di

Stile Forlani

In Cina, la premier ha ricordato il leader Dc per la capacità di parlare senza dire nulla: chissà se nell’incontro di oggi con Xi riuscirà a mettere un po’ di “ciccia” nella sua strategia

Chi, di una certa età, ha ascoltato Giorgia Meloni parlare nella grande sala nella sede del governo a Pechino ha sicuramente ricordato il vecchio Arnaldo Forlani, ex leader della Democrazia cristiana, Presidente del Consiglio e ministro degli Esteri nel governo Andreotti di unità nazionale, personaggio politico notevole ma che passerà ingiustamente alla storia soprattutto per due cose: una, il drammatico interrogatorio condotto Antonio Di Pietro con la bavetta alla bocca; due, la sua proverbiale capacità di parlare a lungo senza dire niente.

Ecco, Meloni era troppo giovane, ma a Pechino è stata una perfetta Forlani. «L’interesse che tutti abbiamo a rafforzare il partenariato tra Italia e Cina, e per farlo dobbiamo essere capaci di ragionare sui punti di di forza e sui punti di debolezza…».

Accidenti, che spunto.

Ma andiamo avanti: «Le nostre relazioni commerciali siano sempre più eque e vantaggiose per tutti». Incredibile. Notevole poi l’accento sulla necessità di «implementare» quello che già esiste e «sperimentare nuove forme di collaborazione» così che «abbiamo sicuramente molto lavoro da fare e sono convinta che questo lavoro possa essere utile in una fase così complessa a livello globale e che possa essere importante anche a livello multilaterale».

Fortissimo eh? In questo discorsetto Giorgia Forlani Meloni ha valorizzato il piano triennale di azione siglato con il governo di Pechino nel quale si parla tanto di scambi, visite, collaborazioni, ma poca sostanza.

Magari la “ciccia” non figura nei pezzi di carta, ma nel fatto stesso che Meloni ha voluto dare il suo segno di esistenza in vita a un Paese come la Cina con cui i rapporti si erano raffreddati proprio a causa della decisione della presidente del Consiglio di disdire l’improvvido Memorandum sulla Via della Seta firmato da Giuseppe Conte quando questi si era messo in testa di essere uno statista.

Dunque, meglio di niente, si dirà. Meloni peraltro dovrà oggi incontrare Xi in persona – non si dimentichi che lei è presidente del G7 – ed è possibile che cercherà di capire se da parte di Xi ci sono novità sulla guerra ucraina: ma che uno come il presidente cinese confidi a Giorgia Meloni le sue intenzioni pare un po’ irrealistico.

Comunque, tentare non nuoce.

Ma tutto questo non cancella l’impressione di una crescente marginalità dell’Italia nella grande politica mondiale. Dopo aver lesionato forse in modo irreparabile i rapporti con l’Europa, totalmente incerta davanti al grande enigma americano, fuori dai grandi circuiti politici e economici del pianeta, la piccola Italia di Giorgia Meloni, partita con fare tronfio di chi è convinto di poter spezzare le reni al mondo si ritrova adesso a parlare in “forlanese”.

Solo che, ai tempi, la Dc era più rispettata.

Carceri, cimiteri dei vivi e luoghi di tortura: caro Travaglio, vieni a vedere se non c’è sovraffollamento (unita.it)

di Sergio D’Elia

La lettera

“In te c’è la passione del male e non c’è l’amore del vero.” Così Marco Pannella una volta ti disse, aggiungendo: “sei un poeta del racconto delle varie forme di merda”.

Caro Marco (Travaglio), se vuoi vedere la terra del male che ti appassiona e la sostanza maleodorante nella quale sono immersi i “malvagi”, per te, irredimibili fino alla morte, dovresti venire con noi in quei luoghi dove l’altro Marco (Pannella) andava a compiere laicamente, cento volte all’anno, quella sesta opera di misericordia corporale che ogni buon cristiano come te dovrebbe compiere almeno una volta nella vita. Vieni con noi a “visitare i carcerati”.

Scopriresti che il vero male non sta nei palazzi del potere ma nei luoghi dove il potere ha concentrato tutto quello che di incivile, inumano e degradante nella storia dell’umanità è stato abolito proprio perché incivile, inumano e degradante: le stanze della tortura, i bracci della morte, i manicomi, i lazzaretti.

Vieni con noi a visitare le carceri. Scopriresti l’amore del vero: la realtà, il sapore e l’odore della “certezza della pena”. Che idiozia una tale certezza! L’unica certezza che la nostra Costituzione prevede nelle pene, è la loro incertezza e flessibilità. Al contrario di come la vedi tu, il fine della pena è la sua fine anticipata. Comunque, vieni a vedere i luoghi di pena.

Scopriresti che fanno letteralmente pena, arrecano danno, infliggono dolore e sofferenze gravi a tutti. Torturano guardie e ladri. Nei luoghi detti di privazione della libertà, vedresti che la privazione è di tutto: della vita, della salute, del senno e dei più significativi rapporti umani.

E degli stessi sensi umani fondamentali: la vista, il tatto, l’udito, l’olfatto e il gusto. Scopriresti che le vittime, i suicidati, gli ammalati, gli impazziti, gli accecati, i sordi non sono solo i detenuti ma anche i “detenenti”, come li chiamava Marco (Pannella).

Mentre scrivo, a Rebibbia, si è tolto la vita un altro detenuto, il cinquantanovesimo di questo 2024, un anno orribile per lo stato di diritto e di vita di un Paese che passa per esserne la culla. A questi vanno aggiunti i suicidi di sei agenti della polizia penitenziaria. Altri 67 detenuti sono morti di “morte naturale”.

Negli ultimi 10 anni, sono 615 le persone detenute che si sono tolte la vita, altre 1.483 sono morte di malattia e patimenti gravi. Il totale fa 2.095. Non può essere questo il modo, incivile e inumano, di concedere la “liberazione anticipata” delle persone private della libertà: la liberazione dal carcere tramite suicidio o per “cause naturali”.

Nulla di quel che accade in un carcere può essere definito “naturale”, il carcere è un luogo di per sé contro natura: la natura umana è incompatibile con uno stato di privazione della libertà, che poi diventa di privazione di tutto. In carcere è negato il sentimento umano fondamentale per cui vale la pena vivere. Per mancanza di amore ci si toglie la vita, si ferma il cuore. “Cimiteri dei vivi” chiamava le carceri Filippo Turati all’inizio del secolo scorso. Nulla è cambiato, questo è il carcere ancora oggi!

“Bisogna aver visto!” diceva Piero Calamandrei per conoscere e deliberare sulla realtà dei luoghi di pena. Vieni a vedere con noi se davvero come dici tu non esiste sovraffollamento nelle carceri del nostro paese. Tu fai calcoli fasulli e dici: ci sono nove metri quadri a testa mentre negli altri paesi ce ne sono tre.

Non sai che al DAP c’è un “applicativo”, una sorta di allarme che scatta quando una cella va sotto i tre metri quadri di spazio minimo vitale per ogni detenuto. L’applicativo segnala anche i detenuti che vivono tra i tre e quattro metri quadri, perché se in una cella mancano oltre allo spazio anche aria, luce, acqua calda, vita all’aperto, anche stare in quattro metri quadri costituisce trattamento inumano e degradante.

Tre o quattro metri quadri, Travaglio, non nove, nei quali tu evidentemente non consideri che c’è anche lo spazio occupato dal letto, dai sanitari e da altri ingombri. A conti fatti, ci sono 14 mila detenuti in più rispetto ai 47 mila posti detti regolamentari secondo i parametri già restrittivi della Corte europea e dalla Corte di Cassazione italiana. In tali condizioni, sono torturati detenuti e detenenti, vittime gli uni e gli altri di una struttura violenta, patogena, mortifera che infligge vere e proprie pene corporali, quelle che si usavano nel medioevo e che poi abbiamo abolito perché incivili.

Sei appassionato dal male e ossessionato dai colletti bianchi. Vieni con noi a visitare i luoghi dove abita Caino e dove, secondo te, c’è ancora posto per altri Caini. Vieni a vedere come vivono i loro custodi, dove lavorano i colletti bianchi della polizia penitenziaria. La pena che vedrai, respirerai e toccherai con mano, è contagiosa.

Contagerà anche te, come contagia e imprigiona anche il “carceriere” costretto in un luogo malsano, pericoloso e forzato a un lavoro usurante e, spesso, fino a un tempo di straordinario che per la polizia penitenziaria (soltanto) non è facoltativo ma obbligatorio. Tieni conto che per 14 mila detenuti in più ci sono 18 mila detenenti in meno rispetto alla pianta organica prevista.

Ben altro ci vorrebbe che una liberazione anticipata speciale che Nessuno tocchi Caino con Rita Bernardini e Roberto Giachetti hanno proposto al parlamento per ridurre il carico intollerabile di corpi e di dolore che grava su tutta la comunità penitenziaria. Come premio minimo, non per tutti – non fare il furbo, Travaglio! – ma solo per i carcerati che hanno tenuto una buona condotta nonostante la condizione strutturale di tortura cui sono stati sottoposti. E non per un giorno, non per un mese, non per un semestre, ma per anni!

Libera anche, Travaglio, la mente e la penna da altre fesserie. Non puoi dire che chi scende sotto i 4 anni di pena da scontare, va ai domiciliari o ai servizi sociali, perché non esiste nessun automatismo, si tratta di misure decise sempre da magistrati di sorveglianza che, data l’esiguità del numero – appena 250 per oltre 61.000 detenuti – stentano finanche a leggere le varie istanze.

Pensi che un mese in più all’anno di liberazione anticipata o qualche anno in detenzione domiciliare, costituiscano una resa dello Stato nei confronti di Caino, un tradimento delle vittime di reato, una breccia intollerabile nel muro della certezza della pena.

Pensi questo, ma poi accetti rese, tradimenti e brecce ben più gravi. Il sovraffollamento e i suicidi in carcere cosa sono? La tortura di Stato ai danni di persone sottoposte alla sua custodia e il maltrattamento degli stessi custodi, sono fatti ben più gravi!

Non è una esagerazione. Per il sovraffollamento, nel 2013, con la sentenza Torreggiani la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della convenzione, per intenderci, quella che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. La cifra del reato è in questi numeri: dal 2018 al 2023 oltre 24.000 detenuti, 4.700 nel solo 2023, si sono visti riconoscere rimedi risarcitori per le condizioni in cui sono stati costretti a vivere.

Allora, Travaglio, ti chiedo: non ti importano i diritti umani dei detenuti? La vita dei detenuti non vale niente? Preoccupati, allora, occupati insieme a noi, dei diritti e della vita dei servitori dello Stato, dei direttori, degli educatori, dei poliziotti penitenziari vittime anche loro del degrado delle carceri, costretti a turni massacranti, a lavorare in luoghi malsani e violenti, patogeni e criminogeni.

Noi diciamo: beati i costruttori di pace e di speranza nelle carceri. Noi proponiamo una Santa Alleanza tra detenuti e detenenti. D’altronde, il motto di Nessuno tocchi Caino è “Spes contra spem”. “Despondere spem munus nostrum”, è quello del corpo della polizia penitenziaria. Noi, non guardie e ladri, ma parti diverse di un insieme, quella comunità penitenziaria che Marco (Pannella) amava e dalla quale era amato, possiamo essere speranza al di là di ogni ragionevole speranza.

Possiamo seminare la speranza in terre dove regna la disperazione, possiamo compiere l’opera di misericordia corporale in un luogo dove si infligge la pena corporale. In tal modo, possiamo contribuire a salvare molte vite nelle carceri del nostro Paese. Dalla solitudine, dall’angoscia e dall’impiccagione.