Il treno dei desideri (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Vorrei tanto conoscerlo.

Il dirigente dell’Alta Velocità che — sicuramente all’insaputa del signor ministro dei Trasporti in tutt’altre faccende affaccendato — ha programmato i lavori sulla rete ferroviaria per le due settimane centrali di agosto, quelle del Grande Esodo, con ritardi stimati intorno alle due ore.

Gli chiederei: «Lei è la stessa persona che ha chiamato gli orari estivi dei treni Summer Experience? No, perché allora si spiega tutto». Ma forse non basta un solo individuo, forse questa gigantesca opera di caos creativo è frutto di un parto di gruppo: «Bisogna impermeabilizzare il viadotto Paglia tra Chiusi e Orvieto, è l’Europa che ce lo chiede. Cosa ne dite del week-end di Ferragosto?».

«Non ne esiste un altro in cui potremmo creare ancora più danni al turismo e disagi ai passeggeri?». «Mah, lasciatemi pensare… Ci sarebbero le vacanze di Natale». «Ferragosto è peggio, mettici anche il caldo». «Però così rompiamo le scatole solo a quelli che si spostano da nord a sud. E chi invece si deve muovere da ovest a est lo lasciamo viaggiare in pace?».

«Sarebbe una odiosa discriminazione, in effetti. Apriamo dei cantieri ad agosto anche lì». «Bene, allora si proceda alla stesura del comunicato stampa per i gonzi, da rendere pubblico soltanto a fine luglio, ovviamente.

Chi lo scrive?». «Io, io! A seguito di lavori di potenziamento infrastrutturale propedeutici a una migliore qualità del servizio… Cosa ve ne pare?».

Che summer, ma soprattutto che experience.

Guariso (Asgi): «Reddito di cittadinanza: lo Stato ha truffato i cittadini stranieri bisognosi» (ilmanifesto)it)

di Roberto Ciccarelli

Lavoro

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha bocciato il vincolo di dieci anni di residenza imposti agli stranieri per accedere al «reddito cittadinanza». Gli avvocati dell’Asgi si sono battuti in Europa e in molti tribunali italiani per cancellare questa ingiustizia. Ne parliamo con Alberto Guariso (ASGI).

Che cosa ha portato il governo «Conte Uno» a creare una norma incostituzionale e razzista e gli altri a mantenerla almeno fino a quando la Commissione Ue ha fatto partire una procedura di infrazione?

L’esplicita intenzione di escludere i cittadini stranieri da questa prestazione. Non potendo, come era stato ipotizzato, creare un’esclusione secca dello straniero in quanto tale, Conte, Salvini e Di Maio introdussero un requisito che non esiste in alcun paese d’Europa, men che meno per una prestazione di contrasto alla povertà e per l’aiuto all’inserimento sociale. L’assurdità è che tutti sapevano che questa norma non avrebbe retto, anche sulla base degli orientamenti della Corte di giustizia Ue, ma tutti l’hanno mantenuta fino al 2023.

Ma allora perché l’hanno varata?

Per escludere la maggioranza dei cittadini stranieri che ovviamente non hanno il requisito di residenza decennale. I dati dell’Inps dimostrano che gli stranieri che hanno avuto accesso al reddito non superano il 6%, mentre avrebbero dovuto essere molti di più, visto che secondo l’Istat una famiglia straniera ogni tre è in condizione di povertà assoluta. Nel frattempo sono state attivate migliaia di azioni di recupero nei confronti di chi aveva ottenuto il sussidio per assenza di controllo iniziale e poi è stato portato in tribunale. Ovviamente nessuno è in grado di restituire cifre che sono state utilizzate per la sopravvivenza. Queste sono richieste che possono rovinare l’esistenza.

Quante persone, a sua conoscenza, hanno avuto la richiesta della restituzione delle somme?

Impossibile calcolare coloro che non hanno fatto domanda, anche se bisognosi, perché privi del requisiti. Quelli che l’hanno fatta e poi si sono visti colpiti da revoche e procedimenti civili e penali sono già loro un’enormità. Stando ai dati dell’Inps stiamo parlando di circa 70 mila revoche ogni anno. Abbiamo la conferma che la maggioranza di queste revoche sono per assenza del requisito decennale. Una vera truffa ai danni delle persone bisognose.

Che poi venivano additate all’opinione pubblica come truffatori e «furbetti»…

È paradossale ma è cosi. E ora è «certificato». Era lo Stato che imponeva loro un requisito illegale.

Ora cosa accadrà ?

Nei giudizi penali e civile il giudice dovrà disapplicare la norma che prevedeva il requisito. Le persone non dovranno più restituire e potranno ottenere anche la parte di sussidio fino al termine finale dei 18 mesi.

L’assegno di inclusione che ha sostituito il «reddito di cittadinanza» prevede cinque anni di residenza per avere il sussidio. È giusto?

No, se vale il principio affermato ora dalla Corte, anche il requisito di cinque anni dovrebbe cadere.

Con la sentenza Ue i problemi sono risolti ?

No, la sentenza riguarda i titolari di permesso di lungo periodo. Ora ci sono altri due procedimenti pendenti: uno davanti alla Corte Europea che riguarda i titolari di protezione internazionale. L’altro davanti alla Corte Costituzionale, riguarda i cittadini europei, anche italiani. È molto probabile che anche gli questi procedimenti si concludano nello stesso modo e a quel punto tutta questa vicenda assurda sarà davvero finita, con gravi costi per chi ha subito questa ingiustizia, ma anche per la collettività.

Cisl, Sbarra: “Jobs Act grande riforma, anacronistico ripensare all’articolo 18” (repubblica.it)

Il leader del sindacato contro i referendum 
promossi della Cgil per cancellare la riforma 
varata dal governo Renzi: 

“Rispettiamo l’iniziativa ma contrari nel merito. Indecenti le lezioni di sindacato a noi”

La Cisl boccia l’iniziativa referendaria della Cgil che punta all’abolizione del Jobs Act. “Il Jobs Act è stato una grande riforma, non priva di lacune, ma anche con aspetti assolutamente positivi”, a detto il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, a margine dell’Assemblea Nazionale del sindacato, circa la proposta referendaria della Cgil sul ripristino dell’articolo 18.

“Ha aiutato ad allargare ed estendere gli ammortizzatori sociali, ha contrastato la pratica delle dimissioni in bianco, ha allungato il periodo della Naspi, ha investito sulle politiche attive del lavoro, ha eliminato i contratti a progetto, ha combattuto il falso lavoro autonomo, i tirocini” per cui “fare di tutta un’erba un fascio è sbagliato, rialzare la bandiera anacronistica dell’articolo 18 è sbagliata”, ha aggiunto Sbarra.

“Rispettiamo le iniziative delle altre sigle sindacali anche se sul merito ci sentiamo di affermare che non condividiamo”, ha detto ancora il leader della Cisl.

“Oggi la vera tutela che dobbiamo conquistare per le persone negli ambienti lavorativi si chiama formazione, si chiama investimento sulle competenze, si chiama apprendimento, conoscenza: è questo oggi il vero tema”, ha spiegato Sbarra.

“Indecenti le lezioni di sindacato alla Cisl”

“Non si può sperare di mettersi la coscienza a posto con qualche scioperino in più. Sono indecenti e demagogici le presunte lezioni che altri vorrebbero dare alla Cisl”, ha aggiuno Sbarra.

“Indecenti e, aggiungo, moto pericolosi perché incendiano la temperatura sociale, arroventano e spezzano i rapporti tra persone nei luoghi di lavoro. Mettono lavoratori contro lavoratori. Rischiano di portare dentro le fabbriche un clima che il nostro Paese ha già conosciuto”, ha sottolineato Sbarra, avvertendo: “Stiano molto attenti a misurare le parole. Perché certe volte basta una scintilla per far diventare il populismo qualcosa di molto diverso e molto peggiore”.

“Non accettiamo di sottostare al pensiero unico di chi crede ancora di vivere nel Novecento e pensa ancora esistano egemonie culturali, politiche o sindacali”, ha messo in chiaro Sbarra.

(italiaoggi.it)

Lo stupore della Ue per le proteste italiane: «Sulla libertà di stampa Roma è stata consultata» (corriere.it)

di Federico Fubini
La Commissione: «Il rapporto frutto di un 
metodo inclusivo»

È la prima volta che un premier scrive alla presidente della Commissione europea per polemizzare riguardo al rapporto annuale «sullo Stato di diritto».

Ma non è la prima volta che il governo di Giorgia Meloni scrive ai funzionari di Ursula von der Leyen su questo argomento. Fra gennaio e aprile una squadra di funzionari che fa capo al belga Didier Reynders, commissario Ue alla Giustizia, è stata più volte a Roma. Ha parlato con la Federazione nazionale della stampa italiana, con l’Ordine dei giornalisti e con l’osservatorio sostenuto da entrambi che va sotto il nome di «Ossigeno per l’informazione».

In parallelo si è rivolta al governo e a esso ha riportato le critiche ascoltate da altri sulla gestione della Rai e dell’informazione nell’emittente pubblica. Alle organizzazioni della società civile, così come al governo, i funzionari di Reynders hanno chiesto precise relazioni scritte sui criteri di gestione della televisione di Stato, sui suoi equilibri finanziari, sul servizio pubblico.

Anche per questo la missiva della premier ieri è stata ricevuta con un filo di sorpresa. In primo luogo, perché il Rapporto sullo stato di diritto nei 27 Paesi dell’Unione è di sei giorni fa e la lettera di Meloni è atterrata in una Bruxelles ormai in vacanza dopo la maratona delle nomine. La caduta di tensione è tale che ieri per ore la Commissione non riusciva neanche a confermare di aver ricevuto la lettera.

Eppure era già transitata per la rappresentanza permanente d’Italia a Bruxelles, che l’aveva consegnata. Poi però lo stupore ha riguardato l’intensità della reazione della premier. Ha osservato ieri una portavoce della Commissione: «Com’è noto, il Rapporto annuale sullo Stato di diritto segue un metodo ben affermato ed è il frutto di un processo inclusivo con tutti gli Stati dell’Unione europea e con i portatori d’interessi».

Parole studiate per far capire che il governo italiano era già stato sentito prima della pubblicazione, più volte; dunque le critiche di Meloni al rapporto («Dispiace che non sia stato risparmiato dai professionisti della disinformazione e della mistificazione») erano sicuramente già note.

Qualcuno a Bruxelles ha persino avuto l’impressione che il vero bersaglio di Meloni non fossero von der Leyen o Reynders; ma piuttosto quelli che lei vede come suoi avversari interni, i «professionisti della disinformazione». Certo è che a Bruxelles si sottolinea ora come il rapporto sullo Stato di diritto, soprattutto sul tema delicatissimo della Rai, fosse «basato sui fatti».

La versione del 2022 di quel testo quasi non parlava della televisione di Stato. Quella del 2023 vi dedica un solo paragrafo. Quella di quest’anno — rinviata attentamente fino a dopo la conferma di von der Leyen — ci si sofferma per più di tre pagine, nelle quali la Commissione riferisce le osservazioni degli uni e degli altri senza prendere posizione quasi mai.

Ma a volte sì e, quando lo fa, il rapporto non prende di mira direttamente il governo: parla piuttosto degli assetti generali dell’emittente pubblica. «Da tempo l’efficacia del sistema di governance nel garantire la piena indipendenza della Rai è motivo di preoccupazione in Italia», si legge. O ancora: «I rischi di influenza politica sono frutto della prassi consolidata di riorganizzare le posizioni apicali della Rai basandosi sull’equilibrio dei poteri politici». In una Bruxelles scivolata nelle ferie, tutti si erano già dimenticati di quelle frasi di qualche funzionario. Ora la lettera di Meloni ha acceso un faro di luce più intenso.

E von der Leyen dovrà rispondere, «basandosi sui fatti».

Destra, sinistra e centro: tutti umiliano l’art. 27 della Costituzione (ildubbio.news)

di Gaetano Pecorella

La pena non può consistere in trattamenti contrari 
al senso di umanità e deve tendere alla 
rieducazione del condannato. 

Ma la classe politica bada soprattutto ai suoi tornaconti elettorali

Le carceri sono un problema umano, non politico o di maggioranza e minoranze: per questo si avverte un senso di imbarazzo di fronte a partiti politici che in Parlamento si scontrano dimenticando la Costituzione, il numero di suicidi tra le sbarre, e, non ultima, l’assenza di ciò di cui avrebbe diritto ogni essere umano, e soprattutto di coloro di cui ancora non si sa se sono colpevoli o innocenti.

Ciononostante lo scontro non avrà fine e i criteri per intervenire non saranno la tutela della persona umana, né ciò che è più giusto, o ciò che non lo è, ma la “bilancia” di quanti voti si guadagneranno con certe scelte, o di quanti voti si perderanno. C’è da vergognarsi di fronte a partiti che hanno contribuito a formulare e discutere l’art. 27 Cost. ed ora, per ragioni prettamente elettorali, si oppongono a riforme anche minimali.

Uomini come Malagugini, o lo stesso Gramsci, si rivolteranno nella tomba di fronte a chi contrasta una riforma come quella di elevare la detrazione della pena, ai fini della scarcerazione anticipata, dagli attuali 45 giorni a 60 giorni per semestre.

Se non si può non essere d’accordo con questa misura di buon senso, non si possono condividerne le ragioni per cui la stessa è stata proposta, perché ricade nel calcolo politico della gestione delle carceri come se in gioco fosse la sicurezza e l’obiettivo di evitare le rivolte estive. Nelle carceri, viceversa, vivono esseri umani, in stato incompatibile con ciò che è dovuto all’uomo, centro della Costituzione e di questo pianeta.

Tutto deve partire, invece, dall’art. 27 Cost. e dalla funzione della pena che non può e non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato. Se non si parte da questi sacrosanti principi non si potrà mai sperare che i cittadini possano avere rispetto e possano condividere le sofferenze dei detenuti, a prescindere da ciò di cui sono accusati,

L’art. 27 in sede di assemblea costituente fu discusso, modificato, e migliorato con l’intervento di tutte le forze politiche a prescindere dalla loro collocazione a sinistra, a destra o al centro.

E’ segno del degrado della cultura in questo Paese dimenticarsi che quella norma fu votata da De Gasperi come da Togliatti e che l’obiettivo non era quello di alleggerire il peso delle carceri, ma di riconoscere la dignità di ogni persona, con l’effetto che tale riconoscimento consolidava il senso di eguaglianza al di là delle condizioni personali e sociali.

Ci troviamo di fronte a due proposte: l’una di lasciare le cose come stanno, e l’altra di cambiare per evitare il peggio; nessuno in Parlamento che abbia detto che non si vogliono condoni mascherati, ma il recupero della condizione umana dei detenuti. Se la pena deve tendere alla rieducazione è necessario riconoscere un beneficio a chi persegue questo obiettivo con la durata della pena che sia proporzionata al raggiungimento di questa finalità.

Nella vicina Svizzera la pena prevede un minimo dopo il quale si riesaminano le condizioni personali del detenuto per stabilire quale sia il grado di recupero sociale. Noi abbiamo la liberazione anticipata che dovrebbe accertare se il detenuto si è avviato a una vera rieducazione.

Non tiene conto dei parametri costituzionali né chi voglia tenere in carcere un detenuto senza valutare il cambiamento della sua personalità, né chi voglia scarcerarlo anticipatamente solo per ragioni di opportunità o di sicurezza. Ogni detenuto dovrebbe essere soggetto a un esame permanente ed avere la liberazioni anticipata solo in funzione del suo grado di rieducazione.

Ma questo significherebbe avere una classe politica che non guarda ai propri introiti elettorali, ma soltanto a ciò che è giusto e a ciò che non lo è.

Invasioni immaginarie (i migranti) e realissime (i calabroni a casa mia) (ilfoglio.it)

di Adriano Sofri

Piccola posta

Com’è noto, sono insetti bellissimi, e magnifici sono i nidi.

Sono stati scritti tanti libri sui calabroni, e che musiche. Io solo una piccola posta

Devo sbrigare alla svelta la piccola posta. Ho dovuto fare i conti con un’invasione. L’invasione domina i nostri tempi, reale come in Ucraina, immaginaria come quella dei migranti, spettacolare come quella di campo di Argentina-Marocco l’altroieri, abitudinaria e quasi regolamentare come quella di scarafaggi nel carcere di Modena, di topi a Sollicciano (e nel centro di Torino).

Io ho a che fare coi calabroni. Fanno il nido, un nido ingente, nel camino, e lo fanno ronzare ininterrottamente, a volte in modo monotono, altre più accanito. Io sono seduto a un metro e mezzo dal camino, e sto su di notte. Ogni notte una pattuglia di calabroni, pochi, tre, quattro, voli fuori dal camino e si aggiri nella stanza, poi vada a vorticare e sbatacchiare attorno alle lampade o alla finestra, e poi, sfinita, muoia.

Conviviamo. Non ho allergie che li riguardino, e sono indifferenti a me: fanno un giretto sulla mia testa, spengo la lampada da tavolo e se ne vanno dentro l’abatjour. Com’è noto, sono bellissimi, e magnifici sono i nidi. Da qualche giorno hanno usato lo spazio fra le persiane socchiuse e i vetri chiusi della finestra al piano di sopra per fabbricare un altro nido, stupendo, arrivato a più di metà della sfera con dentro le celle.

Prendersi il camino e uscirne nel soggiorno, e poi la finestra della camera da letto, è certo un’invadenza, probabilmente un’invasione.

Mia nipote mi annuncia che viene a trovarmi, e non voglio farle correre rischi. Il mio vecchio bassotto va a dormire fuori casa, per sicurezza. Due uomini molto simpatici di una ditta apposita vengono all’alba e fanno il lavoro con precisione e rapidità. Li ringrazio, pago, e resto solo.

Nelle orecchie solo il rumore fastidioso – gli acufeni – che mi viene da dentro. Sono stati scritti tanti libri sui calabroni, e che musiche. Io solo una piccola posta. Mi dispiace, per i calabroni.

(Vishal Patel)