Indimenticato, indimenticabile: Tiziano Terzani (ilmondo-rivista.it)

di Flavia Dell’Ertole

terzani

Il giornalista toscano che ha raccontato il Novecento con un punto di vista unico moriva vent’anni fa. La sua grandezza si dimostra nell’attualità del suo pensiero

Da 20 anni Tiziano Terzani non restituisce tra le pagine di giornale o di quelle dei suoi libri una visione lucida e disincantata della realtà che lo circonda.

Da inviato del settimanale Der Spiegel il giornalista nato a Firenze nel 1938 ha scoperto, innamorandosi di una cultura tanto misteriosa e tanto diversa dalla propria, l’estremo Oriente. L’inizio della sua carriera giornalistica risale al 1955, nella redazione sportiva del Giornale del Mattino, dopo la laurea in Giurisprudenza sfrutta la possibilità di viaggiare e scoprire il mondo lavorando nell’ufficio del personale Olivetti e il suo primo reportage – redatto durante un viaggio di lavoro in Sud Africa – viene pubblicato dal periodico L’Astrolabio nel 1966. Continua a scoprire porzioni di mondo rimettendosi sui libri, vincendo una borsa di studio alla Columbia University consegue una laurea in Affari internazionali, ottiene uno stage nella redazione del New York Times e studia cinese a Stanford.

Con gli anni ‘70 la carriera giornalistica di Terzani si fa più intensa e lo fa raccontando decenni fatti di cambiamenti profondi e radicali, collaborando oltre che con il settimanale tedesco con L’EspressoIl Giorno e poi con La Repubblica e Il Corriere della Sera, direttamente dall’Asia dove si è ormai trasferito stabilmente insieme alla moglie, Angela Staude e i figli.

Con un mix perfetto di fortuna e intuito giornalistico riesce a trovarsi al centro della notizia, a essere lì dove le cose succedono; ricorda infatti nel suo Un indovino mi disse di essere stato “a Saigon nella primavera del 1975 quando arrivarono i comunisti e finì la guerra in Vietnam che per la mia generazione era stata come la guerra di Spagna per la generazione di Hemingway Orwell”.

I suoi primi libri sono scritti proprio intorno all’esperienza in Vietnam, Terzani si concentra sul conflitto ma restituisce anche il sentimento delle persone che incontra dando vita a pagine che descrivono le reali conseguenze della guerra e proprio per concentrarsi sulla questione più umana il giornalista decide di rimanere alcuni mesi dopo l’arrivo delle forze comuniste a Saigon per osservare in prima persona come il Vietnam riunificato cerchi di rispondere alle sfide post belliche.

(Shutterstock)

Dopo l’esperienza in Vietnam parte per Hong Kong e, nel 1980, si stabilisce in Cina come corrispondente da Pechino per Der Spiegel; l’esperienza in Cina ha un esito burrascoso, dopo quattro anni passati a indagare – evidentemente troppo secondo il regime comunista – viene arrestato, perquisito e infine espulso dal Paese.

Nei primi anni ‘90 si trova in Siberia quando apprende la notizia della fine dell’Unione Sovietica “nell’estate del 1991 ero nelle budella dell’URSS quando si sfasciava l’Impero sovietico e moriva il comunismo”, ricorda sempre nel suo Un indovino mi disse, decidendo di avventurarsi nei meandri della Russia per osservare un nuovo storico cambiamento che gli si staglia di fronte, anche in questo caso concentrandosi non solo sull’evento storico in sé ma anche sulle reazioni, sui sentimenti, delle persone che incontra.

Il 1993 è un anno, volutamente, di svolta. Nel 1976 un indovino di Hong Kong lancia un monito al giornalista: “nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell’anno non volare. Non volare mai”; Terzani, seppur non credendo particolarmente all’oracolo, coglie l’occasione per modificare il suo modo di vivere e di conseguenza di lavorare.

Per l’intero anno non sale su un aereo e continuando a lavorare come corrispondente il rincorrere le notizie lascia spazio a scoprire spazi, culture, persone. Dall’esperienza di quell’anno straordinario nasce il già citato Un indovino mi disse con Terzani che fa un bilancio della sua vita e interroga quanti più indovini incontra, per immergersi sempre più nelle credenze e nelle tradizioni asiatiche.

La dimensione del viaggio torna in soccorso a Terzani quando gli viene diagnosticato un cancro all’intestino. Dopo che la medicina occidentale moderna provata negli Stati Uniti non dà esiti positivi decide di esplorare le regioni più remote dell’India dando una possibilità alla medicina ayurvedica e a un percorso che, se pure non può garantirgli la salute fisica, è in grado di offrirgli una rinnovata salute spirituale.

Decide di tornare in Toscana per i suoi ultimi di giorni e infine abbandona le spoglie mortali il 28 luglio 2004. L’esperienza della malattia e della ricerca di un benessere diverso da quello perseguito in Occidente sono il centro del suo ultimo libro, Un altro giro di giostra mentre due anni dopo la sua morte viene pubblicato il volume scritto a quattro mani con il figlio FolcoLa fine è il mio inizio.

Alla morte del giornalista la moglie, Angela Staude, ha lavorato per mantenerne viva la memoria organizzando libri con raccolte dei diversi scritti di Terzani.

Intervistata dal Corriere della Sera ha sostenuto che il marito avesse “previsto quello che sta succedendo oggi. Era nelle carte questa poca disponibilità a capire ‘le ragioni degli altri’, come diceva lui, questo reagire sempre con nuove guerre” e ricorda come all’indomani dell’11 settembre 2001 “scrisse subito il primo articolo intitolandolo: Una buona occasione. Quella di non rispondere subito con la violenza alla violenza dei terroristi. Era già malato, ma partì per l’Afghanistan, il Pakistan, l’Iraq, a seguire la reazione di Bush”.

(Tiziano Terzani con la moglie Angela Staude in Cina nei primi Anni ’80 © Archivio Tiziano Terzani)

Un segno incancellabile

Per una testimonianza vivida della forza e dell’attualità di Tiziano Terzani abbiamo parlato con diverse personalità.

Il nostro primo interlocutore è Àlen Loreti, biografo e curatore editoriale dell’opera terzaniana tra cui i Meridiani Tutte le opere (Mondadori, 2011), i diari Un’idea di destino (Longanesi, 2014), l’album illustrato Guardare i fiori da un cavallo in corsa (Rizzoli, 2014), l’antologia di reportage In America (Longanesi, 2018) e il pamphlet Il pensiero irriducibile (Edizioni di Comunità, 2019).

Loreti è inoltre amministratore della pagina ufficiale Facebook Tiziano Terzani Official, ha ideato e diretto la costituzione del Fondo Tiziano Terzani che custodisce i 6000 volumi della biblioteca privata e l’immenso archivio giornalistico e fotografico custoditi presso la Fondazione Cini di Venezia.

A venti anni dalla morte di Tiziano Terzani qual è la sua eredità?

«Se Terzani è ricordato con tanto affetto è perché non ha fatto alcuna promessa, non ha preteso di dare risposte assolute: ha semplicemente posto delle domande, perché porre le domande giuste significa porre le basi delle risposte che stiamo cercando, sulla condizione umana, sui conflitti geopolitici, sulla salute del pianeta, su tutto. Terzani ci ha lasciato due tipi di eredità. La prima è di tipo materiale: mi riferisco ai 6000 libri e alle migliaia di foto, articoli e documenti custoditi a Venezia nel Centro di Civiltà e Spiritualità comparate della Fondazione Cini che sono stati donati dalla famiglia perché studentesse e studenti di tutto il mondo possano conoscere il continente asiatico vissuto da un uomo che vi ha abitato per oltre 30 anni. La seconda è di tipo morale: Terzani è stato un giornalista che ha sempre cercato e raccontato la verità – pagando prezzi altissimi come l’arresto e l’espulsione dalla Cina -, questa eredità è un esempio di impegno civile. Si racconta la verità non per tutelare un interesse privato ma per salvaguardare un interesse pubblico: la democrazia. Quella democrazia che sempre più spesso vediamo minacciata dall’arroganza del Potere».

Qual è l’aspetto che più l’ha colpita di Tiziano Terzani?

«Le qualità di un uomo così esuberante, riflessivo e complesso, sono tante. Quando avevo 25 anni ammiravo il suo spirito d’avventura: oltrepassare le frontiere, raggiungere luoghi sperduti, parlare cinque lingue, camuffarsi tra la folla. Oggi che di anni ne ho 45 – e quindi lo rileggo con una consapevolezza diversa – ammiro la sua capacità di preparazione e analisi che sono alla base della sua coerenza. La coerenza è un valore al quale non siamo più abituati. La coerenza implica responsabilità, spirito critico, franchezza. Voglio dire che Terzani non si è mai compromesso, non si è mai convertito a nulla, non ha mai scelto le scorciatoie. Questa integrità – che affonda le radici nella modestia di una famiglia povera e antifascista, nello scetticismo popolare di matrice fiorentina, nell’arte di coltivare il dubbio imparata al Liceo classico e alla Normale di Pisa dove si laureò con lode in Giurisprudenza con una tesi di Diritto internazionale – è una qualità umana che lettrici e lettori imparano a riconoscere nelle sue opere».

Gestendo la pagina Facebook dedicata al giornalista ha un confronto continuo con i lettori di Terzani. Quanto ancora si cerca, nelle parole di Tiziano Terzani, una chiave di lettura del presente?

«C’è un aspetto interessante: oltre il 60% degli utenti della pagina Facebook sono donne. È un dato in linea con i tassi di lettura nazionali dove le donne leggono di più, si laureano di più, si informano di più, sono più istruite. L’età di queste lettrici si concentra tra i 30 e i 55 anni quindi stiamo parlando di chi aveva 20-35 anni quando Tiziano morì. C’è una fedeltà e un grande affetto, in particolare verso la moglie di TizianoAngela Staude, che incarna un mirabile esempio di donna: coraggiosa, tenace e di grande generosità umana. In questi 20 anni il suo impegno per diffondere e difendere la memoria del marito è stato totale.
Chi legge le opere di 
Terzani non vuole essere distratto o intrattenuto bensì vuole conoscere, vuole capire. Terzani è un testimone competente, curioso e spesso spiritoso, come sanno essere le persone intelligenti che riconoscono la giusta misura: nella vita ogni cosa va presa sul serio, tranne sé stessi. Chi viaggia con un libro di Terzani nello zaino sa esporsi all’estraneità e accogliere la diversità.
Gestisco la pagina Facebook ufficiale dal 2010, a titolo volontario: non sono stipendiato da alcun editore. Per me è una sorta di servizio civile: chi si avvicina all’opera e al pensiero di 
Terzani deve poter trovare uno spazio attendibile, affidabile, serio, non inquinato da sciocchezze. In tempi di fakenews, manipolazioni e approssimazioni (basti pensare ai grossolani errori presenti su Wikipedia), ecco non penso che il mio sia un servizio irrilevante. Inoltre l’approvazione della famiglia Terzani è un’importante garanzia per gli utenti: pur senza la fantomatica spunta blu Tiziano Terzani Official è la sola pagina social autorizzata».

Qual è il suo libro preferito?

«Non ho dubbi: “Buonanotte, signor Lenin”, l’epico diario di viaggio in cui raccontò lo sbriciolamento dell’Impero sovietico nell’estate del 1991. Nei due mesi di viaggio da Est a Ovest per raggiungere Mosca attraversò 9 delle 15 repubbliche dell’URSS assistendo a un episodio decisivo: fu il solo occidentale testimone dell’abbattimento della prima statua di Lenin in Asia centrale al grido di “Allah Akbar!”. Siamo 10 anni prima dell’11 settembre: il vuoto creato dall’ideologia comunista viene riempito dal fanatismo religioso come strumento di aggregazione e di lotta da parte di quelle popolazioni che per decenni erano state schiacciate dal regime sovietico.
Terzani intuì il mutamento geopolitico e ne pronosticò l’evoluzione. Quando Ryszard Kapuściński – che Terzani chiamava “Maestro” – lesse il libro, gli scrisse: “È un libro splendido”. Era l’opinione del più grande reporter del Novecento (autore del capolavoro “Imperium”), Tiziano ne fu commosso».

In un mondo ancora così profondamente scosso dalle guerre quale monito di Terzani dovrebbe riecheggiare oggi con più forza?

«Tiziano Terzani è stato un uomo del Novecento: ha visto mutare il mondo con un’accelerazione che ha saputo cogliere nella sua scrittura. La casa in cui nacque era appena a un chilometro dal Ponte alla Vittoria che i nazifascisti fecero saltare sull’Arno; quando era manager dell’Olivetti vide l’apartheid in Sudafrica e in Australia; da studente vide la segregazione negli Stati Uniti negli anni Sessanta; da giornalista partecipò e raccontò le fasi finali della guerra del Vietnam negli anni Settanta, documentò le conseguenze del genocidio cambogiano, incontrò i sopravvissuti al regime maoista e sovietico negli anni Ottanta, previde gli effetti distorti della globalizzazione negli anni Novanta, raccontò l’invasione e la devastazione dell’Afghanistan da parte dell’Occidente solo tre anni prima di morire.
Ecco, se sommiamo la quantità di ingiustizie e dolore a cui Tiziano ha assistito, da un lato non deve sorprenderci se lottò per anni con la depressione (è pressoché impossibile riemergere da queste situazioni estreme senza alcuna ferita), ma dall’altro non deve stupirci se cercò con il suo lavoro soprattutto la giustizia, e in particolare la giustizia sociale. La sua scrittura era un modo per riportare giustizia dando voce a chi non aveva voce e stanando le ipocrisie del Potere.
Le stesse preoccupazioni sulla distruzione dell’equilibrio tra Uomo e Natura condivise negli ultimi libri – “il consumismo ci consumerà” diceva -, indicano il suo bisogno di giustizia. Tanto è vero che oggi si parla di Antropocene e sappiamo che i costi più alti del cambiamento climatico sono e saranno pagati dalle nazioni più povere, qualcosa di inaccettabile e vergognoso. Voglio dire che Tiziano soffriva nel vedere una umanità che si pone come dominatrice assoluta. A cominciare da questo dominio dell’Uomo sull’Uomo che si esprime nella violenza, in ogni sua terribile forma – negli abusi sulle donne, nelle disuguaglianze abnormi, nei razzismi e nei fanatismi di qualsiasi tipo, nell’avidità che ormai non appartiene solo agli ambienti criminali o politici: immense ricchezze e immensi poteri nelle mani di poche dinastie e aziende – tutto ciò fa vacillare le democrazie che sono sempre più deboli, incoerenti, corrotte, passive. Perciò il richiamo di Terzani è un richiamo etico: attivarsi, impegnarsi, unirsi. Sono le persone a fare la differenza, sempre. Non sono le opinioni a cambiare il mondo, ma l’esempio che esprimiamo ogni giorno.
Fare bene il proprio lavoro (e difenderne tutti i diritti) significa rendere più solide le basi della democrazia: lei è una giornalista e se farà sempre bene il suo lavoro il suo contributo civile sarà d’esempio e sarà utile quanto quella di una maestra, di una cardiologa, di una fornaia, di una magistrata, di una parrucchiera, di una carabiniera, di una scienziata, di una designer, di una postina. Fare bene il proprio lavoro, mettere sempre ciò che si è in ciò che si fa: sentire il peso del proprio ruolo e l’esercizio del dovere che sottende ogni diritto. Il diritto di amare, di lavorare, di viaggiare, di studiare, di votare, di essere curati, di essere informati. E perché no, anche il diritto di morire in pace, come scelse Terzani. Preferire un’ultima fragorosa risata con le persone che ami invece dell’accanimento terapeutico.
Tra pochi giorni saranno 100 anni dalla morte di Joseph Conrad e c’è un passaggio in quella magnifica opera “La linea d’ombra” dove fa dire a un personaggio: “Un uomo dovrebbe far fronte alla cattiva sorte, ai suoi errori, alla sua coscienza, e a questo genere di cose. Perbacco, con cos’altro c’è da combattere?”. È questa la linea d’ombra che Terzani seppe sempre affrontare e che ha trasmesso a coloro che continuano a leggerlo: sentirsi responsabili di tutto».

(Tiziano Terzani a Pechino nei primi Anni ’80 © Archivio Tiziano Terzani)

Un ritratto interessante del giornalista emerge anche dalle parole di Gloria Germani, filosofa e scrittrice che si è dedicata soprattutto al dialogo tra Oriente e Occidente, focalizzandosi sulla critica alla visione scientifica dualista e sulla colonizzazione dell’immaginario.

Al giornalista ha dedicato i volumi Tiziano Terzani: la rivoluzione dentro di noi (Longanesi, 2008), Tiziano Terzani: verso la rivoluzione della coscienza (Jaca Book, 2014), Tiziano Terzani: la forza della verità. La biografia intellettuale di un saggio dei nostri tempi (Punto di Incontro, 2015), è stato riedito nel 2016 Madre Teresa e Gandhi, L’Etica in azione con una prefazione di Tiziano Terzani (Mimesis) e in occasione del ventennale dalla morte è stato da poco pubblicato, per Terra Nuova Edizioni, il volume Tiziano Terzani contro la guerra. La verità del Tutto è Uno tra Oriente e Occidente.

A venti anni dalla morte di Tiziano Terzani qual è la sua eredità?

«Tiziano Terzani continua ad essere amatissimo ancor oggi a venti anni dalla morte, perché il suo messaggio era veramente autentico ed è capace di dare senso e significato al nostro mondo contemporaneo. I suoi libri – soprattutto a partire da Un indovino mi disse del 1995 – comunicano a migliaia di lettori un tipo di conoscenza molto diverso da quello a cui noi siamo abituati, costituito da nozioni, competenze, fatti. Questo diverso tipo di conoscenza si traduce nella vita stessa, indica una direzione  di come vivere e di come morire. Dopo tre libri che ho dedicato alla sua straordinaria figura nel 2008, 2014 e 2015, ho sentito bisogno di scriverne uno oggi perché ritengo che il suo pensiero sia attuale più che mai. Egli infatti aveva previsto molte cose che stanno accadendo come l’acuirsi delle guerre, l’aggravarsi del problema climatico, il grande disagio esistenziale dei giovani e il diffondersi della violenza nel nostro quotidiano. In “Tiziano Terzani contro la guerra. La verità del Tutto è Uno tra Oriente e Occidente” ho cercato di porre in rilievo la sua profeticità e il suo messaggio».

Terzani è conosciuto come giornalista, dalla sua esperienza emerge anche una profonda dimensione filosofica di Terzani, quale aspetto l’ha colpita maggiormente?

«Credo che Terzani sia stato un ottimo giornalista internazionale, che ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, ma il suo atteggiamento verso il giornalismo era molto particolare. “Che straordinario mestiere – scriveva –  vengo pagato per fare quello che gli altri pagano per fare: viaggiare il mondo e cercare di capirlo”. Il suo obiettivo era infatti capire il mondo e capirlo anche da un punto di vista Altro, non solo eurocentrico, non solo occidentale. Mentre si laureava in Giurisprudenza alla Scuola Normale Superiore di Pisa, alla fine degli anni ’50, c’erano due grandi progetti sul futuro dell’umanità, due ipotesi di filosofia sociale: quello di Mao in Cina e quello di Gandhi in India. Sarà il suo bisogno di guardare con i propri occhi questi progetti che lo porterà in Asia, e a viverci per trenta anni quasi con la forza di un destino. Il giornalismo è stato per lui un modo per allargare la visuale sul mondo, come usando un grandangolo. Se intendiamo la filosofia nel suo significato originario come amore per la sapienza, certamente Terzani è stato un grande filosofo, a mio avviso, il più grande filosofo del nostro tempo. In sintesi Terzani riesce a mettere in dialogo il pensiero occidentale in cui siamo talmente immersi da esserne poco consapevoli, con il pensiero orientale e sa regalarci profonde visioni che riguardano il materialismo, la nozione del tempo lineare, l’idea di incarnare la civiltà più evoluta che possono essere di grande aiuto per il nostro futuro».

Quale monito di Terzani dovrebbe riecheggiare oggi con più forza?

«Forse il più significativo monito è quello che ripeteva negli ultimi mesi di vita. “Il grande male del nostro tempo è che abbiamo messo la materia al centro di tutto e non vediamo nient’altro che la materia. Questo  giustifica il capitalismo, giustifica la ricerca esclusiva del profitto e la nostra aspirazione ad avere piuttosto che a essere”. Terzani aveva capito profondamente che la separazione tra mente e materia è una visione molto parziale e ci porta fuori strada. Al contrario egli ripeteva che Tutto è Uno, è questa formula costituisce il sottotitolo del mio libro, ed è stata colta anche da Irene Grandi che nel 2018 ha lanciato una canzone a lui dedicata: “Tiziano Terzani: Tutto è Uno”. Tiziano ripeteva spessissimo “l’universo è l’equilibrio, l’armonia degli opposti. Perché non c’è acqua senza fuoco. Non c’è femminile senza maschile. Non c’è notte senza giorno. Non c’è sole senza luna, non c’è piacere senza sofferenza, non c’è vita senza morte. Perché tutto è Uno”.
Al contrario noi occidentali siamo portati a pensare con gli opposti, da una parte la mente, lo spirito, dall’altra la materia. Vogliamo il bene e vogliamo abolire il male, vogliamo il piacere e scacciamo la sofferenza, vogliamo la vita e cacciamo la morte, che infatti è il più grande tabù del nostro tempo. “Ma questa dicotomia è profondamente sbagliata – ripeteva 
Terzani – ed è ciò che ci impedisce di vivere nella pienezza della vita”. Il simbolo più bello  dell’essenza del mondo è, per Terzani, quello taoista dello Ying e dello  Yang, un cerchio sempre in movimento con il bianco che ha in sé un punto di nero e  il nero che ha all’interno un punto di bianco. Essi si abbracciano e non si possono separare. Questo è d’altronde il nocciolo della grande filosofia orientale: tutto è interconnesso e impermanente compresi noi stessi, il nostro io, e la supposta materia esterna. Questo ci spalanca orizzonti molto diversi da quelli attuali, anche per la nostra vita di tutti i giorni. Perché soltanto se crediamo che esista una materia inerte fuori di noi, possiamo pensare di manipolarla a nostro piacimento.
Pensiamo alle foreste, considerate mero legname da vendere, agli animali allevati  brutalmente in allevamenti intensivi e ridotti a mera materia industriale da mangiare,  pensiamo anche alla modificazione genetica delle sementi, delle piante o degli animali. Dovremo recuperare invece la verità che “Tutto è Uno”. 
Terzani, infatti, non usava frasi ad effetto. Sapeva benissimo che la fisica quantistica dagli anni ’30 in poi  ha confutato il fondamento materiale del mondo, perché non si può disgiungere l’osservatore dalle particelle osservate, la mente dalla materia. Gli esiti più attuali della varie scienze, non solo la fisica quantistica, ma anche la biologia, le neuroscienze, la PNEI,  l’epigenetica, la psicologia, concordano nel dimostrare che   il materialismo scientifico – che ha dominato per oltre due secoli – è sostanzialmente errato. Come aveva già sottolineato un autore molto caro a TerzaniFritjof Capra nel suo famoso “Il tao della Fisica”, gli esiti delle scienze attuali si avvicinano moltissimo al pensiero orientale, taoista, induista, buddista e infatti sono stati molti i  fisici quantistici che sono andati a cercare lumi presso pensatori orientali: per esempio Einstein con il poeta premio Nobel TagoreBohm con il filosofo KrishnamurtiTerzani è stato profetico e preveggente anche riguardo ai drammatici cambiamenti climatici a cui facciamo fronte oggi. Se capisci che Tutto è Uno, allora è facile comprendere che noi non siamo padroni dell’ecosfera, ma ne siamo una piccola parte e dobbiamo sforzarci di mantenerne l’equilibrio. Tiziano parlava sempre della Natura, la vera e grande Maestra. Già nel 2001 si indignava per la distruzione dell’ambiente e auspicava: “Perché non studiamo davvero, come avremmo potuto già fare da una ventina d’anni, tutte le possibili fonti alternative di energia?” Ma non solo. Egli infatti sosteneva più profondamente “soltanto se saremo in grado di ridurre i nostri bisogni, saremo in grado di costruire un mondo diverso”. Occorre ripensare molta della cosiddetta scienza economica, ripensare ai lavori che facciamo e il ruolo della finanza, non solo per imboccare una via di pace, ma anche come processo di quella rivoluzione del pensiero che ci farà riconquistare  un rapporto di armonia con noi stessi. Tiziano ha dimostrato con la sua vita che l’accettazione della propria morte, del Tutto è Uno, è un passo fondamentale per giungere oltre la materialità. Terzani è riuscito infatti persino a vivere il suo cancro, come una buona occasione, così come affermava. Aveva appena sessantacinque anni, ma l’accettazione dell’unità degli opposti gli ha permesso di esperire, proprio nel momento del trapasso, uno stato di profonda di gioia, che è essere, coscienza, beatitudine. Questo è infatti ciò che gli orientali considerano il vero scopo della vita umana. E l’esempio di Tiziano Terzani continua a illuminare molti di noi».

(Tiziano Terzani durante la liberazione di Saigon, 1975 © Archivio Tiziano Terzani)

Con il professore, scrittore e giornalista Carlo Pizzati abbiamo parlato della dimensione giornalistica di Terzani e dei mutamenti di quell’Oriente da lui tanto amato e indagato. Pizzati è stato a lungo inviato da New York, Città del Messico, Buenos Aires, Madrid e Chennai; vive in India e scrive per la Repubblica la Stampa.

Autore del programma televisivo Report con Milena Gabanelli, ha condotto Omnibus su La7 e pubblicato numerose opere, tra romanzi, saggi, raccolte di racconti brevi, tra cui: Tecnosciamani (Edizioni Il Punto d’Incontro, 2012) e Nimodo (Feltrinelli, 2014), La Tigre e il Drone (Marsilio, 2020), Una linea lampeggiante all’orizzonte (Baldini+Castoldi, 2022).

A venti anni dalla morte di Tiziano Terzani qual è la sua eredità?

«Il ricordo di un giornalista impegnato che nella prima fase della vita documentò con un talento originale i cambiamenti storici dell’Asia in un’epoca di trasformazioni spesso traumatiche. Uno scrittore impegnato che nell’ultima fase della vita condivise le sue inchieste spirituali, utili ai tantissimi lettori che lo hanno amato, e che penso lo amino ancora, come si ama un guru. Contrariamente ad altre famose penne italiane, Terzani andava a vedere come stanno le cose sul posto, parlava e ascoltava. L’eredità che lascia è anche questa: un giornalismo coinvolto, che cammina sempre tra la gente».

Lei, per un certo verso, ha seguito le orme di Terzani in quanto giornalista in Asia, cosa l’ha colpita della cultura orientale? E quanto di quello letto nelle pagine del giornalista toscano ha ritrovato?

«Mi ha colpito scoprire che la “cultura orientale” non esiste. Esiste un’idea che noi europei ci facciamo del fantomatico Oriente, orientaleggiando per stereotipi che offuscano la realtà, che sono le culture nazionali, regionali e locali in persistente trasformazione, con accelerate e risacche, fondate su forme di pensiero antico che accomunano alcune parti dell’Asia. Il racconto che cerco di fare dall’India e dall’Asia da oltre 15 anni non nasce da una ricerca di conferme, ma da un tentativo di sviscerare la trasformazione della realtà così com’è vissuta da chi a quelle culture appartiene. Vivendo con una famiglia indiana, cerco d’essere il contrario di un inviato che giudica ciò che vede in base ai valori di origine, ma piuttosto un interprete che, tramite il racconto, contribuisca ad assottigliare divisioni e pregiudizi inutili alla comprensione.
L’Asia raccontata da Tiziano Terzani è diversa da quella di oggi. Il Vietnam e la Cambogia contemporanei raccontano storie lontane dalla guerre che documentò nei suoi saggi, che però si misurano con un tema atemporale come la guerra. Nel raccontare la Cina presenta lo sgomento di fronte alla modernizzazione, esacerbata in Giappone, che Terzani sembrava resistere, ma che fu inevitabile. L’India che lo accolse era quella di RosselliniPasoliniMoravia Manganelli. Qui credo abbia trovato i doni profondi del mondo antico cui anelava, una realtà oggi molto ibridata con forme di modernità. Quell’India “di prima” oggi è spesso rinchiusa in oasi ad uso e consumo di turisti irretiti dal safari degli stereotipi. È complicato staccarsi dai fantasmi immaginari e nostalgici delle antiche letture e dei film giovanili. L’esotismo è un bene di consumo sempre molto richiesto. E dove c’è domanda c’è offerta».

Lei ha vissuto l’India in un momento molto diverso rispetto a quello di Terzani, come illustra nel suo “La Tigre e il Drone”, qual è l’aspetto che l’ha colpita di più di questo cambiamento?

«Credo che Terzani sarebbe inorridito di fronte al venditore di cocco che si fa pagare con lo smartphone. Quando una società adotta un’innovazione tecnologica importante i rapporti tra le persone subiscono un’alterazione profonda, deviando il corso della storia. Non è detto che l’innovazione porti al progresso sociale. Questo è ciò che è avvenuto in India in questi anni. La radicalizzazione religiosa si è imposta come forte potere politico anche grazie ai social. Di conseguenza, la sotto-occupazione femminile è aumentata. Una risacca storica. E il dissenso è meno tollerato. Altro passo indietro. Ma ci sono anche progressi insperati, come per i diritti LGBTQIA+. Le peculiarità della crescente classe media sono affascinanti, come l’impennata post-pandemica del turismo spirituale tra i pellegrini indiani della Generazione Z, sempre grazie ai social, oltre che alla politica fondamentalista».

Quale monito di Terzani, secondo Lei, dovrebbe riecheggiare oggi con più forza?

«Essendo entrato in India dalla sua porta spirituale, con lo yoga Ashtanga, la meditazione trascendentale negli ashram, i pellegrinaggi a piedi nudi attorno a una montagna sacra e studiando le cure ayurvediche, il monito più utile, per me, si trova negli ultimi dialoghi con il figlio Folco a Orsigna, raccolti ne “La fine è il mio inizio”. Lì s’intravede che quest’inimitabile vita di ricerca, di storie, di analisi e di passione, approda ad una comprensione esistenziale più mistica. È il Terzani degli ultimi due saggi, che da giornalista diventa guida spirituale. Un padre che ha la necessità di lasciare quanto c’è di più importante ai figli e ai nipoti: un’indagine sull’indicibile».

(Tiziano Terzani con la famiglia nella celebre Turtle House a Bangkok negli Anni ’90 © Archivio Tiziano Terzani)

Il Premio Terzani

A mantenere vivo non solo il ricordo di Terzani ma anche la sua missione di giornalista è stato istituto nell’anno della sua morte, dall’associazione culturale Vicino/Lontano, d’intesa e in collaborazione con la moglie, Angela Staude, e i figli Saskia Folco Terzani, il Premio letterario internazionale Tiziano Terzani.

Il già citato reporter Ryszard Kapuściński durante il primo incontro della Giuria volle sottolineare come “il nostro mondo, che dicono globalizzato, è invece fatto di molte province, di tante culture diverse. Tiziano Terzani con il suo lavoro di giornalista ha saputo davvero creare quel ponte tra le diversità e le differenze che poi dà modo anche agli altri di capire il mondo, un mondo che cambia velocemente e drammaticamente. Tiziano Terzani lo ha potuto fare perché sapeva guardare, i suoi occhi sapevano guardare nel modo giusto. E per questo Tiziano Terzani è stato un vero, importante testimone del nostro tempo. In tanti scrivono. Oggi siamo sommersi da un diluvio di parole, ma poco di quello che viene scritto rimarrà”.

Fin dalla prima edizione la Giuria è presieduta da Angela Staude Terzani, gli altri membri della Giuria del Premio sono: Enza CampinoToni CapuozzoMarco Del CoronaAndrea FilippiMilena GabanelliNicola GasbarroCarla NicoliniMarco PaciniPaolo PecileRemo PoliteoMarino SinibaldiMario Soldaini.

(Tiziano Terzani a Mantova nel 2002. ANSA/NICOLA ROMANI)

Nell’edizione del 2024 ad aggiudicarsi il Premio è Sally Hayden, attualmente corrispondente dall’Africa per l’Irish Times ha lavorato anche per Financial TimesTime, Washington PostGuardian, New York Times e collabora con VICE NewsCNN InternationalBBCChannel 4 NewsForeign PolicyAl Jazeera Newsweek. Giornalista e fotografa, ha conquistato il riconoscimento con il suo primo libro, E la quarta volta siamo annegati. Come si legge nella motivazione: «uomini, adolescenti, donne incinte, bambini: corpi sorvegliati, torturati, ricattati; stipati in magazzini fino a 3000 alla volta come merce da vendere al mercato dei trafficanti. Vite dimenticate. Sally Hayden restituisce dignità e valore a quei corpi: le loro parole clandestine arrivano fino a noi in brevi frammenti che spalancano abissi di indicibile sopraffazione e ci mettono di fronte al fallimento dell’umanità. Ai confini d’Europa. È una reporter coraggiosa, rigorosa, onesta: verifica scrupolosamente le fonti, studia i contesti, analizza le singole situazioni di abuso e violazione dei diritti umani. Il suo reportage è esente da stereotipi ideologici, fedele ai fatti: un documento di pura testimonianza e di potentissima verità umana, che ci presenta il quadro dettagliato di ciò che accade nei lager del Terzo Millennio.  Questo rigore senza cedimenti le dà il diritto di puntare il dito sulle ipocrisie degli organismi internazionali che l’Unione Europea si è data, ufficialmente per tutelare le vittime, di fatto per affiancare – grazie a funzionari superpagati, a volte corrotti e complici dei trafficanti – le strategie anti-immigratorie dei governi, in modo che tutti noi, nati per puro caso nel mondo delle libertà, possiamo voltarci dall’altra parte. Hayden toglie la maschera alle menzogne, all’inganno, al tradimento di un intero “sistema” di copertura e corruzione, che intercetta e lucra, anche politicamente, sul fenomeno migratorio, mentre ostacola i soccorsi delle Ong. Per averci obbligato a interrogarci su uno scandalo umanitario che ci vede responsabili come cittadini europei e come italiani – e che d’ora in poi nessuno di noi potrà più fingere di ignorare senza sentirsi “colpevole di indifferenza” – la giuria conferisce il Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani 2024 a Sally Hayden per E la quarta volta siamo annegati».

Al memoir Mille anni di gioie e dolori dell’artista Ai Weiwei la Giuria ha deciso di attribuire una menzione d’onore per premiare la sua volontà di “testimoniare il suo impegno come attivista per i diritti umani, portato avanti instancabilmente, nonostante il suo lavoro di artista militante sia stato costantemente ‘sorvegliato’ da un regime totalitario pavido e ottuso. Mille anni di gioie e dolori è un manifesto di arte e di vita, dove l’arte funge da antidoto alla paura e il coraggio si fa sentimento etico ed estetico: provocazione incessante contro il Potere. È un accorato, programmatico e ostinato appello a proteggere a ogni costo – anche nell’Occidente ‘democratico’, dove cominciano a manifestarsi preoccupanti segnali di censura nei confronti del libero pensiero – il diritto alla libertà dell’espressione artistica e di ogni altro tipo di espressione. Per questa resistenza tenace, per questa assunzione di responsabilità nel suo ruolo di artista e intellettuale militante, per questo allarme che vogliamo, e dobbiamo, ascoltare con attenzione e rispetto, la giuria del Premio letterario internazionale Tiziano Terzani, nella sua 20esima edizione, ha deciso di attribuire una Menzione Speciale ad Ai Weiwei, per Mille anni di gioie e dolori e per la sua carriera di artista impegnato nella difesa dei diritti”.

Nelle edizioni precedenti a ricevere il premio sono stati: Michele Rech (Zerocalcare), Colum McCannAndri Snær Magnason, Amin Maalouf, Franklin FoerDomenico QuiricoSorj ChalandonMartín CaparrósDavid Van ReybrouckMohsin HamidGeorge SorosAla al-AswaniLeslie T. ChangGiorgio Ambrosoli, Ahmed RashidFabrizio Gatti, Anna PolitkovskajaJonathan Randal e François Bizot.

(Tiziano Terzani, 7 Settembre 2002. ANSA/NICOLA ROMANI)

Tiziano Terzani sono inoltre dedicati il Premio nazionale Tiziano Terzani per l’Umanizzazione della Medicina e il Premio letterario Firenze per le Culture di Pace a partire dal 2006, dal 2011 il Premio letterario Fogli di Viaggio.

Le pagine scritte da Terzani sono state oggetto di trasposizione cinematografica, nel 2010 è infatti uscito il film basato sul suo libro La fine è il mio inizio. Sceneggiato da Folco Terzani e Ulrich Limmer, diretto da Jo Baier è stato girato nella casa di Terzani all’Orsigna, il giornalista è interpretato da Bruno Ganz, il figlio Folco da Elio Germano, la figlia Saskia da Andrea Osvárt e la moglie Angela Staude da Erika Pluhar.