Difendere l’estremismo di destra (butac.it)

di 

In Germania inneggiare all'odio razziale e ai 
colpi di Stato sono reati. 

Qui da noi c’è chi li difende a spada tratta – ma comunque senza mai dare tutte le informazioni utili alla comprensione dei fatti

Su alcuni dei soliti canali che ci segnalate spesso, nei giorni scorsi sono apparsi video e articoli che prendevano posizione su quanto successo in Germania, nell’ultima settimana, quando il Ministero federale degli Interni ha di fatto imposto la chiusura dell’emittente televisiva Compact TV (che però è ancora presente su YouTube e ovviamente accessibile dal territorio tedesco).

Ad esempio titola Radio Radio:

GERMANIA, CHIUSA L’EMITTENTE CHE AVEVA INTERVISTATO LA PORTAVOCE RUSSA ▷ “PORTATE VIA PURE LE SEDIE”

Che riporta:

Zittire le voci ormai è diventato un fatto proprio ufficiale da parte delle grandi elite di potere. Zittire le voci, non si vergognano più neanche a scriverlo a metterlo come programma…

A seguire oltre dieci minuti di intervista a Alberto Contri e Renate Holzeisen. Ma a noi interessa la notizia, e non stare dietro alle tante parole spese in quei dieci minuti.

È vero che in Germania è stata chiusa una televisione? La risposta è semplice: sì!
È la dimostrazione della voglia di censura da parte del Ministero Federale tedesco? No.

Vediamo di capirci, perché non ne ha parlato solo Radio Radio, ma ci sono fior di testate giornalistiche internazionali che hanno trattato la notizia, dal Guardian a Reuters, da Associated Press all’Independent. In Italia gli unici che sembrano essersene occupati online ad oggi (21 luglio 2024) sono i giornalisti della redazione de Il Domani, e questo la dice lunga sulla differenza tra le redazioni italiane e quelle internazionali.

Oggi noi vogliamo solo limitarci a fare chiarezza sui fatti, perché non ci troviamo di fronte a élite che vogliono zittire voci discordanti, ma di un Paese (e relativo governo) che fin da dopo la Seconda guerra mondiale, a differenza nostra, ha emanato specifiche leggi sull’estremismo di destra.

Come spiegato su Tagesschau:

Rechtsgrundlage für das Verbot ist das Vereinsrecht, wonach auch Unternehmen, die sich gegen die freiheitlich-demokratische Grundordnung richten, vom Bundesinnenministerium verboten werden können. Begründet wird das Verbot mithilfe einer umfangreichen Materialsammlung des Bundesamts für Verfassungsschutz, an der auch der brandenburgische Verfassungsschutz beteiligt war.

Che tradotto:

La base giuridica per il divieto è il diritto associativo, secondo il quale anche le aziende che si oppongono all’ordine democratico liberale possono essere vietate dal Ministero degli Interni federale. Il divieto è giustificato grazie a una vasta raccolta di materiali dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione, a cui ha contribuito anche l’Ufficio per la protezione della Costituzione del Brandeburgo.

La testata ha diffuso odio e disinformazione contro gli ebrei, inoltre negli ultimi anni il caporedattore Jürgen Elsässer ha più volte invocato un colpo di stato:

Wir wollen einfach das Regime stürzen

Vogliamo semplicemente rovesciare il regime

Diciamo che non sono così lontani dai contenuti che vediamo produrre anche nel nostro Paese da alcuni editori, ed evidentemente a qualcuno questa presa di posizione tedesca fa paura, paura che possa succedere qualcosa del genere anche da noi e rompere le uova nel paniere a chi, da anni, diffonde disinformazione e populismo in Italia.

Ma siamo sicuri che possano dormire tranquilli, la nostra legislazione prevede sì il divieto all’apologia di fascismo, ma è finita lì: come ben sappiamo, quando si è provato a inasprire altre leggi, come quelle sull’odio razziale, le iniziative sono sempre finite in caciara.

Quello che però ci tenevamo a evidenziare è che in Italia ci sono persone che si lamentano che in Germania un canale di estrema destra che ha violato la legge – inneggiando al colpo di stato e all’odio razziale – sia stato chiuso. Chi difende questi soggetti è affine al loro pensiero.

Carceri, continua la strage: a Prato il suicidio numero 60 (ildubbio.news)

Emergenza suicidi

Un 27enne italiano si è impiccato ieri sera nella sua cella: l’uomo è deceduto in ospedale. De Fazio (Uilpa): «Basta chiacchiere, s’intervenga»

«Solo 27 anni, italiano, alcune condanne definitive con fine pena nel 2032, si è impiccato ieri sera nella sua cella della casa circondariale di Prato. Subito soccorso e condotto in ospedale, è spirato poco dopo. Si tratta del 60esimo suicidio di un detenuto nel corso dell’anno, cui vanno aggiunti 6 appartenenti alla Polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. Una carneficina mai vista in precedenza».

A dirlo in una nota è Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria. «Così, mentre per il sottosegretario al ministero della Giustizia, con delega ai detenuti, Andrea Ostellari, le carceri sono regolamentari e non c’è sovraffollamento, il Guardasigilli, Carlo Nordio, parla di problema del sovraffollamento da affrontare con raziocinio.

Esattamente quel raziocinio che non si rinviene nelle loro affermazioni contrastanti e nelle farneticazioni del sottosegretario, spintosi, evidentemente, fino a smentire il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che solo qualche giorno fa aveva definito la situazione penitenziaria indecorosa per un paese civile», aggiunge il segretario della Uilpa.

«Sono 14.500 i detenuti in più rispetto ai posti disponibili e, nel solo 2023, sono stati ben 4.731 i reclusi nei confronti dei quali la magistratura di sorveglianza ha dovuto riconoscere rimedi risarcitori per trattamento inumano e degradante. Risarcimenti, peraltro, la cui procedura viene attivata solo da chi è nelle condizioni di pagarsi un avvocato.

Ciò a fronte di oltre 18mila unità mancanti al fabbisogno organico della Polizia penitenziaria, carenze di ogni genere e disorganizzazione imperante. Prova ne siano le tensioni, le proteste fino ai disordini collettivi che stanno interessando quotidianamente una vastità di carceri, dal nord al sud, isole comprese. Proprio a Prato una delle ultime proteste collettive, solo 36 ore fa», spiega il dirigente sindacale nel suo durissimo intervento.

«Siamo stanchi delle stomachevoli chiacchiere del governo, servono immediati provvedimenti o l’estate sarà tragica con il rischio di avere in autunno macerie al costo di vite umane rispetto alle quali non possono non esserci responsabilità e, di certo, non possono rinvenirsi in capo a coloro che con diuturno sacrificio, sottoposti a turnazioni massacranti, fanno ciò che possono nelle trincee carcerarie per conto di uno Stato che non è in grado, o forse non vuole, rispettare le regole che si è dato.

Servono provvedimenti efficaci e ad effetto immediato che non si rinvengono minimamente né nel decreto-legge n. 92, meglio noto come “carcere sicuro” (sic!), né tantomeno nella legge di conversione per come sta emergendo dalla Commissione Giustizia del Senato.

La presidente del Consiglio batta un colpo, non foss’altro, per mettere ordine nelle libere e creative interpretazione degli inquilini di Via Arenula», conclude De Fazio.

Le parole vuote di Meloni a Pechino e la marginalità dell’Italia nella politica mondiale (linkiesta.it)

di

Stile Forlani

In Cina, la premier ha ricordato il leader Dc per la capacità di parlare senza dire nulla: chissà se nell’incontro di oggi con Xi riuscirà a mettere un po’ di “ciccia” nella sua strategia

Chi, di una certa età, ha ascoltato Giorgia Meloni parlare nella grande sala nella sede del governo a Pechino ha sicuramente ricordato il vecchio Arnaldo Forlani, ex leader della Democrazia cristiana, Presidente del Consiglio e ministro degli Esteri nel governo Andreotti di unità nazionale, personaggio politico notevole ma che passerà ingiustamente alla storia soprattutto per due cose: una, il drammatico interrogatorio condotto Antonio Di Pietro con la bavetta alla bocca; due, la sua proverbiale capacità di parlare a lungo senza dire niente.

Ecco, Meloni era troppo giovane, ma a Pechino è stata una perfetta Forlani. «L’interesse che tutti abbiamo a rafforzare il partenariato tra Italia e Cina, e per farlo dobbiamo essere capaci di ragionare sui punti di di forza e sui punti di debolezza…».

Accidenti, che spunto.

Ma andiamo avanti: «Le nostre relazioni commerciali siano sempre più eque e vantaggiose per tutti». Incredibile. Notevole poi l’accento sulla necessità di «implementare» quello che già esiste e «sperimentare nuove forme di collaborazione» così che «abbiamo sicuramente molto lavoro da fare e sono convinta che questo lavoro possa essere utile in una fase così complessa a livello globale e che possa essere importante anche a livello multilaterale».

Fortissimo eh? In questo discorsetto Giorgia Forlani Meloni ha valorizzato il piano triennale di azione siglato con il governo di Pechino nel quale si parla tanto di scambi, visite, collaborazioni, ma poca sostanza.

Magari la “ciccia” non figura nei pezzi di carta, ma nel fatto stesso che Meloni ha voluto dare il suo segno di esistenza in vita a un Paese come la Cina con cui i rapporti si erano raffreddati proprio a causa della decisione della presidente del Consiglio di disdire l’improvvido Memorandum sulla Via della Seta firmato da Giuseppe Conte quando questi si era messo in testa di essere uno statista.

Dunque, meglio di niente, si dirà. Meloni peraltro dovrà oggi incontrare Xi in persona – non si dimentichi che lei è presidente del G7 – ed è possibile che cercherà di capire se da parte di Xi ci sono novità sulla guerra ucraina: ma che uno come il presidente cinese confidi a Giorgia Meloni le sue intenzioni pare un po’ irrealistico.

Comunque, tentare non nuoce.

Ma tutto questo non cancella l’impressione di una crescente marginalità dell’Italia nella grande politica mondiale. Dopo aver lesionato forse in modo irreparabile i rapporti con l’Europa, totalmente incerta davanti al grande enigma americano, fuori dai grandi circuiti politici e economici del pianeta, la piccola Italia di Giorgia Meloni, partita con fare tronfio di chi è convinto di poter spezzare le reni al mondo si ritrova adesso a parlare in “forlanese”.

Solo che, ai tempi, la Dc era più rispettata.

Carceri, cimiteri dei vivi e luoghi di tortura: caro Travaglio, vieni a vedere se non c’è sovraffollamento (unita.it)

di Sergio D’Elia

La lettera

“In te c’è la passione del male e non c’è l’amore del vero.” Così Marco Pannella una volta ti disse, aggiungendo: “sei un poeta del racconto delle varie forme di merda”.

Caro Marco (Travaglio), se vuoi vedere la terra del male che ti appassiona e la sostanza maleodorante nella quale sono immersi i “malvagi”, per te, irredimibili fino alla morte, dovresti venire con noi in quei luoghi dove l’altro Marco (Pannella) andava a compiere laicamente, cento volte all’anno, quella sesta opera di misericordia corporale che ogni buon cristiano come te dovrebbe compiere almeno una volta nella vita. Vieni con noi a “visitare i carcerati”.

Scopriresti che il vero male non sta nei palazzi del potere ma nei luoghi dove il potere ha concentrato tutto quello che di incivile, inumano e degradante nella storia dell’umanità è stato abolito proprio perché incivile, inumano e degradante: le stanze della tortura, i bracci della morte, i manicomi, i lazzaretti.

Vieni con noi a visitare le carceri. Scopriresti l’amore del vero: la realtà, il sapore e l’odore della “certezza della pena”. Che idiozia una tale certezza! L’unica certezza che la nostra Costituzione prevede nelle pene, è la loro incertezza e flessibilità. Al contrario di come la vedi tu, il fine della pena è la sua fine anticipata. Comunque, vieni a vedere i luoghi di pena.

Scopriresti che fanno letteralmente pena, arrecano danno, infliggono dolore e sofferenze gravi a tutti. Torturano guardie e ladri. Nei luoghi detti di privazione della libertà, vedresti che la privazione è di tutto: della vita, della salute, del senno e dei più significativi rapporti umani.

E degli stessi sensi umani fondamentali: la vista, il tatto, l’udito, l’olfatto e il gusto. Scopriresti che le vittime, i suicidati, gli ammalati, gli impazziti, gli accecati, i sordi non sono solo i detenuti ma anche i “detenenti”, come li chiamava Marco (Pannella).

Mentre scrivo, a Rebibbia, si è tolto la vita un altro detenuto, il cinquantanovesimo di questo 2024, un anno orribile per lo stato di diritto e di vita di un Paese che passa per esserne la culla. A questi vanno aggiunti i suicidi di sei agenti della polizia penitenziaria. Altri 67 detenuti sono morti di “morte naturale”.

Negli ultimi 10 anni, sono 615 le persone detenute che si sono tolte la vita, altre 1.483 sono morte di malattia e patimenti gravi. Il totale fa 2.095. Non può essere questo il modo, incivile e inumano, di concedere la “liberazione anticipata” delle persone private della libertà: la liberazione dal carcere tramite suicidio o per “cause naturali”.

Nulla di quel che accade in un carcere può essere definito “naturale”, il carcere è un luogo di per sé contro natura: la natura umana è incompatibile con uno stato di privazione della libertà, che poi diventa di privazione di tutto. In carcere è negato il sentimento umano fondamentale per cui vale la pena vivere. Per mancanza di amore ci si toglie la vita, si ferma il cuore. “Cimiteri dei vivi” chiamava le carceri Filippo Turati all’inizio del secolo scorso. Nulla è cambiato, questo è il carcere ancora oggi!

“Bisogna aver visto!” diceva Piero Calamandrei per conoscere e deliberare sulla realtà dei luoghi di pena. Vieni a vedere con noi se davvero come dici tu non esiste sovraffollamento nelle carceri del nostro paese. Tu fai calcoli fasulli e dici: ci sono nove metri quadri a testa mentre negli altri paesi ce ne sono tre.

Non sai che al DAP c’è un “applicativo”, una sorta di allarme che scatta quando una cella va sotto i tre metri quadri di spazio minimo vitale per ogni detenuto. L’applicativo segnala anche i detenuti che vivono tra i tre e quattro metri quadri, perché se in una cella mancano oltre allo spazio anche aria, luce, acqua calda, vita all’aperto, anche stare in quattro metri quadri costituisce trattamento inumano e degradante.

Tre o quattro metri quadri, Travaglio, non nove, nei quali tu evidentemente non consideri che c’è anche lo spazio occupato dal letto, dai sanitari e da altri ingombri. A conti fatti, ci sono 14 mila detenuti in più rispetto ai 47 mila posti detti regolamentari secondo i parametri già restrittivi della Corte europea e dalla Corte di Cassazione italiana. In tali condizioni, sono torturati detenuti e detenenti, vittime gli uni e gli altri di una struttura violenta, patogena, mortifera che infligge vere e proprie pene corporali, quelle che si usavano nel medioevo e che poi abbiamo abolito perché incivili.

Sei appassionato dal male e ossessionato dai colletti bianchi. Vieni con noi a visitare i luoghi dove abita Caino e dove, secondo te, c’è ancora posto per altri Caini. Vieni a vedere come vivono i loro custodi, dove lavorano i colletti bianchi della polizia penitenziaria. La pena che vedrai, respirerai e toccherai con mano, è contagiosa.

Contagerà anche te, come contagia e imprigiona anche il “carceriere” costretto in un luogo malsano, pericoloso e forzato a un lavoro usurante e, spesso, fino a un tempo di straordinario che per la polizia penitenziaria (soltanto) non è facoltativo ma obbligatorio. Tieni conto che per 14 mila detenuti in più ci sono 18 mila detenenti in meno rispetto alla pianta organica prevista.

Ben altro ci vorrebbe che una liberazione anticipata speciale che Nessuno tocchi Caino con Rita Bernardini e Roberto Giachetti hanno proposto al parlamento per ridurre il carico intollerabile di corpi e di dolore che grava su tutta la comunità penitenziaria. Come premio minimo, non per tutti – non fare il furbo, Travaglio! – ma solo per i carcerati che hanno tenuto una buona condotta nonostante la condizione strutturale di tortura cui sono stati sottoposti. E non per un giorno, non per un mese, non per un semestre, ma per anni!

Libera anche, Travaglio, la mente e la penna da altre fesserie. Non puoi dire che chi scende sotto i 4 anni di pena da scontare, va ai domiciliari o ai servizi sociali, perché non esiste nessun automatismo, si tratta di misure decise sempre da magistrati di sorveglianza che, data l’esiguità del numero – appena 250 per oltre 61.000 detenuti – stentano finanche a leggere le varie istanze.

Pensi che un mese in più all’anno di liberazione anticipata o qualche anno in detenzione domiciliare, costituiscano una resa dello Stato nei confronti di Caino, un tradimento delle vittime di reato, una breccia intollerabile nel muro della certezza della pena.

Pensi questo, ma poi accetti rese, tradimenti e brecce ben più gravi. Il sovraffollamento e i suicidi in carcere cosa sono? La tortura di Stato ai danni di persone sottoposte alla sua custodia e il maltrattamento degli stessi custodi, sono fatti ben più gravi!

Non è una esagerazione. Per il sovraffollamento, nel 2013, con la sentenza Torreggiani la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della convenzione, per intenderci, quella che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. La cifra del reato è in questi numeri: dal 2018 al 2023 oltre 24.000 detenuti, 4.700 nel solo 2023, si sono visti riconoscere rimedi risarcitori per le condizioni in cui sono stati costretti a vivere.

Allora, Travaglio, ti chiedo: non ti importano i diritti umani dei detenuti? La vita dei detenuti non vale niente? Preoccupati, allora, occupati insieme a noi, dei diritti e della vita dei servitori dello Stato, dei direttori, degli educatori, dei poliziotti penitenziari vittime anche loro del degrado delle carceri, costretti a turni massacranti, a lavorare in luoghi malsani e violenti, patogeni e criminogeni.

Noi diciamo: beati i costruttori di pace e di speranza nelle carceri. Noi proponiamo una Santa Alleanza tra detenuti e detenenti. D’altronde, il motto di Nessuno tocchi Caino è “Spes contra spem”. “Despondere spem munus nostrum”, è quello del corpo della polizia penitenziaria. Noi, non guardie e ladri, ma parti diverse di un insieme, quella comunità penitenziaria che Marco (Pannella) amava e dalla quale era amato, possiamo essere speranza al di là di ogni ragionevole speranza.

Possiamo seminare la speranza in terre dove regna la disperazione, possiamo compiere l’opera di misericordia corporale in un luogo dove si infligge la pena corporale. In tal modo, possiamo contribuire a salvare molte vite nelle carceri del nostro Paese. Dalla solitudine, dall’angoscia e dall’impiccagione.

Conte e il legame con Trump (corriere.it)

di Francesco Verderami

SETTEGIORNI

Certi amori non finiscono mai e quello tra Conte e Trump ha resistito nel tempo.

Il capo del Movimento e il leader dei Repubblicani hanno mantenuto saldo il loro rapporto, nato quando «l’avvocato del popolo» era alla guida del governo gialloverde e il tycoon statunitense era l’inquilino della Casa Bianca.

Ma mentre Salvini — che allora era vicepremier — ha reso pubblica la breve ed estemporanea telefonata avuta di recente con «the Donald», Conte si è mosso con maggiore discrezione. Consapevole com’è che la liaison dangereuse vada tenuta riservata per ragioni di politica estera, di politica interna e anche di partito.

Non c’è dubbio però — come riconosce un esponente grillino — che l’ex premier stia «scommettendo sulla vittoria di Trump» alle presidenziali di novembre. La cautela induce Conte a gestire personalmente le relazioni con l’altra sponda dell’Atlantico, garantite dall’entourage del candidato repubblicano. «Sono suo amico», ha detto l’ex premier ad alcuni interlocutori, confermando il rapporto di cui si vanta.

D’altronde tra ex capi di Stato e di governo i legami costruiti durante la gestione del potere non si rompono. Specie se sono stati saldati da reciproci scambi di cortesia. Conte era da poco arrivato a palazzo Chigi quando acconsentì che il ministro della Giustizia americano parlasse direttamente con i Servizi italiani: Barr era giunto a Roma su mandato di Trump per ottenere informazioni su un presunto complotto ordito contro il presidente statunitense.

Un fatto senza precedenti. Come senza precedenti fu l’endorsement di «the Donald» per «Giuseppi» durante l’estate del Papeete. Conte non aveva ancora completato l’inversione a «U», passando dalla guida della coalizione gialloverde con la Lega a quella giallorossa con il Pd, che Trump rilasciò una dichiarazione a suo favore. Non era mai successo che Washington si inserisse pubblicamente nelle questioni interne di un Paese alleato, nel silenzio delle istituzioni nazionali.

Come non era mai successo che un presidente del Consiglio temporeggiasse senza complimentarsi con il vincitore delle elezioni negli Stati Uniti. La sera in cui Biden battè Trump nella corsa alla Casa Bianca, per ore palazzo Chigi rimase in silenzio. Finché il ministro della Difesa Guerini chiamò Conte: «Se non esci con una dichiarazione tu, esco io».

Passò del tempo prima che la presidenza del Consiglio pubblicasse un comunicato anodino. E mentre Capitol Hill a Washington veniva devastata dai rivoltosi, in Parlamento a Roma il premier non faceva cenno al risultato americano, teorizzando invece «l’equivicinanza» dell’Italia agli Stati Uniti e alla Cina.

Che anni quegli anni: Trump non poteva dimenticarsene. Infatti due anni fa, in piena campagna elettorale per la presidenza del Consiglio, chiese di Conte a un giornalista di Repubblica : «Come sta andando il mio ragazzo? Ho lavorato bene con lui e spero faccia bene».

Adesso non gli sta andando benissimo, «ma la stima verso Trump resta immutata», racconta un autorevole dirigente di M5S: «È un dato di fatto che i due la pensino allo stesso modo su certe cose. Prendiamo la guerra in Ucraina, per esempio: cosa possiamo farci se i democratici americani stanno con la destra italiana?».

Non è dato sapere in che modo l’ex premier potrà capitalizzare quel rapporto, nel caso di una vittoria di Trump. E se l’adesione di M5S al gruppo di estrema sinistra in Europa lo danneggerà.

Il problema è che quella «zona di ambiguità» imbarazzerà Schlein, perché — spiega un rappresentante del Pd — «più si avvicineranno le elezioni americane, più emergerà la natura di Conte su temi populisti che non ha mai archiviato. Insieme a quella linea di relazioni che va da Trump a Xi Jinping, passando per Putin».

Per la leader dem che già si candida ad essere la Harris italiana, sarà complicato costruire una coalizione di governo con un fan di Trump. In più nel centrosinistra è arrivato Renzi, che si è prefisso di inchiodare Conte: «Niente veti, ma da che parte sta?». «Giuseppi» dovrà sfoggiare il suo miglior repertorio di non risposte per sfuggire alla domanda.

E avanti coi popcorn.

(italiaoggi .it)

Toti assunto dagli elettori, licenziato dai magistrati: esultano i forcaioli ma solo i più stupidini possono godere (ilriformista.it)

di Tiziana Maiolo

Ora inizia la battaglia per la verità

I giustizialisti fanno festa senza considerare che la partita politica è aperta: il governatore è già stato premiato due volte alle urne e la Liguria è una Regione modello. L’entrata a gamba tesa delle toghe potrebbe non bastare

Giovanni Toti non è più il presidente della Regione Liguria. Assunto dagli elettori, licenziato dai magistrati. Ha lasciato con una lettera dignitosa e senza sbavature, con il rammarico per un’opposizione che ha saputo solo “cavalcare” l’inchiesta giudiziaria, e l’invito agli alleati a non “perdersi in egoismi e particolarismi”. E ha ragione su tutti e due i contendenti.

Non una parola su chi lo ha tenuto prigioniero per 80 giorni. Ma non è detto che sia lui, che ha dovuto combattere a mani nude contro una corazzata in toga, ad aver perso la guerra: questo lo si vedrà nel prossimo futuro. Per ora sono loro, i padroni del pallone, o meglio delle chiavi del carcere, a sembrare i vincitori, perché hanno ottenuto le dimissioni del governatore, dopo averlo preso per il collo e averlo trattenuto prigioniero dal 7 maggio al 26 luglio.

La resa ottenuta dalla toghe

Le toghe genovesi, tutte quante, dallo squadrone della Procura guidato dal capo, Nicola Piacente, fino alla gip Paola Faggioni, fino ai tre giudici del riesame, sono la dimostrazione plastica di quanto sarebbe necessaria e urgente la separazione delle carriere.

Ma anche quanto potere riesca a esercitare chi è in grado, proprio perché detiene nelle mani l’altrui libertà, di maneggiare il codice di procedura penale fino a farlo diventare il nodo scorsoio destinato a ottenere la resa dell’altro. E a poco serve, in casi come quello del governatore Giovanni Toti, disporre di un bravo avvocato come Stefano Savi. Che ha dovuto pure lui, dopo 80 giorni, arrendersi, e forse, al di fuori della politica, dare anche qualche buon consiglio al proprio assistito.

Dimissioni Toti, solo i più stupidini possono godere

Esce di scena, per ora, con molta dignità, colui che per due volte – nel 2015 contro Raffaella Paita e nel 2020 sbaragliando il grillino Ferruccio Sansa – i cittadini liguri hanno voluto alla propria guida. E ora è un gruppo di magistrati a cancellare, a suon di intercettazioni e ordinanze, quel voto popolare. Toghe rosse? E chi se ne frega, avrebbero scritto in prima pagina i redattori di una testata che fu gloriosa negli anni settanta, “Cuore”.

Solo i più stupidini tra coloro che – al seguito di Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli – si sono fatti accompagnare sul pullman gratuito a Genova l’8 luglio per manifestare contro un carcerato, possono da ieri godere. E stringersi al fianco dei giudici-compagni (compagni di scuola, compagni di niente, ci disse Antonello Venditti), e darsi di gomito con complicità perché il loro sbarco sudato dalla corriera è stato annunciato da un assurdo e paradossale secondo mandato per Toti.

Quello in cui si diceva che uno stesso fatto non era da qualificarsi solo come atto di corruzione, ma anche di violazione della legge sul finanziamento dei partiti. Sono i famosi spot di Esselunga su Primocanale, che avrebbero contenuto in pancia anche un pizzico di campagna elettorale in favore del sindaco di Genova Marco Bucci per conto della Lista Toti.

Miracoli dell’uso da giocolieri del codice di procedura! I famosi mandati a grappolo, croce e delizia della procura di Milano fin dagli anni settanta e le inchieste sul terrorismo di Armando Spataro, e poi, vent’anni dopo, dalla procura di Saverio Borrelli sui reati contro la Pubblica amministrazione, la mitica stagione di Tangentopoli e Mani Pulite.

Ma dove stanno la novità e l’astuzia di oggi a Genova? Nel fatto di aver scoperto, in corso d’opera che – per fare un esempio – Tizio non si era limitato a uccidere Caio, ma gli aveva anche provocato lesioni.

Due diverse qualificazioni del fatto, di cui una dovrebbe contenere l’altra, e invece diventano due pallottole diverse che cambiano il quadro difensivo dell’indagato. Il quale è costretto, per riavere la libertà, a presentare diversi ricorsi. Uno, del tutto inutile, visto il risultato dell’ordinanza precedente, quella il cui senso neppure lo stesso ministro Nordio ha compreso, al tribunale del riesame.

E un altro, gemello del primo già in itinere, in Cassazione. E nel frattempo dover lottare per la propria libertà, con i giornali di regime che ti soffiano sul collo, quasi non avessero atteso altro per i nove anni del governo di centrodestra, con appesa sulla testa la spada di Damocle del processo di rito immediato “cautelare”.

Quello che si celebra celermente e direttamente in aula, scavalcando il giudice dell’udienza preliminare. E chissà come la pensa quello già fissato di turno in tabella a Genova. Ma soprattutto andando a giudizio in manette, per tutta la durata del processo. Domestiche, certo, ma si tratta sempre di privazione della libertà.

Toti, battaglia impari: pm armati, lui a mani nude

A questo quadro e a questi espedienti, che non sono “contra legem”, ma neppure casuali e di ordinaria applicazione, dobbiamo aggiungere gli antefatti, e cioè quattro anni di sorveglianza stretta di Toti, con l’uso di cimici, trojan e intercettatori vari, al termine dei quali la selvaggina nel paniere della Procura è apparsa veramente scarsa.

Perché siamo sempre ai 74.000 euro versati dall’imprenditore Aldo Spinelli alla lista del governatore in trasparenza e legalità, ma interpretati come oggetto di scambio politico-elettorale. E agli spot di Esselunga su Primocanale. Con l’aggiunta addirittura di un fatto inesistente, il progetto di privatizzazione di una spiaggia, che comunque non si sarebbe neppure potuta fare.
Così siamo alla resa delle armi di una battaglia impari, perché una delle parti era armata e l’altra giocava a mani nude.

Ma nessuno ha ancora vinto la guerra. E quella della politica è tutta aperta. Ci pensi bene chi sta già assaporando la tripletta autunnale, dal momento che persino l’università svedese di Goteborg ha citato la Liguria come la meglio amministrata tra le Regioni italiane a statuto ordinario. Buona amministrazione o “sistema” di corruzione e malgoverno?

E se il vero “sistema” invece fosse quell’altro?

Colonnello in divisa SS su Facebook: “Sono fascista, se mi dessero spazio farei sparire gli Lgbt” (lanazione.it)

Il post e i commenti sono stati poi cancellati, 
ma l’ex comandante dell’aeronautica Giovanni Fuochi 
non si pente: 

“Colleziono uniformi, e volevo dire ‘sveglia’ agli italiani come Vannacci”

Una foto con una divisa nazista, come un ufficiale delle SS. Un look curato di tutto punto: giacca grigia, fascia rossa con svastica nera sul braccio, croce di ferro al taschino. E nel post di Facebook dove il colonnello Giovanni Fuochi giovedì 25 luglio ha postato lo scatto, il messaggio: “Sinistrorsi vi aspetto”.

Non solo, perché ovviamente non basta presentarsi agghindato come un soldato del Terzo Reich, ispirandosi a un altro generale dalle idee ben poco democratiche – sì parliamo proprio di Roberto Vannacci –, serve anche chiarire che quello non è stato uno scherzo o un errore, ma è il frutto di una mentalità ben precisa.

L’ufficiale dell’Aeronautica in pensione ha infatti risposto a vari interventi sotto la foto: “Devi vedere l’intera uniforme: stivali e pistola Luger L8 compresa”, ha scritto ad un utente; ma soprattutto il più sconcertante è: “Se mi dessero un pò di spazio vedresti come spariscono gli Lgbt e coglioni vari” e “sono fascista e ne sono orgoglioso, chi si professa democratico è di gran lunga più intollerante di me”.

Vere e proprie dichiarazioni d’intenti che poi, con il post, sono state cancellate, non prima però di far scattare la polemica. Si tratta a ben vedere dell’ennesima uscita fuori dalle righe non di una persona qualsiasi ma di un uomo che ha avuto un ruolo pubblico ben preciso, tra le nostre forze armate, ed è quindi ancora più grave un comportamento così superficiale e nostalgico.

Fuochi, che è piacentino ed è stato candidato come indipendente nelle liste di Fratelli d’Italia alle amministrative del 2022, raccogliendo la bellezza di 41 voti, ha prestato servizio alla base dell’Aeronautica di San Damiano dal 1998 al 2001, mentre già nel 1983 controllava il traffico aereo al 3/o Stormo e nel 1986 era nella segreteria di comando della Scuola di guerra aerea.

Nel 1996 è stato ufficiale addetto al Generale comandante della prima Regione Aerea. Quando l’aeroporto di San Damiano è diventato Distaccamento, l’Aeronautica ha nominato Fuochi comandante della base.

“Colleziono uniformi e volevo dire ‘sveglia’ un po’ come Vannacci”, si è giustificato poi il colonnello, rispondendo al quotidiano Libertà di Piacenza che gli chiedeva spiegazioni sulla divisa. Fuochi h voluto precisare poi che “ne ho un’altra, è di un colonnello scozzese della Royal Air Force, stanno l’una accanto all’altra”.

E alla successiva domanda sul perché esibire – perché quel post su Facebook non può definirsi altrimenti – proprio quella nazista ha risposto “riconosco la legittimità del turbamento e mi dispiace. Ho voluto buttare il sasso nello stagno. Non sono un nostalgico e non ho nemmeno l’età per combattere certe cose. Mi duole però vedere l’Italia inginocchiata davanti a certe cose che a me non piacciono”. 

Peccato che questo malumore rispetto a “certe cose” – che chissà quali sono, forse il movimento Lgbt tanto osteggiato anche dal collega Vannacci? – sia avvenuto pubblicamente indossando simboli di un passato che sarebbe meglio condannare, non sfoggiare…

L’ex aviere sostiene di essere dispiaciuto per il turbamento causato, ma dopo la cancellazione del post ha pubblicato un messaggio sarcastico (“Ci vogliono tutti sudditi”) segno che non ci sta a farsi criticare per queste sue manifestazioni fasciste, che non è affatto dispiaciuto di aver pubblicato il suo post in divisa SS ma piuttosto di averlo poi dovuto eliminare.

“Trovo vergognoso il post ma anche il like apposto in calce dalla consigliera comunale di Fratelli d’Italia, Sara Soresi – commenta la sindaca di Piacenza Katia Tarasconi –. La Resistenza è incisa nella Medaglia d’oro al Valor Militare che a Piacenza venne conferita per il sacrificio di tanti suoi figli nel complesso e doloroso cammino verso la Liberazione, che nel 2024 ci sia ancora qualcuno che incita all’odio vuole proprio dire ignorare gli insegnamenti della storia e questo lo ribadisco lo trovo vergognoso”.

Il post del generale Fuochi su Facebook(Il post del generale Fuochi su Facebook, vestito come un ufficiale delle SS)