L’importante è (non) Prendere un granchio (corriere.it)

di Aldo Grasso

Padiglione Italia

Un giorno, i libri di scuola racconteranno della gloriosa lotta del ministro Francesco Lollobrigida contro il granchio blu, il nuovo killer dei mari, il crostaceo immigrato clandestinamente che mise a repentaglio la vita di vongole, ostriche e cozze.

La battaglia iniziò ai primi di luglio, sotto il segno zodiacale del Cancro, il cui simbolo è, appunto, il granchio.

La prima idea di Chef Lollo (si perdoni la confidenza) fu di improvvisarsi cuoco e cucinare un risotto al granchio blu, una variante della dieta sovranista, non tenendo però conto, come ammoniva Mario Pannunzio, che il nostro è un Paese «alle vongole».

La seconda idea fu quella di nominare l’ex prefetto Enrico Caterino «commissario per il granchio blu» (in Italia ci sono più commissari straordinari che granchi blu). La cui prima dichiarazione fu questa: «Il problema lo conosco perché vivo in quella zona». Poi promise un bel tavolo di consultazione per «la fase emergenziale».

Rassegnò poi le dimissioni come il suo collega commissario per la peste suina o venne invece costituita l’ennesima commissione parlamentare d’inchiesta sul commissario e sulla gestione dell’emergenza granchio blu? Al momento, non si sa.

La favola insegna che nella vita l’importante è non prendere un granchio.

L’offensiva ucraina ha esposto la vulnerabilità militare e strategica della Russia (linkiesta.it)

di

Mosca cieca

Il Cremlino non era preparato per un attacco nella regione di Kursk e non è riuscito a garantire una copertura aerea efficace, permettendo così a Kyjiv di eseguire l’incursione con successo.

I russi ora dovranno distogliere risorse e attenzione dal fronte principale in Donbas, esponendosi a ulteriori attacchi

In tre giorni gli ucraini hanno occupato trecentocinquanta km2 di territorio: più di quello che in sei mesi i russi sono riusciti a conquistare in Donbas, al prezzo di circa centomila morti. Il Cremlino è stato preso di sorpresa dall’offensiva ucraina verso Kursk: ci sono voluti ben due giorni affinché elaborasse le «linee guida» per la copertura giornalistica dell’incursione. Lo rivela Meduzacitando contatti in Russia con «due persone che lavorano nel settore».

Queste «raccomandazioni urgenti» mettono innanzitutto in guardia dal discutere troppo sull’apertura di un «nuovo fronte» nella cosiddetta operazione militare speciale.

A riprova del fatto che la sorpresa sta comunque creando confusione, l’ordine di non fare sensazionalismo va però assieme all’incoraggiamento a confrontare i combattimenti in corso nella regione di Kursk con la battaglia di Kursk della Seconda Guerra Mondiale, che fu la più grande battaglia nella storia della guerra e un punto di svolta decisivo nel grande duello dell’Urss contro la Germania nazista.

Nel contempo, è stato detto ai media di non menzionare una potenziale avanzata delle truppe ucraine verso la città di Kurchatov, che ospita la centrale nucleare di Kursk, al fine di prevenire il panico pubblico su una «minaccia nucleare». Dal momento che non è che i media internazionali ne stessero parlando diffusamente, dà l’idea di una colossale cosa di paglia su ciò che più il Cremlino sta temendo in questo momento.

In compenso, il Cremlino ha chiesto ai media di riferire sui presunti «successi» dell’esercito russo nell’assalto di Kursk, sottolineando che le truppe ucraine sono state fermate prima di avanzare in profondità nella regione.

Invece di menzionare potenziali minacce alla centrale nucleare di Kursk, i notiziari dovrebbero concentrarsi sulle vittime civili negli attacchi dell’esercito ucraino agli insediamenti russi, in particolare sui bambini feriti e uccisi. Secondo i dati ufficiali, almeno nove bambini sono stati feriti nell’operazione Kursk.

L’amministrazione Putin ha inoltre incaricato i media di promuovere storie di interesse umano che enfatizzino temi di «unità e solidarietà», come rapporti sulle campagne di donazioni di sangue e campagne per fornire rifugio ai rifugiati dell’area di Sudzha. I politici del Cremlino specificano che questi rapporti dovrebbero essere vividamente descrittivi, non «aridi» e basati sui fatti.

I media dovrebbero anche assicurare al loro pubblico che sono disponibili ampie sistemazioni temporanee per le persone sfollate da Sudzha. Questa copertura dovrebbe concentrarsi sulle visite del governatore ad interim Alexey Smirnov ai rifugi e agli ospedali dove vengono curati i civili feriti: secondo i dati ufficiali, cinque civili sono stati uccisi nell’incursione dell’Ucraina nella regione di Kursk e altri 21 sono rimasti feriti.

Il Cremlino ha incaricato i giornalisti di sottolineare gli «enormi sforzi di risposta» dei funzionari federali, in particolare del presidente Putin, che «non abbandoneranno nessuno nel bisogno». Ma, appunto, queste linee non sono arrivate nelle redazioni fino a giovedì pomeriggio, dopo un intervallo di due giorni in cui anche l’Ucraina stava zitta e a dare notizie erano allarmatissimi blogger militari russi: favorevoli alla guerra, ma da sempre durissimi contro il modo in cui è condotta.

Ci sarebbe da chiedersi se direttive del genere non siano state impartite anche a giornalisti e influencer «amici» fuori dalla Russia, dal momento che molti commenti insistono sull’«azzardo ucraino» e sul fatto che una tale offensiva sarebbe insostenibile.

L’Economist dà l’esempio di una narrazione diversa secondo la quale sì, l’incursione presenta i suoi rischi, ma comunque il dimostrare a Putin che non è neanche in grado di mantenere il territorio nazionale rappresenta per lui uno schiaffo in faccia formidabile, e dalle conseguenze potenzialmente dirompenti.

Uno dei più noti storici italiani esperti di Europa Orientale, Federigo Argentieri ci dà di questo «azzardo ucraino» una duplice interpretazione politica. «Prima di tutto, l’atttacco è venuto nell’anniversario dell’attacco russo alla Georgia del 2008, che avvenne pure mentre erano in corso Olimpiadi, e che secondo gli ucraini fu il chiaro inizio di quel neo-imperialismo putiniano che avrebbe poi finito per investire l’Ucraina. Poi, è un momento in cui sia a Washington che a Bruxelles ci sono al potere anatre zoppe. Zelensky una volta tanto può agire senza perdere tempo a chiedere defatiganti autorizzazioni».

Una analisi militare ce la dà invece Roberto Casalone: esperto in Scienze Strategiche e Geopolitica che da ufficiale dell’Esercito Italiano ha comandanto unità in operazioni di peacekeeping peace enforcing in Albania, Kurdistan, Somalia, Ruanda, Timor Est, Iraq e Afghanistan, e dopo essere passato alla sicurezza civile nel 2019 ha anche fornito programmi addestrativi tecnici a truppe ucraine impegnate nel Donbas.

«L’incursione ucraina in territorio russo è significativa da un punto di vista strategico, oltre che ovviamente da un punto di vista di immagine», spiega. «Da notare, intanto, la posizione, sulla carta geografica, della regione di Kursk, sufficientemente lontana dalla linea di contatto in Donbas, ma sufficientemente equidistante dalle arterie che portano alla capitale.

Poi, da notare, la composizione delle unità ucraine. Un piccolo numero, con circa milleduecento uomini in tutto, assortito tra reparti interarmi, composto da fanteria meccanizzata su Ifv Marder e Bradley, plotoni da ricognizione su Hmmmv Humvee ma armati di missili anticarro, un plotone di carri T64bv e un gruppo Tlc con un radar di controbatteria».

Tornando indietro nella storia, Casalone ci spiega che in questo formato è un complesso di forze creato nella Seconda Guerra Mondiale dalla Panzerwaffe tedesca. «Si chiama Kampfgruppe. Da noi viene chiamato Gruppo Tattico: lo so perché ho avuto il privilegio di comandarne un paio». Ma le sue origini risalgono addirittura alla Guerra di Successione Spagnola e al principe Eugenio di Savoia, con un Kampgruppe costituito da cavalleria, archibugieri, granatieri e una batteria di cannoni da campagna, con relative salmerie.

«Doveva muoversi in fretta, spostarsi sul campo di battaglia, intervenendo dove serviva e, soprattutto, doveva essere capace di colpire il nemico, spesso superiore di numero ma più lento o statico, nei suoi punti deboli. Nelle sue campagne contro gli Ottomani e contro i Francesi, il Principe Eugenio fu maestro di questa tattica e, insieme al suo gemello diverso ideale, Sir John Churchill, Duca di Marlborough, inflisse una sconfitta epocale alle truppe del Re Sole a Blenheim, cambiando il corso della storia in Europa.

Nel secondo conflitto mondiale, i tedeschi, soprattutto tra il 1944 e il 1945, inferiori per forze e serrati sui due fronti dagli Alleati, utilizzarono con grande inventiva e capacità la logica dei Kampfgruppen, ottenendo successi clamorosi e spesso insperati, come nella prima fase della Battaglia delle Ardenne e, in primo luogo, sul fronte orientale contro i russi».

Dunque, «l’abile mossa odierna dell’alto comando ucraino, preparata da una lunga e meticolosa ricognizione in profondità, non dovuta al tradimento interno, come blaterato da Mosca, ma frutto di una cosa che in termini militari si chiama “Deep Recon“, ha sparigliato le carte al fronte, aprendo una falla in un dispositivo difensivo russo impreparato a una penetrazione in profondità di circa venticinque km, e privo di reparti idonei al contenimento».

Secondo questa analisi, «i russi hanno sbilanciato le forze per una pressione costante in Donbas, dove, intelligentemente, gli ucraini si difendono su linee progressive stratificate e, quando contrattaccano, lo fanno su piccoli obiettivi locali, con operazioni di local harassment, volte a rosicchiare le magre conquiste territoriali russe, ottenute con enormi perdite, per fiaccare ancora di più l’attaccante, che quindi è obbligato a tornare alla carica, ma con forze esauste e logistica ridotta, forzandolo a buttare nella mischia ogni nuovo arrivo senza il tempo di amalgamare i reparti.

Così, il fronte di Kursk, è difeso solo da un velo di forze, oggettivamente di seconda schiera, per cui è stato necessario correre ai ripari e spostare di corsa unità di artiglieria e aviazione tattica per respingere gli ucraini, che in realtà, non solo non sono stati respinti, ma si sono presi il tempo per riposizionarsi ancora su nuove coordinate, obbligando quindi i russi a ulteriori spostamenti».

Si sono dunque utilizzati plotoni da ricognizione avanzata su Humvee «perchè è un mezzo veloce, robusto, duttile, può essere armato con missili I-Tow in grado di fare a pezzi qualunque blindato russo a media-lunga distanza, basso, facile da mimetizzare e con un’ottima autonomia e, sulle strade russe e ucraine possiede una mobilità superiore a quella dei vecchi modelli ex sovietici».

Si sono usati carri T64BV e non i mezzi donati dagli occidentali «perché una puntata offensiva in territorio nemico prevede il fattore sorpresa. Un colpo di mano deve essere rapido e generare confusione. Se si utilizzano mezzi che utilizza anche il nemico, si guadagnano secondi preziosi in caso di contatto con il nemico. Infatti i carri ucraini si sono mossi senza le usuali grandi scritte colorate coni colori nazionali sugli scafi e sulle torrette, come usano in patria per evitare rischi di fuoco amico».

E allora perché usare i Bradley e i Marder tedeschi? «Perché, al contrario dei carri che hanno compiti di rottura iniziale, essi devono garantire la sopravvivenza delle fanterie imbarcate e possedere una potenza di fuoco tale da poter distruggere i mezzi omologhi avversari, senza far sprecare munizioni ai carri armati. I russi infatti utilizzano ancora i vecchissimi Bmp, Btr e Mt-Lb, tutti veicoli degli anni Settanta, vere e proprie trappole mortali per gli equipaggi e i soldati a bordo»

Insomma, «si scopre così che la Russia è vulnerabile in casa propria, su direttrici stradali enormi e rettilinee e, caso strano, proprio nello stesso punto dove l’esercito personale di Evgenij Prigozhin stava marciando su Mosca. Se nel caso del patron della Wagner fu uno strano connubio di camarille di palazzo a fermarlo, in questo caso, è lecito credere che se solo gli ucraini avessero potuto disporre di elicotteri anticarro e copertura aerea tattica, forse, e dico forse, avrebbero potuto anche osare molto di più.

Ma fortunatamente, il generale. Syrs’kyj non è uno stupido e non si è fatto trascinare nella trappola mediatica del suo predecessore Zaluznyi che, pressato da opinione pubblica nazionale e non, giornali, tv, gruppi di potere e politici ha invece lanciato una controffensiva primaverile che non ha ottenuto vantaggi significativi ma, in compenso, ha bruciato buona parte dei nuovi aiuti alleati in sterili confronti statici in mezzo a enormi campi minati nella zona peggiore del paese dove condurre operazioni meccanizzate senza la superiorità aerea.

Non dimentichiamo che Syrs’kyj viene proprio dal comando di una unità meccanizzata, la 72° Brigata Meccanizzata e che si è perfezionato all’ Ausbildungszentrum Panzertruppen a Munster. Vale a dire, il Mit dei carristi».

Il segnale lanciato a Mosca, dunque, è secondo Casalone chiarissimo. «L’incubo peggiore di chi invade o attacca per primo, penetrando in territorio nemico con incosciente baldanza, è sempre quello di essere attaccati, sui fianchi o alle spalle, da un nemico che si credeva bloccato da un’altra parte.

Esattamente quello che capitò alla Terza Armata Egiziana nella Guerra dello Yom Kippur, aggirata e tagliata in due da una puntata offensiva veloce delle Ugda, Gruppi Tattici corazzati, israeliane in territorio egiziano, varcando il Canale di Suez.

Solo il cessate il fuoco, imposto da Stati Uniti e Urss, fermò il collasso dell’esercito arabo, che pure fino a quel momento era riuscito ad avanzare nel Sinai, vittoriosamente, travolgendo in un primo tempo le forze israeliane».

Casalone cita Sun Tzu: «fai credere al nemico di essere dove invece non sei, colpiscilo invece dove tu sei, ma egli non può vederti». E osserva che «nell’era delle guerre moderne è quasi suicida attaccare con dei reparti meccanizzati senza possedere, e mantenere il controllo dei cieli sul campo di battaglia, tranne il caso che tutti e due i contendenti non posseggano un’aeronautica militare.

Questa è la prova che la Russia non è più una potenza militare come qualcuno si ostina a far credere. Alla ormai mitica frase “Shoigu, Gerasimov, dove sono le mie munizioni?”, se ne potrebbe aggiungere ora, un’altra: “Dove sono i miei aerei?”. Dopo la sconfitta in mare, contro un nemico privo di marina militare, ora anche l’umiliazione, in casa propria, di subire un’avanzata nemica senza poterla contrastare dal cielo».

In conclusione, «la Russia dovrà pensare bene a come muoversi, perché per contrattaccare e riprendersi il terreno perduto devono muovere grandi concentramenti di uomini e mezzi nella regione di Kursk e servono mezzi efficienti e uomini validi, non rimpiazzi raffazzonati, che sarebbero carne da macello in poche ore.

Per averli laggiù, Mosca deve toglierli da altre parti, dove adesso servono invece, e deve fisicamente spostarli, servono carburante, mezzi di trasporto, ferrovie, tutte cose che costano tanto, e impediscono così di avanzare in Donbas.

Gli amichetti iraniani, adesso, hanno ben altri grilli per la testa e non possono, o non vogliono, inviare aiuti concreti, perché servono a loro altrove. Kim Jong-un sa bene che non gli conviene esporsi più di quanto abbia già fatto finora. La lista dei fornitori finisce qui. Forse, stavolta, un rimpasto di generali non basterà più».

Cosa hanno detto Elon Musk e Donald Trump sul nucleare e i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki (open.online)

di David Puente

FACT-CHECKING

Il contesto del discorso riguarda sia l’energia nucleare che il problema di una guerra termonucleare

La tanto attesa e discussa intervista di Elon Musk a Donald Trump su X si è rivelata un dialogo amichevole e cordiale, trovandosi di fronte letteralmente il finanziatore e il candidato finanziato per le prossime elezioni americane del 5 novembre 2024.

Al di là dei discorsi sulle auto elettriche e andando oltre le critiche contro Joe Biden e l’attuale avversaria alla Casa Bianca, Kamala Harris, una parte della discussione viene ampiamente discussa e contestata sui social. A un certo punto, entrambi si soffermano sul tema del nucleare e su quanto accaduto in Giappone sul finire della seconda guerra mondiale.

La frase chiave viene così riportata sui social e dai media: «Hiroshima e Nagasaki furono bombardate, ma adesso ci sono di nuovo delle città. Quindi, non è così spaventoso come pensa la gente». Non si tratta di una citazione inventata. Di fatto, per sostenere la tesi di un nucleare che non dovrebbe intimorire troppo le masse, Elon Musk esprime un suo pensiero riguardo i due bombardamenti nucleari americani sul suolo nipponico.

Per comprendere l’intero contesto, riportiamo i diversi passaggi (in ordine cronologico) tratti dall’audio condiviso da Trump su X.

Il problema del nucleare in ambito bellico

Donald Trump introduce il tema del nucleare in ambito bellico, affermando che secondo l’allora presidente Obama la minaccia più grande fosse una guerra nucleare contro la Corea del Nord di Kim Jong-un.

Donald Trump: «But President Obama thought we were gonna end up in a war, a nuclear war with him. And let me tell you, he’s got a lot of nuclear stuff too. He’s got plenty of nuclear»

Nel corso dell’intera discussione, il candidato repubblicano ha più volte sollevato il problema delle potenze atomiche in termini bellici. Trump sostiene che la minaccia più grande non sia il cambiamento climatico, ma il riscaldamento nucleare che sarebbe causato dai cinque Paesi che dispongono di armi nucleari:

Donald Trump: «The biggest threat is nuclear warming because we have five countries now that have significant nuclear power and we have to not allow anything to happen with stupid people like Biden»

Elon Musk concorda con il suo ospite sostenendo che le persone sottovalutino il rischio di una Terza Guerra Mondiale, evidenziando il rischio di una guerra termonucleare globale che metterebbe fine all’umanità:

Elon Musk: «I think you’re right. I think people underrate the risk of World War III. And it’s just, when looking at the risk of global thermonuclear warfare, it’s game over for humanity»

I problemi del nucleare in ambito energetico

Tuttavia, nonostante i problemi che verranno evidenziati nuovamente nel corso dell’intervista, Trump afferma con chiarezza quanto sia importante per lui il tema del nucleare in termini energetici/economici e di come molti non lo comprendano, ma non se ne fa un problema:

Donald Trump: «But the big thing now is the economy, Elon. And as much as, I mean, I view nuclear as the single most important thing, but a lot of people don’t understand that. But it doesn’t have to»

Trump evidenzia quanto sia per lui un problema che ci siano cinque Paesi che dispongano di una grande potenza nucleare e il rischio che altri Paesi possano arrivare ad ottenerla:

Donald Trump: «And for me, that’s an immediate problem because you have, as I said, five countries where you have major nuclear and, you know, probably some others are getting there and that’s very dangerous»

Elon Musk riprende poi il tema energetico, mettendo da parte l’aspetto negativo di una guerra termonucleare. Secondo il proprietario di X e Tesla, molti ne avrebbero paura nonostante sia una delle «forme più sicure» per generare elettricità rispetto ad altre, anche in termini di morti e feriti derivanti dall’intera catena di produzione attraverso altre fonti, come quella del carbone:

Elon Musk: «Yeah, and actually, there’s the bad side of nuclear, which is a nuclear war, very bad side. But there’s also, I think, nuclear electricity generation is underrated. And it’s actually, you know, people have this fear of nuclear electricity generation, but it’s actually one of the safest forms of electricity generation. It’s just a huge misunderstanding. And if you look at the injuries and deaths caused by, say, I mean, I’m not gonna try to pick on coal mining, but just any kind of mining operation. And there’s a certain number of injuries and deaths per year. I mean, you compare that to nuclear, nuclear is actually way better. So it’s underrated as an electricity source. And I think it’s something that’s worth reconsidering, but there’s so much regulation that people can’t get it done»

Hiroshima e Nagasaky, partendo da Fukushima

Proseguendo nella discussione, intorno al minuto 2:14:18, Elon Musk porta come esempio il disastro di Fukushima, sostenendo che non vi sia stato alcun pericolo essendoci stato di persona mangiando le verdure coltivate in quella zona:

Elon Musk: «It’s the basics. It’s actually not that bad. So like after Fukushima happened in Japan, like people were asking me in California, you know, are we worried about like a nuclear cloud coming from Japan? I’m like, no, that’s crazy. It’s actually, it’s not even dangerous in Fukushima. I actually flew there and ate locally grown vegetables on TV to prove it»

Donald Trump, sentendo il racconto di Musk, annuisce ma si dichiara preoccupato per la sua salute («Yeah, but you haven’t been feeling so well lately and I’m worried about it»). Il proprietario di X, di fronte alle parole del candidato repubblicano, esprime il suo parere sui bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, sostenendo che nonostante tutto entrambe le città sono tornate a vivere negli anni successivi («Quindi non è così spaventoso come la gente pensa»). Ecco il testo dell’intervento di Musk e una breve risposta di Trump (dal minuto 2:14:55):

Elon Musk: «No, no, but I mean. I’m only kidding. It’s fine, you know. It’s like, you know, Hiroshima and Nagasaki were bombed, but now they’re like full cities again. So it’s really not something that, you know».

Donald Trump: «That’s great».

Elon Musk: «So it’s not as scary as people think basically, but let’s see. I mean, are there some other topics we should touch on? Oh, you know, like lawfare»

Conclusioni

Per Musk e Trump il tema non riguardava esclusivamente le armi nucleari o l’energia nucleare. I due hanno discusso di entrambi i temi, evidenziando come la gente abbia paura del nucleare in merito alla produzione energetica, fino all’intervento di Musk dove esprime il suo pensiero su quanto accaduto in Giappone per sostenere l’idea che in qualche modo, alla fine, tutto si sarebbe risolto.

«L’Esecutivo vuole far esplodere le carceri per poi usare il pugno duro» (ildubbio.news)

di Valentina Stella

Roberto Giachetti, spiega perché ha deciso di 
denunciare insieme a Nessuno tocchi Caino il 
ministro Nordio e i sottosegretari Ostellari 
e Delmastro

«Secondo me governo e maggioranza hanno un disegno ben preciso, che è quello di far esplodere la situazione nelle carceri per poi mettere in atto e giustificare un’opera di repressione molto appariscente».

È molto duro nei confronti di governo e maggioranza il deputato di Italia Viva, Roberto Giachetti, che in questa intervista spiega bene perché ha deciso di denunciare insieme a Nessuno tocchi Caino il ministro Nordio e i sottosegretari Ostellari e Delmastro.

Che bilancio fa rispetto a tutto quanto accaduto rispetto alla sua proposta di legge sulla liberazione anticipata speciale, in particolare in riferimento all’ennesimo rinvio?

Non faccio un bilancio per me, bensì per l’oggetto della questione, ossia la drammaticità che si sta vivendo nelle nostre carceri. Basti pensare agli ultimi suicidi di due ragazzi. Da un lato è del tutto evidente che si sono inventati un decreto finto e il fatto che fosse finto l’ha certificato ieri ( mercoledì, ndr) la presidente del Consiglio Meloni facendo una riunione a Palazzo Chigi per occuparsi dell’emergenza. Una emergenza niente affatto affrontata nel provvedimento appena approvato. Dall’altro lato hanno respinto e affossato la mia proposta nonostante fosse l’unica al momento in grado di affrontare la situazione ormai insostenibile negli istituti di pena, che riguarda detenuti e detenenti. Io non ho mai preteso che venisse approvata la pdl, elaborata insieme a Nessuno tocchi Caino: se mi avessero detto che avevano un altro progetto di legge utile lo avrei sostenuto e invece nulla.

Che idea si è fatto di questo modo di procedere?

Secondo me governo e maggioranza hanno un disegno ben preciso, che è quello di far esplodere la situazione nelle carceri per poi mettere in atto e giustificare un’opera di repressione molto appariscente. Vogliono dimostrare di essere securitari, di avere il pugno duro, tanto lo fanno a scapito degli ultimi, di delinquenti abbandonati a loro stessi nelle mani dello Stato. Se mettiamo in fila alcuni elementi, la conclusione non può che essere questa: hanno previsto nel ddl sicurezza il reato di resistenza passiva. Tale ultima, scellerata previsione traduce in condotta penalmente rilevante qualunque resistenza o contrapposizione a un ordine, neppure definito legittimo dal testo normativo, rendendo reato il comportamento negativo, omissivo, nonviolento, quale lo sciopero della fame, il rifiuto di rientrare in una cella bollente e sovraffollata o di assoggettarsi a una indebita perquisizione intima. E non si dimentichi che qualche settimana fa è arrivata la notizia che avevano costituito i reparti speciali della polizia penitenziaria, il cosiddetto Gio.

Lei in Aula mercoledì sera si è scontrato con la deputata di Fd’I Varchi che ha chiesto il ritorno in commissione della sua pdl.

Ho detto che si dovrebbe provare pudore, forse anche vergogna per come si è gestito il tutto. Il 24 luglio scorso, Varchi era intervenuta in Aula per chiedere l’ennesimo rinvio, spiegando che era legato al fatto che tutti potessero prendere visione del decreto che abbiamo appena approvato. Appena concluso, cosa fa? Chiede un nuovo rinvio! Intanto tra un rinvio e l’altro ci sono stati una cinquantina di suicidi. Ma si è approvato un decreto che è una buffonata e si è rinviata la mia pdl. Come ho detto a Varchi e a tutta la maggioranza, abbiate il coraggio di votare la pdl, bocciatela, almeno assumetevi la responsabilità, non solo dentro il Parlamento, ma anche di fronte a tutti quelli che ogni giorno, compresa la Polizia penitenziaria, sono in una condizione inaccettabile.

Lei ha criticato anche l’atteggiamento di Forza Italia.

Sono stato in maggioranza anch’io. Se mi avessero detto “non ce l’abbiamo fatta, purtroppo stiamo in maggioranza e non possiamo farla saltare su questo” io ovviamente non sarei stato d’accordo, ma quantomeno avrei apprezzato l’onestà. Invece in questo caso prima si sono schierati sulla mia proposta e poi hanno ingannato il mondo, dicendo che la mia proposta era stata superata dal decreto e dall’emendamento di FI. Ma sappiamo tutti in cosa consiste quell’emendamento che riguarda gli ultrasettantenni. Su oltre 61.000 reclusi, ne sono 1.244. Tra questi ci sono gli ergastolani, che non potranno mai usufruire della liberazione anticipata speciale, poi ci sono quelli che hanno la recidiva, esclusi anche loro. In pratica quella norma se va bene interessa massimo 300 persone. Ma è serietà questa? Non solo sono in mala fede sul piano politico, ma anche irriguardosi perché fuggono dalle loro responsabilità e fanno credere all’intero sistema penitenziario e a chi gravita intorno ad esso che hanno risolto il problema. Ingannare così le persone è gravissimo.

Dal punto di vista metodologico come giudica il fatto che due giorni fa mentre nell’Aula della Camera erano ancora in corso le dichiarazioni di voto sul dl carceri il ministro Nordio si riuniva a Palazzo Chigi per discutere dello stesso tema con la premier Meloni?

Mentre discutevamo sono mancati per diverso tempo anche i sottosegretari, anche loro a Palazzo Chigi, insieme a Meloni, Nordio e l’anima grigia dietro a tutto questo, il sottosegretario Mantovano. Bene ha fatto il presidente della Camera Fontana a ribadire la centralità del Parlamento come sede di discussione.

Invece, dal punto di vista del merito, come interpreta questa iniziativa del Guardasigilli che annuncia di volersi recare da Mattarella per discutere di altri provvedimenti in materia?

Vorrei ricordare a Nordio che il presidente Mattarella ha già parlato sul tema. Il giorno del suo insediamento, quando ha convocato il capo del Dap, quando ha ricordato la lettera dei detenuti di Brescia. Non occorre salire al Quirinale, basta ascoltare il Capo dello Stato. Quello del ministro è un semplice rilancio comunicativo per far vedere che si sta facendo qualcosa, quando in realtà non è così. E questo dovrebbe essere meglio evidenziato dalla stampa.

Per tutto questo lei insieme a Nessuno Tocchi Caino presenta un esposto contro Nordio, Ostellari, Delmastro? È una provocazione o crede davvero che ci possa essere un magistrato pronto a perseguirli?

Prima di arrivare a questo, io ho provato in tutti i modi sul piano politico e parlamentare a discutere con l’Esecutivo e la maggioranza parlamentare. Mi sono sempre reso disponibile ad incontri e rinvii, ho messo in campo tutto il possibile. Tuttavia hanno scelto un’altra strada. E gli aspetti peggiori sono che si rendono perfettamente conto di quello che sta succedendo negli istituti di pena e scientemente non fanno nulla per affrontare adeguatamente l’emergenza; anzi, come dicevo prima, stanno mettendo in atto una serie di azioni per inasprire la situazione. Non si tratta di una provocazione, la nostra. Come recita l’art. 40 cp, “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. E noi nell’esposto abbiamo appunto sottolineato che, a nostro parere, il ministro e i due sottosegretari, pur avendo specifici obblighi di custodia dei ristretti, non vi adempiono cagionando ai detenuti un danno verificabile alla salute, fisica o psichica, e alla vita. Poi sarà il Tribunale dei Ministri e i magistrati a giudicare.

Sant’Anna di Stazzema 80 anni fa: “Ma lo Stato si è svegliato tardi” (lanazione.it)

Il sindaco Maurizio Verona: 

“Per decenni non è stato fatto niente per cercare e punire i colpevoli”

L’incedere dei soldati che con gli stivali percorrono stradine piene di ghiaia e ciottoli; i comandi secchi e duri pronunciati in tono perentorio in lingua tedesca. E le mitragliette che sparano a raffica.

Le urla, le grida di disperazione. E poi il silenzio della morte calata il 12 agosto di 80 anni fa su Sant’Anna di Stazzema. No, i pochi superstiti rimasti in vita (all’epoca bambini) e sopravvissuti alla follia nazista, non potranno mai dimenticare quei suoni, quei rumori. Quegli odori. Oggi, per loro e per chi non c’è più il comune di Stazzema continuerà a ricordare l’eccidio di Sant’Anna dove persero la vita 560 civili, per lo più donne, anziani e bambini.

La lunga scia di sangue lasciata dalle truppe tedesche in ritirata nell’estate del ’44 raggiunse il suo apice in Alta Versilia. Stazzema oggi ricorda. Anche se al fianco del sindaco Maurizio Verona non ci dovrebbe essere nessuna carica dello Stato. Benché invitata.

Sindaco, spieghi cosa è successo.

“Appena sono stato rieletto a giugno ho scritto una lettera al ministro degli esteri Antonio Tajani invitandolo a venire a Sant’Anna. Dopo un po’ di tempo la sua segreteria mi ha risposto dicendo che il ministro non poteva perché impegnato all’estero. Allora ho scritto al presidente del Consiglio Giorgia Meloni chiedendole di mandare un suo delegato. Ma non ho avuto alcuna risposta…”.

Uno smacco per la sua amministrazione?

“Non per me. Ma per le vittime della strage, per i sopravvissuti, per la gente della Versilia. Io sarò come sempre al mio posto e non mi sentirò affatto in imbarazzo. Purtroppo questa strage sembra che interessi poco nelle alte sfere”.

Si spieghi meglio…

“Per decenni lo Stato italiano non ha fatto niente per cercare e punire i colpevoli. Ci siamo svegliati troppo tardi, dopo mezzo secolo. Come se questa strage dovesse restare nell’oblio”.

Ma non per Stazzema…

“Certo che no. Tramandare la memoria è un dovere. Le nuove generazioni devono sapere quanto sia assurda e crudele una guerra. Quanto avviene in Ucraina o in Medio Oriente ce lo ricorda quotidianamente”.

(Siamo nel 1944: la sepoltura delle vittime nel piazzale della chiesa di Stazzema)

Il ricordo della strage di Sant’Anna, Giani: “Un inno alla pace. Grave assenza del Governo” (toscana-notizie.it)

Il presidente ricorda come la Costituzione 
repubblicana nasca dalla lotta al nazifascismo. 

“Il cuore della Toscana batte forte su Sant’Anna”

La Toscana non dimentica la strage di Sant’Anna di Stazzema, 560 persone trucidate, tra queste 130 bambini. Quello del 2024 è un anniversario importante, ottanta anni dal massacro che fu premiditato a tavolino con la complicità di fascisti italiani che guidarono sul monte i soldati tedeschi. Tante presenze, tante sindaci ed assessori con la fascia tricolore, tanti gonfaloni, numerose anche le associazioni e i giovani, italiani e tedeschi.

Ma nessun esponente del Governo è presente nel giorno della commemorazione sullo sperone di roccia che accoglie a seicento metri di altezza il monumento sacrario che si affaccia come una terrazza sul mare della Versilia. Un’assenza sottolineata con forza dal presidente della Toscana Eugenio Giani.

“Non vedo la presidente del Consiglio, non vedo ministri  né sottosegretari – evidenzia Giani –  Sinceramente  è una cosa grave e mi sarei aspettato ben altro per ricordare gli ottanta anni di San’Anna che vedono in una giornata come oggi la presenza dei sindaci, delle associazioni e dell’anima vera della Toscana”. Il ministro degli esteri  ha inviato un messaggio, ma non è diverso dall’essere fisicamente presente.

“Lascia amarezza ed un profondo dispiacere questa assenza che ha segnato anche la cerimonia ieri per la liberazione di Firenze” rimarca il presidente.  “Mi auguro – prosegue – che via sia comunque consapevolezza che la nostra Repubblica nasce da qui, da Sant’Anna, dalla Resistenza e dall’opposizione al fascismo, così come da qui nasce la nostra Regione che del Comitato di liberazione toscano ha voluto riprendere il simbolo, il Pegaso”.

“La nostra Costituzione è scolpita in quello che è successo a Sant’Anna. Chi non capisce questo – dice – non può contribuire allo sviluppo dei valori alla base del nostro sistema di convivenza civile”.

“Il cuore della Toscana batte forte su Sant’Anna” ricorda ancora il presidente Eugenio Giani. E da Sant’Anna risuona forte, ottanta anni dopo la strage in cui furono massacrate con ferocia anche donne, uomini e bambini,  un messaggio di pace. Un inno al disarmo e al dialogo, nel segno della riconciliazione. C’è chi canta Bella Ciao, c’è chi scandisce “Ora Resistenza sempre”.

Su un cartello si punta l’indice contro chi vende e produce armi, “insulto a Sant’Anna”.  Sono in duemila davanti alla chiesa e poi lungo il sentiero abbarbicati sul monte. Amministratori e gonfaloni non solo toscani.    Presente anche la console della Germania. Presenti per la giunta l’assessora Alessandra Nardini e l’assessore Stefano Baccelli.

“Un messaggio di pace arrivi da questo luogo così sacro. Non c’è futuro senza memoria – conclude Giani –  Ricordiamoci cosa sono state le guerre, cosa hanno fatto”. Alza la voce e cita i conflitti in corso in Europa.

Nella commemorazione ufficiale sulla vetta che ospita il monumento sacrario, il presidente interviene dopo il sindaco di Stazzema Maurizio Verona e il presidente dell’Associazione Martiri di Sant’Anna Unberto Mancini e  dopo la lettura del telegramma del presidente Mattarella, che ricorda la complicità dei fascisti locali e la grande eredità morale lasciata dai sopravvissuti, ogni anno sempre di meno.

Giani ricorda l’importanza del passaggio del testimone della memoria tra le generazioni e poi cita e declama l’ode a Sant’Anna di Piero Calamandrei, “ giurista, protagonista della fase Costituente che per Sant’Anna divenne poeta”: parole intrise di “quell’orgoglio e pietà che poi rimasero impresse nella nostra carta costituzionale”.  Quindi invita ad essere uniti, nella difesa e testimonianza della Costituzione.

Il ricordo della strage di Sant’Anna, Giani: “Un inno alla pace. Grave assenza del Governo”

Queste foto non dimostrano che Kamala Harris sia stata una prostituta, sono generate con l’AI (open.online)

di Fact-checking Team

FACT-CHECKING

Non è la prima volta che la candidata alla Casa Bianca viene attaccata con l’uso dell’Intelligenza Artificiale

Ancora una volta Kamala Harris si trova a subire attacchi legati alla sua sfera sessuale. Numerosi utenti sui social, infatti, sono tornati a sostenere che la vicepresidente degli Usa sia stata una prostituta. La presunta prova sarebbero tre immagini in cui Harris appare con abiti succinti per strada e in dei locali.

Nei giorni scorsi utenti online avevano cercato di provare la stessa teoria con alcune immagini provocanti generate con AI, con una immagine alterata in cui la candidata democratica alle presidenziali statunitensi appare abbracciata a Jeffrey Epstein, e con le illazioni circa una sua sorta di relazione con il rapper Puff Daddy e una foto di una prostituta a New York negli anni Ottanta che non la riguarda.

Analisi

Vediamo lo screenshot di uno dei post oggetto di verifica (altri esempi quiquiqui qui). Nella descrizione si legge:

Il personale di San Francisco si sta facendo avanti affermando che Kamala Harris era una scorta per giudici, politici e vari potenti uomini d’affari per influenzare i casi giudiziari e aiutare a promuovere le politiche di sinistra nello stato. I democratici stanno cercando di seppellire queste allocazioni!

In alcuni post, come quello che vediamo riportato di seguito, appare una terza immagine in cui Harris è vestita con un succinto abito rosso.

Le immagini circolano online dall’inizio di agosto 2024, nonostante chi le condivide lasci intendere che queste sarebbero foto scattate a Harris diversi anni fa. La prima pubblicazione risalirebbe all’1 agosto 2024 su 4plebs. Se fossero vere foto di Kamala Harris scattate anni fa, è molto probabile che avrebbero generato molta più attenzione.

Quando sono state create le immagini?

Inoltre, risulta difficile collocare temporalmente le immagini. Nell’immagine in cui è vestita di blu, il viso della vicepresidente degli Usa appare molto più giovane di ora. Ciò fa presupporre che l’immagine risalga ad almeno una ventina di anni fa, quando Harris era impegnata nella campagna per ottenere la posizione di procuratrice distrettuale di San Francisco, che ricoprì dall’8 gennaio 2004 fino al 3 gennaio 2011.

Appare molto improbabile che in un momento in cui così tanta attenzione era concentrata su di lei, Harris possa essere stata fotografata con questi abiti e la cosa sia passata inosservata.

(EPA/BIZUAYEHU TESFAYE | Foto di Kamala Harris del 10 agosto 2024) Rispetto alle immagini condivise online si notano i segni dell’età sul viso e, soprattutto, sul collo

Le immagini generate con l’AI

Inoltre, le immagini mostrano alcuni segni tipici dell’intelligenza artificiale generativa. Si osservi, ad esempio, la mano sinistra di Harris in entrambe le foto in cui è vestita di blu (riquadri fucsia). Nella prima, una delle dita è estremamente sottile. Nella seconda, la parte finale della mano si fonde con l’oggetto sottostante.

Anche le ombre hanno un aspetto strano (linee verdi): anziché allungarsi sul marciapiede rimangono intorno al corpo di Harris. Sullo sfondo, invece, si nota un’auto senza fari posteriori (riquadro azzurro). Infine, nell’immagine in cui Harris è vestita di rosso, il braccio appare congiunto al corpo in maniera inusuale.

Conclusioni

Si cerca di provare la teoria secondo cui Kamala Harris sarebbe stata una prostituta usando delle immagini generate con l’intelligenza artificiale.